II – L’usurpazione Nelle Terre del Nord 7 A regnare su Sjevekral, il
più settentrionale dei Sette Regni, è Osmikr, che ha quasi quarant’anni: il padre,
Mjesecev, è morto da poco, dopo un lungo regno. Vareni, il fratello di
Osmikr, è assai diverso da lui sia nell’aspetto, sia nel carattere. Osmikr è
alto e ha una corporatura massiccia, pelame rigoglioso di colore nero, come
tutti i figli di Lilith, e occhi scuri. Vareni è anch’egli alto, ma più
snello, ha la barba e i capelli rossicci e gli occhi chiari che ritornano a
volte nella famiglia. Dicono che sia un’eredità della moglie del primo re
della stirpe, la principessa Plazea. Vareni assomiglia molto al
prozio Djed, che non ha mai conosciuto: Djed infatti è morto giovane. Sul suo
corpo, sull’anca destra, c’è una stella arancione. Un’altra stella dello
stesso colore è posta dietro i testicoli.
Il principe detesta la
città e la vita di corte: preferisce la libertà dei boschi e dei monti. In
questo è simile ad altri uomini della sua stirpe, che hanno sempre amato le
terre del Nord, come il fondatore della dinastia, Musum, il figlio di Musum,
Djed, e il padre di Vareni, Mjesecev. A vent’anni Vareni ha
deciso di vivere stabilmente nelle terre dei figli di
Lilith, oltre il confine settentrionale del regno. Si è unito agli uomini
della tribù del Leone di Montagna, quella su cui hanno regnato Musum e poi
suo figlio Djed: ha stima di questi uomini rudi e coraggiosi e a loro volta i
guerrieri apprezzano questo giovane impavido e invincibile nei
combattimenti. Quando si è stabilito nel villaggio, gli è stata
offerta una moglie. Vareni ha accettato, perché voleva entrare a pieno titolo
nella tribù e perché non voleva offendere i guerrieri del Leone di Montagna
con un rifiuto. La donna è morta dando alla luce il figlio, Jebesin. Vareni
non si è mai risposato: come molti uomini della tribù, preferisce i maschi. Spesso ha rapporti con altri guerrieri, che si offrono
volentieri a lui, attratti dalla sua grande forza e dalla sua virilità, che
lo rende il compagno ideale nei piaceri autunnali. Piace molto ai giovani,
che ammirano il suo valore e spesso gli chiedono di insegnare loro a
combattere: è una pratica comune nelle tribù. Vareni lo fa volentieri. Dopo
l’esercitazione, non è raro che il giovane gli si offra. Vareni ha insegnato a Jebesin a combattere e a sedici
anni il figlio è già un guerriero molto valoroso. Tra i suoi coetanei solo il
cugino Kralj riesce a tenergli testa, ma non a batterlo. Ogni anno, di solito
in primavera, Kralj trascorre lunghi periodi presso lo zio: come Vareni, non
ama la vita delle città e preferisce l’esistenza libera degli uomini del Nord.
Suo padre Osmikr non è contento di questo, ma lo lascia partire, perché sa di
poter contare sul fratello, che veglia su Kralj e controlla che non si metta
in situazioni pericolose. Kralj e Jebesin sono amici e spesso si affrontano, ma
nessuno dei due riesce ad avere la meglio. I due cugini si assomigliano:
entrambi sono neri di
pelame, come tutti i figli di Lilith, e hanno corpi vigorosi. Entrambi
presentano due segni a forma di stella, di colore verde per Kralj, arancione
per Jebesin. Gli uomini della tribù ne ammirano il valore e dicono
che in loro rivive Musum il Grande. Jebesin e Kralj hanno ormai l’età a cui gli uomini del
Nord hanno i loro primi rapporti, di solito con guerrieri adulti, a cui si
offrono. Jebesin però non si è mai offerto a nessuno e ha sempre respinto gli
approcci di alcuni guerrieri a cui piace. Su richiesta di Vareni, nessuno fa
proposte a Kralj, che nella tribù è solo un ospite: se il giovane principe
ereditario di Sjevekral deciderà di avere rapporti, è libero di farlo, ma deve
essere lui a prendere l’iniziativa. Sulle scelte del figlio Vareni non dice nulla: gli
insegna a cacciare, a combattere, ad affrontare i pericoli e a rispettare le
regole della tribù, ma non intende intromettersi in altri aspetti della sua
vita. L’idea che uno dei guerrieri possa possedere suo figlio lo turba, ma
questi sono gli usi e sarebbe assurdo che dicesse qualche cosa, tanto più che
spesso scopa con qualche giovane della tribù. In realtà Vareni preferisce i
guerrieri adulti, ma rifiutandosi di possedere i giovani che gli si offrono
li umilierebbe e non ha motivo per farlo.
