I due re

 

13

 

Niedzj e Wilk si svegliano. Una fitta nebbia li avvolge e la luce del giorno filtra appena attraverso un muro grigio. Fanno fatica a vedersi. Parlano insieme:

- Wilk, sei vivo!

- Niedzj! Ma… ricordo il dolore al collo. Mi hanno decapitato.

- Sì. Siamo morti. Ho visto la tua testa tagliata rotolare a terra, Wilk. E poi ho sentito la lama calare sul mio collo.

- Questo allora è il mondo dei morti.

- Forse. I nostri corpi… non siamo più legati. E le nostre teste sono al loro posto.

I gemelli si alzano. Si guardano intorno, ma possono appena intravedere le sagome degli alberi intorno a loro.

- Che cosa… cerchiamo di capire…

Wilk si interrompe. Una figura molto alta è comparsa nella nebbia, un uomo che supera persino Niedzj.

Istintivamente Wilk porta la sua mano alla spada, ma non ha né armi, né abiti.

- Chi sei?

- Sono Vukmedje. Non mi conoscete, ma sono uno dei vostri due padri.

Wilk e Niedzj si guardano, confusi. Le loro voci si sovrappongono:

- Sei tu che hai ucciso Lahrab?

- Due padri… ma… nessuno ha due padri.

Vukmedje annuisce e dice:

- Avete diritto a una spiegazione. Sono qui anche per questo.

- Grazie. Vorremmo capire… ma… siamo nel mondo dei morti, vero?

- No. Siete nel luogo dove sono stati portati i vostri cadaveri. Siete tornati in vita, perché avete tre vite.

- Tre vite?

- Questa poi!

- Ma come mai?

Vukmedje sorride.

- Sedetevi e vi racconterò tutto. Poi mi porrete le domande che volete.

I gemelli annuiscono. Si siedono tutti e tre sull’erba.

- Il mio nome è Vukmedje. Posso assumere la forma di un uomo, di un lupo o di un orso. Passo parte del mio tempo in queste terre e qui conobbi un cacciatore forte e coraggioso, un uomo giusto e generoso: Kralj, figlio di Osmikr. Lui è l’altro vostro padre. Egli…

Niedzj interrompe:

- Ma come un uomo può avere due padri?

Wilk si rivolge al fratello:

- Niedzj, non dire nulla. Chiederemo dopo.

- Scusatemi.

Vukmedje riprende:

- Era scritto nel nostro destino che ci amassimo, come nessuno dei due aveva mai amato. Io mi diedi a lui e lui a me. Sapevo che sarebbe stato ucciso, ma non potevo impedirlo. Quando il fratello degli assassini, Lahrab, venne a cacciare in queste terre, per dimostrare che non era meno coraggioso di Kralj, lo stuprai, in questa stessa radura dove sono stati portati i vostri corpi. In me avevo il mio seme e quello di Kralj. Lo stupro accese il desiderio di Lahrab, che prese vostra madre, versando in lei non il suo seme, che io avevo inaridito, ma il mio e quello di Kralj.

Niedzj apre la bocca, ma la richiude senza dire nulla.

- In voi i nostri semi si sono mescolati. Tu, Wilk, sei più simile a Kralj, che è il tuo primo padre, e tu, Niedzj, a me, per cui sono io il tuo primo padre. I vostri semi si mescoleranno presto nel grembo di una donna che partorirà i vostri figli. Ma questo è il futuro e voi volete conoscere il passato.

Vukmedje sorride, poi riprende:

- Avete tre vite perché questo è il destino dei figli generati da me. Siete cresciuti in fretta, molto più in fretta di quanto accade tra i figli di Eva, perché il vostro tempo è breve. Avete tre vite. La vostra ultima morte vi coglierà in momenti diversi, ma per entrambi prima che abbiate trent’anni.

Vukmedje si interrompe. C’è un momento di silenzio.

- Avete domande su questo?

I gemelli tacciono. Poi Wilk osserva:

- Il nostro destino sembra essere già tracciato.

- Lo è, lo avete fatto vostro alla Terra degli Otto Laghi, immergendovi nel Lago Blu. Potete ancora decidere di rifiutarlo, andandovene in uno degli altri regni. Lì vivreste liberamente, per un tempo che non conosco. Ma voi desiderate vendicare la vostra famiglia, sterminata da Lazan, e voi stessi.

- Questo è vero.

- E allora assumerete su di voi il vostro destino.

C’è nuovamente un momento di silenzio, più lungo, poi Wilk chiede:

- Che cosa dobbiamo fare?

- Se vi dirigete verso le montagne a Settentrione, incontrerete gli uomini di due tribù alleate, quelle degli Orsi e dei Lupi. Entrambe mi considerano uno spirito protettore. Molti guerrieri di Sjevekral, fedeli alla vostra stirpe, si sono uniti a queste tribù. Avete già conosciuto Iskhrab. Lì vivrete e presto giungerà il momento della vendetta, ma non regnerete su Sjevekral: sarà uno dei vostri figli a regnare.

Wilk guarda il fratello.

- A te va bene, Niedzj?

- Ho visto il boia ucciderti per ordine di quel cane rognoso, mentre eri legato. Nostro padre è stato ucciso a tradimento. Il regno soffre sotto un infame tiranno, senza onore e senza lealtà. Dovrei dimenticare tutto questo e andarmene?

Wilk sorride. Sapeva che il fratello avrebbe risposto così.

- La penso anch’io come te, Niedzj. Raggiungeremo le tribù delle montagne, come ci hai indicato di fare, Vukmedje.

Vukmedje annuisce.

- C’è una cosa che non vi ho ancora detto. So che per entrambi sarà molto doloroso, ma vi separerete.

- Cosa?!

Niedzj è impallidito. Wilk china il capo.

- Questo è il prezzo da pagare per uccidere l’usurpatore. Vi ritroverete, più volte, ma non vivrete più insieme, se non per brevi momenti.

Wilk guarda Vukmedje.

- Amaro è il destino che ci attende, perché ci priva di ciò che dà un senso alla nostra vita.

