TRENTANOVESIMA NOTTE

 

Verso sera il re tornò da Masoud. Sulla terrazza della torre si amarono a lungo e contemplarono le nere nuvole, gonfie di pioggia, che promettevano frescura. La pioggia scese mentre essi finivano il loro pasto e essi lasciarono che l’acqua scendesse su di loro.

Dopo essersi asciugati e aver dormito, quando giunse il mattino Masoud riprese la sua storia.

 

Intanto Munthir aveva raggiunto il regno di Nazaha, il cui re, Mandhur aveva sposato sua sorella. Egli chiese aiuto al cognato, che decise di intervenire: Mandhur infatti pensava di restituire a Munthir il regno di Afrah e di impadronirsi del regno di Ghada, su cui regnava Akram. Radunò perciò un forte esercito, che marciò contro Akram.

I due eserciti si schierarono per la battaglia, che sarebbe certo stata lunga e sanguinosa: gli stendardi danzavano al vento e i tamburi annunciavano il combattimento imminente. Ma quando lo scontro stava per incominciare, un cavaliere si lanciò contro Akram. Molti guerrieri di entrambi gli eserciti lo riconobbero e si meravigliarono: era Shihab.

La vista di Shihab gelò di terrore gli uomini di Akram.

- Abbiamo visto il suo corpo trafitto da innumerevoli frecce. Erano tanti i dardi confitti nella sua carne che non si vedeva più neppure la pelle. Come è possibile che egli sia qui ad affrontare il nostro re?

- Se l’Onnipotente ha ridestato Shihab dal sonno eterno per lanciarlo contro il nostro re, questa battaglia è perduta.

Anche i cavalieri fedeli a Munthir si stupirono, poiché sapevano che Shihab era stato giustiziato. Essi esultarono al vederlo, certi che fosse un segno del favore divino.

Il duello tra Akram e il cavaliere fu lungo: erano entrambi forti e valorosi. Menavano grandi colpi e i loro corpi erano ricoperti di sudore. Tutti rimasero immobili a guardare, poiché sarebbe stato disonorevole per i duellanti ricevere aiuto da parte di un altro. Però, vedendo che il loro sovrano faceva sempre più fatica a parare i colpi, un cavaliere e un arciere di Akram cercarono di intervenire a tradimento. L’arciere tese il suo arco per uccidere Shihab, ma uno degli uomini di Munthir lo trafisse con la lancia. Il cavaliere fece per lanciarsi su Shihab per dare man forte al proprio re, ma dallo schieramento avversario un altro cavaliere si fece avanti e lo uccise.

Proprio in quel momento un colpo vibrato da Shihab con grande forza raggiunse Akram e gli squarciò il ventre. Akram gridò e cadde.

 

 

L’esercito di Akram si diede alla fuga e coloro che avevano tradito Munthir scesero da cavallo e si gettarono ai piedi del sovrano, chiedendo clemenza. Munthir li fece imprigionare, in attesa di decidere della loro sorte.

Poi si rivolse a Shihab:

- Di certo l’Onnipotente ti ha inviato per la terza volta a salvare la mia vita. Eppure tutti dicevano che eri morto.

- Sì, sovrano. La morte mi ha ghermito e mi ha restituito, tre volte. Non lo scelsi io, ma questo era il mio destino.

- Ti devo la vita e il regno. Rimedierò all’ingiustizia che hai subito. Riavrai le tue terre e quelle di chi mi ha tradito.

- Ti ringrazio, sovrano, ma poco m’importa delle ricchezze e delle terre.

 

Munthir tenne fede alla sua parola: egli restituì a Shihab le sue terre e il suo castello e lo colmò di ricchezze. Shihab però aveva perso ogni interesse per le gioie della vita. Perciò chiese licenza al re e, dopo aver affidato i suoi beni a un uomo fedele che li amministrasse, indossò il nero mantello del pellegrino e, rinunciando ai piaceri terrestri, se ne andò per le strade del mondo come un povero.

Si guadagnava da vivere lottando e molti ne ammiravano la bravura, poiché vinceva tutti gli incontri, ma nessuno sapeva chi fosse: tutti lo consideravano un uomo di umili origini, senza famiglia. Dormiva per le strade, come un povero, esponendosi alle ingiurie della pioggia e del vento e alle parole di scherno degli uomini.

Shihab sarebbe potuto tornare al suo palazzo, ma ormai aveva perso ogni desiderio di vivere. Il suo pensiero andava sempre a Yasir e avrebbe voluto che l’etiope gli desse nuovamente la morte.

Shihab lasciava che la pioggia e il vento percuotessero il suo corpo. Non ne soffriva. Ma il suo cuore era piagato.

 

Masoud si interruppe. Il re osservò:

- Triste è la storia di questo guerriero valoroso, che fu sempre fedele al suo signore, ma non ebbe la ricompensa meritata.