Jebesin pare insofferente nei confronti di coloro che
si offrono a Vareni: probabilmente non approva questa pratica, benché i
piaceri autunnali siano abituali in tutte le tribù del Nord. Jebesin non ha l’eleganza naturale del padre.
Assomiglia di più allo zio Osmikr e al cugino Kralj. A sedici anni sembra
averne almeno venti e la peluria già gli copre il petto, il ventre e gli
arti. Nella lotta supera tutti gli altri giovani e mette in difficoltà lo
stesso Vareni, che pure è stato il suo maestro. Ogni anno in autunno Vareni e Jebesin si spingono
molto oltre i territori di caccia della tribù, nelle terre selvagge del
Grande Nord. Pochi guerrieri vi trascorrono molto tempo, perché gli esseri
che vi abitano costituiscono un pericolo mortale, da cui non sempre è
possibile difendersi con le armi: né lance, né spade e pugnali possono
colpire il Blud, il cui sguardo fa perdere l’orientamento, o il Signore del
Fiume dei Ghiacci, l’uomo-tritone, Vodjanoj il Terribile. E in effetti padre e figlio in diverse occasioni si
sono trovati a correre grandi rischi: oltre a respingere gli attacchi di
leoni di montagna e orsi, hanno dovuto difendersi dai truplar
e da un kez-pine, esseri mostruosi che mangiano
volentieri gli uomini. In ben due occasioni sono stati attaccati dai trog,
che abitano in altre regioni, ma a volte si spingono nel Grande Nord. Eppure Vareni e Jebesin rimangono volentieri in quelle
terre, per lunghi periodi. E quando sono soli nel Nord, Jebesin è sempre
molto più sereno di quando è al villaggio. O almeno lo è sempre stato fino
all’autunno in cui ha compiuto sedici anni. Durante le cacce
d’autunno Vareni ha modo di notare che il figlio appare spesso teso. Non
chiede spiegazioni, perché non vuole essere invadente. Come tutti i maschi
della tribù ritiene che i giovani debbano imparare ad affrontare e risolvere
i loro problemi da soli. Se Jebesin gli chiedesse un aiuto, un consiglio,
certamente farebbe tutto il possibile, ma poiché il figlio non richiede il
suo intervento, tace. Un giorno in riva al Fiume dei Ghiacci, mentre si
riposano sulla riva dopo essersi bagnati, dalle acque emerge la figura di un
uomo barbuto. È molto vicino e sotto l’acqua si può vedere il suo corpo di
tritone. Vareni si sente gelare: il tritone è Vodjanoj, il
Signore del fiume, che a volte trascina nelle acque coloro a cui appare.