- Nella morte vi ritroverete uniti. Anche se… no, non ora. È troppo presto per dirvi altro. Allora, accettate il destino che vi è stato assegnato?

I gemelli si guardano. Ognuno dei due legge negli occhi dell’altro lo stesso sconforto. A Wilk pare che negli occhi di Niedzj ci siano lacrime.

- Ci inchiniamo al nostro destino. La morte sarà ben accetta, se ci riunirà.

Niedzj annuisce, in silenzio.

Vukmedje si rivolge a Wilk:

- Ora, Wilk, tu andrai. Niedzj rimarrà ancora con me. Non tornare indietro e non ti voltare, Wilk. Anche se non vivrete uno accanto all’altro, vi ritroverete più volte.

Wilk si alza, imitato da Vukmedje, che dice ancora:

- Prima però devo lasciarti il segno che ti permetterà di entrare nella tribù.

Il movimento di Vukmedje è rapidissimo: i gemelli vedono appena la sua testa, che ora è quella di un lupo, calare sulla spalla di Wilk, che sente una fitta acuta. Vukmedje si raddrizza, la sua testa è già di nuovo quella di un uomo. Dalla spalla sinistra di Wilk il sangue cola in abbondanza: ci sono i segni dei denti di un lupo. Il sangue smette di colare, la ferita si richiude. Rimane una cicatrice con la forma, inconfondibile, della ferita lasciata dalle zanne di un lupo e il sangue sulla spalla e sul braccio. Ora Wilk ha a destra il segno della zampa del lupo e a sinistra la cicatrice.

- Non ti lavare fino a che non sarai stato accolto nella tribù: saranno loro a pulirti dal sangue, secondo i rituali. E ora vai.

Wilk annuisce. È confuso e separarsi da Niedzj gli pesa moltissimo. Ma sa che deve obbedire.

- Addio.

- Arrivederci. Ci ritroveremo.

Wilk si allontana. Man mano che procede, la nebbia si dirada e presto scompare. Wilk alza gli occhi. Il sole è a Oriente: è ancora mattino. Dev’essere il giorno successivo a quello in cui sono stati uccisi. O forse sono rimasti morti più giorni? Wilk non può saperlo e non ha importanza. Si dirige verso i monti che sorgono a Settentrione. Non avere Niedzj al suo fianco è fonte di angoscia, ma Vukmedje ha detto che si ritroveranno.

 

Niedzj è rimasto con Vukmedje. Vedere allontanarsi Wilk, sapere che non vivranno più fianco a fianco, è straziante: non è abituato a rimanere separato dal fratello, neppure per un breve periodo. Si rivolge al padre:

- Perché mi hai trattenuto?

- Perché se ve ne foste andati insieme, non vi sareste separati.

- È forse male il legame che ci unisce?

- No, non lo è. Ma è necessario che vi separiate.

Niedzj annuisce. Sa che Vukmedje ha ragione: se loro due se ne fossero andati insieme, non avrebbe mai avuto il coraggio di allontanarsi da Wilk.

Vukmedje riprende:

- Devo porti una domanda.

- Dimmi.

- Uno di voi due soffrirà molto più dell’altro. Chi deve essere?

Niedzj risponde senza esitare:

- Io.

- Sarà lunga e grande la tua sofferenza, Niedzj.

Niedzj sorride, un sorriso triste, spento.

- Soffro già ora. E anche Wilk soffre.

- La tua parte di sofferenza sarà maggiore, come hai scelto, ma non posso dirti altro. È ora che tu vada, figlio.

Niedzj si alza.

- Un’ultima cosa.

Il braccio che si muove rapido è una zampa d’orso, che lacera la pelle della spalla destra di Niedzj. Il sangue cola, ma la ferita si richiude in fretta, lasciando solo una cicatrice che ha la forma dell’artiglio di un orso.

- Vale quanto ho detto a Wilk: non ti lavare prima di aver raggiunto una delle tribù.

Vukmedje sorride, un sorriso dolce. Il suo corpo sembra diventare trasparente e infine scompare. Quando Niedzj si mette in cammino, in lontananza vede un orso.

Non sa dove sta andando. Si avvia verso nord.

 

Wilk ha trovato un sentiero che si dirige verso le montagne. Si chiede se è il destino che ha accettato a proporgli quella traccia. Forse è così, forse no, ma in ogni caso per lui una strada vale un’altra, purché porti verso il Nord. Segue il sentiero, che procede attraverso la foresta. Gli alberi sembrano diventare sempre più fitti e il sentiero sempre più stretto. A tratti Wilk deve chinarsi per passare sotto i rami. I raggi del sole filtrano appena tra l’intrico delle fronde, diffondendo una luce verdastra. 

Procede a lungo, cercando di concentrarsi sulla traccia che segue e di non pensare al fratello. Nota intorno a sé alberi che non conosce, diversi da quelli dei boschi intorno alla capitale.

Il sentiero ora sembra salire. La pendenza prima è leggera, poi diventa progressivamente più ripida. Gli alberi si diradano e le loro chiome sono molto meno fitte. Le foglie hanno già i colori dell’autunno e a tratti tra i tronchi Wilk può scorgere in lontananza le cime innevate.

Ora Wilk passa di fianco a un laghetto in una conca e poi attraversa un’ampia radura. Qui il sentiero sembra perdersi, ma compaiono due uomini, armati di spada e di lancia. Wilk si dirige verso di loro.

I due guerrieri lo guardano, poi uno sembra sussultare leggermente, mentre fissa la cicatrice alla spalla.

- Chi sei, straniero, che ti aggiri nudo in queste terre, con il segno del Grande Lupo sulla spalla?

- Il mio nome è Wilk.

I due uomini si guardano un momento. Poi uno dei due dice:

- Attendevamo la tua venuta, Wilk. Vieni con noi.

I guerrieri si avviano, prendendo un sentiero che taglia la montagna in quota fino a raggiungere una valle. Qui il sentiero scende e oltre una sporgenza rocciosa appare un grande villaggio, formato da molte abitazioni di legno.

