CINQUANTUNESIMA NOTTE

 

La sera il re tornò nella stanza e con Masoud si dedicò ai giochi dell’amore.

Il mattino dopo Masoud riprese a narrare.

 

Quella notte si amarono a lungo, poi il re dei jinn si addormentò. Alla luce delle torce, Nadir guardò il re dei jinn che dormiva nel letto. A lungo contemplò il membro possente che tante volte era entrato dentro di lui, regalandogli piacere.

Poi Nadir andò nella camera del tesoro, perché così il re dei jinn degli aveva detto di fare. Si chiese che cosa mettere nella piccola borsa. Suo padre era ricco e Nadir non aveva bisogno di nulla, ma non voleva disobbedire al re dei jinn. Prese una manciata di pietre preziose: rubini, diamanti, zaffiri e smeraldi, e li infilò nella borsa, pensando che questa si sarebbe riempita, ma non fu così. Allora prese altre pietre e monete d’oro, ma per quanto mettesse, la borsa non si riempiva mai. Eppure era piccola e leggera. Il tempo passava. Nadir continuava a versare nella borsa tutto ciò che trovava, ma essa non era mai piena.

Solo dopo molte ore, quando ormai le stelle avevano compiuto il loro giro e l’alba non era più lontana, la borsa fu piena, ma essa appariva ancora leggera, come se fosse stata vuota. Nadir se la legò alla vita, poi ritornò nella stanza.

Guardò il corpo del re dei jinn steso sul letto, il grande membro sempre eretto. Si chinò sul letto e baciò la bocca del re, poi il petto e infine il membro teso. Il desiderio lo prese ed egli accolse nella bocca. Come più volte aveva fatto, le sue labbra lo accarezzarono e la sua lingua lo percorse, finché egli non sentì in bocca il gusto del seme.

Poi si sollevò e guardò il magnifico corpo che tanto piacere gli aveva regalato. Gli parve che il re dei jinn sorridesse nel sonno. Prese la spada, la sollevò e, dopo un momento di esitazione la calò con forza sul collo del re, recidendola di netto. Poi l’afferrò per i capelli, mentre un urlo terribile risuonava nella sala e le mura tremavano.

Un cavallo nero comparve davanti a lui e Nadir salì in groppa, tenendo la testa in una mano. Il cavallo partì al galoppo. Nadir sentì un gran fragore alle sue spalle e si voltò. Vide che dietro di lui il palazzo crollava. Quando infine superarono l’ultima porta, del castello non rimaneva nulla: dove un tempo esso sorgeva si stendeva solo una nuda distesa di roccia.

Il cavallo correva come il vento e in breve giunse in vista della città.

Nadir mise la testa del re dei jinn in una sacca, perché nessuno la vedesse, poi spronò il cavallo ed entrò nella città, le cui porte venivano aperte proprio allora.

Il re fu felice di rivedere suo figlio, che ormai credeva morto. Anche il fratello gioì del ritorno di Nadir, perché gli era affezionato, anche se sarebbe stato contento di diventare un giorno re.

Nadir disse di essere stato ospite del re dei jinn d’oriente e di aver ricevuto da lui in dono pietre preziose e ori. Dopo aver raccontato, prese la borsa e la rovesciò sul piatto. Oro, gioielli e pietre preziose scesero, formando una catasta che cresceva sempre, tanto che il padre lo pregò di richiudere la borsa, prima che la stanza venisse riempita.

Nadir mise la testa del re dei jinn in uno scomparto segreto, di cui lui solo aveva la chiave. La sera, prima di coricarsi, Nadir apriva lo scomparto e parlava con il re dei jinn, che talvolta gli dava consigli.

Ogni notte Nadir sognava il re dei jinn e le ore trascorrevano in baci e abbracci e carezze e amplessi ardenti. Nadir ormai sapeva che non erano sogni e spesso il mattino si svegliava sentendo dentro di sé il seme che il re dei jinn aveva sparso.

Il padre di Nadir era ormai anziano e si stava spegnendo. Nadir e il fratello furono al suo fianco fino alla morte, che giunse nove mesi dopo il ritorno di Nadir.

Il re morì serenamente, lieto di avere vicino i due figli, che sapeva concordi.

Nadir divenne perciò re. Egli rese gli onori funebri al padre, insieme al fratello. Poi tornò al palazzo.

