Cinquanta e una notte

 

In India regnava un re giusto e saggio. Un giorno egli si ammalò. Sentendo che la sua fine era ormai vicina, chiamò a sé il figlio maggiore, che aveva venticinque anni ed era forte e coraggioso, generoso e leale.

- Figlio mio, i miei giorni sono contati.

- Padre mio, perché parli di morte? Io spero che tu possa guarire e vivere ancora a lungo.

- No, figlio mio. È giunta la mia ora. Tu sei il mio erede. Ti chiedo di proteggere tuo fratello e le tue sorelle.

Il re infatti aveva un altro figlio e tre figlie, nati da altre madri. Essi erano ancora nell’infanzia e il re era affezionato a loro.

- Padre mio, veglierò su di loro e non farò mancare loro nulla.

- Grazie, figlio.

Quella sera stessa le condizioni del re peggiorarono e tre giorni dopo egli morì.

 

Il giovane salì al trono e governò con giustizia. I sudditi amavano il loro re e il regno prosperava. Il re badava che al fratello e alle sorelle non mancasse mai niente ed essi vivevano nella concordia.

Il re non cercava le donne e il suo corpo si accendeva di desiderio per gli uomini.

Un giorno vide una delle guardie che si lavava al pozzo del cortile: era un uomo bello d’aspetto, con la barba e lunghi capelli neri, pelle color del miele e corpo snello. Il re osservò i suoi fianchi vigorosi e il desiderio lo prese, perciò lo fece chiamare e gli parlò. L’uomo, che si chiamava Rabah, fu felice di essere scelto dal re. Essi passarono nell’appartamento reale e il re disse al soldato di spogliarsi. Rabah ubbidì e quando egli si fu liberato di tutti gli abiti, il re poté ammirare la perfezione del suo corpo.

- Spogliami, Rabah.

Il giovane obbedì, poi si inginocchiò davanti al re e ne prese in bocca il membro. Il soldato era esperto nei giochi dell’amore e il re provò molto piacere.

- Ora stenditi sui cuscini, Rabah, perché voglio prenderti.

Il soldato obbedì. Il re ammirò i fianchi del giovane e la sua mano accarezzò il corpo, prima che la sua verga penetrasse Rabah. Il giovane non era certo vergine, ma questo al re non importava. A lungo il re godé di Rabah, poi si stesero uno accanto all’altro a dormire.

 

Il re tenne Rabah presso di sé e ogni notte giaceva con lui. Qualunque desiderio egli esprimesse, veniva subito soddisfatto e il giovane, che era avido, spesso chiedeva gioielli e altri doni. Egli portava collane di perle, zaffiri e rubini, lunghi orecchini di diamanti e bracciali di smeraldi. Tra i suoi capelli brillavano pietre preziose. I suoi abiti erano delle sete più raffinate. Al re piaceva vederlo così adornato, perché gli sembrava che i gioielli e i tessuti preziosi fossero il degno ornamento di quel corpo splendido.

I giorni passavano lietamente e ogni notte il re stringeva il corpo che desiderava.

 

 

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Il padre del re aveva due visir, che il nuovo sovrano tenne accanto a sé, in onore del genitore. I visir erano ambiziosi ed essi desideravano sposare due sorelle del re, contando di ottenere così più ricchezza e onori. Perciò un giorno essi si presentarono al cospetto del sovrano e gli chiesero di concedere loro due delle sue sorelle.

Il re si sdegnò della richiesta: tutte e tre le giovani erano belle come la luna piena e nessuna di loro aveva ancora compiuto dodici anni, mentre i visir erano anziani. Ma, non volendo offendere quelli che erano stati i consiglieri di suo padre, il re si limitò a dire:

- È troppo presto per parlare di matrimonio. Deciderò a chi dare le mie sorelle quando esse non saranno più bambine.

I visir però capirono che il re non era lieto della richiesta e si consultarono tra di loro.

- Egli non ci darà mai le giovani in sposa.

- No, non potremo certo ottenerle noi.

- Se a regnare fosse il fratello più giovane, che ha solo dieci anni, per noi sarebbe facile guidarlo e ottenere da lui la mano delle due principesse.

- Sì, è così.

Essi perciò si parlarono in gran segreto e decisero di far uccidere il re da Rabah, con cui egli condivideva il letto ogni notte.

- Ascolta Rabah, oggi tu godi il favore del re, ma prima o poi egli si stancherà di te e tornerai a essere un soldato tra i tanti. I re sono abituati ad avere tutto ciò che bramano e i loro desideri mutano spesso.