L’arrivo di Wilk suscita grande curiosità: la cicatrice, il sangue e il segno a forma di zampa di lupo vengono osservati da tutti i presenti.

I due guerrieri accompagnano Wilk fino a una casa di legno. Di fronte all’abitazione ci sono diversi pali, molti dei quali hanno infissi crani umani. A un’estremità c’è un cranio di lupo.

Al loro arrivo un uomo esce dalla casa. I capelli e la barba sono grigi e intorno agli occhi ci sono le rughe, ma il suo corpo, coperto da una pelle di lupo, trasmette un’impressione di grande vigore. Wilk può vedergli sulle braccia le cicatrici di numerose ferite. Una corre anche sul viso, dall’occhio destro alla bocca. Intorno al collo ha un monile d’oro, che termina con due teste di lupo, e al braccio un altro monile, con la testa di lupo.

L’uomo guarda Wilk e sorride. Prima che Wilk abbia potuto dire alcunché, gli parla:

- Ti attendevo Wilk. Sapevamo che saresti giunto. Il Grande lupo ci aveva predetto il tuo arrivo. Io sono Hrast e regno su questa tribù.

- Io sapevo di dovermi dirigere verso Nord e che avrei incontrato gli uomini di una tribù del Nord. Voi siete…

- Gli uomini del Lupo, su cui tu regnerai.

Wilk è stupefatto.

- Regnare, io? Non conosco queste terre, non ho mai regnato, non sono in grado…

Hrast scuote la testa:

- Sappiamo che ci attende una guerra e a guidare la tribù sarà l’uomo che porta la doppia impronta del Lupo, il nuovo re. Domani ci affronteremo in duello.

- In duello? Ma… perché?

- Nella nostra tribù, come in molte altre, è d’uso che il re quando invecchia sia ucciso da un guerriero più forte, che ne prende il posto. La mia ora è giunta. Da tempo ti attendevo.

- Dovrei ucciderti?

- Dovrai batterti con me, perché questo è il tuo destino. Il più forte ucciderà l’altro.

Wilk è turbato. Non si aspettava certo di dover uccidere il re della tribù e prendere il suo posto. Vorrebbe schermirsi, ma intuisce che questo è il suo destino e che non può sottrarsi.

- Oggi starai con noi e incomincerai a conoscerci. Nella notte dormirai da solo in una capanna. Poi, se domani mi sconfiggerai in duello e mi ucciderai, la mia abitazione diventerà la tua.

Hrast indica i crani infilati sui pali.

- Queste erano le teste dei re precedenti. Alcuni pali non hanno teste, perché i re sono morti in battaglia e non è stato possibile recuperare il corpo. Domani la mia testa sarà su un altro palo. Il mio corpo verrà lasciato ai lupi, che se ne ciberanno.

- Parli come se l’esito del duello fosse stato già deciso, ma mi sembri un uomo vigoroso ed esperto.

- Lo sono e mi batterò con tutte le mie forze per ucciderti. Ma il Grande Lupo ha annunciato il tuo arrivo e nessun può sottrarsi al destino che lo attende.

Wilk è turbato, ma sa che la sua strada è stata tracciata e, come dice Hrast, non può sottrarsi.

Hrast aggiunge ancora:

- So che hai incontrato Iskhrab. Ti farà conoscere la nostra tribù.

- Iskhrab è qui?

- Sì, vive con noi da quando l’usurpatore uccise Osmikr.

Hrast ordina a uno degli uomini di chiamare Iskhrab, ma questi sta già arrivando: intorno a Wilk si sono radunati molti degli uomini del villaggio, perché si è diffusa la voce del suo arrivo.

- Wilk, sono contento che tu sia giunto! Ti aspettavamo.

Wilk annuisce.

- Sì, a quanto pare tutti sapevano che sarei arrivato, salvo io.

Iskhrab sorride:

- Il tuo arrivo è stato annunziato.

Hrast interviene:

- Iskhrab, ti affido il nostro ospite. Tocca a te fargli da guida oggi.

Iskhrab dà a Wilk una tunica perché possa coprirsi, ma gli dice che non deve lavare via il sangue che ha sulla spalla: lo faranno i sacerdoti prima del duello. Poi lo accompagna a conoscere il villaggio, gli presenta diverse persone e gli parla di alcuni usi della tribù.

Wilk ascolta e pone domande. Ma il pensiero va spesso al duello che lo attende. Quando hanno concluso la visita, affronta l’argomento:

- Il re mi ha detto che domani ci affronteremo in duello. Dovrei ucciderlo e prendere il suo posto.

- Sì, è così.

- Ma… che senso ha? Non conosco la tribù, non ho nessuna esperienza di governo, non sarei in grado di regnare.

- Wilk, questo è un momento particolare e solo tu puoi guidarci alla vittoria in una battaglia in cui si deciderà il nostro destino. Così è scritto.

- E domani devo affrontare Hrast… non mi fraintendere, non ho paura di morire, ma mi sembra un uomo vigoroso, assai più in grado di me di guidarvi alla vittoria.

- Non è così. Wilk, non puoi sottrarti al tuo destino.

È ciò che ha detto il re, ciò che Wilk stesso si è detto. Wilk china il capo. Poi chiede:

- E devo proprio ucciderlo? Non basta vincerlo?

- No. Devi ucciderlo e decapitarlo. Metterai la sua testa su un palo davanti alla reggia…

Iskhrab si interrompe e ride, poi aggiunge:

- Capisco che chiamare reggia una semplice casa di legno possa apparire assurdo a te, che sei vissuto sempre in una vera reggia, un palazzo sontuoso. Ma quella dimora è la reggia.

- Non sono vissuto bene nella reggia di Sjevredava. Probabilmente questa mi sembrerà più ospitale. Ma, IskhrabHrast mi ha detto che il suo corpo dev’essere lasciato ai lupi.

- Sì, questo è l’uso della tribù per i re.

Wilk annuisce.