Vareni non ha certo paura di morire, ma l’idea che Vodjanoj possa affogare
Jebesin lo angoscia. Il Signore del fiume però li guarda entrambi, sorride
e, senza dire nulla, si immerge nuovamente. Jebesin chiede: - Era il Signore del fiume, vero? - Sì, era Vodjanoj. - Perché non ci ha trascinato in acqua, affogandoci? - Non te lo so dire. Anche mio padre l’aveva
incontrato, me lo raccontò. E Vodjanoj non aveva cercato di afferrarlo. - So che ha ucciso diversi uomini trascinandoli nelle
acque. Nessuno può resistergli. - È vero, ma dicono che chi non si è macchiato di
gravi colpe non ha niente da temere. Appare solo a chi deve essere punito con
la morte. - A noi è apparso e non ci ha trascinato a morire. - No. Evidentemente ritiene che non meritiamo la
morte. Meglio così. - È vero che fuori dall’acqua è un uomo… come noi,
voglio dire? - Sì. Dicono che quando esce dall’acqua la parte
inferiore del corpo diventa quella di un uomo. Vareni ride e aggiunge: - Con un cazzo da cavallo. Jebesin scuote la testa, sorridendo. - E questo come lo sai? - Capita che qualcuno lo veda in lontananza. Jebesin non sembra convinto. Padre e figlio si bagnano spesso insieme. Ogni volta
che osserva Jebesin, il cui corpo già incomincia a coprirsi della peluria
nera tipica dei figli di Lilith, Vareni si stupisce di quanto poco gli
assomigli. Jebesin diventerà presto un forte guerriero, uno di quelli il cui
corpo accende i desideri di Vareni. Quando ormai l’autunno cede il passo all’inverno, per
Vareni e Jebesin è ora di rientrare al villaggio. Sulla via del ritorno si
fermano a una delle fonti di acqua calda ai piedi della Montagna del Fuoco,
un antico vulcano spento. Ci sono diverse sorgenti, che spesso formano pozze
d’acqua, a temperatura molto variabile: in alcune è impossibile bagnarsi,
perché ci si scotterebbe, mentre altre sono quasi fredde. Vareni ha scelto una fonte in cui l’acqua è
piacevolmente tiepida. Si spogliano e si immergono, uno di fianco all’altro.
Si sta benissimo in acqua. Vareni pensa al villaggio. È contento di
rientrare: sta benissimo nelle terre del Nord, ma dopo diversi mesi di
lontananza gli fa piacere ritrovare gli amici. Il pensiero va a Lidupe, un guerriero che ha pochi anni in meno di lui e
con cui scopa spesso: non sono legati da affetto, ma da una solida amicizia
virile e si dedicano volentieri ai giochi del sesso. L’immagine di Lidupe provoca un effetto immediato: l’uccello gli si
tende. Non è strano, dopo mesi di astinenza, in cui solo qualche sogno ha
permesso di ridurre la tensione. Vareni non se ne preoccupa: come gran parte
degli uomini delle tribù, non ha nessun senso del pudore e Jebesin lo ha
visto più volte scopare. Anche Jebesin ha un’erezione. Vareni sorride e dice: - Abbiamo tutti e due bisogno di scopare. Tra due
giorni siamo al villaggio. Vedrò di recuperare il tempo perso. Ho bisogno di
un po’ di giochi autunnali. Vareni sta per aggiungere che anche Jebesin potrà
darsi da fare, ma il sesso è un argomento su cui il figlio si mostra molto
reticente, per cui preferisce non dire nulla. Jebesin sembra essersi teso e
Vareni si dice che avrebbe fatto meglio a tacere. Escono e si rivestono. Al momento di ripartire,
Jebesin dice: - Io non vengo. Vareni lo guarda, stupito. Attende una spiegazione,
che non viene. - Che cosa intendi fare? - Rimarrò qui, in queste terre. - D’inverno? - Sono in grado di cavarmela. - Ma… perché, Jebesin? Jebesin alza le spalle. Vareni lo guarda. Non vuole forzare il figlio, ma
vorrebbe almeno capire i motivi di una decisione che gli sembra assurda: la
vita in queste terre in inverno è molto difficile, anche per un cacciatore
esperto come Jebesin. Perché suo figlio vuole tagliare i ponti con il mondo? - Quanto conti di fermarti, Jebesin? Jebesin alza di nuovo le spalle. - Rimango qui. Vareni abbassa il capo. Poi lo rialza e fissa il
figlio negli occhi. Jebesin sostiene il suo sguardo. Gli sembra che suo