Rabah rimase turbato da queste parole. Sapeva che il re avrebbe potuto trovare altri giovani di cui godere.

Il visir, leggendo sul viso del giovane il suo turbamento, gli disse:

- Se tu sposassi una delle sorelle del re, la tua posizione a corte sarebbe sicura.

L’idea piacque a Rabah, che pensò di chiedere una delle fanciulle in sposa.

- Questo che voi suggerite mi sembra saggio.

I visir sorrisero e uno di loro proseguì:

- Il re non ti darà mai una sorella come moglie. Tu sei il suo amante, ma rimani solo una delle guardie.

Rabah ebbe uno scatto d’ira. Sapeva che ciò che i visir dicevano era vero.

- E allora, perché mi parlate di un matrimonio impossibile?

Nuovamente i visi dei visir si aprirono in un sorriso.

- Perché noi sappiamo come farlo diventare possibile.

- E come?

- Se il re morisse, il suo giovane fratello di certo si farebbe guidare completamente da noi e sarebbe ben felice di darci le sue tre sorelle. Allora la nostra posizione sarebbe sicura e tu avresti più oro e onori di quanti tu possa sognare.

La proposta tentò Rabah, che rifletté un buon momento, poi disse:

- Il re però vive.

I visir annuirono e uno di loro disse:

- Ci sono veleni che non lasciano tracce.

Così Rabah accettò di versare un veleno nella coppa del sovrano.

 

La notte seguente Rabah e il sovrano erano su una terrazza del palazzo reale. La sera portava un po’ di frescura, dopo il calore opprimente del giorno: la stagione dei monsoni non era lontana, ma le piogge non erano ancora arrivate.

Il re godette del corpo di Rabah. Poi il soldato versò il vino in due coppe e, senza che il re se ne accorgesse, mise in una un potente veleno. La porse quindi al re e fece per portare l’altra alle labbra, ma il re gli disse:

- Rabah, tu che sei bello come il sole, scambia con me la coppa in segno d’amore.

Rabah non si aspettava la richiesta. Avrebbe voluto rifiutare, ma non poteva. Prese quindi la coppa che il re gli porgeva, ma le sue mani tremavano.

- Che ti succede, Rabah?

- Nulla, mio signore.

Il re bevve un sorso e chiese, stupito dal tremore del giovane amato:

- E tu, perché non bevi?

- Ora, mio signore.

Fingendo di incespicare, Rabah fece cadere la coppa e il vino si sparse.

- Perché hai versato il vino?

Il tono era duro: ormai il re sospettava un inganno.

- Mi è sfuggita di mano la coppa, mio signore.

In quel momento un gatto si avvicinò e leccò un po’ del vino versato. Barcollò e stramazzò al suolo, morto.

Il re prese la spada:

- Infame!

Rabah si gettò ai suoi piedi.

- Perdono, mio signore. Sono stati i visir a indurmi a questo gesto.

- Non c’è perdono per una colpa così nefanda. Faresti bene a bere da terra quel vino. La tua morte sarebbe più rapida.

Ma Rabah era un vile e non bevve.

 

Il re si rivestì e uscì. Diede ordine di arrestare i due visir e Rabah.

Messi sotto tortura, i visir confessarono.

Il re diede ordine che essi fossero crocifissi nel cortile del palazzo. Furono quindi spogliati delle loro vesti e appesi a due croci, dove agonizzarono per un intero giorno. A sera il re diede ordine di spezzare loro le gambe ed essi morirono.

Il giorno dopo il re fece impalare Rabah. Il giovane chiese pietà, ma il cuore del re si era chiuso per lui. Il palo penetrò nel suo corpo e poi fu eretto. Per tre giorni Rabah soffrì, finché la morte lo ghermì.

 

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Il re guardò il corpo dell’uomo impalato nel cortile. Egli l’aveva elevato a sé, lo aveva riempito di doni, ogni desiderio da lui espresso veniva subito soddisfatto ed egli voleva ucciderlo.

Furibondo, il re stabilì che non avrebbe mai più innalzato a sé un uomo.

Perciò annunciò:

- Ogni notte sceglierò un uomo diverso e il mattino gli darò la morte.

Poi si rivolse al capo delle guardie, Masoud ibn Baahir, che aveva la sua stessa età e si era distinto più volte in battaglia:

- Scegli uno degli uomini del corpo di guardia, bello di corpo e forte nell’animo. Egli trascorrerà la notte con me e domani mattina sarà decapitato.

