TREDICESIMA
NOTTE Verso
sera il re tornò da Masoud. Lo guardò in silenzio. Dodici notti aveva
trascorso con lui e ogni notte aveva portato nuova legna al fuoco del suo
desiderio. Eppure la legge che egli stesso aveva emanato condannava il
capitano delle guardie a perdere la vita. Masoud non disse niente, perché
aveva capito che il re era turbato. Il
re lo abbracciò, poi lo spogliò e insieme godettero. Il
mattino seguente Masoud riprese la sua storia. Haarith e Zaafir
riuscirono a farsi largo tra la folla, perché erano entrambi forti, e
arrivarono fin dove le guardie del re avevano creato uno sbarramento, per
impedire alla folla di avvicinarsi troppo. Videro il palo e vicino a
esso le teste dei loro fratelli che erano stati uccisi nell’attacco al
castello. Poco dopo giunse il convoglio regale. Da un carro venne fatto
scendere Ismail, nudo, le gambe coperte di sangue, che camminava a fatica.
Venne forzato a stendersi a terra e gli legarono corde alle caviglie per
divaricare le gambe. Il boia aprì l’apertura segreta con il coltello, poi
prese il palo, lo mise in posizione e incominciò a spingerlo nel corpo del
suppliziato, battendo l’altra estremità con il martello. Ismail gridò. Gli
parve di vedere davanti a sé Ahmad, il capitano delle guardie di cui aveva
provocato la morte: le parole di Ahmad si avveravano e ora Ismail pativa lo
stesso orrendo supplizio. Quando il palo fu entrato a fondo nel corpo di
Ismail, i soldati lo sollevarono e lo piantarono nel terreno. Per diverse ore
la folla assisté all’agonia, poi incominciò a disperdersi, ma Haarith e
Zaafir rimasero. Essi sapevano bene che per il loro padre non c’era più
salvezza possibile, ma speravano di poter almeno abbreviare la sua
sofferenza, uccidendolo. Per tutta la notte la sorveglianza non si allentò e
cinquanta soldati rimasero di guardia, controllando coloro che erano rimasti.
Alla luce delle torce essi potevano vedere il corpo palpitante di Ismail. Il mattino seguente la
folla ritornò numerosa. Il boia prese il coltello e privò Ismail della sua
virilità, che fu gettata ai cani. Poi gli arcieri incominciarono a lanciare
frecce e il corpo ebbe gli ultimi sussulti, prima che la vita lo lasciasse. Haarith e Zaafir nascosero
la loro angoscia, mentre la folla intorno a loro esultava. Coloro che erano
venuti ad assistere si allontanarono e anche i due fratelli se ne andarono,
per non destare sospetti, ma più tardi essi tornarono: volevano dare sepoltura
al padre. Il cadavere era però ben sorvegliato ed era impossibile
avvicinarsi. Sette giorni e sette notti
essi dovettero attendere. Il corpo ormai si decomponeva e le quattro
sentinelle rimaste stavano a grande distanza, perché l’odore era
intollerabile. Haarith e Zaafir riuscirono perciò ad avvicinarsi col favore
della notte. Con grande fatica liberarono ciò che rimaneva del corpo dal
palo, lo avvolsero in un telo e lo portarono ai margini di un bosco, dove gli
diedero sepoltura. Da quel giorno vissero solo
per vendicare il padre e i fratelli, ma avvicinarsi al re era impossibile.
Scoprirono però che al termine della stagione delle piogge, il re i suoi
figli si recavano in una cittadina a est della capitale, per dedicarsi alla
caccia. Pensando che forse là avrebbero avuto più possibilità di attuare i
loro propositi, si trasferirono in quella cittadina e vi affittarono una casa
non lontano dal palazzo reale. Studiarono con cura i dintorni, elaborando
diversi piani. Tre mesi dopo giunse
Hisham con i suoi due figli. Anche qui però era impossibile avvicinarsi al
sovrano. Haarith e Zaafir si dedicarono alla caccia, osservando il movimento
del re e dei suoi cacciatori. Un giorno Taissir, il
figlio minore del re, uscì a dorso d’elefante per cacciare i leoni. Taissir
aveva appena diciott’anni, ma era valoroso. Egli uccise due leoni, ma un
terzo si lanciò addosso all’elefante e stava per azzannare il principe. Haarith e Zaafir erano lì
vicino. Haarith scagliò la sua lancia, che trapassò il collo del leone: questi
lasciò la presa e cadde a terra. Zaafir allora gli immerse la lancia nel
cuore. Solo in quel momento gli uomini che accompagnavano il principe
arrivarono. Taissir scese
dall’elefante e ringraziò Haarith, che di certo gli aveva salvato la vita.
Haarith lo invitò nell’accampamento che i suoi uomini avevano montato per la
caccia, dicendo che desiderava fosse suo ospite. Taissir era affascinato da
quest’uomo forte, che aveva ucciso il leone, perciò accettò ben volentieri. Zaafir non sapeva che cosa
il fratello volesse fare, ma lo assecondò. Essi perciò si diressero nella
valle dove i due fratelli avevano piantato le tende. Si sedettero e parlarono
a lungo. Haarith fece segno a Zaafir di andarsene ed egli obbedì. Quando
furono rimasti soli, Haarith disse a Taissir: - Principe, sono ormai le
ore più calde del giorno. Fermati qui nella tenda. Possiamo riposare. Taissir accettò la
proposta. - Volentieri. - Liberati dalle vesti e
stenditi qui. Io mi metterò sull’altro giaciglio. Taissir si spogliò,
tenendo solo i pantaloni. Haarith invece si tolse
tutti gli indumenti. Sentiva su di sé lo sguardo attento di Taissir, di cui
aveva colto il desiderio. Gli sorrise e si stese sul giaciglio. Taissir deglutì. Non
riusciva a distogliere gli occhi dal corpo magnifico del guerriero, steso
nudo accanto a lui. - Principe, perché mi
guardi così? - Non vidi mai un uomo più
forte di te. Haarith rise. - Principe, non vuoi
dividere con me questo giaciglio? Taissir annuì. Si spostò sul
giaciglio di Haarith, che gli tolse i pantaloni e prese ad accarezzarlo. Il
desiderio del giovane si erse impetuoso e anche Haarith si accese, ma quando
il giovane vide la verga possente del guerriero, ebbe paura. - Non temere, Taissir. Haarith baciò e abbracciò
il principe e le sue carezze infiammarono il giovane, che infine senza remore
si abbandonò a lui. Postosi le sue gambe sulle spalle, Haarith infine colse
la verginità dei fianchi del giovane principe, che provò un piacere quale mai
aveva sperimentato nella sua vita. Spossato e dolorante
Taissir si abbandonò tra le braccia di Haarith e così riposarono. Quando infine fu ora di
alzarsi, Taissir non avrebbe voluto separarsi dal suo nuovo amico, perciò,
senza sapere ciò che lo aspettava, invitò Haarith e il fratello a palazzo. Quando Taissir fu risalito
sull’elefante e si fu allontanato con la numerosa scorta, Zaafir gli disse: - Fratello, ho assecondato
i tuoi piani, anche se più volentieri avrei scagliato la mia lancia contro il
principe. Dimmi ora che intendi fare. - Se avessi ucciso il
principe, io e te saremmo ora destinati al palo e il re non avrebbe più nulla
da temere. Salvando il principe e mostrandogli i piaceri del letto, ho aperto
la strada alla nostra vendetta. - Sei stato astuto, fratello.
Il
suono del gong annunciò l’ora della separazione. Il re baciò Masoud, poi se
ne andò, apponendo il suo sigillo. |
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