Quella sera la testa parlò:

- Bada, Nadir. Tuo cugino vuole liberarsi di te e di tuo fratello, per regnare al vostro posto. Questa notte non dormire nel tuo letto.

Nadir avvertì il fratello ed entrambi fecero nascondere nelle loro camere alcuni soldati e nei loro letti misero dei fantocci.

Nella notte due sicari cercarono di uccidere Nadir e altri due pugnalarono nel sonno il manichino che era stato messo nel letto del fratello. Non appena immersero i loro pugnali in quelli che pensavano essere i corpi del re e del principe, i soldati nascosti balzarono fuori e li arrestarono.

Messi alla tortura, i quattro uomini confessarono di essere stati mandati dal cugino. Questi fu trascinato ai piedi di Nadir e riconobbe la sua colpa. Nadir diede ordine che venisse giustiziato.

Quando ormai era passato quasi un anno dal ritorno di Nadir, una sera la testa del re dei jinn parlò:

- L’anno volge al termine. Domani io scomparirò e ricostruirò il mio castello, più grande e splendido che mai.

Nadir guardò la testa e le lacrime sgorgarono dai suoi occhi.

- Perché piangi, Nadir?

- Perché non voglio vivere senza di te.

- Non posso rimanere qui. Devi scegliere tra il regno e me.

Nadir sorrise:

- Poco m’importa del regno. Lo lascerò a mio fratello.

- Allora domani sera dirai addio a tuo fratello e salirai sul cavallo con cui tornasti qui.

Il giorno dopo Nadir, davanti a tutti i consiglieri, annunciò che rinunciava al regno a favore del fratello.

La sera prese la testa e la mise in una sacca, poi salì sul cavallo, che scattò e, veloce come il vento, lo portò dove un tempo sorgeva il palazzo del re dei jinn.

Giunto alla landa desolata, Nadir prese la sacca e l’aprì. La testa pronunciò una formula magica e davanti a Nadir apparve il re dei jinn, in tutto il suo splendore. Egli non aveva abiti, né gioielli, ma la bellezza del suo corpo era abbagliante.

Il re abbracciò Nadir, il cui corpo si accese di desiderio, poi si voltò e aprì le braccia.

Dal suolo sorsero le grandi mura che cingevano il palazzo ed esse crebbero fino a formare una cinta possente, dotata di torri. Lungo le mura, dalla parte interna, spuntarono alcuni alberi, che presto divennero altissimi. Il terreno si coprì di aiuole fiorite, tra cui scorrevano ruscelli e canali.

 

 

Poi emersero i muri esterni del palazzo, che divennero sempre più alti, formando torri agli angoli e poi furono coperti da soffitti. All’interno del vasto spazio così delimitato sorsero altri muri, delimitando tante stanze, e Nadir si trovò al centro della grande sala dei banchetti. Poi alle pareti apparvero magnifici arazzi e sul pavimento ricchi tappeti e cuscini, tavoli e casse, sedie e sgabelli, tutti finemente lavorati, arricchirono la sala. Grandi lampadari la illuminarono e le mille pietre preziose incastonate nei muri e nei mobili riflettevano la luce.

Ora il re dei jinn guardava soddisfatto ciò che aveva creato.

Nadir, posto dietro di lui, osservava il corpo possente del re, i fianchi vigorosi. Il desiderio lo prese, violento.

Senza voltarsi, il re dei jinn, disse:

- Puoi farlo, se lo desideri, Nadir.

Nadir si avvicinò e strinse il re dei jinn tra le sue braccia. Lo accarezzò, le sue mani percorsero il corpo. Poi il re dei jinn si voltò, lo baciò sulla bocca e si inginocchiò davanti a lui. La sua bocca avvolse il membro vigoroso di Nadir, che crebbe e si irrigidì. Allora il re dei jinn si stese sui cuscini.

Nadir guardò il corpo possente, che ora si offriva a lui.

Si stese su di lui e lo possedette.

E da allora vissero insieme e forse ancora vivono, perché il re dei jinn sottrasse Nadir al suo destino di uomo mortale.

 

Il re aveva ascoltato turbato la conclusione della storia. Da tempo il suo corpo desiderava che Masoud lo prendesse, ma egli non voleva cedere al suo desiderio, perché lo considerava indegno di un re.

- Masoud, davvero il re dei jinn d’oriente lasciò che un uomo mortale lo possedesse, egli che mai nessuno aveva preso?