 

Wilk mangia con alcuni guerrieri, disposti a cerchio intorno al fuoco. Anche altri mangiano all’aperto presso un fuoco, mentre alcuni si ritirano nelle loro abitazioni. Al termine del pasto Wilk, Iskhrab e altri tre uomini fanno ancora un giro per il villaggio, poi Wilk viene accompagnato nella capanna dove dormirà.

- Domani mattina ti chiameremo e ti porteremo al recinto sacro. Riceverai una spada per affrontare Hrast.

Wilk si corica su una stuoia e si copre. Il pensiero va alla giornata trascorsa, a ciò che lo attende. Ma soprattutto va a Niedzj. È la prima notte della sua vita che trascorre separato da lui e il pensiero è straziante. Wilk pensa che sarebbe meglio che Hrast lo uccidesse, così che lui e Niedzj possano riunirsi nella morte.

Infine Wilk si addormenta. Un sonno profondo cancella il presente. E nei sogni ritrova Niedzj.

 

All’alba Iskhrab e altri due guerrieri vengono a destarlo. Oltre le montagne il cielo si sta schiarendo, ma il villaggio è ancora immerso nell’ombra e una nebbia autunnale lo avvolge. Lo accompagnano a un recinto posto più in alto delle case. Qui una serie di pali appuntiti delimita uno spazio circolare, senza chiuderlo completamente: tra un palo e il successivo c’è uno spazio, che permette a chi è al di fuori del cerchio di vedere chi è all’interno. Accanto c’è una sorgente, la cui acqua viene raccolta in un’ampia vasca. Molti guerrieri si sono radunati vicino al recinto.

Due sacerdoti sono in piedi davanti all’ingresso. Sono nudi e indossano solo alcuni ornamenti d’oro. I loro corpi sono coperti da tatuaggi. Wilk può distinguere teste e corpi di lupi.

- Spogliati e inginocchiati.

Wilk obbedisce. Uno dei sacerdoti raccoglie in una ciotola d’oro l’acqua della sorgente e la versa sulla testa di Wilk, poi sulla spalla sinistra, lavando via il sangue, e infine su quella destra.

- Ora immergiti.

Wilk entra nella vasca.

- Puoi uscire.

Un sacerdote porge a Wilk un telo, con cui il giovane si asciuga. Intanto un servitore ha acceso un fuoco e il sacerdote fa segno a Wilk di sedersi.

Hrast arriva. Anche lui si spoglia e segue lo stesso cerimoniale. Poi si siede accanto al fuoco, di fronte a Wilk.

- Sei pronto, Wilk?

- Lo sono, ma mi pesa pensare che dovrò ucciderti.

Hrast ride.

- Io combatterò per ucciderti e se ci riuscirò, non mi peserà per niente. Perciò combatti, Wilk, perché io non ti risparmierò.

- Va bene.

Entrano nel cerchio. È uno spazio spoglio. Dalla parte opposta alla porta siedono a terra sei uomini, che hanno davanti a sé ognuno un tamburo, di dimensioni diverse.

Due spade vengono portate, due armi identiche, dalla lama affilata.

Uno dei sacerdoti si rivolge a Wilk:

- Scegli la tua arma, a cui affidi la vita.

Wilk si chiede perché facciano scegliere a lui, ma la domanda non è rilevante. Afferra una delle due spade. Hrast prende l’altra. Quando entrambi hanno l’arma, i suonatori incominciano a battere sui tamburi e i due sacerdoti si dispongono sulla soglia. Oltre i pali si dispongono i guerrieri, in modo da poter seguire il duello.

I due avversari si studiano un buon momento, facendo piccole finte e muovendosi cautamente. Poi Hrast attacca e Wilk riesce appena a scansare l’arma che gli sfiora una natica. A sua volta attacca, mirando al petto di Hrast, ma questi gli blocca il polso con la sinistra. Rapidamente Wilk afferra il polso del re per impedirgli di approfittare del vantaggio e colpirlo. Ognuno dei due cerca di liberarsi della stretta dell’altro.

Wilk colpisce al ventre Hrast con un calcio. Il re balza indietro e i due contendenti sono di nuovo separati.

La lotta riprende, mentre i suonatori continuano a percuotere i tamburi, con un ritmo costante. Hrast incalza Wilk, costringendolo ad arretrare. A un certo punto la sua lama colpisce di striscio il braccio destro di Wilk, facendo scendere il sangue. Poco dopo è Wilk a ferire  Hrast sopra un capezzolo, un colpo che sarebbe stato mortale se il re non fosse balzato indietro.

I loro corpi si coprono di una patina di sudore, nonostante l’aria sia piuttosto fresca. Il combattimento prosegue, aspro e violento, fino a quando Hrast si scopre in un attacco. Wilk devia la spada del re e sposta la lama, attaccando. Prima che Hrast riesca a parare il colpo, la spada di Wilk gli trapassa il petto, subito sotto lo sterno. Il colpo è dato con grande forza e la punta della spada esce dalla schiena. Il sangue schizza sul petto e sul ventre del vincitore. Dal cerchio degli uomini si alza un boato e il ritmo dei tamburi accelera improvvisamente.

Hrast lascia cadere la spada e barcolla.

Mormora:

- Bravo! Ben dato.

La voce si sente appena, sovrastata dal rombo dei tamburi. Quando Wilk ritira la spada, Hrast crolla in ginocchio.

- Mi spiace, Hrast.

Hrast sorride:

- Era la mia ora ed… è un onore… essere ucciso… da un valoroso… ora… decapitami.

Wilk annuisce: è inutile prolungare l’agonia di Hrast. Solleva la spada e la cala sul collo del re, troncandolo di netto. Il rullio dei tamburi si ferma di colpo. C’è solo silenzio, ora. Anche i guerrieri oltre i pali tacciono.

Wilk guarda il cadavere steso a terra. Ha vinto, è diventato re, ma dentro di lui c’è solo tristezza.

