QUATTORDICESIMA
NOTTE Quando
infine il sole fu tramontato, il re si avviò per raggiungere Masoud. Sapeva
che la storia di Ismail e dei suoi figli sarebbe giunta presto alla fine e si
chiedeva che cosa avrebbe fatto. Se Masoud non avesse proposto un’altra
storia, lo avrebbe messo a morte? Ogni mattina il boia si presentava puntuale
e ogni volta il re lo rimandava via. Ma
quando il re giunse da Masoud, ogni pensiero di morte svanì e solo il
desiderio lo prese. A lungo si amarono e godettero. Dopo
il riposo notturno, Masoud riprese la sua storia. Quella sera stessa i due
fratelli furono ospiti del re. All’ingresso degli appartamenti reali, essi
furono perquisiti, ma non avevano di certo portato armi. Hisham offrì loro un
lauto banchetto e più volte ringraziò Haarith per aver salvato la vita del figlio.
Taissir avrebbe voluto che Haarith si fermasse, per trascorrere con lui la
notte, ma non sapeva come fare e temeva che il padre non fosse d’accordo. Dopo aver mangiato e
bevuto, salirono su un’alta terrazza e conversarono amabilmente. Taissir disse
a Haarith che voleva fargli un dono e lo invitò a seguirlo. Appena furono
sulle scale, Haarith, fingendo un’ardente passione, lo abbracciò da dietro.
Sentendo contro i fianchi il formidabile sperone di cui aveva provato la
forza, a Taissir parve di non riuscire più a reggersi in piedi. - Haarith, vieni nella mia
stanza e prendimi. - Non possiamo assentarci
a lungo, principe: tuo padre si chiederebbe perché non torniamo. Mentre fingeva di non
voler assecondare il desiderio di Taissir, Haarith lo stuzzicava: la sua mano
si infilò nei pantaloni del giovane e accarezzò il sesso che già si ergeva. Haarith premette il corpo
contro quello del principe, continuando ad accarezzarlo. Taissir chiuse gli
occhi e presto l’onda del desiderio lo travolse. Taissir si pulì con un
fazzoletto, poi baciò appassionatamente Haarith. - Prima di lasciarci
questa sera, mi dirai come posso ritrovarti, Haarith. Haarith sorrise. - Certo, ma ora devi darmi
un dono, altrimenti tuo padre potrebbe sospettare. - Sì. Che cosa posso
offrirti? Ti darò un gioiello. - No, Taissir, per un
guerriero è meglio un pugnale. Taissir, senza sospettare
di nulla, portò Haarith in una stanza dove venivano tenute alcune armi e lo
invitò a scegliere. Haarith prese due pugnali. - Haarith, non sono armi
di valore, quelle. Prendi piuttosto questo, che ha un rubino incastonato nel
manico. - No, Taissir, non voglio
un pugnale da esibire, voglio un’arma. E, se me lo permetti, donerò
quest’altro a mio fratello. - Ma certo. Taissir e Haarith
tornarono sulla terrazza. - Fratello, il principe ci
offre questi pugnali. Rise Zaafir, mentre
prendeva una delle due lame. Ma Hisham disse: - Figlio, che cosa
penseranno di noi questi uomini che ti hanno salvato la vita, vedendo che gli
regali armi di nessun valore? Non hai agito saggiamente. Prima che Taissir potesse
rispondere, Haarith intervenne: - Per un guerriero il
valore di un’arma è la sua capacità di uccidere. E queste sono ottime. Haarit fece un cenno a Zaafir
e si slanciò su Taissir, immergendogli il pugnale nel cuore, poi ne sollevò
il corpo e lo gettò ai piedi della terrazza. Zaafir si mosse insieme al
fratello e uccise l’altro figlio di Hisham. Il re rimase paralizzato
nel vedere in un attimo i figli uccisi e scaraventati nel cortile. - Questa è la vendetta per
nostro padre Ismail e per i nostri fratelli. E con queste parole i due
uomini si lanciarono su Hisham e lo colpirono più volte. Poi Haarith prese
una torcia e diede fuoco ai tendaggi. Zaafir ne prese un’altra e la lanciò
sul tetto di legno di uno degli edifici sottostanti. Intanto alcuni soldati e
servitori si lanciarono per le scale che portavano alla terrazza, ma quando
infine riuscirono a sfondare la porta, che Haarith e Zaafir avevano sbarrato,
trovarono la parte superiore dell’edificio in fiamme. Intanto i due fratelli,
armati di torce, si spostavano per il palazzo, appiccando il fuoco in diversi
punti. Essi erano sicuri di
morire nelle fiamme o di essere uccisi dai soldati, ma nella grande
confusione che si creò a causa del divampare dell’incendio, Haarith e Zaafir
riuscirono a lasciare il palazzo e a fuggire. Quando furono lontano
dalla cittadina, in sella ai loro cavalli, essi decisero di separarsi. - Che farai, Haarith? - Io tornerò sui monti
dove regnava nostro padre e prenderò con me altri uomini forti. Con loro
attaccherò le carovane di passaggio e farò incursioni nei villaggi. - Anch’io diventerò
brigante, ma mi stabilirò a sud. Così i due fratelli si
separarono. Il
re aveva ascoltato con molta attenzione ciò che Masoud aveva narrato. -
Davvero terribile è questa storia, di tradimento e di morte. Ismail ebbe ciò
che meritava, per la sua infamia, e i figli pagarono per lui. Masoud
annuì. -
È così, mio re. Poi
proseguì: -
Poiché non è ancora l’ora delle udienze, mio re, se vorrai ti racconterò la
storia del figlio minore di Ismail, Fuad. È una storia meravigliosa. -
Ben volentieri l’ascolterò. Quando Fuad fu messo in vendita
al mercato degli schiavi di Omayya dai suoi tre fratelli, lo vide Samir, un
vassallo del re dell’isola delle perle. Egli pensò che un giovane così bello
certamente sarebbe stato un magnifico regalo per il suo sovrano e lo
acquistò, pagandolo la cifra richiesta. Il giorno dopo il vassallo si mise in
marcia e dopo una settimana giunse alla ricca città di Adan, che era un
grande porto. Qui Fuad vide per la prima volta il mare. Il giovane contemplò
stupito l’immensa distesa d’acqua, che sembrava non avere mai fine. Si chiese
quale destino lo attendesse oltre il mare. Samir si imbarcò con il
suo seguito e la nave partì. I primi tre giorni di navigazione furono
tranquilli. Il quarto giorno però si alzò un vento impetuoso, che incominciò
ad agitare furiosamente la nave. Le onde erano sempre più alte e spazzavano
il ponte con furia. Equipaggio e passeggeri
erano ormai certi che la loro fine fosse arrivata e infatti un’onda più
violenta rovesciò la nave ed essa affondò, trascinando con sé gli uomini che
vi si trovavano: per tutti venne l’ultimo giorno. Solo Fuad riuscì ad
attaccarsi a una trave che galleggiava e perciò non fu inghiottito dalle
acque. Il
suono del gong annunciò al re che era tempo di lasciare la torre. In cuor suo
il sovrano era lieto di ascoltare questa nuova storia, che rimandava
l’esecuzione del capo delle guardie, perché in cuor suo non voleva ucciderlo.
Ma la norma che egli stesso aveva stabilito l’obbligava a farlo. Il re si
rivestì e uscì, apponendo il suo sigillo sulla porta. Come sempre, congedò il
boia che attendeva ogni mattina nella stanza alla base della torre e
raggiunse la sala delle udienze. |
||||||||||||||||