DICIASETTESIMA
NOTTE Verso
sera il re tornò nella torre e nuovamente prese Masoud.
Poi proseguirono a lungo i loro giochi, prima di mangiare e stendersi per la
notte. Il re abbracciò stretto Masoud e si
addormentarono così. Il mattino Masoud proseguì la
sua storia. - Quella notte un uomo si introdusse
nella camera dove mio fratello giaceva con sua moglie e li uccise entrambi.
Qualcuno lo vide fuggire e testimoniò che indossava un abito che io avevo
spesso messo. L’assassino si servì della mia spada, che lasciò nella camera.
Tutti perciò pensarono che fossi stato io. Tra i miei abiti fu ritrovato
quello indossato dall’assassino, ancora macchiato di sangue. Invano cercai di
discolparmi: io lo amavo e mai avrei alzato la mano su di lui e sulla donna
che aveva scelto. Ma la mia spada li aveva uccisi e l’abito insanguinato era
tra le mie vesti. Mio padre morì per il dolore, io fui condannato a morte e ora
mi aspetta il disonore di una pubblica esecuzione. Fuad fu molto turbato dal racconto di Sahir. Questi se ne rese conto e disse: - Fuad, ciò che
ti ho raccontato è la verità, anche se nessuno vi crede. Fuad rispose: - Sahir, io
credo nella tua innocenza. - Ti ringrazio, Fuad.
Ciò non cambia il mio destino, ma la tua fiducia mi rasserena. Dimmi ora di
te. Fuad raccontò la sua storia, senza nascondere
nulla: aveva piena fiducia in Sahir. Questi lo
ascoltò con attenzione e disse: - Senza nessuna colpa, hai molto sofferto.
Spero che tu non venga condannato. Quel mercante è un infame. Poi Sahir e Fuad si stesero a dormire uno accanto all’altro,
castamente. Il mattino seguente i tre briganti furono
chiamati, per essere portati sul luogo dell’esecuzione. Mentre le loro mani
venivano legate dietro la schiena, uno di loro disse: - Sahir, il
nostro ultimo giorno è giunto. Avremmo potuto godere ancora una volta, ma ce
lo hai impedito. - Anch’io morirò presto. Vi ho impedito
di fare del male a chi non aveva fatto nulla per meritarlo. Ma un altro dei banditi replicò: - Se è qui, di certo non è innocente.
Addio Sahir. Poco dopo Fuad
fu portato nuovamente dal giudice. Vi erano tre testimoni. A loro il giudice
chiese: - Riconoscete quest’uomo? Uno dei tre rispose: - Sì, egli è uno schiavo che giunse qui
forse dieci giorni fa e si imbarcò su una nave con il suo padrone. Gli altri due confermarono la
testimonianza del primo. Il giudice guardò Fuad
con ferocia e disse: - Infame mentitore: sei stato venduto
come schiavo, non sei un uomo libero. Sei stato visto e riconosciuto. E se
davvero sei il figlio di Ismail, sei il figlio di un brigante, che il re di Mahiya ha fatto arrestare, dopo aver distrutto il suo
castello. Fuad non disse nulla: non poteva negare di
essere stato venduto come schiavo e la notizia dell’arreso di suo padre e
della distruzione del castello lo gettò in una condizione di profonda
tristezza: per quanto suo padre fosse stato feroce nei suoi confronti, Fuad non poteva certo odiarlo. E se il castello era stato
distrutto, erano morti probabilmente anche i suoi fratelli. E che ne era
delle sue sorelle? Probabilmente erano schiave, se non erano morte
nell’attacco. Il giudice condannò a morte Fuad: la sentenza sarebbe stata eseguita per lapidazione il
giorno stesso, sulla montagna che sovrastava la città. Fuad fu ricondotto in cella, dove si
abbandonò al pianto. Sahir cercò di consolarlo. Ormai erano soli nella cella. Sahir abbracciò Fuad e gli
disse: - Tu muori innocente, come morirò io.
Rassegnati, Fuad. Il destino ci è stato avverso. Se
potessi salvare la tua vita, a costo della mia, lo farei, ma non posso fare
nulla. Poco dopo un carceriere disse loro che
non avrebbero avuto da mangiare, perché nel pomeriggio sarebbero stati
condotti al luogo dell’esecuzione. Fuad pianse nuovamente, ma Sahir lo calmò, accarezzandolo. L’abbraccio di Sahir
destò in Fuad un violento desiderio: egli sapeva
che presto sarebbe morto, che non avrebbe mai più goduto. E si rendeva conto
che desiderava il forte guerriero che lo teneva tra le braccia. - Sahir, la
morte ci attende. Prima di morire io vorrei… Fuad si fermò, vergognandosi di quanto voleva
dire. - Dimmi, Fuad.
Qualunque cosa io possa fare, se non è contraria alla giustizia, la farò. Fuad sorrise, ancora incerto. Poi disse: - Sahir, mio
padre e i miei fratelli mi presero a forza. Mai mi sono dato liberamente. Ma
ora vorrei darmi a te. Sahir gioì nel suo cuore, perché la bellezza
di Fuad lo aveva colpito. - Ti ringrazio, Fuad,
per questo dono che mi fai. Sahir spogliò Fuad,
con grande delicatezza, e lo accarezzò. Poi si tolse gli abiti. Fuad guardò sgomento il membro vigoroso che si drizzava
contro il ventre del guerriero: Sahir era un
maschio forte e la sua virilità non temeva il confronto con quella del padre
e dei fratelli di Fuad. Sahir
lesse sul viso del giovane la paura e disse: - Vuoi che mi rivesta, Fuad? Fuad scosse la testa. - Non aver paura, Fuad.
Non ti farò male. A lungo Sahir
accarezzò Fuad e coprì il suo corpo di baci, Il
desiderio ardeva ormai incontenibile. Sahir accolse
nella bocca il membro del giovane e lo portò al piacere. Poi lo tenne tra le
braccia. Solo più tardi riprese a baciarlo e abbracciarlo, poi lo voltò e
bagnò l’apertura segreta. Le due dita si muovevano delicatamente e quando la
poderosa mazza si fece avanti, Fuad provò più
piacere che dolore. Sahir lo prese e dopo una lunga cavalcata,
vennero insieme. Il
re avrebbe voluto rimanere accanto a Masoud e
ascoltare la sua storia, ma il gong aveva dato il segnale delle udienze. Il
racconto di Masoud aveva però destato il desiderio
del re, che strinse il corpo amato e lo penetrò con foga. Cavalcò
impetuosamente e quando sparse il suo seme, si staccò, perché doveva lasciare
la stanza. Dopo aver ancora baciato e abbracciato il comandante delle guardie,
se ne andò, apponendo il suo sigillo. |
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