I due principi

 

11

 

Da venti lune su Sjevekral regna Lazan, che ha ormai vinto ogni resistenza. Tutto il paese è sotto il controllo del nuovo re e coloro che lo hanno combattuto sono stati uccisi: davanti alle mura della capitale si ergono i pali su cui sono state piantate le teste dei guerrieri fedeli a Osmikr, privati della loro virilità e poi decapitati.

Tra i guerrieri che hanno lottato contro l’usurpatore Lazan e sono riusciti a fuggire dopo la sconfitta, alcuni hanno raggiunto i regni vicini e altri si sono stabiliti nelle terre del Nord, tra le dodici tribù.

Lahrab, figlio maggiore di Lazan, ha scelto proprio queste terre per una battuta di caccia. È un uomo coraggioso e spietato, che ama il combattimento e il pericolo. Ha affiancato il padre nella conquista del regno ed è stato lui a organizzare la trappola in cui è caduto Kralj, il figlio di Osmikr, ucciso dai fratelli di Lahrab. Kralj si recava spesso a caccia oltre il confine settentrionale del regno e Lahrab non vuole mostrarsi meno coraggioso di lui.

Lazan gli ha chiesto di non spingersi troppo a Nord e Lahrab gli ha assicurato che non si allontanerà molto dai forti.

Il principe ha portato con sé la moglie, Krasna, figlia di Osmikr e sorella di Kralj: la donna gli piace e non intende separarsene.

Accompagnano il principe otto cavalieri esperti, otto soldati e una ventina di servitori del palazzo, che si occupano di montare e smontare le tende, provvedere al cibo, lavare le vesti, raccogliere e trasportare la selvaggina uccisa e svolgere tutti gli altri lavori necessari: Lahrab non intende certo vivere come i selvaggi del Nord.

Ha fatto montare l’accampamento in una vasta radura. Durante il giorno si dedica alla caccia, accompagnato dai cavalieri e da alcuni servitori. I soldati rimangono di guardia all’accampamento, insieme agli altri servi.

Il terzo giorno Lahrab vede un grande orso: non ha mai visto un animale così grande e vigoroso. Si lancia al suo inseguimento. Presto i cavalieri del suo seguito rimangono indietro e lo perdono di vista. Il principe non ci bada: vuole abbattere a ogni costo questa magnifica preda. L’inseguimento dura a lungo. I cani inseguono l’orso, che però a tratti si ferma e li attacca: tre di loro giacciono già a terra, sventrati dalle zanne mortali della bestia.

Lahrab cerca di colpirlo con la lancia, ma, benché sia un cacciatore abile e non manchi mai il bersaglio, questa volta la lancia si conficca nel tronco di un albero. L’orso si allontana, senza fretta. Lahrab lo insegue nel fitto della foresta. A un certo punto è costretto a scendere da cavallo. Sguaina la spada e segue i cani, che ora si sono fermati. L’orso emerge da un cespuglio, grande e terribile. Si avventa sui cani e, prima che questi riescano a fuggire, ne uccide altri due con le sue zampate.

Il principe corre verso di lui: l’animale gli ha ammazzato i suoi cani migliori ed è un motivo in più per ucciderlo. Lahrab è eccitato dall’inseguimento e dalla prospettiva di ottenere questa splendida preda.

L’orso si alza in piedi: è più alto di Lahrab, che pure è un uomo di statura superiore alla media. Il principe attacca, ma una zampata dell’animale gli fa cadere la spada. L’orso è su di lui e lo schiaccia a terra. Lahrab si dibatte, ma la bestia sembra possedere una forza prodigiosa. Forse non è un animale, ma una delle creature selvagge di queste terre, dotate di poteri sovrannaturali. L’intenso odore di animale selvatico stordisce il giovane. Con un movimento rapidissimo l’orso si solleva e gira Lahrab sul ventre, poi si stende su di lui. Il principe si accorge che l’animale gli ha sollevato la tunica e ora gli sta abbassando i pantaloni. Intuisce e grida. Chiama i cavalieri che lo accompagnano, i servitori, ma nessuno risponde: gli uomini del principe hanno perso le tracce del loro signore, non possono sentire le sue grida. L’ultimo dei cani si è avvicinato e abbaia contro l’orso, ma una zampata lo uccide.

Lahrab non è mai stato posseduto: per lui è inaccettabile che un uomo si lasci prendere, anche se sa che molti lo fanno. Ha stuprato alcuni cavalieri catturati, per umiliarli, e gli è piaciuto, molto, ma non si offrirebbe mai. Si dibatte, ma le zampe dell’animale lo bloccano. Le zampe? Quelle che a tratti intravede ora gli sembrano mani, forti, coperte da una peluria rossiccia, ma mani umane. Che creatura è quella che preme su di lui, impedendogli di sollevarsi?

Lahrab sente la pressione di una massa calda contro l’apertura. Si tende e oppone resistenza, ma l’animale spinge con violenza, penetrandolo. Il principe urla: il membro dell’uomo-orso è enorme e il dolore è atroce.

L’orso spinge con forza, lacerando le viscere di Lahrab, che sprofonda in un vortice di sofferenza, singhiozza e si dibatte inutilmente. A tratti il principe perde i sensi, poi riemerge, ma tutto è solo dolore, che sale a ondate dal culo martoriato. Infine l’animale viene e il suo seme inonda il culo di Lahrab, mescolandosi con il sangue.

La bestia si stacca. Lahrab sente il peso che lo schiacciava al suolo svanire. Ora la creatura è passata davanti a lui. Lahrab non alza la testa, stremato e soffocato dalla vergogna, ma i piedi che può scorgere sono piedi umani, grandi e, come le mani, anch’essi coperti da una peluria rossiccia.

Il getto lo prende di sorpresa. L’uomo gli sta pisciando in testa. Lahrab ha le lacrime agli occhi per la rabbia e l’umiliazione. Vorrebbe alzarsi e attaccare, ma è senza forze. Lo stupro lo ha svuotato.

