TRENTUNESIMA
NOTTE Verso
sera il re tornò da Masoud e nuovamente si amarono.
Quando giunse il mattino, Masoud riprese la sua
storia. Oltre la porta apparve lo
splendido pavone che Fuad aveva visto il giorno
precedente. Perché il giovane non
aveva ripreso il suo aspetto umano? Eppure Fuad era
sicuro di aver acceso tutte le candele nei sotterranei. Fuad pensò allora che forse la candela corrispondente
al giovane non era insieme alle altre, ma nella stanza del mago. Perciò
ritornò nella camera e dietro una tenda trovò un incavo nella parete: qui vi
era una candela. Fuad l’accese e il pavone, che l’aveva
seguito, riprese l’aspetto umano. In quel momento però le mura tremarono
nuovamente. Fuad e il giovane si precipitarono
fuori. Erano appena usciti, quando l’intero castello crollò. Fuad e il giovane si allontanarono e si
fermarono vicino al torrente. Allora il giovane parlò: - Grazie per avermi
liberato, uomo. Sono un principe e mio padre saprà ricompensarti. - Il mio nome è Fuad. Sono ben contento di aver liberato te e gli altri
giovani. Ma come mai tu non eri con loro? - Ti racconterò la mia
storia. - L’ascolterò ben
volentieri. - Sono Hayat,
figlio del re Ibrahim. Quando nacqui ero così bello, che mio padre chiamò un
indovino, per sapere come proteggere la mia bellezza. L’indovino disse che
avrei destato il desiderio di molti e che più volte il mio corpo sarebbe
stato violato da uomini che mi avrebbero preso con la forza. Mio padre allora
fece un incantesimo, per cui nessun uomo avrebbe mai potuto possedermi contro
la mia volontà. Fuad ascoltava attento, ma intanto,
contemplando lo splendido corpo del principe, il desiderio si destava in lui. Il giovane proseguì: - Il mago che tu hai
ucciso mi vide e mi rapì, come aveva fatto con altri giovani. Egli cercò di
prendermi con la forza, ma non gli fu possibile, perché l’incantesimo che mi
proteggeva lo privava della sua virilità. Temendo che io potessi desiderare
un altro dei giovani e darmi a lui, mi tenne separato da loro. - Ora capisco, Hayat. La tua bellezza è davvero unica: mai vidi un
giovane più bello. - Ti ringrazio, Fuad. Dopo un momento di
silenzio, Hayat disse: - Bagniamoci insieme, Fuad. Ma Fuad
non voleva spogliarsi, perché il desiderio ardeva in lui. - Bagnati da solo, Hayat. Io intanto cercherò che cosa posso darti per
coprirti. - Perché non vuoi bagnarti
con me, Fuad? Hayat sorrideva e Fuad
sospettò che il principe conoscesse bene il motivo per cui non voleva
spogliarsi davanti a lui. Decise di essere sincero. - Hayat,
credo che tu sia abituato a essere desiderato. Giustamente il mago ti tenne
lontano dagli altri. Non te l’avrai a male se ti dirò che anch’io ti
desidero, vedendoti così nudo davanti a me. Per questo preferisco non spogliarmi,
per non mostrare il mio desiderio. - Fuad,
tu mi hai salvato e per questo ti sarò riconoscente per sempre. Il tuo
coraggio ha acceso in me il desiderio. Fuad allora sorrise e si spogliò. Si avvicinò
a Hayat e lo baciò, poi lo abbracciò. Hayat gli offrì la sua verginità ed essi
rimasero a lungo sul prato, dedicandosi ai giochi dell’amore. Poi essi raggiunsero il
regno del padre di Hayat, dove vissero felici,
finché non venne colei che mette fine a ogni gioia. -
Bella è la storia che mi hai raccontato, Masoud. -
Fuad fu l’unico dei figli di Ismail a sfuggire al
destino tragico del padre e dei fratelli. Ma forse ora, mio re, vorresti
conoscere la sorte degli ultimi due fratelli di Fuad,
Haarith e Zaafir. Il
re era contento di sentire una nuova storia, rimandando l’esecuzione di Masoud. Perciò rispose: -
Certo. -
Allora ti narrerò la storia di Shihab, il valoroso,
così avrai modo di conoscere che cosa avvenne di Haarith. Il principe Munthir era figlio di un re. Egli era giovane e bello. Amava
cacciare e perciò si recava spesso in una residenza di campagna, lontano
dalla capitale. Egli si faceva accompagnare solo da dieci uomini armati. Un giorno, mentre era a
caccia, scorse una gazzella e spronò il cavallo, ma la preda era molto veloce
e Munthir non riusciva a raggiungerla. Nella foga
dell’inseguimento, egli si allontanò dagli uomini che lo seguivano, salendo in
cima a colline e scendendo in valli profonde, fino a giungere ai confini del
regno. Qui egli si imbatté in cinquanta banditi guidati da Haarith. Essi lo assalirono e lo catturarono: essi
sapevano che era il figlio del re e pensavano di venderlo ad Akram, sovrano del paese vicino. Munthir
era l’unico erede e Akram avrebbe potuto ucciderlo,
per poi impadronirsi del regno alla morte del vecchio re. Uno dei servitori del
principe era però riuscito a seguire le tracce del cavallo e di lontano vide
che i briganti portavano il giovane al loro accampamento. Tornò rapidamente
alla residenza e narrò l’accaduto. La banda di briganti era
famosa in tutta la regione: essi erano forti e spietati e il loro capo, Haarith, era noto per il suo valore e per la sua crudeltà.