Wilk si dirige verso l’uscita. Uno dei sacerdoti gli prende la spada. L’altro lo accompagna alla vasca e lo fa nuovamente immergere. Quando Wilk si è asciugato, l’altro sacerdote gli offre i monili d’oro del re e gli fa segno di metterseli uno al collo e l’altro al braccio. Wilk esegue. Allora il sacerdote gli mette in testa la corona e, come se fosse un segno atteso, gli uomini lanciano un grande grido, mentre i tamburi riprendono a battere. I guerrieri accompagnano Wilk all’abitazione del re.

 

Niedzj vaga i primi due giorni senza incontrare nessuno. Si disseta ai ruscelli e si ciba di alcuni frutti di bosco che conosce. Non ha armi e non può cacciare. Quando arriva la notte, si arrampica su un albero che offre un buon riparo dai predatori, ma non dal freddo: ormai l’autunno è giunto e nella notte la temperatura scende.

Il terzo giorno, mentre prosegue il suo viaggio verso Nord, vede un serpente ai suoi piedi e balza all’indietro. In quell’attimo una freccia si infila nel tronco davanti a cui si trovava. Niedzj si getta a terra, all’indietro, per evitare di cadere sul serpente.

Qualcuno ha cercato di ucciderlo. Chi? Perché? Un brigante? Niedzj è nudo, non ha nulla, che cosa può prendere un brigante da lui? Un sicario inviato da Lazan? Non è possibile, il re non può sapere che loro sono vivi.

Niedzj striscia tra gli arbusti e poi cerca di avvicinarsi al punto da dove è partita la freccia. La direzione è chiara, perché è la freccia stessa a fornirla, ma non è facile stabilire da che distanza sia stata tirata.

Muovendosi con cautela Niedzj riesce infine ad arrivare a un punto da cui può vedere un uomo con un arco: è lui che ha cercato di ucciderlo. L’assassino si sta guardando intorno, cercando di capire dove si trova la sua vittima.

Niedzj si allontana e poi fa un lungo giro, per prendere alle spalle l’uomo. Questi continua a scrutare davanti a lui, senza sospettare che la preda ormai è alle sue spalle. Tiene in mano l’arco con una freccia, pronto a scagliarla non appena individuerà l’uomo che gli è sfuggito. Non si accorge di Niedzj se non quando è troppo tardi: la sua vittima gli salta addosso e grazie alla grande forza e all’abilità nella lotta ha facilmente ragione di lui.

Dopo aver bloccato l’avversario, Niedzj dice:

- Chi sei? Perché hai cercato di uccidermi?

L’uomo tace.

- Parla! O ti ammazzo.

L’uomo continua a tacere.

Niedzj non sa che cosa fare. Si trova in una terra che non conosce, dove non sa se incontrerà altri nemici che vorranno ucciderlo. A chi potrebbe portare quest’uomo che ha catturato? Dovrebbe sopprimerlo, ma l’idea di uccidere a sangue freddo non gli piace.

Afferra l’arco e lo piega in modo da spezzarlo. L’uomo lo guarda fare, stupito dalla forza di Niedzj.

Il principe si alza.

- Con le buone o con le cattive mi dirai perché hai cercato di uccidermi.

L’uomo lo guarda un momento in silenzio, poi annuisce e dice:

- Aiutami ad alzarmi e ti spiegherò.

Niedzj gli tende la destra. L’uomo l’afferra e mentre si tira su, con la sinistra estrae un coltello che teneva nascosto sotto la pelle d’orso e cerca di colpire Niedzj. Questi se ne accorge un attimo prima che la lama gli squarci il petto. Riesce a sottrarsi e a bloccare il polso dell’assassino. L’uomo cerca di divincolarsi. Nella lotta cadono a terra, l’uomo sotto, Niedzj sopra. L’uomo lancia un grido: il suo pugnale gli è entrato nel petto.

Niedzj volta il corpo dell’uomo. Vede che ormai sta morendo. Non potrà scoprire perché voleva ucciderlo.

- Merda!

Niedzj prende il coltello e la tunica dell’uomo: almeno non dovrà andare in giro nudo e disarmato. La tunica è squarciata e sporca di sangue, ma è sempre meglio di niente.

 

Mentre procede, Niedzj continua a chiedersi perché l’uomo ha cercato di ucciderlo, ma non sa darsi una risposta. Procede con cautela, guardandosi intorno e ascoltando i rumori del bosco. La notte dorme ancora su un albero, poi, il mattino del quarto giorno, vede in lontananza del fumo alzarsi. Si muove in quella direzione. Incontra un guerriero, che gli si rivolge:

- Chi sei?

- Il mio nome è Niedzj. E tu?

- Sono Rathrab.

L’uomo gli guarda la spalla, che la tunica senza maniche lascia scoperta.

- Il segno dell’orso.

Poi guarda l’altra spalla:

- E anche qui. Sì, sei Niedzj, che attendevamo.

- Mi attendevate? Io non sapevo che sarei arrivato qui.

- Ci era stato predetto che un forte guerriero sarebbe giunto e avrebbe sfidato e vinto il nostro re, Aklaz.

- E perché mai dovrei sfidare il vostro re?

Rathrab ride.

- Non conosco i perché, non sono un indovino. Ma se lo vincerai e lo decapiterai, sarai tu il re e, a quanto pare, così si concluderà il duello che vi opporrà.

Niedzj è molto perplesso. Non capisce perché dovrebbe sfidare il re.

Il guerriero lo osserva ancora, poi dice:

- Ma perché la tua tunica è strappata e macchiata di sangue?

- Non è la mia. L’ho presa a un uomo che ha cercato di uccidermi. Un arciere.

- Un arciere?

 A Niedzj pare che l’uomo sia impallidito.

- Lo conoscevi?

- Un uomo basso, con una barba grigia molto corta?

- Sì, era proprio così.

- L’hai ucciso?

- Sì. Aveva cercato di uccidermi a tradimento. Chi era?

- Qualcuno che voleva impedirti di giungere qui. Si è allontanato dal villaggio tre giorni fa e non è più tornato. Ti attendeva al varco. Temo… no, non voglio dire nulla. Fa’ attenzione, Niedzj. C’è chi non vorrebbe vederti affrontare il nostro re.