L’uomo ha finito. Si allontana. Lahrab solleva la testa a guardarlo. Non è un uomo, non è un orso. È un grande lupo, che si allontana lentamente.

Lahrab si mette a sedere. Il dolore al culo è feroce. I vestiti sono lacerati in più punti e anche sulle braccia ci sono i segni lasciati dall’orso. Ma il cazzo è teso e il desiderio arde in Lahrab, violento. Si alza e gli sfugge un gemito. Si rassetta come meglio può. Camminare gli provoca violente fitte al culo e il sangue cola. Riesce a raggiungere il cavallo e, stringendo i denti, sale. Cavalcare è una sofferenza continua, ma il cazzo rimane teso per tutto il tempo.

Prima che Lahrab arrivi all’accampamento il sole tramonta. A un certo punto incontra due cavalieri e un servitore.

- Principe, vi stavamo tutti cercando. Che vi è successo? I vostri abiti…

- Sono stato assalito da un orso.

- Siete ferito?

- No, solo alcuni graffi. Ma l’ho ucciso.

Lahrab preferisce mentire, perché non vuole che nessuno sappia della sua umiliazione.

- Eravamo in ansia per voi.

Uno dei cavalieri suona il corno per avvisare gli altri che il principe è stato ritrovato.

Quando giungono all’accampamento è ormai buio e la luna sorge all’orizzonte: una luna piena, che sembra avere un colore rossastro. Lahrab sente uno dei servitori dire:

- Notte di plenilunio. Molte strane creature escono dalle loro tane in queste notti.

Lahrab si volta e guarda il servitore:

- Taci, coglione.

L’uomo china la testa.

- Perdonate, principe.

Lahrab smonta, reprimendo a fatica una smorfia di dolore. Il servitore prende il cavallo. Sulla sella c’è parecchio sangue.

Il principe entra nella tenda dove la moglie lo attende. Alla luce della torcia la donna vede gli abiti lacerati e il sangue rappreso. Porta le mani alla bocca. Non ama certo l’uomo che è stata costretta a sposare, l’assassino di suo fratello e di suo padre, ma si spaventa a vederlo così.

- Che cosa vi è successo?

- Un orso mi ha attaccato, ma io l’ho ucciso.

Lahrab guarda la donna. Il desiderio brucia dentro di lui.

- Spogliati, che ho voglia di fottere.

La donna china il capo. Sa che deve obbedire.

Lahrab si spoglia in fretta, gettando a terra gli abiti laceri. Si guarda il grande cazzo che si erge e batte contro il ventre. Gli sembra che sia più grande e rigido del solito.

Non attende neanche che la moglie abbia finito di spogliarsi. La stende sul giaciglio e la prende con furia, insensibile ai suoi lamenti. Dopo essere venuto, sente che il desiderio si riaccende, violento, e la possiede una seconda volta. Non gli era mai successo.

Poi si stende.

- Adesso lasciami dormire. Di’ che non mi rompano i coglioni. Ho bisogno di riposare.

La donna si riveste e informa gli uomini del seguito che il principe vuole riposare. C’è un momento di incertezza tra i cavalieri: soldati e servitori possono consumare il loro pasto subito, tanto non sono certo loro a tener compagnia al principe a tavola; i cavalieri invece non possono mettersi a mangiare senza aspettare il principe, perché sarebbe irrispettoso. E se il giovane rimanesse a dormire fino all’indomani? Decidono di attendere. Mangeranno un boccone solo quando ormai sarà chiaro che il principe non cenerà.

Il tempo passa, il principe non compare. I cavalieri mangiano ai margini dell’accampamento, in silenzio, per non disturbare il sonno del loro signore, poi vanno a coricarsi. I servitori sistemano tutto e si stendono anche loro a dormire. Rimangono due soldati di guardia.

C’è un grande silenzio. La luna è alta in cielo, ma la foresta è avvolta da una nebbia rada, che sfuma i contorni e sembra creare figure fantastiche.

Dal margine del bosco giunge un rumore, come un tuono lontano. Erhrab, uno dei soldati di guardia, sussulta.

- Andr, non hai sentito anche tu un rumore?

Andr guarda Erhrab e ghigna.

- Sei un fifone, Erhrab. La luna piena ti ha messo in agitazione.

- Quella fottuta luna rossa… guardala, è colore del sangue.

La luna è davvero rossastra. Andr sente un brivido corrergli lungo la schiena. Questo fottuto posto non gli piace. Non vede l’ora che il suo turno di guardia sia finito.

- Con la tua paura mi stai contagiando. La luna è rossa, è vero, ma è una notte come un’altra.

- In queste terre le notti… Merda! Di nuovo! L’hai sentito, vero?!

Andr l’ha sentito, più vicino, più nitido. Sembrava un verso animale, il ruglio di un orso, forse. Ma era vicino, maledettamente vicino. Andr mette mano alla spada. Dice, con una voce che si sforza di rendere tranquilla:

- Qualche animale.

Erhrab scruta nell’oscurità. Ai margini della radura in cui si trova l’accampamento gli sembra di scorgere qualche cosa.

- Là, Andr… là…

La mano gli trema mentre indica un punto della radura.

- Sì, c’è qualche cosa.

- Diamo l’allarme.

- Aspetta. Se diamo l’allarme senza che ci sia una minaccia, il principe ci farò fustigare. Lo conosci.

Dopo un momento, dice:

- Si muove. C’è qualcuno.

- Un uomo… un gigante.

- Corri a chiamare gli altri.

Non è un gigante, ma è un uomo molto più alto della media, ha un’ascia nella destra e una spada nella sinistra e si dirige verso l’accampamento.

L’uomo sembra muoversi con passi misurati, ma in un attimo è davanti ad Andr. È vestito di pelli, braccia e gambe nude, il viso in parte nascosto da un fitto barbone.

