TRENTASEIESIMA
NOTTE Verso
sera il re tornò da Masoud e nuovamente si
dedicarono ai giochi dell’amore. Poi, dopo il riposo della notte, il re si
destò e osservò Masoud, che ancora dormiva accanto
a lui. Il re ne guardò il corpo e il desiderio si accese in lui. Egli
accarezzò il petto del guerriero, che si destò e gli sorrise. Poi la mano del
re scese ad afferrare il membro di Masoud, che
presto si riempì di sangue. Il re allora si chinò e, come già una volta aveva
fatto, lo prese in bocca. Masoud si spostò, così da
poter accogliere nella propria bocca la virilità del re. Le loro mani
accarezzavano e le loro labbra avvolgevano, finché entrambi furono vicini al
piacere. Masoud avvisò il re, ma questi non si
ritrasse e bevve il seme di Masoud, come questi
bevve quello del re. Poi
il re si strinse contro Masoud, che lo abbracciò. -
È ormai tardi, Masoud, ma, ti prego, prosegui con
la storia. Masoud
allora riprese a narrare. Il vecchio distese il
corpo senza vita di Shihab su un giaciglio, poi si
voltò verso Kalil e disse: - Ora vai, Kalil, perché nessuno può assistere ai riti con cui gli
ridarò la vita che Yasir gli ha tolto. Se non hai
paura della morte, torna da me tra tre giorni, perché il tuo destino è
intrecciato a quello di quest’uomo e insieme incontrerete colei a cui nessuno
può sfuggire: tu espierai così le tue colpe. Ma se temi la morte, non
ritornare, perché tu non ti ridesterai dal grande sonno. Kalil rimase stupito dalle parole del vecchio,
di cui conosceva la saggezza. Egli prese congedo e meditò a lungo. Pensò che
se il suo destino era intrecciato a quello di Shihab,
era inutile cercare di sfuggirgli. E sapeva di dover espiare le colpe che
aveva commesso. Perciò tre giorni dopo Kalil
ritornò dal vecchio. Shihab era seduto davanti alla capanna. Quando Kalil arrivò, si alzò e lo salutò. - Tu sei Kalil, che mi ha portato qui, salvandomi la vita. - Da quello che mi ha detto
il vecchio, era destino che tu ritornassi tra i vivi. Io sono stato solo lo
strumento di questo destino. Ma dimmi come mai eri stato ferito a morte. Shihab raccontò tutta la sua storia, senza
nascondere nulla: il salvataggio del principe Munthir,
il rapporto, l’imprigionamento, la vita come lottatore e il duello finale con
Yasir. Quando Shihab
terminò di raccontare, Kalil rimase in silenzio,
meravigliato da tutto ciò che aveva udito. - Che cosa pensi di fare, Shihab? - Non lo so, Kalil. Oggi soltanto ho ripreso forze e mi sono alzato
dal giaciglio su cui ho trascorso tre giorni delirando. - Vuoi venire con me, Shihab? Ti ospiterei volentieri nel mio palazzo. - Kalil,
il vecchio mi ha detto che i nostri destini sono legati e che se rimarremo
insieme, troveremo presto la morte. Io non voglio che chi mi ha dato la vita
muoia. - Nessuno sfugge al suo
destino, Shihab, e ciò che mi hai narrato ha acceso
in me un grande affetto per te, che sei valoroso e generoso. Quando sarà
giunta la nostra ora, la nera morte ci ghermirà. Quand’ero giovane, mi
macchiai di colpe che non potrei raccontarti senza vergogna. È giusto che io
le espii. Shihab e Kalil
vivevano nel palazzo di Kalil. I loro giorni
trascorrevano lieti. E per un anno essi vissero così, condividendo ogni
momento della giornata e godendo uno dell’altro ogni notte. Ma il pensiero di
Shihab andava spesso a Yasir,
perché il pugnale non aveva spento il grande amore che egli provava per il
forte etiope, ma di ciò non disse mai nulla a Kalil:
a lui era legato da un profondo affetto. Una sera essi sedevano al
piano alto del palazzo, uno di fianco all’altro, e osservavano il cielo
coperto di nubi nere. Sulla tettoia sopra la porta si era appollaiato un
pavone, che emise il suo grido. Subito dopo un fulmine lacerò l’aria, il
tuono rimbombò e uccelli bianchi si levarono in volo, quasi stessero fuggendo
dalla città che appariva in lontananza. - Notte di tempesta,
questa. - Sì, Kalil.
Il cuore mi dice che la nostra ora si avvicina. - Perché questo presagio
di sventura? - Non lo so. Forse mi
sbaglio, ma sul cuore grava un peso. Kalil, non
avresti dovuto raccogliere il mio corpo. - Shihab,
nessun sfugge al suo destino e insieme a te ho trascorso l’anno più felice
della mia vita. Se il nostro è un destino di morte, ad esso mi rassegno. Il presagio di Shihab trovò conferma il mattino seguente, quando giunse
notizia che Akram, il re di Ghada,
aveva invaso il regno di Afrah, il cui re era Munthir. Il giovane sovrano era stato sconfitto in
battaglia e si era rifugiato tra i monti. Non appena lo seppe, Shihab disse: - Kalil,
Munthir è il mio re, anche se da tempo non vivo più
nel suo regno. L’onore mi richiede di aiutarlo. - Verrò con te, Shihab. - No, Kalil,
separiamoci qui. Non posso sottrarmi a ciò che mi richiede l’onore, ma non
voglio portarti a morte certa. - Shihab,
io accetto il mio destino. La morte mi pesa meno del separarmi da te. Shihab non poté dissuadere Kalil
dal seguirlo. Perciò essi raggiunsero insieme i monti dove aveva trovato
rifugio il giovane re. Era
ormai giunta l’ora di separarsi e il re lasciò la stanza, apponendo sulla
porta il suo sigillo. |
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