VENTUNESIMA NOTTE

Verso sera infine il re poté raggiungere la stanza dove l’attendeva Masoud. Quando lo vide il re gli sorrise, lo baciò sulla bocca, poi lo spogliò e lo fece stendere sui cuscini. Ammirò i fianchi forti dell’uomo verso cui lo portava il suo desiderio, poi si stese su di lui e lo possedette.

Dopo che ebbero mangiato e bevuto, si stesero a dormire, ma il re ardeva nuovamente di desiderio e una seconda volta prese Masoud.

Dopo il sonno, la luce del mattino li svegliò e Masoud riprese la sua storia.

 

Il jinn schioccò nuovamente le dita e un grande mantello blu con disegni d’argento comparve nella stanza. Leila lo guardò, come se dubitasse dei suoi poteri.

- Prendilo, principessa, e gettalo addosso a una delle guardie.

Leila prese il mantello, che era leggerissimo. Uscì sulla terrazza e lo lanciò su una delle guardie. Il mantello e la guardia scomparvero.

- Non li hai mandati lontano, Maafaz? Secondo me è solo una delle tue magie.

- No, la guardia e il mantello sono davanti a te, ma solo io posso vederli.

Leila annuì.

- Anche questo è nella sala del tesoro?

- No, lo tengo nella mia camera.

- Allora rimandalo al suo posto.

Il jinn fece un gesto e il mantello si sollevò. Non appena si staccò dalla guardia, questa tornò a essere visibile.

- Principessa, che ne dici dei miei doni nuziali?

- Ne parleremo oggi nella sala dei banchetti. Ora va, perché questa notte ho dormito male e voglio riposare.

Maafaz non voleva irritare la principessa, per cui si ritirò.

Quando Maafaz se ne fu andato, Sahir si sporse da sotto il letto. Leila gli disse:

- Quando sarò nella sala del banchetto, tu andrai nella camera di Maafaz e ti procurerai il mantello. Indossandolo potrai procurarti il pugnale che può ucciderlo e il cavallo. Poi uscirai dal castello, come ti ho detto. Bada solo di non farti scorgere da Maafaz, perché egli può vederti anche quando sei coperto dal mantello.

- Farò come mi dici, principessa.

Leila spiegò a Sahir dove si trovavano la camera del jinn e la stanza del tesoro.

Quando il jinn tornò per prendere la principessa e accompagnarla nella sala dei banchetti, Sahir uscì dal suo nascondiglio e raggiunse senza difficoltà la camera del mago.

Nella camera cercò il mantello incantato, ma non riusciva a trovarlo. Il tempo passava e Sahir era sempre più preoccupato. Nella stanza c’era una grande cassa chiusa da un lucchetto. Sahir cercò di forzare la serratura con il pugnale, ma non era facile e la lama premendo sul lucchetto produceva un rumore, che un servitore sentì.

Costui si stupì, perché sapeva che il jinn banchettava con la principessa. Il servitore perciò entrò nella camera e vide Sahir. L’uomo estrasse subito la spada e si lanciò contro Sahir, che però fu più veloce di lui: gli bloccò il braccio armato e gli immerse il pugnale nel cuore. Poi, servendosi della spada, ruppe il lucchetto e nel forziere trovò il mantello.

Lo indossò e uscì dalla stanza. Rapidamente raggiunse la sala del tesoro, che era sorvegliata da dieci jinn, terribili a vedersi: sui loro corpi giganteschi spiccavano teste deformi, con lunghe zanne, e le braccia e le gambe terminavano con artigli di ferro. Inoltre essi erano armati con coltelli, spade e mazze di ferro.

Il cuore di Sahir non tremò ed egli passò in mezzo a loro. Giunto nella parte più interna della camera, trovò il cofano in cui era chiuso il pugnale, ne forzò la serratura e prese l’arma. Poi uscì, passando in mezzo ai jinn.

Raggiunse quindi le scuderie, dove scelse un bellissimo cavallo pezzato. Salì sull’animale, coprendolo con il mantello, ed uscì dalla scuderia. La porta del castello era aperta, ma dieci jinn la sorvegliavano ed erano non meno grandi e terribili delle sentinelle della sala del tesoro.

Sahir cavalcò fino a che vide davanti a sé un fiume impetuoso: era uno dei tre fiumi di sangue che difendevano il castello di Maafaz. Più lontano Sahir scorse gli altri due fiumi e poi i boschi di spine e infine le fiamme dei monti di fuoco: nessun essere umano avrebbe mai potuto raggiungere il castello, se non volando.

Allora Sahir si tolse il mantello e lo nascose. Poi voltò il cavallo e tornò al castello. Quando giunse in vista delle mura, gridò.

- Io sono Sahir e sfido Maafuz ad affrontarmi, se ha il coraggio.

Un jinn volò a riferire a Maafuz le parole del guerriero. Egli era a tavola con la principessa.

- Questo infame ti sfida, padrone. Vuoi che lo facciamo a pezzi e ti portiamo la sua testa?

Leila rise:

- Maafuz, tu permetti ai tuoi servitori di insultarti in questo modo? Un guerriero ti sfida e un tuo servo ti invita a sottrarti alla sfida, come se tu fossi un vile? Questo pensano di te i tuoi servitori?

Leila rideva e Maafuz fu irritato dalle parole della principessa. Ben volentieri avrebbe affidato ai suoi servitori il compito di sbarazzarsi del guerriero che lo minacciava, ma non voleva apparire un vile.

- Vedendomi occupato con te, il mio servitore voleva risparmiarmi il fastidio di doverti lasciare per uccidere quel guerriero presuntuoso. Ma hai ragione, tocca a me combattere.

Detto questo, Maafuz si alzò e si preparò per la battaglia.

Egli montò un magnifico cavallo nero e uscì dal castello: il suo aspetto terribile incuteva timore, ma il cuore di Sahir era ben saldo.

- Guerriero, non so come tu sia riuscito ad arrivare fin qui, superando i monti di fuoco, i boschi di spine e i fiumi di sangue, ma sappi che ora ti attende la morte.

Sahir rispose, senza tremare:

- Risparmia le parole e combatti.

Maafuz si scagliò su Sahir e vibrò un colpo fortissimo con la sua spada, ma Sahir si sottrasse. La lama colpì lo scudo, che si spezzò.

Maafuz si gettò nuovamente su Sahir, che questa volta mosse la sua lama e recise un braccio del jinn. Furibondo questi si trasformò in un serpente e si attorcigliò intorno al cavallo e al cavaliere. Sahir sentì che il fiato gli mancava, perché il serpente lo stava stritolando. Egli però decapitò il serpente con la spada, ma tre nuove teste spuntarono. Sahir allora prese il pugnale e con quello tagliò una delle teste e poi una seconda. Prima che riuscisse a tagliare la terza testa, Maafaz gridò e cambiò forma, diventando un leone.

 

 

Nuovamente il suono del gong interruppe la narrazione. Il re ebbe un movimento di impazienza, ma si alzò. Masoud si alzò e vedendolo davanti a sé, vestito solo della sua maschia bellezza, il desiderio si destò prepotente nel re, che abbracciò Masoud. Il guerriero capì che il re non voleva andarsene senza aver nuovamente goduto, per cui la sua mano prese il membro possente del sovrano e lo guidò al piacere, mentre la lingua del re e quella di Masoud giocavano, accarezzandosi e rincorrendosi da una bocca all’altra. Quando il loro abbraccio si sciolse, il re si lavò, si vestì e se ne andò, apponendo il sigillo sulla porta.

 

 

 

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