- Chi sei? Che cosa vuoi?

La risposta è un rapidissimo movimento circolare della spada che prende alla vita Andr e lo divide in due. La parte superiore del corpo cade di lato, la parte inferiore si affloscia a terra.

In quel momento arrivano gli altri soldati, guidati da Erhrab.

- Ha ucciso Andr!

- Maledetto, pagherai.

L’uomo avanza, mulinando l’ascia e la spada talmente in fretta che i soldati non riescono a seguirne i movimenti: le due armi si muovono contemporaneamente, in direzioni diverse, e ogni volta colpiscono. Mentre i primi cavalieri, destati dal rumore, accorrono, teste staccate dal collo cadono a terra, seguite dai corpi. I soldati che hanno accompagnato il principe sono uomini esperti, che hanno combattuto contro i ribelli, ma di fronte a questo avversario paiono manichini che una semplice spinta è sufficiente a far cadere.

I cavalieri si scagliano contro l’uomo, ma non hanno sorte migliore: l’ascia e la spada fanno strage e presto intorno al colosso, sporco di sangue, ci sono solo agonizzanti e cadaveri. I servitori hanno assistito al massacro e ora fuggono: soldati e cavalieri non sono riusciti a fermare questa creatura infernale, che cosa potrebbero fare loro, cuochi, palafrenieri, sguatteri, lavandaie? Cercano di allontanarsi e di scomparire nel buio della foresta da cui l’uomo è uscito, quella foresta che destava il loro terrore, ma che ora appare l’unico rifugio, la sola via di scampo.

L’uomo li ignora e si dirige verso la tenda del principe.

Lahrab si è destato, ma non si è alzato subito. Ancora intorpidito dal sonno, ha impiegato un buon momento a destarsi completamente. Ha afferrato la spada e ora esce dalla tenda, nudo. Davanti a sé vede l’uomo. Sa, con assoluta certezza, che è l’orso che ha incontrato e che dopo averlo stuprato si è trasformato in lupo. La rabbia lo acceca e vince lo sgomento che prova di fronte a quest’uomo gigantesco. Alza la spada, ma l’uomo la colpisce con la propria ascia, scagliandola lontano.

La voce dell’uomo è cupa, sembra un rombo di tuono.

- Ora non mi servi più, stronzo. Hai compiuto la tua funzione e puoi avere quello che ti meriti.

E con queste parole l’uomo cala l’ascia sulla testa del principe. Il colpo lo divide esattamente in due, dai capelli al membro: sembra una lama che taglia il burro, non ossa e muscoli. Le due metà cadono dai lati opposti.

L’uomo ride, una risata tonante, poi entra nella tenda. Guarda Krasna che, terrorizzata, si copre con il lenzuolo. Sorride e annuisce. Poi si volta e scompare.

 

I servitori tornano solo il mattino, quando la luce del sole caccia le ombre della foresta. Lo spettacolo che si offre ai loro occhi è orribile: i cadaveri smembrati dei soldati, dei cavalieri e del principe giacciono in un lago di sangue. Più d’uno vomita vedendo teste, braccia, gambe staccate dai corpi. E il terrore li prende. Alcuni vorrebbero fuggire, ma sanno che se tornassero alla capitale senza aver raccolto i corpi, il re li punirebbe. Per sfuggire alla rabbia di Lazan dovrebbero rifugiarsi nelle foreste oltre il confine, ma nessuno di loro intende farlo: vogliono tornare nella capitale, lontano da queste terre di frontiera, dove vivono creature demoniache.

A un certo punto un servitore pensa alla principessa:

- Che ne è della principessa?

Tremanti si avvicinano alla tenda, che è chiusa. Uno chiama:

- Principessa!

Con sollievo sentono la voce della donna:

- Sei tu, Slugam?

La principessa almeno è viva.

- Sono io. Possiamo entrare?

- Sì.

Krasna non ha avuto il coraggio di uscire, ma le voci dei servi la tranquillizzano. È a letto, ma si è vestita. Quando la strage si è conclusa e l’uomo apparso sulla soglia della tenda se n’è andato, ha pensato di fuggire, ma non se l’è sentita: dove sarebbe potuta andare, da sola, nella notte?

- Che… cosa è successo?

- Un mostro, principessa. Un mostro ha fatto strage. I cavalieri e i soldati sono tutti morti.

- E… il principe?

Il servitore abbassa il capo.

- Anche lui, principessa.

Krasna si alza. Poco le importa del marito, che per lei era solo l’assassino di suo fratello e di suo padre: sposarlo non è stata certo una sua scelta. Ora che ci sono i servitori si fa coraggio e si avvia verso l’apertura della tenda, ma Slugam le si para davanti.

- Non uscite, principessa. Non è uno spettacolo per voi. Ciò che quel mostro ha fatto… è orribile.

Krasna annuisce. Se avesse amato Lahrab, vorrebbe comunque vederlo, dirgli addio, ma per lui non provava niente. Si siede sullo sgabello posto ai piedi del letto.

- Bisogna avvisare il comandante del forte più vicino. Che mandi un messaggero al re. E che ci venga a prendere con una scorta.

Uno dei servitori sale a cavallo e si dirige verso il forte più vicino. Gli altri raccolgono i corpi e li ricompongono. Lavorano in fretta, guardando spesso verso il margine della foresta: il sole che brilla in cielo non è sufficiente a dissipare le loro paure.

Quando l’intera guarnigione arriva, i morti vengono caricati sul carro, l’accampamento smontato e si forma una processione funebre fino al robusto edificio in pietra posto a sorveglianza del confine. Un messaggero è già stato inviato, per avvisare il re dell’accaduto.