- La sua storia non è finita, mio sovrano. Se vuoi sapere ciò che fu di lui, devo raccontarti ciò che successe a Yasir, il forte lottatore etiope che uccise Shihab. Strana è la sua storia e si intreccia con l’ultimo fratello di Fuad ancora in vita, Zaafir.

- Molto volentieri, Masoud, ascolterò ciò che mi racconterai.

Il re era contento di sentire questa nuova storia, perché era curioso di conoscere la sorte di Yasir e di Shihab e perché voleva rimandare la morte di Masoud.

 

 

Dopo aver colpito a morte Shahib, Yasir non tornò alla corte del re: sul suo cuore gravava un macigno, perché aveva ucciso colui che amava, e desiderava solo morire. Più volte pensò di togliersi la vita, immergendosi nel cuore il pugnale con cui aveva dato la morte a Shihab o gettandosi in un dirupo. Ma ogni volta che era sul punto di mettere in atto il suo proposito, gli sembrava che qualcuno lo trattenesse.

Egli perciò rinunciò a uccidersi e si diresse verso nord, percorrendo una pista che attraversava un fitto bosco. Giunta la notte, egli si sedette ai piedi di un albero e disse:

- Io non voglio più vivere. Meglio che venga la morte per me. Se non posso immergermi il pugnale nel cuore, che sia una corda a stringere il mio collo e unirmi nella tomba all’uomo che ho amato e ho ucciso.

Egli si sciolse la cintura e ne fece un cappio, ma quando cercò di legarlo all’albero, esso si spezzò. Egli allora disse:

- Il mio destino è quello di vivere, anche se desidero solo la morte.

E con queste parole si stese per dormire ai piedi dell’albero. Più tardi però fu svegliato da voci che sembravano giungere dall’alto. Si alzò e si guardò intorno, senza capire chi parlasse e dove. Dopo un momento sentì nuovamente una voce, che non sembrava quella di un uomo, anche se pronunciava parole. Essa diceva:

- Non vorrei che qualcuno ci sentisse.

- Nessuno frequenta questo bosco la notte. Gli uomini hanno tutti paura degli spiriti.

- Io però avverto una presenza. Senti, solleverò quest’albero e ci allontaneremo da terra, così nessuno potrà ascoltare ciò che ti dirò.

- Va bene.

Yasir si accorse che l’albero a cui stava appoggiato incominciava a sollevarsi. Allora, curioso, si aggrappò al tronco, tenendosi forte. L’albero salì, fin oltre le nuvole che coprivano il cielo e alla luce lunare Yasir vide tra i rami dell’albero due animali bianchi, che assomigliavano a leoni.

 

 

Yasir non temeva di morire, ma  si trovava davvero in una posizione difficile: aggrappato al tronco di un albero, tanto in alto che se avesse perso la presa si sarebbe sfracellato al suolo senza nessuna speranza di salvarsi; sopra di lui, due leoni che se si fossero accorti della sua presenza lo avrebbero sbranato.

- Qui nessuno di certo ci potrà sentire.

- No. Adesso puoi dirmi ciò che hai visto.

Il primo leone parlò di molte cose che erano successe e di altre che dovevano ancora accadere. Tra le altre disse:

- Yasir l’etiope ha ucciso in duello Shihab, ma Kalil l’ha raccolto e il vecchio dei monti l’ha riportato in vita.

Yasir fu lieto di sentire ciò che diceva la creatura misteriosa: aveva tenuto fede al suo giuramento, ma forze più potenti avevano salvato Shihab.

- Che ne sarà di lui, ora?

- Shahib morirà ancora una volta, come è scritto, e tornerà in vita.

- E l’etiope?

- Egli giungerà nella città di Omayya. Qui il principe Labib si invaghirà di lui, ma sarà Nasim a salire al trono.

- Ma il principe Nasim cadrà vittima di una congiura ordita dal cugino Labib.

- Sì: se Yasir non interverrà, Nasim morirà. Allora Labib prenderà il potere e terrà Yasir accanto a sé, riempiendolo di onori. Ma se Yasir interverrà, il principe Nasim si salverà e sarà Yasir a cadere sotto i colpi dei congiurati.

I due leoni bianchi parlarono ancora a lungo. Yasir si sentiva sempre più stanco e si reggeva a fatica, ma non poteva lasciare la presa, né rivelare la sua presenza. Infine una delle due creature disse:

- Tra poco il cielo si schiarirà a oriente. Io andrò verso Nord, tu verso Sud e ci ritroveremo al prossimo plenilunio.

- Così sarà. Che quest’albero ritorni alle sue radici.

E non appena queste parole furono pronunciate, l’albero incominciò a scendere e le due creature assunsero la forma di due fenici e volarono in direzioni opposte.

Yasir si ritrovò a terra. Si stese, perché la stanchezza lo aveva vinto, e dormì a lungo.

 

Il re ascoltava meravigliato la nuova storia e il suono del gong lo irritò, ma come ogni mattina prese congedo da Masoud e se ne andò, dopo aver posto il suo sigillo sulla porta della stanza.

 

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