TRENTOTTESIMA
NOTTE Quel
giorno venne scoperto il tradimento di un nobile e il re fu molto occupato.
Solo a notte fonda poté raggiungere la torre. Masoud
dormiva sul letto e il re lo contemplò, poi si stese accanto a lui, senza
svegliarlo. Ma Masoud si accorse che il re era
giunto e lo abbracciò. Dormirono avvinghiati e per la prima volta non
godettero insieme. Ma
quando giunse il mattino e il re si destò tra le braccia di Masoud, il desiderio si accese in lui, impetuoso, ed essi
si amarono. Poi il re disse: -
Raccontami che cosa successe poi, Masoud. E
Masoud narrò. Il giorno dopo Shihab, Kalil e Munthir erano già lontani quando furono avvistati da una
cinquantina di uomini. Sapendo che sarebbero stati raggiunti, Shihab disse a Munthir di
allontanarsi per un sentiero che si biforcava, mentre lui e Kalil continuarono a cavalcare lungo la strada. Gli
inseguitori li raggiunsero solo dopo alcune ore e scoprirono che Munthir non era con loro. Akram aveva dato ordine di catturare i due
uomini vivi, perciò, benché Shihab e Kalil si difendessero e uccidessero alcuni soldati, essi
non vennero uccisi, ma presi prigionieri. I soldati li ricondussero
davanti ad Akram. - Shihab,
ti sei macchiato della più grave delle colpe, ingannando e tradendo il tuo re. - Ti ho ingannato,
sovrano, è vero, ma non ho ingannato e tradito il mio re. Io devo fedeltà a Munthir, che è il re di Afrah.
Se ti avessi obbedito sarei venuto meno al mio dovere. - Il re ora sono io e tu
pagherai con la vita. - Lo so, sovrano. Shihab non mostrava paura e la rabbia cresceva
nel cuore di Akram. Egli perciò diede ordine di
spogliare Shihab e ne donò gli abiti a uno dei suoi
guerrieri. Poi gli fece radere i capelli, come se fosse stato uno schiavo. Shihab non cercò di difendersi. La serenità con cui Shihab accettava la sua sorte fece ancora crescere la
furia del re. Egli chiamò dieci schiavi e ordinò loro di fustigare il
guerriero, fino a che questi perse i sensi. Allora gli uomini
sputarono sul suo viso e fecero acqua sul suo corpo, ridestandolo. Poi dieci
schiavi lo violarono, possedendolo. Infine due soldati lo trascinarono, ormai
privo di sensi, in una tenda, dove era stato rinchiuso Kalil. Quando rinvenne e vide
l’amico accanto a sé, Shihab disse: - Mi spiace, Kalil, di averti condotto a morte. - Morire con te non mi
pesa, Shihab. È una bella morte, quella che ci
unisce. Il giorno dopo, Shihab e Kalil vennero avviati
nudi al luogo dell’esecuzione, dove si era radunata una folla immensa. Quando
furono di fronte al patibolo, Shihab subì ancora
violenza, davanti ai soldati, perché il re voleva che tutti vedessero la
sorte di chi osava tradire. Poi le guardie avvolsero
le loro teste in un drappo e li appesero, Kalil per
la testa, Shihab per i piedi. Gli arcieri prepararono i
loro archi e le lunghe frecce per il supplizio. A un segnale del comandante,
gli arcieri tesero gli archi e le prime frecce trafissero i corpi dei
condannati. Breve fu l’agonia di Kalil, perché la
corda che stringeva il collo spense la sua vita rapidamente, quando appena le
prime frecce penetravano nella sua carne. Ma il corpo di Shihab
a lungo guizzò a ogni colpo. Più e più volte i dardi appuntiti affondarono nel
suo petto, nel ventre, nei genitali, nelle braccia e nelle gambe, lacerando la
carne e accrescendo la sua sofferenza. Infine, quando i corpi dei
due suppliziati erano irti di frecce, il comandante con un gesto fermò gli
arcieri. Per tre giorni le guardie
vegliarono i cadaveri, lasciando che gli uccelli si cibassero della loro
carne e gli insetti si posassero su di loro. Poi i soldati se ne andarono,
abbandonando i corpi che si decomponevano al sole. Giunse allora il vecchio della
Montagna dalle Sette Cime, che per due volte aveva tratto Shihab
dal gorgo della morte. Il vecchio tagliò le corde
che sostenevano i corpi, facendoli cadere a terra. Poi tolse le frecce che li
avevano trafitti, in modo da poterli caricare su un cavallo. Tenendo la
briglia raggiunse la sua abitazione, dove stese i due cadaveri sulle stuoie.
Lavò con cura quello di Kalil e gli diede onorevole
sepoltura. Poi lavò anche il corpo di
Shihab, versò sulle ferite una pozione che aveva
preparato e la spalmò con cura. Le ferite si chiusero e infine anche la pelle
tornò intatta. Allora il vecchio avvicinò
alle labbra di Shihab una pozione e gliela versò in
gola. Allora Shihab
si ridestò e si guardò intorno. - Mi hai nuovamente
richiamato dalla morte. - Questo era il tuo
destino. - Che ne è di Kalil? - Egli è sepolto qui
vicino. - Ho provocato la sua
morte e io sono vivo. - Ha espiato le sue colpe,
Shihab, morendo con onore. E tu non hai scelto il
tuo destino, Shihab. - Perché mi hai salvato? Avrei
preferito rimanere tra i morti. Non mi avessi riportato in vita la prima
volta, sarebbe stato molto meglio per me. - Non era scritto così, Shihab. Non sai che cosa ti attende. Shihab chinò il capo. Dopo un momento di
silenzio, disse: - Perdona le mie parole.
La sofferenza me le ha dettate. Tre volte ho conosciuto l’agonia e la morte e
ho subito ogni oltraggio. Eppure sono sempre stato un suddito leale. - È vero, Shihab, hai dovuto affrontare molte prove, ma non sei mai
venuto meno alla tua lealtà. Abbi fede nell’Onnipotente. Il
mattino separò il re da Masoud. Il sovrano lasciò
la stanza nella torre, apponendo sulla porta il suo sigillo. |
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