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La spedizione parte un mese dopo la liberazione di Savjet e l’imprigionamento di Mjesecev. Previs guida personalmente l’esercito: vuole conquistare la gloria che è stata di suo nonno, Musum il Grande. Suo cognato Razbor, marito della sorella, sarà reggente nel periodo di assenza, ma per qualsiasi decisione importante dovrà consultare Previs. Mjesecev rimarrà in carcere. Previs si è anche chiesto se non farlo strangolare nella cella: meriterebbe la morte. Ma gli spiace eliminare il più forte dei guerrieri del regno: potrebbe sempre tornargli utile in una spedizione successiva. Preferisce rinviare la decisione al suo ritorno.

La marcia dell’esercito non può essere tenuta nascosta e la notizia giunge anche ai guerrieri del Nord. È evidente che saranno le tribù a essere attaccate e lo confermano le voci che già circolano nel regno di Sjevekral e che i mercanti riportano.

I re delle tribù del Nord si riuniscono su richiesta di Wolkan, della tribù del Lupo, che abita poco a Nord del confine settentrionale del regno. Il luogo scelto è una valle che non appartiene al territorio di nessuna tribù ed è considerata da tutte un santuario.

Wolkan espone la situazione:

- Previs, figlio di Praotac, ha deciso di ampliare il regno, occupando le nostre terre e costringendoci a versargli un tributo. Il suo esercito ha ormai raggiunto Nocigranica. Da un momento all’altro ci arriverà l’ordine di sottometterci.

Il re della tribù del Falco osserva:

- Sei sicuro di questo, Wolkan? Anche a noi è giunta voce dell’arrivo dell’esercito di Sjevekral, ma come fai a sapere che intende occupare le nostre terre?

Gli risponde il re della tribù dell’Orso:

- Se l’esercito ha raggiunto l’estremità settentrionale del regno è perché Previs intende conquistare queste terre. Altrimenti non avrebbe motivo per portare le sue truppe a Nocigranica.

Wolkan annuisce e aggiunge:

- Non è solo questo. I soldati parlano apertamente dell’intenzione del re di ampliare il regno sottomettendoci. Previs ci considera dei selvaggi, che devono inchinarsi al suo potere.

Le parole di Wolkan suscitano un coro di esclamazioni.

- Avrà modo di vedere che cosa sanno fare i selvaggi.

- Si pentirà della sua insolenza.

Dopo aver lasciato agli altri re il tempo di esprimere la loro rabbia, Wolkan procede:

- Dobbiamo prepararci a combattere. E dobbiamo scegliere qualcuno che sia alla guida di tutte le tribù, come facemmo al tempo di Musum.

I commenti s’intrecciano. Sulla necessità di prepararsi alla guerra non ci sono dubbi e questo comporta la scelta di un comandante dell’esercito, ma nessuno dei re si metterebbe volentieri agli ordini di uno degli altri. Si accende perciò una discussione, che non sembra portare a nulla. Eppure un esercito deve avere un unico capitano, per cui occorre superare le rivalità esistenti tra le tribù.

Dopo una lunga discussione senza risultati, il re della tribù dell’Orso interviene:

- Rivolgiamoci ai sacerdoti.

Gli altri re condividono la proposta. I sacerdoti hanno accompagnato i re, come sempre avviene nei momenti cruciali.

Essi si consultano. Poi si fa avanti il gran sacerdote della tribù dell’Aquila, che è considerato il più autorevole.

Guarda i re e ingiunge:

- Venite intorno alla fonte sacra.

La fonte è una pozza, dal fondo della quale sgorga un’acqua gelida e limpidissima. È ampia, ma poco profonda.

I dodici re si dispongono intorno alla sorgente e guardano l’acqua, a cui il riflesso degli alberi circostanti dà un colore verde. Il fondo si scorge perfettamente e basterebbe immergervi un braccio per toccarlo, ma nessuno può farlo: solo ai sacerdoti è consentito bagnarsi alla fonte.