- Ma io non ho motivo per sfidarlo.

- Devi farlo, Niedzj. Ora vieni con me.

L’arrivo di Niedzj al villaggio provoca grande agitazione: è evidente che molti lo attendevano. Rathrab lo conduce direttamente alla reggia: una casa costruita con tronchi di legno, come tutte le altre, ma più grande. Come nella reggia che Wilk ha visto, anche qui ci sono pali con crani infissi.

Il re esce e fissa Niedzj. Ha capito chi è l’uomo che Rathrab ha portato al villaggio: la cicatrice su una spalla e la macchia a forma di zampa d’orso sull’altra non lasciano dubbi. Aklaz ha un atteggiamento chiaramente ostile.

- Così tu saresti Niedzj e vorresti sfidarmi.

Niedzj è infastidito dal tono altezzoso del re. Risponde:

- È quanto il destino ha deciso per me.

Aklaz ride.

- Va bene. Domani ci affronteremo. Se vuoi morire, sarò lieto di soddisfare il tuo desiderio. Il tuo cadavere sarà lasciato agli orsi, come è d’uso per coloro che hanno osato sfidare un re.

Aklaz guarda ancora Niedzj, sprezzante, poi si volta e rientra nella sua abitazione, senza un saluto.

Niedzj è irritato. Rathrab gli dice:

- Vieni con me. Ti porterò alla capanna dove potrai dormire questa notte, per riposarti prima di affrontare il re. Domani, se vincerai, la reggia diventerà tua. Se perderai…

Niedzj completa per lui:

- Non avrò bisogno di un’abitazione.

- No, infatti, ma sappiamo che tu sei più forte. Solo…

- Dimmi, Rathrab.

Rathrab si morde il labbro inferiore, poi dice:

- Non ti fidare, Niedzj. Te l’ho già detto: c’è chi vorrebbe impedirti di affrontare il re. Ci hanno già provato. E non è detto che non ci provino ancora.

Rathrab accompagna Niedzj alla capanna dove dormirà, poi mangiano insieme nell’abitazione del guerriero. Quando è ormai notte, Rathrab dà a Niedzj una candela e i due raggiungono la capanna di Niedzj. Il guerriero si congeda:

- Rimarrei volentieri con te, ma non è possibile: devi dormire da solo. Ma… aspetta. Torno tra poco.

Niedzj guarda Rathrab allontanarsi. Il guerriero torna poco dopo con un involto. Ne mostra il contenuto a Niedzj: sono piastre metalliche unite da fili sottili.

- Appendile dietro la pelle tesa all’ingresso della capanna. Se qualcuno cercherà di entrare, sentirai il rumore.

- Qualcuno potrebbe cercare di uccidermi nella notte?

- Temo di sì, Niedzj. Aklaz non è un uomo leale. Di certo è lui che ha mandato l’arciere a ucciderti. Era un uomo in cui lui aveva piena fiducia. Te l’ho detto: da tre giorni mancava dal villaggio, evidentemente si era appostato per impedirti di arrivare qui.

- Che infamia! Ma sono abituato al tradimento.

- Noi non lo eravamo, Niedzj. E molti uomini della tribù detestano Aklaz. Ma lui è il re e nessuno osa sfidarlo. Chi ci ha provato è morto prima di poterlo affrontare. Per questo ti dico di fare attenzione questa notte.

- Grazie, Rathrab.

Niedzj scosta la pelle che funge da porta ed entra nella capanna. Facendo attenzione a non fare rumore, attacca il filo con le piastre metalliche dietro la pelle. Poi fa un fagotto con la tunica, la coperta e il tessuto che gli ha dato Rathrab e lo mette sul giaciglio. Se qualcuno entrasse, alla luce di una candela o una lanterna potrebbe pensare che sotto la coperta ci sia una persona che dorme.

Niedzj si stende, nudo, sul pavimento della capanna, dal lato opposto alla porta. Si addormenta, ma una parte di lui rimane vigile.

Il rumore delle piastre che sbattono una contro l’altra e un’imprecazione soffocata lo destano. Alla luce fioca di una lanterna, vede un uomo lanciarsi sul giaciglio e vibrare una coltellata sul fagotto. Niedzj gli balza addosso. Non ha armi, ma fida nella propria forza taurina. Il sicario è un uomo robusto e resiste, cercando di colpire Niedzj con il coltello, ma il principe gli blocca il braccio e non lo lascia più. Lottano a lungo. A un certo punto urtano la lanterna, che si spegne. Ora si affrontano a buio. Infine Niedzj riesce ad afferrare da dietro il sicario e gli piega il braccio, in modo che la lama ora punti contro il ventre dell’uomo. C’è una resistenza disperata, ma Niedzj è troppo forte e infine la lama squarcia la carne del sicario, infilandosi in profondità.

- Merda!

Niedzj stringe il corpo, che ancora si dibatte. Il sangue sgorga abbondante. I movimenti rallentano e infine Niedzj si rende conto di stringere un cadavere. La lotta lo ha eccitato. Niedzj si alza. Senza cercare di riaccendere la lanterna, trascina il cadavere all’ingresso della capanna.

Il villaggio è immerso nel silenzio. Tutti paiono dormire. Forse Aklaz non dorme: l’infame aspetta che il suo uomo venga a dirgli di aver svolto il compito assegnatogli.

Niedzj si stende nuovamente e si addormenta. Nessuno viene più. Quando la luce del giorno lo desta, Niedzj si alza. Guarda il cadavere steso a terra e scuote la testa, poi toglie le piastre metalliche che lo hanno salvato nella notte.

Poco dopo sente la voce di Rathrab, che lo chiama. Esce dalla capanna, scavalcando il cadavere. Mentre scosta la pelle, Rathrab vede il corpo.

- Come temevo… ha cercato di ucciderti, vero?

- Sì, ma ha avuto la peggio.

