VENTICINQUESIMA NOTTE

Quando infine giunse la sera, il re tornò nella torre. Il re era stanco e si stese sul giaciglio.

- Masoud, voglio che la tua bocca accolga la mia arma.

Masoud sorrise e ubbidì al comando del re. Le sue labbra e la sua lingua lavorarono a lungo, finché il re venne e Masoud bevve il seme.

Poi Masoud lavò il corpo del sovrano, come una madre lava il figlio, e gli porse il cibo. Infine il re lo attrasse a sé e abbracciati dormirono fino al mattino, quando Masoud riprese la sua storia.

 

Dahih proseguì il suo racconto.

- Quando mi svegliai era mattina. Mi chiesi se non avessi sognato. Mi alzai e vidi non lontano un involto nero, come quello che avevo visto nella notte. Lo raggiunsi, lo aprii e vi trovai un pugnale: era l’arma che avrebbe dovuto uccidere il re dei jinn dell’isola Rossa, ma ero sicuro che non mi sarebbe servita, perché presto sarei morto, divorato dalla sete che ormai incendiava la mia gola. Mentre riflettevo tristemente, vidi in lontananza le vele di una nave: una speranza si accese in me e incomincia a sventolare il panno in cui era stato avvolto il pugnale, augurandomi che mi vedessero. La nave veniva nella mia direzione e presto gli uomini a bordo mi scorsero. La nave si avvicinò ancora e una scialuppa venne calata. Quando fu vicina, lasciai il dorso della balena e nuotai fino alla barca. Gli uomini mi issarono. Chiesi subito da bere, perché la mia gola ardeva. Essi non avevano nulla con sé, ma non appena raggiungemmo la nave, mi offrirono di che dissetarmi e poi anche del cibo. Il capitano mi chiese chi fossi e io dissi che ero un guerriero e che durante una tempesta ero caduto in acqua: non volevo rivelare la mia vera identità, perché non sapevo chi fossero e preferivo che nessuno venisse a sapere che ero scampato ai sicari. Il capitano disse: “Sono contento che abbiamo potuto raccoglierti: questo è un viaggio luttuoso, ma almeno avrà permesso di salvare una vita.” Stupito gli chiesi di che cosa si trattasse ed egli mi raccontò che il re dei jinn dell’Isola Rossa si era irritato nei confronti del loro sovrano, perché questi aveva rifiutato di dargli un figlio di cui il re dei jinn si era invaghito. Egli perciò aveva suscitato una tempesta, che aveva distrutto una città e minacciava di devastare l’intero regno, se il giovane non gli fosse stato consegnato. Il re aveva dovuto cedere. Il capitano concluse dicendo:

“Ora accompagniamo il nostro giovane principe da questo jinn.”

Io sapevo di possedere l’arma che poteva spegnere la vita del re dei jinn, per cui dissi: “Io sono un guerriero e affronterò il re dei jinn. Se riuscirò a ucciderlo, il principe sarà salvo.”

Il capitano scosse la testa.

“Il nostro re si rivolse a molti saggi, ma un solo uomo può uccidere il re dei jinn e l’arma che avrebbe potuto spegnere la sua vita e che era custodita nel palazzo reale è scomparsa subito prima che partissimo. Non c’è più speranza.”

“Conosci il nome dell’uomo che può uccidere il jinn?”

“Sì, certo.”

“È forse Dahih ibn Falud?”

Il capitano mi guardò stupito.

 “Come lo sai?”

Dahih ibn Falud sono io. L’arma che scomparve è forse questa?”

E così dicendo tirai fuori il pugnale. Il capitano lo guardò, stupefatto.

“Non so come tu possa avere quest’arma, ma vi leggo un segno del destino. Forse riuscirai a salvare il nostro principe.”

“Affronterò il re dei jinn dell’Isola Rossa. Se riuscirò nella mia impresa, il principe sarà salvo. Se fallirò, sarò morto in un’impresa gloriosa.”

Il giorno seguente sbarcammo nell’isola. Il capitano ed io accompagnammo il giovane principe nel palazzo dei re dei jinn dell’Isola Rossa. Egli apparve, grande e terribile, e ridendo disse:

“Folle è stato il re a opporsi al mio volere. Coglierò la verginità del principe e lo terrò con me finché vivrà il mio desiderio.”