La superficie dell’acqua è appena increspata, ma sembra che vi si formino cerchi, un gorgo che inghiotte i pensieri di coloro che osano fissarla. I re non riescono a sottrarsi al suo fascino e si perdono nella contemplazione.

La voce del gran sacerdote li riscuote:

- Toglietevi i monili che portate al braccio e gettateli nella fonte. Verranno in superficie uno dopo l’altro. Quello che rimarrà sul fondo appartiene a colui che potrà guidare le tribù del Nord nella battaglia in cui si deciderà la sorte di queste terre.

I re si guardano, stupiti. Tutti loro portano al braccio un monile, che è uno dei tre simboli del potere reale. La corona viene portata solo nelle occasioni ufficiali, ma i due monili, al collo e al braccio, non vengono tolti mai. Chiedere a un re di separarsi dal monile è un’offesa, ma l’ordine viene dal gran sacerdote.

Qualcuno si chiede come possano questi pesanti monili d’oro riemergere: il loro stesso peso li porterà al fondo. Ma le parole del sacerdote non possono essere ignorate. Uno dopo l’altro i re si tolgono i monili, ognuno dei quali reca in rilievo l’immagine dell’animale sacro alla tribù. Li gettano nell’acqua e i gioielli affondano.

C’è un momento di silenzio, poi il prodigio si compie: il monile del re dell’Orso riemerge, poi quello dell’Aquila, quello del Leone di Montagna. Rimane sul fondo solo il bracciale del re della tribù della Lontra. Il sovrano è stupito, perché non si aspettava di dover guidare tutte le tribù contro il nemico. Ma anche il suo monile emerge.

I re si guardano sconcertati, ma quando fissano nuovamente la sorgente, sul fondo c’è, nitidissimo, un altro bracciale. Ognuno alza gli occhi per osservare il braccio degli altri re, ma tutti hanno recuperato il loro monile e lo hanno rimesso al suo posto. Che cos’è allora questo monile che si vede sul fondo?

Il grande sacerdote immerge il braccio e prende il monile. È anch’esso un bracciale, simile a quello di tutti i re, ma l’effigie non è quella di un animale: è un viso umano, coperto nella parte superiore da un elmo che lascia appena vedere gli occhi, mentre la parte inferiore del viso rimane scoperta e si può ammirare la barba fluente.

Il grande sacerdote osserva l’immagine. Sembra leggervi cose che nessun altro è in grado di scorgere. Chiude gli occhi, poi annuisce e dice:

- C’è un solo uomo che può guidarvi alla vittoria. Non è tra voi e non vive in nessuno dei vostri villaggi. Nelle sue vene scorre lo stesso sangue di colui che ora ci minaccia. Solo lui può uccidere Previs e sventare il pericolo che incombe su di voi. Finché vi condurrà, sarete sempre vincitori. Quando non potrà più guidarvi, dovrete deporre le armi.

Tutti si guardano perplessi. Chi è il guerriero di cui parla il grande sacerdote, colui a cui appartiene, o forse è destinato, il monile?

Il sacerdote prosegue, volgendosi verso il re della tribù del Leone di Montagna:

- Planilav, l’antico giuramento che hai rispettato mantenendo il silenzio, ora richiede che tu parli.

Tutti guardano il re della tribù del Leone di Montagna, quella di cui faceva parte Musum e su cui ha regnato anche il secondo figlio di Musum, Djed.

Questi osserva ancora un momento il monile che il sacerdote tiene in mano, poi respira a fondo e dice:

- Sapendo che sarebbe morto giovane, Djed rivelò a mio padre Pozdani un segreto, impegnandolo a non rivelarlo fino a che non fosse giunto il giorno. Mio padre me lo trasmise in punto di morte, imponendomi lo stesso giuramento. Vedo che ora il giorno è giunto.

Le parole di Planilav destano un mormorio di stupore.