Rathrab accompagna Niedzj alla capanna dove si svolge la cerimonia di purificazione. Il suo corpo viene lavato dai sacerdoti, che poi lo introducono nel recinto sacro. I pali che lo delimitano sono bassi: raggiungono appena la vita di un uomo di statura media. Intorno al cerchio ci sono molti guerrieri che attendono il duello. All’interno i suonatori di tamburo.

Aklaz arriva. Sul suo viso Niedzj legge rabbia e tensione: sperava che il suo sicario riuscisse a impedire il duello.

Un sacerdote arriva con due asce.

Aklaz dice:

- Mi spetta la scelta dell’arma: ho deciso per l’ascia.

Niedzj non dice nulla, ma pensa che, per quanto Aklaz possa essere esperto nell’uso dell’ascia, la sua scelta è stata con ogni probabilità sbagliata. Ma Aklaz non può sapere che Niedzj ha vinto il torneo a Nocigranica. Quasi sicuramente ha scelto quest’arma perché il suo uso è meno comune rispetto alla spada e perciò pensa di poter avere facilmente ragione del suo avversario.

Aklaz prende una delle due asce. C’è un mormorio tra i presenti, che mette in sospetto Niedzj: probabilmente toccava a lui scegliere. Prende l’altra e l’esamina con cura. Vede che la lama non è fissata bene al manico.

- E questo che cosa significa? Al primo urto la lama si staccherà dall’impugnatura. Questa è la tua lealtà, re?

E mentre lo dice colpisce con il manico dell’ascia uno dei pali di legno. La lama si stacca e cade a terra. Dai guerrieri si alzano diverse esclamazioni di sdegno.

- Vergogna su tutti noi!

- Che infamia!

- Indegno di un guerriero.

- Siamo disonorati.

- Vergogna, vergogna!

Aklaz freme. La rabbia dei guerrieri è evidente.

Un uomo si fa avanti e porge a Niedzj la sua ascia.

- Quest’arma ha ucciso molti nemici. Sul mio onore, ti garantisco che non ti tradirà.

Niedzj guarda il viso del guerriero. È un viso franco, segnato da una profonda cicatrice che percorre tutto il lato sinistro. Prende l’ascia, una bellissima arma.

- Grazie. Cercherò di non mostrarmi indegno di quest’arma magnifica.

Aklaz e Niedzj entrano nel cerchio dei pali. I suonatori incominciano a battere sui tamburi.

Aklaz attacca, ma Niedzj para facilmente i colpi. Per quanto il re sia un guerriero molto forte e abile nel maneggiare l’ascia, il principe è un avversario imbattibile. Aklaz si trova presto in difficoltà. Niedzj lo incalza, fino a spingerlo contro i pali. Aklaz si rende conto di essere perduto. Lascia cadere l’ascia e si inginocchia, come se attendesse il colpo finale. Niedzj però è diffidente. Mentre alza l’ascia, vede il re afferrare la propria arma, per vibrare un colpo e tagliargli le gambe. I guerrieri urlano, indignati, Niedzj salta, evitando il colpo, e quando i suoi piedi toccano nuovamente terra, si scaglia su Aklaz, che si getta indietro, ma non riesce a sfuggire: l’ascia si abbatte sul ventre del re, aprendolo completamente. Aklaz lancia un urlo, a cui risponde l’urlo dei guerrieri e il battito frenetico dei tamburi. Il corpo del re trema, mentre il sangue scorre copioso, formando una vasta pozza, fino a lambire i piedi di Niedzj. Questi fa due passi in avanti e abbatte la sua ascia sul collo di Aklaz, recidendo la testa.

Dopo una seconda cerimonia di purificazione, Niedzj viene accompagnato alla reggia. La testa del re precedente viene infilata su un palo, mentre il suo corpo viene abbandonato agli orsi. Nei giorni seguenti però si diffonde la voce che gli orsi non hanno divorato il cadavere. A cibarsene sono invece stati gli avvoltoi.

 

Wilk e Niedzj devono imparare a conoscere le tribù su cui regnano e il loro territorio, capire di chi possono davvero fidarsi, a chi attribuire certi compiti, a chi rivolgersi per avere consigli e indicazioni. Per entrambi i primi mesi sono intensi. Per Wilk il compito è più facile, perché gli uomini della tribù dei Lupi sono molto più uniti. Nella tribù degli Orsi il regno di Aklaz ha generato contrasti e divisioni: ci vorrà un certo tempo prima che le ferite si rimarginino.

Ognuno dei due gemelli ignora che anche l’altro è diventato re, nello stesso modo: affrontando e uccidendo il re in carica. Le tribù degli Orsi e dei Lupi vivono non molto distanti, ma in inverno non ci sono molte comunicazioni tra di loro: ogni tribù ha i propri territori di caccia e di pascolo e bada a non invadere quelli delle altre tribù. Ogni tanto però capita che uomini di tribù diverse si incontrino e si scambino le notizie, per cui nel cuore dell’inverno Wilk viene a conoscenza della morte del re degli Orsi e dell’arrivo di un nuovo re, avvenuto nell’autunno. Subito il pensiero va a Niedzj e il dolore che lo accompagna ogni giorno si rinnova. Chiede informazioni all’uomo che ha portato la notizia al villaggio. Questi non ha visto il nuovo re, ma gli hanno detto che ha su una spalla una macchia con la forma della zampa di un orso e sull’altra una cicatrice, che sembra lasciata da un orso.

Wilk decide di andare al villaggio degli uomini dell’Orso, ma non fa in tempo a partire: un guerriero gli comunica che il re degli Orsi è venuto per parlargli.

Anche Niedzj ha saputo del nuovo re dei Lupi e sospetta che sia Wilk. Non appena ha avuto la notizia si è messo in cammino.

Wilk esce dalla capanna e vede Niedzj. I due gemelli si corrono incontro e si abbracciano. Wilk ha l’impressione che il fratello voglia stritolarlo tra le sue braccia, tanto forte lo stringe. Quando infine si staccano, si accorge che Niedzj sta piangendo. Lo guarda asciugarsi le lacrime con il dorso della mano, imbarazzato, e la commozione lo vince. Gli ci vuole un buon momento prima di riuscire a parlare.

