VENTITREESIMA NOTTE

 

Verso sera il re tornò nella stanza della torre. Masoud si stava ancora lavando e il re si spogliò e si unì a lui. Si lavarono a vicenda e presto il desiderio si accese in entrambi e nell’acqua essi si strinsero. Il re possedette Masoud.

Più tardi, dopo il banchetto serale, si stesero per la notte. Il mattino Masoud riprese il suo racconto:

 

Sahir era determinato a salvare Fuad, per cui disse:

- Principessa, non intendo tirarmi indietro: se riuscirò nell’impresa, sarò felice di aver salvato il giovane, se fallirò incontrerò la morte. Ti ringrazio se mi aiuterai, dicendomi dove posso trovare colui che cerco.

Leila spiegò:

- Il jinn Fadlan abita nelle isole del Vento.

Allora intervenne Miriam:

- Le isole sono molto lontane dalla costa e nessuna nave vi si avvicina, per timore dei venti di tempesta, che spingono i battelli contro gli scogli e li fanno naufragare. Anche se trovassi un capitano disposto a portarti, il viaggio richiederebbe un mese e la nave subirebbe la stessa sorte delle altre: è il jinn a suscitare le tempeste quando vede una nave avvicinarsi. Prendi invece il tappeto volante, esso ti porterà fino alle isole.

- Grazie, principessa.

- Prendi anche il mantello magico: così il jinn non ti vedrà arrivare.

Leila però osservò:

- Il mantello ti permetterà di avvicinarti alle isole senza essere visto, ma quando toccherai terra, il jinn avvertirà la tua presenza anche se lo indossi.

Sahir si inchinò.

- Vi ringrazio per i consigli e per la generosa offerta del tappeto e del mantello. Se riuscirò a salvare Fuad, vi restituirò questi oggetti magici.

- Puoi tenerli, Sahir, poiché sei stato tu a ottenerli sconfiggendo il jinn. Tuo è anche il tesoro, ma è inutile che tu lo porti con te. Noi lo custodiremo e se riuscirai a tornare, te lo daremo.

Sahir salì sul tappeto e partì per salvare il giovane. Quando fu in vista delle isole del Vento, si avvolse nel mantello magico.

Fuad viveva nel palazzo di Fadlan, che si era invaghito di lui, vedendolo così bello. Egli aveva assunto un aspetto umano, per cui appariva come un bellissimo cavaliere, forte e vigoroso. Ogni notte possedeva Fuad e questi amplessi davano molto piacere al giovane, anche se questi desiderava la libertà.

Sahir scese nell’isola e, essendo ormai sera, decise di attendere la notte prima di dirigersi verso la grotta  che costituiva l’ingresso del palazzo di Fadlan. Si tolse il mantello e lo nascose tra le rocce.

Sahir si mosse guardingo sull’isola e vide molte creature mostruose, diverse da tutte quelle che popolano le terre conosciute.

 

 

Egli non si fece vedere. Giunta infine la sera, cercò un posto dove riposarsi in attesa di attaccare il jinn.

Mentre camminava, vide un uomo che dormiva in un prato. Si chiese se fosse davvero un essere umano e non invece qualche jinn: l’aspetto era quello di un maschio vigoroso, di grande bellezza.

 

Immagine 10

 

Sahir non sapeva se avvicinarsi allo sconosciuto, quando questi aprì gli occhi e lo vide. Si mise a sedere di scatto e chiese:

- Chi sei tu? Sei un uomo o un jinn?

- Io sono un uomo. Lo sei anche tu?

Lo sconosciuto sorrise e disse:

- Il mio nome è Dahih ibn Falud e da tre giorni mi trovo in questa terra, popolata di jinn e demoni.

- Come mai sei qui, Dahih?

Dahih sembrava esitare e Sahir rispose alla domanda che l’uomo non aveva espresso:

- Il mio nome è Sahir ibn Mafduz. Sono giunto qui per liberare un giovane che è stato rapito dal jinn Fadlan: so che egli abita su quest’isola.

- Come sei riuscito ad arrivare fin qui?

- Su un tappeto volante, che apparteneva a un jinn e che mi è stato donato da una principessa, dopo che l’ho liberata.

Dahih era stupito e disse:

- Davvero stupefacente è quanto mi racconti, Sahir, ma io ti credo.

- Ti ringrazio di questo, Dahih. Se vuoi ti narrerò le mie vicende.

- Le ascolterò volentieri.

Sahir allora raccontò tutta la sua storia; solo alle notti ardenti che trascorreva con il fratello non fece cenno.

Quando Sahir ebbe finito di narrare, Dahid disse:

- Davvero incredibile è la tua storia, ma sono certo che non menti, perché sei un animo nobile. E la mia storia non è meno strana della tua. Se vuoi te la racconterò.

- Mi farebbe molto piacere conoscerla.

 

Storia di Dahih

 

Dopo aver sospirato, Dahih incominciò a narrare:

- Io sono figlio di un sovrano: mio padre Falud regnava su una vasta regione, ricca di fertili pianure e di fiumi. Io avevo un fratello, nato da un’altra madre, che aveva diversi anni meno di me. Egli si chiama Kalil. Io gli volevo bene e mi prendevo cura di lui, poiché nostro padre ormai declinava. Gli insegnai l’arte di cavalcare, finché divenne tanto abile che attaccava e volteggiava nei tornei, superando tutti gli altri. Lo portai con me a cacciare ed egli imparò tutti i segreti dell’arte venatoria. Io gli rimanevo sempre accanto, perché a volte succedeva che si lasciasse trascinare dal suo ardore giovanile e corresse dei pericoli. Ma io vegliavo su di lui e più di una volta uccisi un leone o un orso che minacciava la sua vita. Anche in battaglia non lo perdevo mai di vista e combattevo di fianco a lui, per poterlo proteggere. Due volte un avversario cercò di colpirlo a tradimento, ma io mi frapposi: entrambe le volte fui ferito, ma egli non venne mai colpito.

- Davvero fosti per lui come un padre.

- Lo amavo come si ama un figlio e io credevo che egli mi amasse come si ama un padre o un fratello maggiore. Come fui ingenuo!

E dopo aver detto queste parole Dahih tacque e sul suo viso era visibile una grande sofferenza.

 

Il re avrebbe voluto ascoltare ancora la storia, ma il gong gli ricordò che era ora di lasciare la torre. Perciò il sovrano se ne andò, apponendo il sigillo. Quel giorno stesso venne eseguita una condanna a morte pronunciata dal re nei confronti di un guerriero che aveva ucciso il fratello per ereditare. Mentre assisteva all’esecuzione, il pensiero del re andò a Masoud. Immaginò che fosse lui a inginocchiarsi davanti al boia e quando la spada calò, tranciando la testa del condannato, ebbe un brivido.

 

 

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