TRENTAQUATTRESIMA NOTTE

 

Verso sera il re tornò alla torre, impaziente di giacere nuovamente con Masoud. E dopo i giochi d’amore, il pasto e il riposo notturno, il comandante delle guardie riprese a narrare.

 

Shihab camminò tutto il giorno, finché giunse a Al-Hadir , capitale di un regno vicino, il cui re Abdel Halim amava molto la lotta e organizzava frequenti combattimenti. Quel giorno iniziava un grande torneo, a cui partecipavano lottatori venuti da tanti paesi diversi.

Shihab si fece avanti e disse:

- Chiedo di partecipare al torneo.

Com’era d’uso, Shihab dovette affrontare due lottatori, il cui compito era quello di valutare chi voleva essere ammesso. Shihab era forte ed egli riuscì a sconfiggere entrambi i suoi rivali. Poté perciò gareggiare. Il torneo durava tre giorni. Shihab sfidò otto lottatori il primo giorno e li vinse tutti. Il giorno seguente combatté contro altri otto e sconfisse anche loro. Il mattino del terzo giorno egli vinse due rivali e il pomeriggio affrontò l’ultimo combattimento, uscendone vittorioso. 

Egli fu perciò acclamato dal re, da tutta la corte e dal popolo.

Abdel Halim gli chiese di entrare al suo servizio e Shihab accettò.

Shihab trascorse tre anni al servizio del re, vincendo tutti gli incontri di lotta, apprezzato e acclamato da tutti. Non era più un guerriero, signore di uomini e di terre, ma un servitore del re. Egli però sapeva accettare ciò che il destino gli aveva riservato e non si lamentava.

 

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Al termine del terzo anno, si diffuse la notizia che il re di Afrah, il paese da cui proveniva Shihab, era morto e che il principe Munthir era salito al trono. Shihab si chiese se non ritornare nel regno e presentarsi al principe, che probabilmente gli avrebbe reso i suoi beni.

Si era però alla vigilia di un grande torneo e Shihab decide che avrebbe pensato al da farsi dopo la conclusione dei combattimenti.

Shihab non partecipò agli incontri del primo giorno, in quanto egli era il campione, che aveva vinto i tre tornei precedenti. Sentì parlare di uno straniero, un etiope molto forte, che stava vincendo tutti i suoi avversari. Egli perciò si diresse dove l’uomo, che si era presentato con il nome di Ayman, stava combattendo.

Quando lo vide, Shihab lo riconobbe: si trattava del nero Yasir, colui che aveva posseduto il capo dei briganti Haarith prima che Shihab lo uccidesse.

Shihab osservò Yasir lottare. Il nero era molto forte e abile. Uno dopo l’altro, tutti i suoi avversari vennero sconfitti e caddero nella polvere. Il secondo giorno Shihab combatté e, come sempre, sconfisse tutti coloro che lo affrontarono. Anche Yasir uscì vincitore da tutti gli incontri della giornata.

Il terzo giorno entrambi vinsero ogni sfida, finché nell’ultimo incontro si trovarono uno contro l’altro.

 

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In tre anni Shihab non era mai stato sconfitto, ma Yasir si rivelò un avversario superiore a tutti coloro che egli aveva affrontato. A lungo lottarono, sotto lo sguardo ammirato di tutta la corte: nessuno aveva mai visto due lottatori così forti. Ormai il sudore scorreva sui loro visi, sui toraci possenti, sulle braccia e sulle gambe muscolose, rendendo più difficile la presa. I pantaloncini rossi erano intrisi di sudore e aderivano ai loro corpi, rivelando che entrambi erano eccitati da questa lotta.

Infine Yasir riuscì a mettere una gamba tra quelle di Shihab e a farlo cadere. Si gettò su di lui e lo bloccò. Shihab cercò invano di liberarsi e infine fu costretto a riconoscere la propria sconfitta.

- Sei un grande lottatore e per me è un onore essere stato sconfitto da te.

Yasir rispose:

- Non avevo mai incontrato un avversario così forte.

Il re prese al suo servizio l’uomo che si faceva chiamare Ayman. Spesso egli faceva lottare Shihab e Yasir l’uno contro l’altro e a volte aveva il sopravvento uno, a volte l’altro.