figlio ce l’abbia con lui. Chiede: - Ho fatto qualche cosa che non va, Jebesin? - No, nulla. Ci separiamo qui. Addio, padre. E senza dare a Vareni il tempo di replicare, Jebesin
si volta e si allontana. Non l’ha neanche abbracciato. Vareni lo segue con lo sguardo finché non lo vede scomparire
tra gli alberi. Solo allora si avvia. Gli sembra di portare un peso enorme
sulle spalle. Non capisce i motivi per cui Jebesin se n’è andato. Il brusco
congedo gli conferma l’impressione che il figlio sia irritato con lui, ma non
sa trovare un motivo convincente. Per tutto l’inverno Vareni spera che il figlio
ritorni, ma i mesi passano senza che accada nulla. A primavera Vareni avvisa
il fratello che non sarà al villaggio e che perciò è meglio che Kralj non
venga, poi si mette in viaggio per le terre del Nord. Vi trascorre tutta la
primavera e l’estate, spostandosi da un luogo all’altro, senza mai incontrare
Jebesin. Si chiede se il figlio è ancora vivo. Un giorno però incontra un guerriero della tribù della
Lontra. L’uomo ha trascorso buona parte dell’estate nelle regioni più
settentrionali e nelle sue peregrinazioni ha incontrato un giovane. Vareni
descrive il figlio e il guerriero gli dice che la descrizione corrisponde
perfettamente al giovane che ha visto due mesi prima. È una debole traccia, che
rende un minimo di speranza a Vareni. Quando giunge l’autunno, Vareni passa più volte nei
luoghi che ha frequentato negli anni precedenti con Jebesin. Infine, al
secondo plenilunio d’autunno, decide di dirigersi ancora più a Nord. Arriva al fondo di una valle dove un sentiero tortuoso
si arrampica su una parete. Lo prende e sale, fino a raggiungere un colle. Di
lì la vista si apre su una valle con otto laghi: sette, di forma allungata e
di colori diversi, disposti a raggiera intorno al lago centrale, di forma
circolare. È la Terra degli Otto Laghi, di cui ha spesso sentito parlare,
dove anche suo padre giunse un giorno. Gli umani la evitano, perché pochi di
coloro che vi giungono fanno ritorno alle loro terre. Vareni scende lungo il sentiero. Attraversa un bosco
di borobieli, ai cui piedi ci sono gli scheletri di coloro che sono morti di
fame e di sete perché il profumo inebriante dei fiori ha impedito loro di
allontanarsi. Ci sono diversi scheletri di animali, ma c’è anche uno
scheletro umano e Vareni pensa che potrebbe essere quello di Jebesin. Il
pensiero lo fa rabbrividire. Poco prima di raggiungere i laghi, il sentiero si
biforca: è possibile andare a destra o a sinistra, costeggiando l’estremità
esterna dei sette laghi. Vareni prende a destra e si avvia lungo il sentiero.
A tratti altri sentieri si dipartono da quello che sta percorrendo. Portano
tutti al lago centrale, costeggiando ognuno uno dei laghi. Dopo aver percorso
un buon tratto, si dice che non ha molto senso fare il giro completo e
tornare al punto di partenza, per cui prende un sentiero che costeggia il
Lago Arancione. Si ferma su una roccia sulla riva. Sa che qui Musum il Grande, suo antenato, incontrò un
uomo che gli rivelò il suo futuro. Qui venne anche suo padre. Ora è il suo
turno. Che cosa ha in serbo per lui il destino? Lo scoprirà qui? Poco gli
importa del futuro. Ciò che gli preme scoprire è altro: che ne è di Jebesin? Il sole sta scomparendo oltre le montagne e i laghi
sembrano incendiarsi, ma ognuno conserva il suo colore, esaltato dalla luce
del tramonto. Vareni guarda la superficie dell’acqua, su cui si
allunga la sua ombra. Improvvisamente un’altra ombra compare accanto alla
sua. Vareni scatta in piedi e si volta. - Padre! L’uomo che ha di fronte è Mjesecev, suo padre. Non
appare com’era negli ultimi anni di vita, ma più giovane: la barba, i capelli
e tutto il pelame sono grigi, non bianchi, e sul viso non sono molte le
rughe. Sul corpo ci sono le cicatrici delle battaglia combattute. - Sono io, Vareni. - Come è possibile? Non sei morto? - Alla vita che tu conduci, sì. Ma continuo a vivere.
Nella nostra stirpe alcuni hanno questo destino. - Sei diventato immortale? - No, ma non so dirti quanto durerà questa esistenza.