La carovana funebre raggiunge la città più settentrionale del regno, Nocigranica, circondata da solide mura. Gli alti dignitari, avvisati dell’arrivo, sono davanti alla porta principale e tutta la popolazione, vestita a lutto, è ai due lati della strada. Il governatore si inchina alla principessa e poi davanti al telo in cui è stato avvolto il corpo senza vita di Lahrab.

Una bara degna di un principe è stata preparata. Il corpo vi viene deposto. Altre bare accolgono i corpi dei cavalieri, mentre i soldati vengono avvolti ognuno in un sudario e sepolti direttamente nel cimitero della città.

Carri addobbati a lutto trasportano le bare verso la capitale: otto cavalli tirano il carro su cui è deposto il corpo del principe, due cavalli ognuno degli altri. Lungo le strade si riunisce la folla a rendere omaggio al principe, più numerosa man mano che il corteo si avvicina alla capitale.

Alla porta settentrionale della capitale attende re Lazan, con l’ultimo figlio rimastogli, i nobili e i dignitari.

Krasna, seduta a fianco della bara, guarda i pali su cui sono piantate le teste dei guerrieri fedeli a Osmikr, che hanno combattuto contro Lazan. La loro morte le pesa assai più di quella del marito.

La processione passa sotto la porta ed entra in città. Una folla immensa si è riversata nella strada che conduce al palazzo reale. Molti non provano dolore per la morte del figlio dell’usurpatore, ma non è saggio mostrarsi indifferenti: Lazan è spietato e la tragedia che lo ha colpito non lo renderà certo più clemente.

In onore del principe Lahrab verrà costruito un mausoleo.

 

Lazan si chiede che fare di Krasna. L’aveva fatta sposare a Lahrab perché era l’unica sopravvissuta della famiglia reale e il matrimonio conferiva piena legittimità al principe. Ladrug, il figlio minore, nato dalla seconda moglie, è ancora troppo giovane per sposarsi.

Il re non prende nessuna decisione: rifletterà e valuterà la situazione, tanto il periodo di lutto esclude la possibilità di un secondo matrimonio prima di un anno.

Passati due mesi, la dama di compagnia della principessa informa il re che Krasna è quasi sicuramente incinta. Così è, in effetti. Lazan è contento: se sarà un maschio, sarà l’erede, se sarà una femmina, sarà una pedina da utilizzare nel gioco delle alleanze.

Al termine dei nove mesi Krasna dà alla luce due gemelli, entrambi maschi. Sono molto diversi uno dall’altro: uno è più grosso e l’altro più piccolo e magro. Entrambi hanno su una spalla una macchia nera: quella del più grosso sembra l’impronta di una zampa d’orso, quella del più piccolo di una zampa di lupo. I due gemelli vengono perciò chiamati Niedzj, Orso, e Wilk, Lupo. Hanno entrambi capelli neri, mentre Krasna è bionda, come lo era Lahrab, ma nessuno ci bada: anche il re spodestato e ucciso da Lazan era bruno, come pure suo figlio. Tutti e due hanno anche due altri segni, a forma di stella, di colore blu: quelli di Orso sono uno dietro lo scroto e uno alla base del sesso; quelli di Lupo sono uno dietro lo scroto e l’altro nel solco tra le natiche, subito sotto l’ano. Nessuno bada a questi due segni.

Wilk, che è il primogenito, è l’erede al trono. Niedzj è secondo nella linea di successione. Ladrug, il figlio della seconda moglie, passa in terza posizione, con grande scorno della madre.

Krasna muore tre giorni dopo il parto.

 

I due gemelli crescono in fretta: a sei mesi sembrano avere un anno, muovono i primi passi e pronunciano le prime parole. Sembrano bruciare le tappe dell’infanzia e a otto anni appaiono ragazzi vigorosi, a dodici sembrano giovani uomini. Questa crescita anomala stupisce tutti: qualcuno l’attribuisce a spiriti benigni che proteggono la stirpe reale; qualcun altro vi vede il segno di presenze demoniache. Nessuno è in grado di dare una spiegazione.

Nello studio come nell’uso delle armi e nel cavalcare i loro progressi sono tanto rapidi da stupire i loro maestri. Imparano in fretta a maneggiare la spada, l’arco, il pugnale e perfino l’ascia e presto sono in grado di battere tutti gli avversari. Badando bene a non farsi sentire, diversi servitori osservano che i gemelli sembrano aver preso dallo zio, Kralj, che era imbattibile.

I gemelli sono molto legati ed è difficile vederli separati. Continuano a dormire nella stessa camera. Non litigano mai, ma crescendo le differenze tra loro si accentuano. Niedzj è molto alto, tanto che a dodici anni la sua statura supera quella della maggior parte dei maschi adulti. È massiccio, con una forza che lascia sgomenti i suoi maestri d’armi: quando usa l’ascia, nessuno è in grado di tenergli testa. Wilk è anche lui alto, ma meno del fratello, ed è snello. C’è in lui un’eleganza naturale che manca completamente in Niedzj. Si assomigliano invece nei capelli corvini e nel pelo che a dodici anni già copre il loro corpo: un velo sottile, che è più facile trovare in un ventenne che in un dodicenne, e che diventa in fretta più folto.

Chi li vede per la prima volta, pensa che abbiano almeno diciott’anni e anche chi li conosce a volte dimentica che sono appena ragazzini. Ma nel loro viso, che già copre la barba, e nei loro discorsi non c’è traccia dell’infanzia: sono due giovani uomini e tutti li trattano come tali.

Per un unico aspetto non sembrano ancora adulti: non si interessano alle donne. Nessuna serva oserebbe sottrarsi alle attenzioni dei principi e anche tra le donne della nobiltà più d’una cederebbe facilmente a questi due maschi vigorosi, perfino a Niedzj, che non è certo attraente, ma i gemelli non sembrano pensare alle donne e neppure ad altri uomini. Ascoltano i cantori di corte, che raccontano le imprese e le storie d’amore di cavalieri eroici, pronti a sfidare la morte, ma non sembrano amare.