Quando sentì l’ordine del re, Masoud chinò il capo.

- Ciò che comandi sarà eseguito.

Affranto, pensò: “Non posso certo mandare al re uno dei miei uomini, che non meritano la morte. Mi offrirò io stesso, affinché la collera regale ricada su di me.”

Quando venne l’ora in cui l’uomo designato si sarebbe dovuto presentare nella sala delle udienze, Masoud si fece avanti e si inchinò davanti al sovrano. Questi gli chiese:

- Dov’è la guardia che dovevi scegliere?

Masoud rispose:

- Poiché hai deciso che una delle tue guardie deve morire, tocca a me che sono il comandante farmi avanti per primo.

Il re fu stupito, ma non disse nulla.

Diede ordine che Masoud venisse chiuso al primo piano di una torre, in una stanza che era stata la prigione di un principe. Essa non aveva finestre, ma solo piccole aperture poste in alto, e aveva di fianco una stanza da bagno con una vasca che poteva essere riempita dall’esterno. 

Il re ordinò al boia di trovarsi al piano terreno della torre l’indomani mattina, per decapitare Masoud.

 

PRIMA NOTTE

 

Giunta la sera, il re entrò nella torre e salì al primo piano.

Masoud lo attendeva, steso sul letto. Quando lo vide entrare, si alzò e si inchinò. Il re sorrise e disse:

- Saliamo in cima alla torre.

Il re aprì la porta che portava alla scala e insieme salirono fino alla terrazza della torre. Il re fece portare cibi raffinati e bevande, poi congedò i servitori e disse:

- Spogliati, Masoud, perché voglio godere del tuo corpo.

Masoud si inchinò e si tolse gli abiti che indossava. Il re ammirò la bellezza del comandante, il suo corpo forte e virile, le proporzioni perfette.

- Stenditi sui cuscini, Masoud.

Il comandante ubbidì e si stese, offrendo al re i fianchi.

Il re accarezzò il corpo che gli si offriva e lo trovò bello. Spinse la sua verga nel corpo del comandante, fino in fondo, prendendone possesso, e Masoud trasalì, perché il suo corpo non era mai stato penetrato. Il re sentì che la carne cedeva a fatica e fu contento di essere il primo a possedere questo maschio vigoroso.

Molto godette il re quella sera. Infine, vinto dalla stanchezza, si addormentò a fianco di Masoud.

Quando si risvegliò, le prime luci dell’alba apparivano a Oriente. Masoud disse:

- Re, la notte e la mia vita giungono alla fine. Lascia che io ti racconti una storia, per trascorrere in letizia quanto manca alla luce del giorno.

Al re piacque questa proposta, perché gli pesava mettere a morte quest’uomo, che aveva sempre mostrato coraggio e lealtà e con cui aveva goduto. Pensò che una storia lo avrebbe distratto dal pensare all’esecuzione imminente.

- Volentieri l’ascolterò.

Masoud incominciò a narrare.

 

Abaan e Kamal3

 

In Persia viveva un mercante, che aveva un piccolo negozio di tessuti, al piano inferiore di una casa. L’uomo era ormai anziano e aveva un figlio, che era la pupilla dei suoi occhi. Il giovane, che si chiamava Abaan, lo aiutava nel lavoro ed era sempre premuroso nei confronti del padre: cercava di alleviare la sua fatica e se al termine di una giornata di lavoro non avevano abbastanza per sfamarsi in due, egli dava al vecchio il poco che c’era, dicendo che aveva già mangiato, perché qualcuno gli aveva offerto del cibo mentre era fuori casa. Vivevano entrambi in povertà, ma nessuno dei due si lamentava e i loro giorni trascorrevano sereni. Una notte però, dopo diversi giorni di pioggia intensa, il grande fiume che attraversava la città straripò e inondò il quartiere dei mercanti. La piccola bottega, che era al di sotto del livello della strada, fu allagata e padre e figlio, che vi dormivano, si destarono mentre l’acqua scendeva impetuosa dopo aver sfondato la porta. Il giovane cercò di salvare il padre: riuscì a portarlo fuori prima che la stanza fosse completamente allagata, ma quando furono fuori, l’acqua li travolse e li trascinò fino al fiume. Il giovane non si scoraggiò: portò a nuoto il padre, combattendo contro la corrente impetuosa, fino a che raggiunse un ponte. Qui aiutò il padre a issarsi, ma prima che riuscisse a mettersi anche lui in salvo, la piena lo travolse e lo trascinò via. Vedendolo scomparire tra i flutti, al padre si spezzò il cuore per il dolore ed egli cadde morto sul ponte.