- Djed ebbe un figlio, uomo e animale, mortale e immortale, come altri nella stirpe di Musum, che non è soggetta alle stesse leggi di tutti noi. Questo figlio porta su una spalla il segno di un artiglio di leone di montagna e indossa un elmo che copre la parte superiore del suo viso, esattamente come in questo monile.

Ci sono alcune esclamazioni, mezze frasi dette sottovoce. Poi Wolkan chiede:

- Sai dove possiamo trovarlo? Il sacerdote ha detto che non vive in nessuno dei nostri villaggi. L’esercito di Sjevekral si avvicina e non abbiamo tempo da perdere.

Planilav scuote la testa.

- Non l’ho mai incontrato. Solo la notte in cui mio padre mi svelò il segreto, il guerriero mi apparve in sogno.

I re si rivolgono al grande sacerdote.

- Tu sai dove possiamo trovarlo?

- No, ma verrà. Ha ricevuto la chiamata e ha lasciato le terre dove vive abitualmente. Sa che la sua ora è giunta e deve andare incontro al suo destino. È molto vicino.

Non appena il sacerdote ha finito di pronunciare queste parole, si sentono le voci concitate delle sentinelle. I re si voltano nella direzione da cui provengono.

Un grande leone di montagna appare  e con due balzi raggiunge il luogo dove si trovano i re. Qui si trasforma in un guerriero. Ha lunghi capelli, rossi come la barba, e occhi azzurri. Su una spalla ha il segno dell’artiglio del leone. Indossa un elmo e nient’altro.

L’uomo fissa i re e dice:

- Il mio nome è Nepoz e mio padre fu Djed, che fu re del Leone di Montagna. So che mi cercate. Sono qui.

C’è un momento di silenzio, poi Planilav parla per tutti.

- Nepoz, il tuo arrivo ci è stato annunciato. Una minaccia grava sulle dodici tribù dei figli di Lilith. I sacerdoti ci dicono che solo tu puoi guidarci alla vittoria contro il re di Sjevekral, nelle cui vene scorre lo stesso sangue che scorre nelle tue. Egli vuole sottometterci, privandoci della nostra libertà. Noi preferiamo combattere e morire piuttosto che vivere schiavi. Vuoi guidarci?

Nepoz guarda Planilav, poi gli altri re.

- Sapevo che questo giorno sarebbe venuto. Previs troverà la morte che merita. Mi affidate la guida delle tribù finché questa minaccia non sarà sventata?

Le parole del grande sacerdote sono state chiarissime. I re hanno assistito al prodigio del bracciale d’oro e alla trasformazione del leone di montagna in uomo. Tutti danno il loro assenso senza esitare.

I guerrieri delle dodici tribù si preparano per la guerra. Nepoz si consulta con i re e prepara un piano.

 

Gli uomini del Nord sono guerrieri, abituati ad affrontare i pericoli delle terre in cui vivono. In breve tempo le truppe sono pronte.

Previs ha inviato diverse spie per capire la situazione. Alcune sono state scoperte e uccise immediatamente. Altre sono riuscite a scampare e tornano dal re con le informazioni che hanno raccolto: le dodici tribù rifiutano di sottomettersi. Si sono organizzate e hanno scelto un capo che le guiderà nella guerra che si prepara.

Previs è irritato, ma sapeva che non sarebbe stato accolto a braccia aperte. Decide di marciare verso Nord. Raggiunge la catena di forti che segna il confine settentrionale del regno e poi prosegue, costeggiando il fiume.

Le truppe hanno da poco superato il confine, quando vedono una schiera di guerrieri sulla cresta di una collina. Previs guida l’esercito verso di loro, ma gli uomini delle tribù si ritirano. Il re li incalza, riducendo la distanza che separa i due schieramenti. I guerrieri percorrono una gola di montagna e raggiungono una valle. Qui, vedendo gli inseguitori ormai molto vicini, sembrano presi dal panico: si inerpicano sul fianco di un’altra collina, ma poi, invece di scavalcarla, ridiscendono nella valle un po’ oltre.