In realtà i loro corpi conoscono da tempo il desiderio. Non hanno segreti l’uno per l’altro e molto spesso si abbracciano e si stringono e poi ognuno dei due usa la mano per condurre l’altro al piacere. Ma questo nessuno lo sospetta. 

A palazzo Niedzj e Wilk sono i principi, gli eredi al trono: per quanto i gemelli siano cordiali, nessuno osa trattarli con grande familiarità e davanti a loro tutti si controllano. I gemelli sono curiosi di conoscere il mondo oltre le mura del palazzo. Ogni tanto escono di nascosto la notte, per girare tra le taverne della capitale. Si vestono come due uomini del popolo e si mescolano agli sfaccendati che trascorrono le serate a bere o giocare a dadi. Amano sentire che cosa dice la gente e scoprire la vita quotidiana della città. Imparano a conoscere una realtà che è molto più complessa di come viene raccontata loro a palazzo: ascoltano i racconti degli uomini, i loro amori, le loro sofferenze. Scoprono la miseria, l’orgoglio, la paura, l’inganno, il tradimento, la vendetta. Parlano poco e non rivelano mai la loro identità. Nelle taverne ormai sono conosciuti, ma nessuno sospetta che siano i principi: i gemelli escono di rado in occasioni ufficiali e allora si radono la barba e tagliano i capelli. Poiché Lazan sa di non essere amato dal popolo e teme sempre che qualcuno voglia ucciderlo, sia il re, sia i principi non possono essere avvicinati dal popolo e sono visibili solo da lontano. Ai gemelli la barba ricresce molto in fretta, assai più che agli altri maschi, e dopo pochi giorni i due sono in grado di tornare nelle osterie, dove nessuno riconoscerebbe in loro i due principi intravisti da lontano.

A Niedzj e Wilk piace la familiarità che si stabilisce nelle taverne, tra uomini che spesso si conoscono appena. Apprezzano il linguaggio brutale, così lontano dal vuoto formalismo di corte, i sentimenti e le emozioni che si manifestano apertamente. Gli sembra di respirare a pieni polmoni, lontano dall’ambiente asfittico della reggia.

 

Una notte sentono da un uomo che ha bevuto molto qualche cosa che li riguarda.

- Dicono che i gemelli siano ormai uomini.

- L’ho sentito anch’io, ma non è possibile. Devono avere… una dozzina d’anni, direi. Sì, sono nati sei mesi dopo mio figlio.

- Li hai visti anche tu, alla sfilata per la festa dell’Equinozio. Sono grandi e grossi, soprattutto l’Orso.

I gemelli sono un po’ a disagio. Si chiedono se l’avventore che ha affrontato l’argomento non li abbia riconosciuti e non si stia facendo beffe di loro. Ma l’uomo prosegue:

- Adesso che sono grandi, dovrebbero ammazzare quel bastardo del re e salire sul trono al posto suo.

Le parole dell’uomo sono seguite da un silenzio assoluto. Nessuno osa aprire bocca. Sembra che gli uomini non siano nemmeno più in grado di muoversi. È la prima volta che Niedzj e Wilk sentono parlare in questi termini del re: tutti sono molto cauti, perché Lazan ha una rete di spie che ascoltano ciò che dice la gente e riferiscono ai loro superiori. Chi osa criticare il re, viene imprigionato.

Nella taverna ci sono pochi uomini, neppure una dozzina. Tre si alzano subito.

- Noi dobbiamo andare.

Pagano e scompaiono: non vogliono rimanere in compagnia di questo ubriaco che fa discorsi pericolosi. O forse vogliono andare a denunciarlo. L’oste guarda un momento i gemelli: non li conosce, anche se li ha già visti altre volte, e si chiede se non siano spie. Poi si rivolge all’uomo:

- Sei ubriaco e straparli. È ora che tu te ne vada. Da bere tanto non te ne do più.

L’uomo è irritato:

- Figlio di puttana! Ti pago con monete buone.

- Ora vai, che è meglio.

L’uomo si alza e si dirige alla porta. Non sembra malfermo sulle gambe: non è davvero ubriaco, anche se il vino gli ha sciolto troppo la lingua. Uscendo dice ancora:

- Stronzo!

Niedzj e Wilk si alzano, pagano ed escono anche loro. Non si sono consultati, ma entrambi sono curiosi. Raggiungono l’ubriaco, che li guarda diffidente. Wilk gli dice:

- Vieni con noi, ti offriamo da bere da un’altra parte.

L’uomo sorride. I suoi denti brillano alla luce che esce dalla finestra dell’osteria.

- Quel cagasotto dell’oste ha paura, ma io ho detto solo la verità.

- Ho sentito, ma perché mai i gemelli dovrebbero uccidere il loro nonno?

- Perché quel figlio di puttana ha usurpato il trono, ha fatto uccidere il re e il principe, fratello della loro madre. Dovrebbero vendicarli.

Niedzj e Wilk sanno che Lazan ha conquistato il regno e che il re precedente è stato ucciso, ma non conoscono i dettagli, di cui nessuno parla davanti a loro: si sono da tempo accorti che tutti sono alquanto reticenti quando si affronta l’argomento. La versione della storia che è stata raccontata loro è piuttosto lontana dalla realtà: ci sarebbe stato un conflitto tra Lazan, che avrebbe dovuto salire al trono, e un cugino, che si era proclamato re. Lazan avrebbe sconfitto l’usurpatore e, per mettere fine alla contesa tra le due famiglie, avrebbe dato la figlia del re sconfitto in sposa a Lahrab, il proprio figlio. Non hanno mai conosciuto la madre e non hanno potuto chiedere a lei. A palazzo non c’è nessun altro parente del sovrano precedente.

- Non so nulla di questa faccenda. Il re precedente non era un usurpatore?