Il figlio però non morì. Le onde lo portarono vicino alla riva, dove egli riuscì ad aggrapparsi a un albero e a mettersi in salvo. Il mattino seguente, quando l’acqua incominciò a defluire, Abaan scese e andò in cerca del padre, ma scoprì che era morto. Gli diede sepoltura e poi tornò al negozio. Tutta la merce era stata spazzata via. Era rimasto solo un telo nero, con cui il giovane si preparò un abito e un turbante, poiché come unico abito gli erano rimasti i calzoni che indossava, lacerati in più punti. Non possedeva più nulla.

Il giovane cercò allora un lavoro. Per qualche tempo non gli fu difficile trovare qualcuno che gli affidasse qualche compito da svolgere: la piena aveva provocato grandi danni e c’era bisogno di uomini che spalassero, pulissero e ricostruissero. Tutti conoscevano il giovane e sapevano che era serio e volenteroso, per cui lo aiutavano volentieri, ma non potevano dargli molto. Abaan viveva in grande povertà e la notte dormiva per strada, ma non si lamentava. Spesso si recava alla tomba del padre e si raccoglieva in preghiera.

Un giorno, mentre tornava dal cimitero, lo vide una jinnyya. Ella s’invaghì di lui e gli apparve sotto la forma di una donna seducente.

- Qual è il tuo nome, giovane?

- Il mio nome è Abaan ibn Abdul-Kareem.

Ella sorrise, mentre il vento scompigliava i suoi lunghi capelli neri e muoveva il velo che le avvolgeva il volto.

- Vieni nel mio palazzo e giaci con me, Abaan. Non ti mancherà nulla e vivrai come un principe, anziché faticare tutto il giorno senza neppure riuscire a saziarti.

Ma il giovane, che non era attratto dalle femmine, giudicò la proposta indecente. Egli non voleva giacere con uno spirito. Perciò abbassò il capo e disse:

- Tu mi onori, ma io non sono degno del tuo favore.

La jinnyya rise.

- Ti ho scelto e questo solo ti rende degno. 

Il giovane scosse il capo.

- Ti ringrazio, ma ciò che tu mi chiedi non è cosa buona.

La jinnyya si adirò:

- Osi rifiutare? Pagherai la tua impudenza!

Ella si levò in volo e con un gesto chiamò mille jinn, che assunsero la forma di piccoli uccelli e afferrarono lembi del mantello di Abaan, lacerandolo. La jinnyya sparse nell’aria petali rossi, che caddero su di lui come una fitta pioggia. Quando uno di essi toccava la sua pelle, bruciava come fiamma. Invano egli cercò di fuggire. Gli spiriti gli volteggiavano intorno, lacerando il suo abito ed egli si trovò ben presto nudo ed esposto ai petali di fuoco. Fece pochi passi, ma cadde al suolo esausto e perse i sensi, mentre la jinnyya volava via.

 

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Il cielo si era ormai schiarito e il gong che annunciava l’ora delle udienze risuonò lontano. Masoud si interruppe.

- Il mattino è giunto, mio re.

Il re annuì.

Masoud si alzò e incominciò a vestirsi.

Il re però voleva ascoltare il seguito di questa storia strana. Era curioso di sapere che cosa sarebbe successo al giovane. Perciò disse:

- Ti dono questo giorno di vita in ringraziamento della tua storia. Quando scenderà la notte, tornerò e mi racconterai che cosa succede a questo giovane.

Detto questo il re si alzò, si lavò e diede ordini di portare al comandante delle guardie il cibo e tutto l’occorrente per il giorno. Poi uscì dalla stanza dove Masoud avrebbe trascorso il suo ultimo giorno di vita, chiuse alle sue spalle la porta e vi appose il proprio sigillo.

Scese la scala e vide il boia con la sciabola, che attendeva la sua vittima, come gli era stato ordinato.

- Puoi andare. Torna domani mattina.

Il boia si inchinò fino a terra e se ne andò.

Il re uscì. Vide che il cielo era coperto di nuvole scure: la stagione delle piogge era ormai giunta. Il re sorrise e raggiunse la sala delle udienze. Era contento di non dover mettere a morte quel giorno il comandante ed era curioso di ascoltare il seguito della storia.

 

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