Essi divennero amici. Dopo ogni incontro si bagnavano insieme. Shihab ammirava il corpo possente di Yasir e il suo membro vigoroso, Yasir guardava con uguale brama il corpo di Shihab. E ogni volta che insieme si lavavano e ognuno poteva contemplare il corpo nudo dell’altro, non potevano celare il loro desiderio ardente.

Fu Shihab a parlare:

- Ayman, non ho mai visto un maschio vigoroso come te.

- Lo stesso posso dire io di te, Shihab.

Essi si guardarono, muti, poi Shihab proseguì, indicando il proprio membro eretto:

- Ayman, tu vedi il desiderio che brucia in me.

Sorrise Yasir e rispose:

- E io non posso certo negare quello che arde nel mio corpo.

- Allora affrontiamoci ancora una volta e colui che vincerà potrà godere dell’altro.

- Mi piace ciò che dici e vincere e perdere sarà per me un piacere, Shihab.

Essi lottarono nel bagno, ma la lotta non fu lunga: il desiderio li tradì e presto Shihab cedette.

Prima che Yasir lo prendesse, Shihab disse:

- Ero un uomo libero e non servivo nessuno, un tempo. Mai mi offrii ad un altro, ma subii violenza in una prigione in cui fui gettato. Ora sono contento di darmi a te.

Yasir accarezzò Shihab, ma il desiderio ardeva in lui. Egli entrò dentro di lui lentamente, perché non voleva fare male, ma il dolore di Shihab fu forte: il membro di Yasir era troppo grande e le spinte vigorose dell’etiope lo facevano crescere. Eppure il piacere dominò la sofferenza e vennero entrambi.

 

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Rimasero distesi uno accanto all’altro, la destra di Yasir nella sinistra di Shihab. Shihab sentì che lentamente il dolore si calmava. E, ammirando il corpo gagliardo di Yasir steso accanto a lui, il desiderio lo assalì nuovamente. Il membro si tese allo spasimo e Shihab vide che anche quello di Yasir cresceva e si drizzava, enorme e vigoroso.

Yasir lo guardò, sorrise e disse:

- Sono stato a lungo uno schiavo e il mio corpo è stato usato da molti per il proprio piacere, ma non avevo mai goduto come con te, Shihab. A nessuno mi sono liberamente offerto, ma ora mi offro a te. Prendimi.

Yasir si stese prono e Shihab salì su di lui. Spinse il suo membro tra i fianchi dell’etiope e sentì che la carne resisteva, ma non rinunciò e, forzando l’apertura, entrò dentro Yasir e a lungo cavalcò, finché entrambi nuovamente vennero.

Da allora dopo ogni incontro i loro corpi si accendevano ed essi trascorrevano insieme le notti, amandosi e traendo molto piacere uno dall’altro.

Trascorse così un anno. Si tenne il grande torneo e anche questa volta Shihab e Yasir vinsero tutti gli avversari e si affrontarono nell’ultimo incontro. Fu Shihab a vincere.

La notte giacquero insieme ed era quasi l’alba quando, stanchi dei giochi d’amore, si addormentarono. Si svegliarono e si sorrisero. In entrambi il desiderio già si era ridestato e, ancora intorpiditi dal sonno, i loro corpi ardenti si cercavano. Shihab prese in mano il membro vigoroso del compagno e disse:

- Sei un forte lottatore e un vigoroso stallone, Yasir.

Yasir si scostò e, guardando fisso negli occhi Shihab, chiese:

- Come conosci il mio nome?

Shihab non si era reso conto di aver pronunciato il vero nome di colui che tutti chiamavano Ayman. Non volle mentire e disse perciò la verità:

- Un tempo ero un guerriero e fui io a uccidere il tuo signore, il possente Haarith. E come tu lo possedesti, anch’io lo presi, dopo averlo trafitto con la spada, poi gli recisi il capo.

 

Per il re era ormai giunta l’ora di andare, ma il racconto aveva destato il suo desiderio ed egli prese ancora una volta Masoud, prima di lasciare il letto. Poi il sovrano uscì, apponendo il sigillo sulla porta.

 

 

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