- Così racconta la storia.

- Perché lo fece, Masoud?

- Perché amava ed era amato. Nadir era ormai un guerriero valoroso e il suo amore per colui che chiamava Hamza era profondo, come il suo desiderio. Il re dei jinn si diede a lui, perché lo amava e sapeva di essere amato.

Il re fissava Masoud.

- Masoud, tu mi desideri? Tu vorresti che io mi offrissi a te?

- Re, io sono solo un soldato che presto morirà e so di essere indegno. Ma nel mio cuore arde l’amore e nel mio corpo il desiderio.

Il re scattò in piedi. Nei suoi occhi sembrava brillare una fiamma.

- Come uno schiavo dovrei offrirti i miei fianchi, che nessuno ha mai posseduto? Mille morti meriteresti per queste parole sfrontate.

Masoud si inchinò.

- Re, non sono abituato a mentire. Alla tua domanda ho risposto sinceramente. La morte è il mio destino, lo so.

- Domani mattina il boia ti taglierà la testa e il lavatore di cadaveri preparerà il tuo corpo per la sepoltura.

- Tu sei il re e ciò che fai è ben fatto.

Il re guardò Masoud, poi, senza dire nulla, si inginocchiò davanti a lui e le sue labbra avvolsero il membro vigoroso del capo delle guardie. Masoud sussultò, sorpreso, ma non disse nulla.

E quando l’arma poderosa fu pronta, il re si stese sui cuscini. Masoud lo penetrò e il re provò piacere. A lungo Masoud cavalcò e infine entrambi vennero.

In quel momento il gong risuonò. Il re guardò il comandante delle guardie. Non aveva incominciato una nuova storia e il mattino era giunto.

- Non hai incominciato una nuova storia, Masoud.

- Re, in una notte di plenilunio sei stato tradito. La luna si è velata ed è tornata nuovamente a splendere e dopo essere tornata a celarsi, ora sta raggiungendo il suo massimo splendore. Tu sei giusto e saggio, mio re, ma hai desiderato vendetta su tutti gli uomini, che fossero innocenti o colpevoli. Mi sono offerto come vittima a te, perché tu non versassi il sangue di altri che non avevano colpa alcuna. Io ho preso su di me il mio destino. Spero che la mia morte spegnerà la tua rabbia e che non condannerai altri. Ti ringrazio per tutto ciò che mi hai dato.

Il re fu stupito che Masoud non gli chiedesse la grazia della vita e volle metterlo alla prova.

- Va bene, Masoud. Ciò che dici è giusto. Ora andrai incontro al tuo destino e poi cancellerò la legge che ho emanato in un momento di rabbia. Di’ la tua ultima preghiera.

- Grazie, mio re.

Masoud si inginocchiò e pregò, poi si alzò e fece per vestirsi, ma il re lo fermò con un gesto della mano.

- Il boia ti attende qui sotto, è inutile che tu ti vesta: non ci sarà nessun altro. Il lavatore di cadaveri verrà a lavare il tuo corpo qui.

- Come ordini, mio re.

Il re si rivestì e, senza farsi vedere spiava il viso di Masoud, che rimaneva sereno. Il re si disse: - Che uomo è mai questo, che affronta la morte senza battere ciglio? Forse pensa che io lo grazierò all’ultimo minuto?

- Seguimi, Masoud.

Scesero le scale. Al piano di sotto il boia attendeva. Masoud si inginocchiò davanti a lui, dandogli le spalle e tenendo ritto il capo, in modo che l’esecutore potesse tranciare la testa con un colpo ben assestato.

Alle sue spalle il re sussurrò all’orecchio del boia di non colpire Masoud, poi si mise davanti.

- Al mio gesto, gli taglierai la testa.

Masoud era tranquillo. Sembrava quasi sorridere.

Il re alzò la mano. Masoud disse:

- Addio, mio re.

Il re abbassò la mano. L’espressione del viso di Masoud non cambiò. Il boia fece volteggiare la spada, che sfiorò i capelli del comandante, senza tagliarne neppure uno.

Il re annuì.

- Puoi andare, boia.

Masoud guardò il re, senza nascondere il suo stupore.

- Ora rivestiti, Masoud. Ritorna dalle guardie e poi verrai nella sala delle udienze. Questa notte verrai da me, nei miei appartamenti. Perché da oggi in poi sarai sempre al mio fianco. 

 

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