I dieci uomini non sapevano come fare: anche prendendo con loro i servitori
della fortezza, non sarebbero stati in grado di affrontare quegli uomini
feroci e di salvare il loro principe. Mentre tenevano consiglio,
arrivò alla residenza un forte guerriero, Shihab ibn Tariq, detto Shihab il valoroso. Egli viveva nella regione e, sapendo
che il principe si trovava al castello, era venuto per porgergli omaggio.
Quando gli uomini di Munthir gli raccontarono
l’accaduto, egli disse: - Andrò io. - Verremo con te. - No, andrò da solo. - Da solo? Ma come conti
di fare? - Un uomo solo può
riuscire meglio in quest’impresa. Voi attendete al castello e avvisate il re. Shihab si fece spiegare dove si trovava
l’accampamento dei banditi e partì immediatamente. Gli uomini del principe lo
guardarono stupiti allontanarsi. La fama di Shihab
era grande e tutti ne conoscevano il coraggio, la forza, il valore in
battaglia e la generosità, ma come avrebbe potuto affrontare da solo
cinquanta banditi spietati? Shihab si diresse verso l’accampamento dei
banditi. Conosceva molto bene la regione, in cui si recava spesso a caccia, e
sapeva come raggiungere il luogo senza farsi scoprire. Scelse una via che
attraversava fitti boschi e paludi e infine, quando ormai calava la notte,
arrivò nei pressi della valle dove si trovavano i briganti. Colse di sorpresa
le due sentinelle appostate lungo la strada che portava all’ingresso
occidentale del campo e recise loro la gola, poi avanzò fino a che vide le
tende. Attese che la notte avvolgesse con il suo nero manto la terra e si
avvicinò al padiglione del capo dei briganti. Davanti all’ingresso una
guardia sonnecchiava, non sospettando che qualcuno potesse introdursi
nell’accampamento senza che le sentinelle dessero l’allarme. Shihab mise una mano sulla bocca del soldato e
gli tagliò la gola. Poi guardò nella tenda, dove una lanterna spargeva una
debole luce. Haarith, il capo dei briganti era
disteso prono sul giaciglio e su di lui un altro uomo, un gigantesco nero che
sembrava non meno forte di Haarith, lo stava
possedendo. Shihab rimase alquanto stupito, perché
non si aspettava di trovare Haarith impegnato nei
giochi del giaciglio con un uomo che di certo era uno schiavo. Shihab pose la mano sull’elsa della spada e si chiese se
non decapitare entrambi con un unico colpo, ma voleva affrontare Haarith in leale duello e non ucciderlo a tradimento.
Rimase perciò nell’ombra, ad attendere. Il nero lavorava con grande foga il
campo del suo padrone, che gemeva di piacere. Lo spettacolo destò il
desiderio di Shihab, che volentieri avrebbe preso
il posto del nero. Infine lo schiavo venne,
emettendo un suono roco, e anche Haarith gemette di
piacere. Il nero si alzò e Shihab vide il suo membro possente, non più rigido, ma ancora
turgido, e i grandi testicoli. Mai, in tutta la sua vita, Shihab
aveva visto un uomo così virile. Si chiese come il capo dei briganti
riuscisse a reggere una simile arma che anche ora, non più tesa, incuteva
paura. Haarith disse: - Vai, Yasir. Il nero si mise la fascia
intorno ai fianchi e uscì dalla tenda. Haarith si
alzò e Shihab vide che era anch’egli dotato di
grande virilità. Il
gong risuonò, ma la storia di Masoud aveva destato
il desiderio del re, che strinse il comandante tra le braccia, baciandolo
sulla bocca. E dopo averlo accarezzato e abbracciato, lo prese, spingendo il
membro tra i fianchi del comandante. A lungo cavalcò il re e il piacere lo
travolse. Sarebbe voluto rimanere disteso sul corpo dell’amato, ma era tempo
che si dedicasse ai suoi doveri di re, per cui baciò ancora appassionatamente
Masoud, ne accarezzò la virilità e poi, dopo
essersi lavato, se ne andò, apponendo il suo sigillo sulla porta. |
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