- Che cazzo dici? I suoi antenati regnavano su Sjevekral da generazioni. Lazan è un usurpatore. Un usurpatore e un assassino, come quel bastardo di suo figlio.

Niedzj porta la mano al pugnale. Non ha mai conosciuto Lahrab, ma lo ritiene suo padre e non intende permettere a nessuno di insultarlo. Wilk però gli ferma la mano.

- Perché un assassino? Chi avrebbe ucciso?

- Ha ucciso il re, dopo averlo sconfitto. Quel bastardo di Lazan ha fatto uccidere a tradimento Kralj, che era il legittimo erede. E tutti i crani infissi sui pali davanti alle porte delle città? Chi pensi che siano?

- Non sono cavalieri che congiuravano contro il re?

- Coglione! Ma come fai a credere a queste cazzate? Erano guerrieri fedeli al re legittimo, catturati e uccisi. Quel porco di Lazan pagava monete d’oro per le loro teste. E li faceva castrare, se li catturava vivi.

In quel momento si sentono in lontananza dei passi.

- I soldati, merda! Quei cagasotto li hanno chiamati. Meglio scomparire.

L’uomo si allontana in fretta. Niedzj e Wilk si guardano, perplessi. Si infilano in una strada laterale e scendono verso il fiume. Si siedono sull’erba e guardano l’acqua dove si riflette la luce lunare. Rimangono un buon momento in silenzio. La riva del fiume trasmette loro sempre un senso di pace, ma questa sera il luogo non basta a ridare loro la serenità.

- Che cosa ne pensi, Wilk?

- Non so che cosa dire, Niedzj. Quell’uomo aveva bevuto troppo, ma non sembrava mentire. E l’oste… e gli altri… sembravano spaventati, più che stupiti.

- Come possiamo sapere qual è la verità?

- Qualche cosa a palazzo forse riusciamo a scoprire.

- Tu dici? Quando si parla della guerra, rispondono appena, sempre le solite parole, poi cambiano argomento.

- Qualche cosa magari potremo ottenere facendo qualche domanda in giro.

- Tu dici? Erano tutti spaventati alla taverna.

 

Il giorno dopo i gemelli escono a cavallo dalla città. Fanno il giro delle mura che la cingono e guardano le teste infisse su pali vicino alle tre porte.

- Sono quarantasette, Niedzj.

- Non capisco perché hai voluto contarle.

Wilk alza le spalle. Dopo un momento di silenzio, dice:

- Mi chiedo chi erano davvero questi uomini. Ci hanno insegnato che erano traditori, ma incomincio a dubitarne.

- Credi a quel che ha detto quell’ubriaco?

- Te l’ho detto, quell’uomo aveva bevuto, ma mi sembrava molto lucido. E non vedo perché avrebbe dovuto mentire.

Sono tutti e due turbati.

A palazzo è inutile porre domande dirette, che non otterrebbero nessuna risposta sincera. Wilk, più abile in questo, riesce a volte a carpire qualche informazione, introducendo in una conversazione un accenno a vicende del passato, come se le conoscesse benissimo.

- Ho sentito che il re di Brujekral è molto feroce.

- Sì, lo dicono tutti. Dicono che abbia fatto decapitare tre guerrieri perché non si sono inchinati abbastanza a fondo davanti a lui.

- Sì, mi hanno raccontato questo episodio. Ma anche il padre di Osmikr era un re feroce, no? Dicono che fosse implacabile con i nemici.

Wilk non ha un’idea di chi fosse il padre di Osmikr e di come fosse. Quello che gli interessa non è scoprire se era feroce o meno.

- Non so, ero bambino quando morì e salì al trono Osmikr, ma nessun re può avere pietà dei nemici. Non pensate, principe?

- Sì, certo.

Wilk cambia argomento, ma ha ottenuto una conferma: il padre di Osmikr era re, per cui Osmikr stesso era re per diritto ereditario. Lazan è davvero un usurpatore.

 

Wilk e Niedzj prendono l’abitudine di uscire più spesso, quasi tutte le notti. Ascoltano quello che la gente dice nelle taverne, talvolta pongono qualche domanda, come se fossero due stranieri in visita nel regno. Molti sono reticenti e rispondono in modo generico: paiono sospettare che i due gemelli siano spie. Qualche informazione comunque emerge, in particolare il fatto che Lazan non ha nessun diritto dinastico da vantare, ma solo il diritto della forza.

Wilk e Niedzj sono inquieti. Altri motivi accrescono il loro turbamento. Le loro scorribande notturne, che presto assumono frequenza quotidiana, li mettono in contatto anche con un’altra realtà: il mondo sotterraneo del piacere. Nessuno dei due è attratto dalle donne e non li incuriosiscono né le prostitute che si offrono per le strade o vanno a caccia di clienti nelle taverne, né i bordelli.

Una sera in una taverna vedono una bella donna, dai lunghi capelli neri, un viso molto regolare, labbra di un rosso intenso e un seno florido che tende la stoffa dell’abito e si intravede nell’ampia scollatura. Non badano a lei, ma la donna si avvicina.

- Allora, bei ragazzi, non avete voglia di venire da me? Abito qui vicino.

L’oste, che ormai conosce i gemelli, anche se ignora che siano i due principi, dice:

- Perdi il tuo tempo, Ruza. Non si interessano alle donne.

La donna guarda i due gemelli, poi sul suo viso compare una smorfia di disprezzo.

- Forse gli interessa di più la Casa del lillà.

Si alza ed esce dalla taverna, senza dire altro.

Wilk e Niedzj si guardano, poi Wilk chiede all’oste:

- Che cos’è la Casa del lillà?

L’oste ride.

- Ruza scherzava.

- Può darsi, ma che cos’è la Casa del lillà?

- Una casa dove vanno gli uomini che… cercano altri uomini.

- Per i piaceri della carne?

- Sì.

- Non sapevo che esistessero case di questo genere.