Allora mi feci avanti, mi sbarazzai del mantello e dissi:

“Io ti sfido. Affrontami, se osi. Difenderò il principe con la mia vita.”

Il re dei jinn rise.

“Povero sciocco, che cosa credi di poter fare contro di me? L’eroe che avrebbe potuto uccidermi è stato strangolato e gettato in acqua e l’unica arma che può ferirmi giace accanto al suo corpo sul fondo del mare.”

“Allora combatti con me e vedremo se quello che dici è vero.”

Furibondo il re dei jinn si trasformò in un orrendo drago, che sputava fuoco dalla bocca. Io però scansai le fiamme e mi precipitai su di lui.

 

 

Con un colpo gli immersi il pugnale nel cuore. Egli non sospettava che io stringessi in mano l’unica arma per lui mortale, ma quando la lama affondò nel suo petto, capì:

“Tu certo sei Dahih ibn Falud. I jinn al mio servizio mi hanno ingannato. La mia vita è finita…”

Non poté dire altro. Il drago crollò a terra e il jinn riprese il suo aspetto abituale, ma il suo corpo era ormai privo di vita. Il capitano ordinò ai suoi uomini di raccogliere le ricchezze del palazzo, ma non fu possibile caricarle tutte sulla nave, perché esse erano troppe. Facemmo quindi vela per tornare indietro. I marinai festeggiarono e tutti bevvero molto. Il giovane principe mi si avvicinò.

“Davvero sei un grande eroe, Dahih. Ti ringrazio per avermi salvato.”

“Sono contento di averti potuto sottrarre alle voglie del re dei jinn.”

Il principe si avvicinò ancora di più a me. I nostri corpi si sfioravano.

“Quel mostro era orrendo: non era bello come te. Non avrei mai voluto che lui mi possedesse. Ma…”

Non disse altro, ma mi baciò.

Allora entrammo nella sua cabina ed egli si spogliò, poi mi tolse le vesti e si stese sui cuscini, offrendomi i suoi fianchi. Assecondando il suo desiderio, colsi la sua verginità e a lungo ci intrattenemmo nei giochi d’amore. Poi mi rivestii per tornare sul ponte, ma il principe mi diede una coppa, in cui versò da bere. Non appena ebbi bevuto, sentii una grande sonnolenza invadermi.

“Che cosa mi hai offerto da bere, principe?”

“Un farmaco che toglie ogni forza. Io mi sono offerto a te, ma non voglio che nessuno lo sappia. Il tuo corpo sarà gettato in mare.”

Lo guardai, sgomento e incredulo: gli avevo salvato la vita ed egli mi ricompensava con la morte. Ma non potevo più muovere né le braccia, né le gambe. Il principe si rivestì e chiamò il capitano, che era d’accordo con lui. Due uomini mi portarono sul ponte. Il principe salì anche lui, perché voleva essere sicuro che io venissi gettato in acqua. Il capitano sorrise e disse: “Principe, ci sono grandi ricchezze su questa nave, più di quante io e i miei uomini potremmo mai avere in un’intera vita al servizio di tuo padre. Non torneremo al porto da cui siamo partiti. Tuo padre ti crede morto e presto questo sarà vero.”

Il capitano rise. I suoi uomini afferrarono il principe e lo spogliarono. Il capitano lo prese con la forza e dopo di lui lo stuprarono i suoi uomini. Io guardavo quegli uomini brutali prendere il principe, uno dopo l’altro, senza pietà per lui, spingendo con forza: quando ritraevano i loro membri, essi erano coperti di sangue, perché avevano lacerato la carne del principe. Egli gridava per il dolore, ma essi proseguivano, implacabili, ridendo della sua sofferenza. Quando tutti gli uomini lo ebbero preso, il capitano passò un laccio intorno al collo del giovane, che invano implorava pietà, e strinse. Senza potermi muovere, guardai il principe che cercava invano di allentare la stretta, finché le forze gli vennero meno ed egli morì.

Intanto il mare si era agitato e il vento soffiava tanto forte, che i marinai dovettero ammainare le vele. Il capitano gettò in mare il corpo del principe e diede ordine a due dei suoi uomini di fare lo stesso con me.

 

Il suono del gong interruppe la storia e il re se ne andò, dopo aver apposto il suo sigillo sulla porta.

 

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