So che un giorno verrà il Grande Cacciatore e noi tutti saremo le sue prede. C’è un momento di silenzio, poi Vareni dice: - Tu sai che cosa mi preme, l’unica cosa che davvero
mi importa. Tu puoi darmi una risposta? - No, non posso. Non so che ne è di lui. È giunto qui
e si è immerso in questo lago, questo posso dirtelo. Ma non so che cosa ha
fatto dopo, dov’è ora. Forse lo scoprirai in fondo a questo lago a cui ti ha
condotto il destino, forse no. Se ti immergerai, accetterai il tuo destino,
come feci io, come ha fatto Jebesin e come fecero altri della nostra stirpe. Vareni annuisce. - Lo farò. Padre… ci rivedremo? - Non te lo so dire. Spero di sì. Qui ho incontrato
mio nonno Musum e nelle terre più a nord vive Djed, fratello di mio padre. Ma
non so leggere il futuro. Perciò non so se dirti addio o arrivederci. Mjesecev abbraccia Vareni, poi si stacca e scompare,
come se si dissolvesse nell’aria. Vareni non esita: se Jebesin si è immerso nelle acque
del lago, forse là c’è qualche traccia di lui. Si spoglia e si tuffa subito
nelle acque arancioni. Scende in profondità. Si accorge che può respirare,
anche se è immerso nell’acqua. Giunto al fondo del lago si ferma, guardandosi
attorno. Gli appare un uomo, un magnifico maschio, nudo. È Jebesin, su questo
non ci sono dubbi. Uno Jebesin con diversi anni in più: lo si direbbe trentenne.
Vareni gli si avvicina, ma Jebesin sembra non vederlo. Che cosa significa?
Vareni tende un braccio, ma non riesce a raggiungere Jebesin, come se tra di
loro ci fosse un muro trasparente. L’immagine di Jebesin scompare. Dopo un
momento Vareni risale e infine riemerge. Jebesin deve essere vivo, perché nel lago lo ha visto
cambiato rispetto a quando lo ha lasciato. Ma ciò che ha visto non può essere
l’immagine di Jebesin ora, perché il figlio è molto più giovane. Che Jebesin
sia vivo, è ciò che gli importa più di tutto. Ma vorrebbe sapere dov’è, che
cosa fa. Vorrebbe ritrovarlo. Vareni lascia la Terra degli Otto Laghi e si dirige a
sud. Vaga a lungo e quando giunge l’inverno non rientra al villaggio: rimane nelle
terre dove ha lasciato Jebesin e dove spera ancora di incontrarlo. È dura la vita nel Grande Nord quando l’inverno copre
la terra di un manto di neve: il cibo è scarso, gli animali e diversi degli
esseri che popolano queste terre diventano più aggressivi, spinti dalla fame.
Ma Vareni continua a girare, cercando di trovare qualche traccia di Jebesin. Solo quando giunge la primavera Vareni ritorna al
villaggio. Vi ritrova Kralj, che non è venuto l’anno precedente, perché
Vareni era assente, ma che non voleva stare lontano dalle terre del Nord per
due anni consecutivi. Kralj è appena giunto. - Sono contento di vederti, Kralj. - Anch’io, zio. So che sei rimasto lontano per un anno
e alcuni pensavano che tu potessi essere morto, anche se ogni tanto qualcuno
diceva di averti incontrato. - No. Come vedi sono vivo. Cercavo Jebesin. - Hai saputo qualche cosa? - No. Solo che… che è stato alla Terra degli Otto
Laghi. Ma null’altro. Vareni rimane un mese al villaggio, poi si rende conto
che non è più in grado di reggere. Ha bisogno di sapere che ne è di Jebesin e
c’è un solo luogo dove può ottenere una risposta: l’antro di Okrutan, posto ai confini di Sjevekral, ma al di fuori
del territorio del regno. Dopo quasi vent’anni di assenza, Vareni ritorna nel
regno di cui è principe e Kralj lo accompagna, anche se si sarebbe fermato
volentieri ancora a lungo presso la tribù. Si dirige alla capitale, da cui deve passare, e si
presenta alla reggia: l’ultima volta vi è stato quando Jebesin aveva un anno,
perché voleva che suo padre lo vedesse. Suo fratello Osmikr è contento di vederlo, dopo tanti
anni: gli è ancora affezionato, anche se da quando Osmikr è re si sono visti
solo due volte, ai confini settentrionali del regno. Kralj però, soggiornando
ogni anno dallo zio, è stato un legame tra di loro. Dopo che hanno parlato a lungo di tutto ciò che è
successo negli anni in cui non si sono più visti, Vareni racconta della
scomparsa del figlio ed espone le sue intenzioni. Osmikr appare alquanto preoccupato: - L’Antro di Okrutan? È un