- Qui a Sjevredava ce n’è una. Anche in altre grandi città. Dicono che a Usredava ce ne siano parecchie, ma nel regno di Usredkral amano molto divertirsi.

- La Casa del lillà… un bordello di maschi. Questa poi!

Nessuno dei due aveva mai sentito parlare di bordelli per uomini.

L’oste ride dello stupore dei due giovani:

- Qui si dice che il mondo è bello perché è vario. C’è chi preferisce la carne e chi il pesce, chi preferisce la passera e chi l’uccello.

Quando lasciano la taverna, Niedzj chiede:

- Secondo te, che cosa fanno in questa Casa del lillà?

- Non lo so… forse… quello che facciamo noi?

Wilk ride. Niedzj scuote la testa. Porta volentieri il fratello al piacere, come Wilk fa con lui. Non gli dispiace, per niente, ma non dà a questo nessuna importanza.

 

Alcune sere dopo scendono al fiume. Lo fanno spesso, è uno dei luoghi che preferiscono. Lungo le rive a volte vedono coppie che si appartano e talvolta le spiano. Davanti a loro vedono due uomini che camminano. È capitato altre volte di incontrare una coppia maschile, ma hanno sempre pensato che si trattasse di due amici: molta gente ama passeggiare lungo le rive del fiume. Ora, vedendoli, il pensiero di entrambi va alla prostituta nell’osteria. Si guardano un attimo e ognuno legge nello sguardo dell’altro il proprio pensiero.

Quando vedono che i due uomini rallentano il passo, si nascondono dietro un albero. I due si guardano intorno, poi scompaiono tra i cespugli.

Wilk ride. Poi dice:

- Dovremmo vergognarci.

Niedzj risponde:

- Andiamo.

- No, lasciagli un momento di tempo.

Dopo qualche minuto si dirigono verso il posto dove hanno visto scomparire i due uomini. Si muovono in silenzio, rimanendo nel buio degli alberi.

Ora possono vederli. Uno dei due è in piedi, appoggiato al tronco di un albero. L’altro è inginocchiato davanti a lui e gli ha preso in bocca il cazzo. I due gemelli li guardano, affascinati. Entrambi si rendono conto che il desiderio si desta anche in loro.

Poi l’uomo in piedi mette le mani sulle spalle dell’altro e lo solleva. Lo spinge contro il tronco e lo volta. Gli cala i pantaloni, gli solleva la tunica, si sputa sulla mano e la passa tra le natiche. Lo fa due volte, poi preme con il cazzo duro contro l’apertura ed entra.

Wilk e Niedzj guardano i due uomini, immobili e confusi. Non staccano gli occhi nemmeno un secondo.

Quando ha concluso, l’uomo fa un passo indietro e tira su i pantaloni. L’altro si volta e incomincia a masturbarsi, guardando quello che lo ha preso.  Viene quasi subito. Si pulisce e si riveste anche lui. I due si allontanano, in direzioni diverse.

I gemelli rimangono in silenzio un buon momento. Poi Niedzj dice:

- Glielo ha messo in culo. Dev’essere venuto così.

Wilk annuisce. Niedzj aggiunge:

- Dev’essere questo che fanno alla Casa del lillà.

- Sì, lo penso anch’io. Ha usato la bocca e poi gli ha offerto il culo.

- Sì.

Rimangono in silenzio. C’è una tensione tra di loro. Per la prima volta ci sono cose non dette, che hanno desiderio e paura di dire.

Niedzj si dirige verso l’albero a cui si è appoggiato l’uomo. Wilk lo segue. Si fermano davanti al tronco.

Niedzj posa le mani sulle spalle di Wilk. Non esercita nessuna pressione, ma Wilk ha l’impressione che le gambe non lo reggano più. Scivola in ginocchio. Niedzj si cala i pantaloni e solleva un po’ la tunica. Ora davanti a sé, a una spanna dal viso, Wilk ha il cazzo del fratello, grosso, duro. Avvicina il viso e ne avverte l’odore. Non si rende conto di aver aperto la bocca. Le sue labbra avvolgono la cappella. Wilk ne sente il gusto. Non aveva mai preso in bocca un cazzo. Si chiede perché non l’ha mai fatto prima. Le sue labbra e la sua lingua lavorano la cappella. Non sa bene come fare, si muove incerto, smarrito.

- Wilk, sto per venire!

Wilk non si sottrae. Il seme gli riempie la bocca. Ne sente il gusto.

Rimangono un buon momento immobili, in silenzio, poi Wilk si ritrae. Niedzj gli mette le mani sugli avambracci e lo fa alzare. Poi si inginocchia davanti a lui, gli cala i pantaloni e infila la testa sotto la tunica. Wilk sente la bocca del fratello che avvolge la cappella, la lingua che l’accarezza, e gli sembra che il mondo gli giri tutt’intorno. Niedzj lavora a lungo e infine Wilk viene. Non ha avvisato Niedzj: non ci ha neanche pensato.

Niedzj beve ogni goccia, poi si alza. Si guardano, frastornati. Poi Niedzj avvicina Wilk a sé e lo bacia, per la prima volta. Wilk ricambia il bacio con passione. Quando si staccano, Niedzj dice:

- Ti amo, Wilk.

Il legame che li unisce è sempre stato profondo, ma ora è qualche cosa di più forte. O forse hanno soltanto preso atto della vera natura del loro rapporto.

Tornano a palazzo, in silenzio. Entrambi pensano a quello che hanno fatto, rivedono la scena a cui hanno assistito. Tra loro esiste un’intimità assoluta. Ognuno dei due pensa al corpo dell’altro e desideri confusi lo assalgono. Si sono avviati lungo una strada che intendono percorrere, anche se non sanno dove li porterà.

Dormono abbracciati, come spesso fanno.

