DICIOTTESIMA
NOTTE Al
re sembrava che la giornata non passasse mai. Più volte si chiese se la
decisione che aveva preso avesse ancora un senso. Giunta
infine la sera, raggiunse la torre e qui trascorse lietamente il tempo con Masoud. Il mattino successivo, il comandante delle
guardie riprese la storia. Quel pomeriggio le guardie
scortarono Fuad e Sahir
fino al luogo dove sarebbero stati giustiziati, sulla montagna dalle Cento
Bocche. Questo vulcano era così chiamato perché in essa si aprivano moltissime
caverne, che scendevano nelle profondità della Terra. Un tempo gli uomini
credevano che vi vivesse un drago, che sputava fuoco e fumo dalle aperture, e
sacrificavano uomini per placare la sua furia. Da molto tempo queste credenze
erano state abbandonate, ma nessuno si avventurava sulla montagna la notte.
Il monte era usato per le esecuzioni capitali di uomini spregevoli, i cui
corpi non ricevevano sepoltura, ma venivano gettati nelle viscere della
Terra. Qui furono condotti Sahir e Fuad, per essere
giustiziati attraverso lapidazione. Sahir disse: - Perché una pena tanto
orrenda per questo giovane, che è accusato soltanto di furto? Se deve morire
per le menzogne di un mercante, dategli una morte più rapida. Ma le guardie non
risposero: non erano stati loro a pronunciare la condanna. Fuad e Sahir furono
legati per i piedi e appesi a testa in giù, a una spanna dal suolo,
all’ingresso di una caverna, e la gente incominciò a raccogliere sassi da
lanciare, in attesa che venisse dato il segnale per la lapidazione. Non appena l’incaricato
alzò il braccio, alcune pietre vennero scagliate con forza contro Sahir. Il guerriero fu ferito, ma
proprio nel momento in cui un po’ di sangue usciva dalle ferite, si alzò un
vento impetuoso, tanto violento da gettare a terra uomini e donne. Dal ventre
della montagna si levò un fumo scuro e denso, che avvolse tutto, e il calore
divenne soffocante. La gente gridò di terrore:
di certo il drago delle leggende si era risvegliato, il vento caldo e
violento era il suo fiato e il fumo nero era emesso dalle sue nari. Molti cercarono di allontanarsi, anche se il vento
impetuoso ostacolava ogni movimento, altri rimasero distesi a terra, in preda
al terrore, sperando che il vento si calmasse. Il tronco che reggeva Sahir e Fuad si spezzò ed essi
caddero al suolo, poi rotolarono all’interno della grotta, spinti dal vento. L’urto
e il fumo li stordirono ed entrambi persero i sensi. Fuad si svegliò sentendo la voce di Sahir. - Fuad,
Fuad, rispondimi. - Sahir! Fuad aprì gli occhi, ma intorno a lui era
tutto buio. Poteva sentire una mano di Sahir sul
suo petto. - Temevo che tu fossi
morto: non mi rispondevi. - Solo ora mi sono
destato, Sahir. Dove siamo? - Non lo so. All’interno
del monte. Sei ferito, Fuad? - No, non mi sembra. Fuad si mise a sedere. Aveva le mani e i
piedi liberi: di certo Sahir aveva sciolto le corde
che lo legavano. - Che cosa è successo, Sahir? - Non lo so. Il vento ha
rotto la trave che ci sosteneva e siamo rotolati all’interno della montagna.
Io mi sono svegliato poco fa. Mi sono liberato dalle corde e poi ti ho
chiamato, ma tu non rispondevi. Ti ho cercato, a tentoni, e infine ti ho
trovato. Temevo che fossi rimasto ucciso nella caduta. Fuad si guardò intorno, ma non riusciva a
vedere nulla: l’oscurità era assoluta. - E ora, Sahir? - Siamo scampati alla
lapidazione, ma non sappiamo che cosa si celi in questa montagna. Dobbiamo
cercare di uscire. Fuad si alzò in piedi. Ora sentiva che
diversi punti del corpo gli facevano male, ma poteva muoversi. - Sahir,
non si vede nulla. Come potremo trovare la via per uscire? - La cercheremo a tentoni,
altra via non esiste. Metti una mano sulla mia spalla e non lasciarmi. Muovendosi con molta
cautela, Fuad e Sahir
cercarono una via per uscire. Si trovavano in uno spazio ristretto, in cui
sembravano aprirsi tre passaggi: due verso l’alto e uno verso il basso. Sahir decise di provare uno dei due passaggi
che portavano in alto. Procedere non era facile, perché non solo non si
vedeva nulla, ma il suolo era pieno di rocce ed essi non avevano calzature. Più volte furono assaliti
dallo sconforto, ma si fecero forza e proseguirono. Dopo una lunga marcia,
parve loro di riuscire a vedere un chiarore: era una delle aperture della
montagna. Proseguirono ancora, finché non ci fu abbastanza luce per vedere
dove mettevano i piedi. A quel punto Sahir parlò: - Fuad,
rimani qui. Io andrò a vedere che cosa c’è all’apertura. Se è quella dove
siamo stati appesi per essere giustiziati, potrebbero esserci le guardie o
altri. In questo caso non sarebbe saggio farsi vedere. - Non è meglio attendere
la notte? - Mi muoverò con molta
prudenza, Fuad. Se non c’è nessuno, per noi è
meglio uscire e allontanarci in fretta, prima che scenda il buio. Fuad avrebbe voluto accompagnare Sahir, ma questi si oppose. Sahir riprese a salire, con molta
circospezione. Man mano che si avvicinava all’uscita, tendeva l’orecchio, per
sentire se c’era qualcuno, ma non giungevano voci umane, solo canto di
uccelli. Quando fu vicino
all’apertura della grotta, poté scorgere alcuni alberi: di certo non era il
luogo dove erano stati portati per essere giustiziati, perché quella parete
della montagna era spoglia. Sahir salì ancora e infine raggiunse
l’apertura. La caverna si apriva su un bosco. Sahir
si sporse e guardò tutt’intorno, ma non c’era nessuno. Contento di ciò che aveva
scoperto, Sahir scese rapidamente fino al luogo
dove aveva lasciato Fuad, ma il giovane non era più
là. Quando
il gong risuonò, il re ebbe un gesto di impazienza. Masoud
era steso di fianco a lui, nudo, e il re ne ammirava il corpo. Come la
mattina precedente, il desiderio lo prese. -
Voltati, Masoud, che voglio possederti. Masoud
obbedì. Il re accarezzò i fianchi del comandante e lasciò che il desiderio lo
guidasse. Poi
si alzò, si lavò, si vestì e uscì, apponendo sulla porta il suo sigillo. |
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