luogo molto pericoloso. Molti di quelli che vi si recano non fanno ritorno. - Lo so, Osmikr. Ma non posso vivere senza sapere. - Ti capisco. Credo che impazzirei se Kralj
scomparisse. Ogni volta che parte per il Nord mi preoccupo. - Kralj è forte e nessuno riesce a batterlo, neppure
Jebesin, neppure io che ho molta più esperienza. - Lo so. Due anni fa ho dovuto far venire maestri d’armi dal regno di Spadkral, perché ormai era in grado di battere i migliori
guerrieri. Osmikr sorride e scuote la
testa: - È servito a poco:
batteva anche loro. Poi Osmikr si rabbuia. - Ma i pericoli di quelle terre sono molti. Kralj è il mio unico figlio maschio. È
l’erede al trono di Sjevekral. Dovrebbe vivere a corte. So che qui è un leone
in gabbia, eppure questo è il suo destino. - Tuo figlio è un uomo
vigoroso e senza paura, che ama cavalcare, combattere e cacciare. Tra qualche
anno, quando non sarà più così giovane, si adatterà a vivere nella capitale. - Tu dici? Tu non ti sei
mai adattato. - Io non ero l’erede.
Kralj ha un fortissimo senso del dovere e farà ciò che deve. È un figlio di
cui puoi essere orgoglioso, Osmikr. - Sì, questo è vero. Si
adatterà a vivere qui, ma ne soffrirà e questo mi spiace. C’è un momento di
silenzio, in cui ognuno dei due pensa al proprio figlio, poi Osmikr dice: - Conosci tutte le regole da seguire nell’Antro? So
che ci sono norme precise su come comportarsi e chi non le rispetta non fa
più ritorno. Dicono che i cadaveri di coloro che hanno infranto le regole dell’Antro
penzolino dai rami del grande albero posto sopra l’ingresso. - Sì, mi sono informato. Non commetterò errori. - Tieni conto che ciò che vedrai e sentirai può
ingannarti. - Sì, l’ho sentito dire. Ma è l’unica via che mi
rimane. Non posso continuare così. Osmikr annuisce. Pensa che anche lui farebbe come il
fratello, se fosse al suo posto. Per sicurezza, fa cercare qualcuno che sia
in grado di dare a Vareni tutte le informazioni necessarie. Dopo alcuni giorni di viaggio, Vareni raggiunge la
collina su cui si trova l’Antro. Vi arriva in una notte di luna piena:
nell’Antro si entra solo con il buio. Lascia il cavallo ai piedi del rilievo
e sale verso la cima, su cui si staglia il grande albero. Man mano che si
avvicina, può distinguere meglio l’intrico di fronde e i cadaveri, che paiono
grandi frutti appesi ai rami. Vareni non ha paura: gli sembra che da tempo la
sua vita abbia perso ogni senso e la morte gli appare come una liberazione. I
corpi sono numerosi e l’odore di decomposizione ammorba l’aria. Vareni giunge infine nei pressi dell’albero e guarda
l’apertura oscura in cui dovrà infilarsi. Nonostante sia coraggioso e non
tema di morire, sente un brivido corrergli lungo la schiena. Vareni si spoglia completamente, perché nell’Antro si
entra solo nudi, senza neppure un ornamento: se fosse re della sua tribù, non
potrebbe entrare, perché il re non può togliersi i due monili che porta al
collo e al braccio. Lancia ancora un’occhiata ai cadaveri che penzolano
inerti, poi si avvia. Dall’Antro esce un’aria fredda e all’interno Vareni
viene avvolto da una sensazione di gelo. Procede con cautela, perché non può
vedere nulla. Tiene una mano sulla parete e avanza piano il piede, perché sa
che a un certo punto il corridoio si interrompe e si apre un baratro. Giunge
infine sull’orlo: non può più procedere. Rimane fermo, in attesa. Una debole luce appare davanti a lui e Vareni può
vedere una fitta nebbia, che non lascia scorgere nient’altro. La nebbia
fluttua e a tratti si incomincia a scorgere qualche cosa. Sono due pali, in
cima ai quali ci sono due teste. Vareni sente che il cuore batte
freneticamente. La nebbia si disperde a sufficienza per vedere. Una testa è
quella di Vareni stesso, l’altra è di certo quella di Jebesin, uno Jebesin
con diversi anni in più di quando si sono separati, come l’immagine che ha
visto in fondo al lago. Le teste sono state recise con un colpo netto. Dietro
le teste la nebbia nasconde il paesaggio. Un corvo scende e si posa sulla
testa di Vareni. Si protende in avanti e infila il becco in un occhio.
