TRENTASETTESIMA
NOTTE Verso
sera il re tornò nella torre e ripresero i loro giochi d’amore. Il
mattino seguente il re chiese a Masoud di
continuare la storia e il comandante delle guardie riprese a narrare. Giunti in una cittadina,
scoprirono che Munthir e gli uomini rimasti a lui
fedeli erano asserragliati in una fortezza, che Akram
assediava. Essi si avvicinarono, percorrendo sentieri nascosti tra i monti.
Giunsero infine in vista del castello, che sorgeva su una montagna, sopra un
dirupo. Shihab non sapeva come avrebbe potuto aiutare
il suo sovrano: non era possibile neppure raggiungere il castello, perché le
truppe nemiche che lo assediavano controllavano tutte le vie d’accesso. - Che cosa conti di fare, Shihab? - Non lo so, Kalil. Vorrei unirmi al sovrano, ma mi sembra che ogni
via sia bloccata. - Anche se riuscissi a raggiungere
Munthir, che cosa potresti fare? - Morire con il mio
sovrano. Altro non mi è possibile, lo so, ma non lascerò certo uccidere il
mio re senza aver fatto tutto il possibile per difenderlo. - Tu credi che
l’usurpatore ucciderà Munthir? - Non c’è dubbio, Kalil. Se Munthir non morirà in
battaglia, lo farà strangolare: finché Munthir sarà
in vita, il dominio di Akram su Afrah
sarà minacciato. - Shihab,
noi non possiamo certo sconfiggere le truppe di Akram.
Forse dovremmo pensare a un altro piano. - E quale? - Mettiamoci al servizio
di Akram e vedremo se potremo trovare modo di
aiutare Munthir a fuggire. Shihab rifletté sulla proposta di Kalil. Non amava fingere e ingannare, ma la via indicata
da Kalil era la più saggia. Quella notte, accampati
tra le rocce, essi si amarono. Entrambi sapevano che il loro tempo era giunto
alla fine e avevano accettato la morte che li attendeva. Il pensiero di Shihab andò ancora a Yasir,
perché lo amava profondamente, ma le sue labbra non pronunciarono il nome
dell’amato. Il mattino dopo Shihab e Kalil si presentarono
da Akram. - Possente sovrano, il mio
nome è Shihab. Io possedevo un castello e vaste
terre in questo regno e un giorno salvai la vita al principe Munthir. La mia ricompensa fu una condanna a morte e la
perdita di tutti i miei beni. Ora vorrei unirmi a te, per vendicarmi di
quanto ho subito. Akram si stupì delle parole di Shihab. - E perché fosti condannato
a morte dopo aver salvato il principe? - Perché il desiderio ci
prese entrambi e il re ci trovò mentre i nostri corpi allacciati cercavano il
piacere. Akram era perplesso, ma diversi uomini di Munthir che erano passati al servizio del nuovo sovrano riconobbero
Shihab e confermarono ad Akram
che egli aveva salvato la vita al giovane re quando era ancora vivo il padre,
ma che era stato condannato a morte per aver stuprato Munthir.
Essi erano stupiti di ritrovarlo vivo, perché dicevano che Shihab si fosse avvelenato e che il suo corpo fosse stato
abbandonato agli avvoltoi nel deserto. Akram prese volentieri con sé il guerriero,
che tutti dicevano essere molto valoroso. Quel giorno stesso Munthir si arrese, conscio che tentare di resistere
ancora sarebbe stato inutile. Il re lo fece rinchiudere
in una tenda dell’accampamento e la notte tenne consiglio con i suoi uomini. - Che devo fare di Munthir? Tutti i consiglieri
concordarono sulla necessità di uccidere il giovane re: - Il giovane non può
vivere. Finché vivrà ci sarà chi rifiuterà di obbedirti dicendo che Munthir è l’unico re legittimo di Afrah. - Ogni tradimento sarà
giustificato. - È bene che egli non
giunga alla città. Era quanto il re
desiderava sentirsi dire. - Sì, quello che dite è
vero. Si fece allora avanti Shihab. - Giusta e saggia è la tua
decisione. La stabilità del regno è più importante della vita di un suddito.
Io ti chiedo di affidarmi l’incarico di eseguire la tua volontà. Salvai la
vita a Munthir e ne fui ricompensato con la morte.
Miracolosamente scampai al destino, ma nel mio cuore brucia sempre il
desiderio di vendetta. Akram sorrise. - Non ti negherò ciò che
mi chiedi. Come pensi di fare, Shihab? - Ti ringrazio, sovrano. Gli
dirò che lo farò fuggire e quando saremo tra i monti, lo spingerò in un
dirupo: diremo che ha cercato di scappare e che nella fuga è caduto. La colpa
non ricadrà su nessuno. Al re piacque molto la
proposta di Shihab: nessuno avrebbe potuto
accusarlo di aver fatto uccidere Munthir. - Puoi muoverti
liberamente per tutto l’accampamento e avrai libero accesso anche alla tenda
del prigioniero. Shihab si inchinò e disse: - Avrai presto notizia di
me. Nel cuore della notte Shihab si recò alla tenda dove era tenuto prigioniero Munthir. Quando, alla luce della
torcia, Munthir vide Shihab,
lo riconobbe. - Shihab,
tu qui, vivo? - Sì, mio re. - Perché mi chiami re,
quando ormai ho perso il trono e presto perderò anche la vita? - Perché tu sei il re di
questa terra. Mi sono fatto dare dall’usurpatore l’ordine di ucciderti, per
poterti liberare. Munthir era stupito. - Vieni con me. Shihab e Munthir si
allontanarono insieme a una sentinella che il re aveva messo al loro fianco,
per aiutarli se fosse stato necessario. Essi salirono lungo un sentiero ai
margini di un dirupo. Quando furono in cima, Shihab
si fermò. - Ora, mio re, di’ le tue
preghiere. Munthir impallidì, certo che Shihab
volesse ucciderlo. Ma Shihab si voltò e con una
spinta violenta precipitò la sentinella nel burrone. L’uomo gridò e cadde,
sfracellandosi sulle rocce ai piedi del dirupo. Dall’accampamento sentirono
il rumore della caduta e l’urlo. Akram pensò che Shihab avesse svolto il compito affidatogli. Intanto Shihab e Munthir avevano
raggiunto Kalil, che li aspettava con i cavalli in
cima al sentiero. Essi salirono e si allontanarono in fretta, ben sapendo che
l’inganno sarebbe stato scoperto presto. Akram attendeva che Shihab
tornasse per comunicargli di aver compiuto la sua missione, ma il guerriero
era scomparso. Mandò due uomini alla sua tenda, ma questi tornarono dicendo
che non c’era nessuno. Akram era inquieto. Mandò
degli uomini a esplorare il fondo del dirupo ed essi tornarono con il corpo
della sentinella. Akram allora capì di essere stato
ingannato. Fece destare tutti gli uomini e li mandò per i sentieri della
montagna, a cercare traccia dei fuggitivi. Il
suono del gong costrinse il re a staccarsi da Masoud,
ma egli avrebbe voluto rimanere nella torre o avere il guerriero al proprio
fianco durante la giornata. Il
re si preparò e poi uscì, apponendo il suo sigillo sulla porta. |
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