QUARANTADUESIMA
NOTTE Verso
sera il re tornò. Egli guardò Masoud e il desiderio
lo assalì, violento, come un’onda impetuosa che travolge ogni ostacolo. Egli
spogliò il comandante delle guardie e si amarono sul letto. Poi salirono
sulla terrazza e mangiarono. Dormirono sotto la tettoia, mentre la pioggia
scendeva. Il mattino Masoud riprese il suo
racconto. Il sovrano morì pochi mesi
dopo. Sul letto di morte egli designò come erede Nasim,
poi congedò tutti gli altri e rimase solo con il nipote. - Ascoltami, Nasim. Io ho scelto te, perché sei saggio e giusto. Tuo
cugino non accetterà mai di rinunciare al trono. Fa’ attenzione a lui. Nasim sapeva bene che il cugino avrebbe
tramato contro di lui, perciò rispose: - Starò in guardia. - Nasim,
un re saggio prende tutte le misure necessarie per mantenere la pace
all’interno del suo regno, anche quando deve fare ciò che non vorrebbe. - Che intendi dire? - Spesso un sovrano quando
sale al trono provvede a eliminare chi potrebbe un giorno ribellarsi contro
di lui. Un laccio impedirà a Labib di cospirare
contro di te. Nasim sapeva che lo zio aveva ragione, ma
l’idea di uccidere il cugino gli ripugnava. - Mediterò sul tuo
consiglio. Lo zio capì che Nasim non voleva far strangolare Labib.
Disse ancora: - Guardati da lui. Poi morì. Labib, dopo essersi inchinato al cugino e
avergli giurato fedeltà, incominciò subito a pensare come eliminare Nasim e prendere il suo posto. Per non destare sospetti, lasciò
passare alcuni mesi, in cui si mostrò sempre rispettoso e sottomesso. Nasim diffidava del cugino, conoscendolo, ma
non voleva ucciderlo. Si limitò a tenerlo il più possibile lontano da sé,
affidandogli alcuni compiti, che Labib svolgeva con
sollecitudine. Quando doveva
allontanarsi, Labib portava con sé Yasir, perché non voleva rinunciare a godere di lui. Ogni
notte lo chiamava e si faceva prendere da lui. Spesso accoglieva il membro
vigoroso nella sua bocca. Poi lo teneva presso di sé, perché spesso il
mattino si faceva possedere nuovamente da lui. Quando non si serviva di Yasir a letto o non lo faceva combattere, Labib si dimenticava dell’etiope: per lui era solo uno
strumento di piacere, come i suoi cani o i suoi cavalli. Fu così che un pomeriggio
parlò con uno dei suoi uomini, senza badare alla presenza di Yasir. - Agirete questa sera. - Sarai ubbidito. - Nasim
ama prendere il fresco sulla terrazza del giardino di ponente. Al sorgere
della luna lo pugnalerete a morte. Badate a non fallire. - Non temere, sovrano. Labib rise di gioia sentendo il servitore
chiamarlo sovrano: alla morte del cugino lo sarebbe diventato. Yasir aveva ascoltato le parole di Labib e voleva avvertire Nasim.
Il principe però aveva organizzato un torneo di lotta e Yasir
non poté allontanarsi. Dopo aver sconfitto quattro avversari, Yasir andò a lavarsi. Pensò di approfittare di quel
momento per avvertire il sovrano, ma scoprì che Nasim
stava offrendo un banchetto, a cui partecipava lo stesso Labib.
Decise perciò di attendere. Quando vide Labib tornare, si diresse verso il giardino. Una guardia
lo fermò, ma Yasir disse che il principe Labib lo aveva inviato dal cugino. Tutti conoscevano Yasir, per cui la sentinella non si stupì e lo lasciò
passare. Entrando nel giardino, si
accorse che ormai la luna stava sorgendo. Vide il re seduto sulla terrazza e
due ombre che si avvicinavano. Yasir gridò: - Attento, re. Vogliono
ucciderti. Poi si gettò tra i due
sicari e Nasim. Yasir non
aveva pensato di procurarsi un’arma: contava di avvisare il re, non di
doverlo difendere. I sicari lo colpirono, ma egli non cercò di sottrarsi.
Benché ferito, afferrò per i polsi le mani in cui i due assassini tenevano i
loro pugnali, perché il re avesse il tempo di fuggire. Gli uomini di Labib cercarono di liberarsi. Non riuscendovi, passarono
il pugnale da una mano all’altra e colpirono nuovamente Yasir,
più e più volte, finché questi cadde a terra. Il re era ormai scomparso e i
due assassini, furenti, colpirono ancora il lottatore, che giaceva inerme a
terra. In quel momento giunsero
le guardie del principe e li arrestarono. Nasim li seguiva. Si chinò sullo schiavo che lo
aveva salvato. - Ti devo la vita, Yasir. - Tuo cugino, Labib, li ha mandati. Negli occhi di Nasim passò un lampo. Diede ordine di arrestare il
cugino. Poi si rivolse nuovamente allo schiavo. - Yasir,
un medico si prenderà cura di te. - Ormai è tardi, sovrano.
Ma questo era il mio destino. - Che dici, Yasir? Yasir raccontò ciò aveva ascoltato attaccato
all’albero, poi le forze gli mancarono e perse i sensi. Il medico giunse e
cercò di arrestare la perdita di sangue, ma capì subito che nessuna medicina
avrebbe potuto salvare Yasir, per quanto lo schiavo
fosse forte. Altri medici furono
chiamati, ma nessuno di loro era in grado di guarire Yasir.
I loro rimedi riuscivano appena a ritardare la fine che ormai appariva
inevitabile. Nasim era profondamente addolorato, perché Yasir lo aveva salvato. Uno dei consiglieri disse
a Nasim: - Sovrano, esiste un
vecchio che vive sui monti al confine con il regno di Wayiha.
Egli è esperto di medicina, come nessun altro al mondo. Su
queste parole Masoud si interruppe, perché il suono
del gong aveva annunciato l’ora delle udienze. Il re perciò lasciò la stanza
e appose sulla porta il suo sigillo. |
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