L’immagine scompare. Vareni vacilla. Vorrebbe lasciarsi cadere nell’abisso
che ha davanti. Non gli importa di morire, ma Jebesin! Jebesin è destinato a
morire tra pochi anni? La sua testa poteva essere quella di un uomo di
trent’anni, ma Vareni era uguale a ora, forse solo con qualche filo bianco in
più nella barba e nei capelli. La voce lo fa sussultare: - Che cosa vuoi sapere, Vareni? Può parlare, chiedere! - Ritroverò Jebesin, prima di morire? L’immagine che compare è poco luminosa. Ci sono due
corpi avvinghiati, due corpi maschili, impegnati nei giochi del piacere: un
uomo ne penetra un altro. I capelli rossi dell’uomo che sta sopra e quelli
neri dell’altro suggeriscono a Vareni ciò che poco dopo si vede chiaramente,
quando i due uomini appaiono di fronte: è Vareni a possedere Jebesin. Sono in
un locale buio, con pareti di pietra. Su un muro pende una catena. Potrebbe
essere una cella? E poi l’immagine scompare e si riforma. È sempre la
stessa cella. Sono ancora Vareni e Jebesin che hanno un rapporto, ma le mani
di Vareni si stringono intorno al collo di Jebesin, il cui viso si arrossa.
Il giovane cerca di allentare la stretta, ma non riesce. Vareni lo vede
cedere e rimanere inerte. Si guarda ancora mentre afferra la fronte del
figlio e tira violentemente indietro la testa, per spezzare le vertebre del
collo. Poi tutto scompare, il gelo lascia il posto a un
calore intollerabile e un vento violento spinge indietro Vareni, che non può
resistere: può solo cercare di non cadere, mentre il vento lo trascina verso
l’imboccatura della galleria. Vareni si ritrova fuori. Non si riveste. Afferra gli
abiti e scende di corsa, fino a che inciampa e cade. Allora rimane disteso a
terra, incapace di alzarsi. Chiude gli occhi. Lascia che le immagini riaffiorino. La visione lo ha costretto a prendere coscienza di
quanto in fondo già sapeva, ma non aveva mai osato dirsi: il legame che lo
unisce a Jebesin non è solo quello tra padre e figlio. Desidera Jebesin. Che cosa sono le immagini che ha visto? Ciò che succederà
o ciò che potrebbe succedere? Vareni vorrebbe davvero poter possedere
Jebesin, anche se non è usuale che i padri abbiano rapporti sessuali con i
figli. Ma non vuole che muoia e di certo non vuole ucciderlo. C’è qualche
legame tra le tre scene che ha visto? Sono tre momenti diversi di un unico
futuro o sono tre possibilità? Pensa alle due teste tagliate. Non c’era nessun
elemento che permettesse di situarle. Tra le tribù del Nord, i nemici uccisi
in battaglia vengono decapitati e le loro teste infilate su pali. Sarà questa
la sua sorte e quella di Jebesin? Essere uccisi da un forte guerriero è il
modo migliore di morire. Ma anche nei sette regni le teste di uomini
giustiziati possono essere esposte, come monito: saranno decapitati perché
accusati di qualche crimine? E lo strangolamento? Vareni non potrebbe certo
uccidere il figlio, piuttosto si lascerebbe uccidere. Eppure nell’immagine
sembrava stringere con tutte le sue forze. Vareni non vuole che Jebesin muoia prima del tempo.