Entrano nella tenda e si raccontano le loro peripezie, poi parlano delle tribù su cui regnano.

Niedzj non può rimanere lontano a lungo dalla sua tribù, per cui hanno un’unica notte davanti a loro: in mattinata il re degli Orsi dovrà lasciare il villaggio dei Lupi.

Dopo aver parlato a lungo, Niedzj e Wilk si ritirano nella camera da letto, ma non hanno nessuna intenzione di mettersi subito a dormire: non si vedono da mesi e il desiderio li guida.

Wilk si stende di schiena su una pelliccia. Niedzj si china su di lui e lo accarezza. Le sue mani si posano sulle gambe di Wilk e risalgono fino al ventre, giocherellano con il cazzo, che si irrigidisce in fretta, e con i coglioni. Poi scivolano di lato ad accarezzare e stringere il culo.

Niedzj bacia Wilk, un bacio lungo, ardente. Poi dice:

- Posso prenderti, Wilk?

- Sì, lo desidero.

Poi Wilk aggiunge:

- Ma… voglio vederti mentre mi prendi.

Wilk allarga le gambe, le solleva e le piega, offrendo al fratello il culo. Niedzj si mette i piedi del fratello sulle spalle. Le sue dita scorrono sul solco, più volte, premono, stuzzicano l’apertura, risalgono sulle natiche, riprendono il loro percorso per poi tornare a premere contro l’anello di carne che tra poco forzerà. Niedzj si bagna le dita con la saliva, poi ritorna a giocherellare con l’apertura, inumidendola. Infine spinge un dito dentro. Wilk sussulta

Mentre la destra lavora sull’apertura, la sinistra stuzzica il cazzo di Wilk, accarezzandolo e stringendolo, poi scende ad avvolgere i coglioni e risale. Il cazzo si riempie di sangue e si irrigidisce. Dopo un buon momento di questo lavorio, Niedzj chiede:

- Ora?

- Ora.

Niedzj si stende su di lui, lo accarezza, mentre la cappella preme contro l’apertura e infine, per la seconda volta nella sua vita, Wilk sente il cazzo del fratello entrargli in culo. La sensazione di quest’arma possente che lo penetra è intensissima.

Niedzj è un gran toro da monta. Mentre il suo cazzo scava nel culo di Wilk, le sue mani si muovono, a tratti forti, quasi brutali, a tratti delicate, in strette e carezze. Wilk sente la tensione salire, mentre il piacere avvolge completamente il dolore, cancellandolo, e infine viene con un gemito. Niedzj imprime alle sue spinte un ritmo più rapido e viene anche lui. Si ritrae, si mette accanto al fratello, afferra una delle pellicce e copre entrambi. Si stringono e si baciano. Più tardi riprenderanno i loro giochi, perché non sono certo sazi.

 

La luce del giorno giunge dall’ingresso. Niedzj stringe Wilk più forte. Tra poco dovrà alzarsi, rivestirsi e partire, ma vuole godere questi ultimi momenti insieme al fratello. Lo bacia e in quel momento la pelle che copre l’ingresso viene sollevata. Wilk guarda stupito: nessun uomo può entrare nella camera da letto del re se non è il re stesso a chiamare. Se c’è qualche comunicazione urgente, il messaggero deve parlare stando fuori dalla camera.

Ma a entrare è Vukmedje.

I gemelli guardano il loro padre. Vukmedje sorride e dice:

- Niedzj, per te è ora di partire. Per te, Wilk, è ora di sposarti. Porti in te il seme di Niedzj, che si mescolerà con il tuo. La donna che oggi sposerai genererà i vostri figli.

Wilk non vorrebbe sposarsi. Il suo unico desiderio è rimanere con Niedzj e non gli importa di avere dei figli, ma deve chinare il capo e accettare il proprio destino. I gemelli si guardano, smarriti.

Niedzj abbraccia Wilk e si congeda. L’idea che si sposerà lo addolora, ma si augura che il fratello sia felice. Vorrebbe risparmiargli ogni sofferenza. Soffre già per tutti e due, una sofferenza che lo dilania.

 

Niedzj ha lasciato da poco il villaggio, quando giunge Kraris, re degli uomini della Lince. Vivono anch’essi ai piedi delle montagne, ma più a ovest. In passato sono stati spesso in contrasto con gli uomini del Lupo. Il re è accompagnato dalla figlia, una giovane donna di grande bellezza. Hanno entrambi capelli neri e occhi scuri, come tutti i figli di Lilith.

Una visita come questa, non annunciata, è alquanto inusuale, ma il re della tribù della Lince parla chiaramente:

- Wilk, re degli uomini del Lupo, mi presento a te senza essermi fatto annunciare, ma il veggente della Montagna di Fuoco mi ha ordinato di venire oggi qui con mia figlia, Ljerisa, perché io te la dia in sposa. Non si combina così un matrimonio regale, né nella nostra tribù, né nella tua, e non sarei certamente venuto a parlarti in questo modo, ma mi è stato ingiunto di presentarmi questa mattina.

- Benvenuto Kraris, re degli uomini della Lince. La tua proposta mi onora e l’accetto, perché so che questo matrimonio è scritto nel mio destino.

Il matrimonio viene celebrato nel pomeriggio ed è l’occasione per una grande festa. Al termine Wilk giace per la prima volta con una donna. Mentre la prende, il suo pensiero va a Niedzj, il fratello amato.

Ljerisa ha obbedito al padre, sapendo di non potersi sottrarre all’ingiunzione del veggente. Wilk non è brutto, è forte e ha una certa eleganza naturale. Nei suoi confronti si dimostra attento e premuroso. A Ljerisa non dispiace questo marito che le è stato dato.

Anche Wilk non ha motivo di lamentarsi della donna, che si rivela intelligente e saggia. Parlando con lei Wilk impara a conoscere meglio le terre del Nord e le tribù che le abitano. Tra loro non vi è amore, ma un affetto che rende piacevole la convivenza.

 

 

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