Il mattino, quando si svegliano, hanno entrambi il cazzo duro: succede con frequenza. Si guardano e Wilk dice:

- Facciamo il bis di ieri sera?

Niedzj sorride.

- Certo! Chi incomincia?

- Non è necessario che incominci uno. Possiamo fare insieme.

Wilk si gira, in modo da avere la bocca vicino ai genitali di Niedzj e i suoi genitali davanti alla faccia del fratello.

- Che ne dici?

- Mi sembra un’ottima idea.

Ognuno dei due prende in bocca il cazzo del fratello e incomincia a lavorare con la lingua e le labbra. Una mano di Wilk scende a stuzzicare i coglioni di Niedzj, che sussulta e poi ricambia il favore. Vanno avanti così, fino a che entrambi vengono.

 

*

 

Poche settimane dopo Wilk e Niedzj chiedono a Lazan di partecipare ai grandi tornei che si tengono ogni anno a Nocigranica, dove si sfidano i più forti guerrieri del regno: dicono che hanno piacere di mettersi alla prova. In realtà la loro richiesta nasce anche dall’esigenza di allontanarsi per un po’ dalla corte: ciò che hanno scoperto li turba e preferiscono lasciare la capitale per qualche tempo. Il re dà la sua autorizzazione: è un’ottima cosa che i gemelli si esercitino nell’uso delle armi e che imparino a conoscere il regno.

Wilk e Niedzj partono con una piccola scorta: vogliono partecipare ai tornei in incognito. In ogni caso le strade da Sjevredava a Nocigranica sono sicure e i due gemelli sarebbero in grado di difendersi se qualche brigante li attaccasse.

A Nocigranica si presentano al governatore, ma nessun altro conosce la loro vera identità.

La competizione comprende sei diversi tornei. Quattro riguardano le armi: la spada, l’ascia, l’arco e la lancia. Le gare con la spada e la lancia sono riservate ai maschi delle famiglie nobili e a guerrieri liberi provenienti anche dagli altri regni, quelle con l’ascia e l’arco vedono la partecipazione anche di maschi delle classi sociali inferiori. Al quinto e al sesto torneo partecipano soprattutto uomini del popolo: sono le gare di lotta e quelle con il bastone, che molti nobili e guerrieri considerano indegne di loro.

I due giovani si cimentano nelle gare che riguardano l’uso delle armi. Senza difficoltà arrivano entrambi all’ultima giornata di gara.

In mattinata si concludono le prove con l’arco e la lancia: in queste gare Niedzj e Wilk si piazzano tra i primi dieci, senza però arrivare oltre il quarto posto. Nel pomeriggio vi sono gli scontri finali, i più attesi, con la spada e l’ascia.

Niedzj è considerato da tutti il favorito per l’ascia e in effetti nell’ultimo scontro sconfigge facilmente l’avversario, un forte guerriero libero venuto da Spadkral, il regno d’Occidente. Alla conclusione del torneo, Wilk ha la meglio con la spada sul suo ultimo rivale, venuto da Brujekral, il regno dei monti.

Dopo le competizioni con le armi si svolgono le ultime due gare. Molti nobili lasciano la città, perché non intendono assistere a queste competizioni, assai amate dal popolo. Wilk e Niedzj invece rimangono. Vorrebbero cimentarsi anche loro, ma in quanto principi la loro partecipazione è inopportuna e preferiscono che Lazan non abbia da rimproverarli: anche se viaggiano in incognito, qualcuno potrebbe riconoscerli e si saprebbe in giro.

Quando però il torneo si è concluso, Wilk e Niedzj chiedono ai vincitori di insegnare loro le tecniche usate. Entrambi accettano: per loro dare lezioni a questi due forti guerrieri, che hanno vinto uno la competizione con l’ascia e l’altro quella con la spada, è un onore, oltre a essere l’occasione per un buon guadagno. I gemelli non rivelano di essere i principi: vogliono poter lottare liberamente, senza che gli avversari si sentano intimoriti.

Stamuski, che ha vinto le gare con il bastone, è il figlio di un ricco proprietario terriero del regno. È abilissimo nel maneggiare l’arma, ma non ha esperienza come maestro. Non sempre riesce a spiegare bene come bisogna maneggiare il bastone, ma guardandolo all’opera i due gemelli capiscono come devono muoversi. Niedzj e Wilk sono ottimi allievi e, prendendo lezioni ogni mattina, imparano in fretta a maneggiare quest’arma tipica del popolo. A volte affrontano altri avversari e li battono. Per quanto Wilk sia abile, Stamuski lo batte senza grande difficoltà, ma il contadino trova in Niedzj un avversario temibile: riesce ad avere la meglio, ma con fatica crescente.  

Glasno, il lottatore più forte, ha da poco aperto una scuola di lotta proprio a Nocigranica. Dedica i pomeriggi ai due nuovi allievi, che si rivelano alquanto diversi anche in questa attività. Wilk è molto veloce ed è quasi impossibile coglierlo di sorpresa, perché prevede le mosse dell’avversario e riesce a sottrarsi. Niedzj conta più sulla sua grande forza e quando riesce a bloccare l’antagonista, questi non può più a liberarsi. Glasno gli fa affrontare gli allievi più forti della sua scuola: all’inizio alcuni di loro battono i gemelli, ma con il passare del tempo questi hanno sempre più spesso la meglio. Presto mettono in difficoltà il loro stesso maestro, che fatica a vincere gli incontri. I due fratelli, che vengono chiamati Orso e Lupo, per le macchie che hanno sulla spalla, sono molto popolari nella scuola.

Spesso Wilk e Niedzj si affrontano. I loro punti di forza li rendono due avversari equivalenti, ma è quasi sempre Niedzj ad avere la meglio. Wilk si rende conto che quando il fratello lo stringe in una presa, la sua forza vacilla e sembra svanire. Un confuso desiderio si impadronisce di lui e lo lascia spossato.

 

 

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