Non lo cercherà più. Cercherà invece di morire, sperando che in questo modo
Jebesin sfugga a una morte precoce. Vareni ripassa dal fratello, gli dice che non ha
ottenuto nessuna informazione che gli permetta di ritrovare il figlio, anche se
ha avuto la conferma che è ancora vivo: una verità parziale, ma non se la
sente di raccontare tutto ciò che ha visto. Si ferma solo due giorni alla
reggia, poi torna nei territori del Nord. Negli anni successivi partecipa a tutte le azioni
pericolose che vengono intraprese. Con gli uomini della sua tribù affronta un gruppo di
banditi che da tempo fa incursioni nei territori del Nord, depredando i
mercanti che si procurano gli smeraldi di Smarag. In uno scontro frontale, in
cui i briganti sono molto più numerosi, riesce a uccidere ben otto guerrieri.
Viene ferito, più volte, e, dopo aver abbattuto il capo dei banditi ed essere
stato colpito al petto, crolla a terra, agonizzante. I suoi compagni, dopo
aver ucciso gli ultimi banditi, lo raccolgono e lo curano, anche se sembra
destinato a morire. Nonostante le ferite, Vareni sopravvive. Al ritorno da questa spedizione, affronta i trog che
sono entrati nel territorio delle tribù. Ne fa strage e il suo ardore nel
combattimento è tale che i trog fuggono, terrorizzati. Anche in questa
occasione Vareni viene ferito, al braccio sinistro e al fianco, ma non muore. Qualche tempo dopo si unisce a una spedizione di
esplorazione delle terre orientali: un’impresa temeraria, a cui aderisce solo
perché spera di trovarvi la morte. Qui si trova ad affrontare un drago che
uccide sette dei suoi compagni, ma Vareni riesce ad abbatterlo: è la prima
volta che un guerriero delle tribù del Nord uccide un drago. Spingendosi a occidente, in una spedizione che dura
due anni, Vareni e gli uomini che lo accompagnano si trovano ad affrontare
due giganti, che da tempo fanno strage di uomini nella regione. Vareni li
abbatte entrambi, riportando diverse ferite. I suoi compagni sono sicuri che
morirà, ma anche questa volta Vareni sopravvive. Il suo coraggio gli procura una grande fama tra gli
uomini del Nord. In suo onore si compongono canzoni e il suo nome è noto a
tutti gli uomini che abitano le terre delle tribù e i Sette Regni. Molti si
rivolgono a lui per imprese disperate. Vareni non si sottrae mai, se la
richiesta non va contro i suoi principi. È la morte a sottrarsi, a non
volerne sapere di lui. Gli capita talvolta di sentire che qualcuno ha visto o
almeno crede di aver visto Jebesin. Pare che si sia spinto nel regno di Brujekral e in quello di Istokrali,
dove ha combattuto con i guerrieri liberi. Indaga su queste voci e le
testimonianze che raccoglie recandosi nei regni vicini le confermano. Ma
risulta che Jebesin sia poi ritornato nelle terre del Nord. Vareni cerca di capire dove si trova il figlio, ma non
lo cerca più: non vuole provocarne la morte. Si impegna in imprese sempre più
rischiose, ma ogni volta ne esce vivo. Il suo corpo è coperto di cicatrici e
nessun uomo gode di una fama così grande. Questo non gli dà gioia. Dentro di
sé sente crescere una cupa disperazione e a tratti pensa di darsi la morte,
ma qualche cosa lo trattiene. L’unica sua consolazione è il nipote Kralj, che, dopo
un periodo in cui non ha potuto raggiungere le terre del Nord, ogni anno
passa a trovarlo e caccia con lui. Nel giovane Vareni rivede Jebesin e sente
che il nipote gli è affezionato. |
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