Alcuni ufficiali del regno sono alquanto perplessi di fronte a queste manovre: i guerrieri del Nord sono abituati ad affrontare ogni pericolo e non arretrano, neppure quando sono in condizione di evidente inferiorità numerica. Previs però non vuole sentire ragione e ordina agli uomini di raggiungere i fuggitivi, tagliando attraverso la valle. Gli ufficiali desiderosi di mostrare il loro zelo guidano i soldati attraverso il fondovalle, ma i primi cavalieri si trovano a sprofondare: il fondovalle è un’ampia palude, che inghiotte cavalli e cavalieri. Anche i fanti affondano nel terreno fangoso e si muovono a fatica.

I guerrieri del Nord, fermi oltre la palude, scagliano le loro frecce e fanno facilmente strage dei soldati che non possono ripararsi e si muovono con difficoltà.

L’esercito è costretto a ritirarsi, dopo aver subito pesanti perdite.

Previs è furibondo. Potrebbe far procedere le truppe lungo il fianco della collina, ma preferisce ritirarsi all’imboccatura della valle, per riorganizzare l’esercito.

I guerrieri del Nord si allontanano. Previs decide di ripercorrere la gola e lasciare la valle, ma quando l’esercito è a metà della gola, molti uomini compaiono in alto e su di loro si rovescia un diluvio di frecce. L’esercito cerca di avanzare, per uscire dalla gola, ma dall’alto piombano massi che fanno strage.

Quando infine i sopravvissuti riescono a uscire dalla gola, si trovano di fronte gli uomini delle tribù. L’esercito, decimato dalle frecce e dai massi, è facilmente sconfitto e a fatica Previs riesce a fuggire con una parte degli uomini.

 

Previs ha perso oltre metà dell’esercito e gli uomini sono demoralizzati. La spedizione è stata un fallimento. Il re ora teme che la sconfitta provochi una rivolta che potrebbe rovesciarlo e mettere al suo posto Mjesecev. Invia perciò in segreto un messaggero a Razbor, il cognato che ha nominato reggente, con l’ordine di strangolare il principe nella cella in cui è rinchiuso e di gettarne il corpo ai cani.

Il messaggero è appena partito quando un ufficiale annuncia a Previs che i guerrieri del Nord hanno raggiunto l’accampamento e che occorre prepararsi a una nuova battaglia.

 

Razbor legge il messaggio che gli viene consegnato. Sa già che Previs è stato sconfitto e che le tribù del Nord incalzano il suo esercito. È probabile che Previs venga catturato o ucciso in battaglia.

Razbor riflette a lungo. Far uccidere Mjesecev gli peserebbe molto: ha stima del giovane cognato, ne ammira il valore e la lealtà. Se fosse sicuro del ritorno di Previs, obbedirebbe comunque, sapendo che in caso di disobbedienza il re farebbe comunque giustiziare il fratello e lui subirebbe la stessa sorte. Potrebbe far evadere Mjesecev, permettendogli di fuggire in uno degli altri regni e, per evitare la vendetta di Previs, fuggire anche lui, ma non vuole vivere in esilio e rinunciare agli agi e al potere che gli dà la sua posizione di cognato del re.

Se farà strangolare Mjesecev e Previs verrà ucciso o deposto, quando si scoprirà che Mjesecev, l’erede naturale, è stato fatto uccidere da lui, Razbor pagherà con la vita.

Qualsiasi sia la sua scelta, presenta molti rischi. In questa situazione, Razbor sceglie di disobbedire, senza dire nulla.

Fa trasferire Mjesecev in una stanza del palazzo, affidandolo alla sorveglianza di due uomini molto fidati. Se Previs tornerà, farà uccidere Mjesecev, dicendo di aver eseguito l’ordine non appena ricevuto il messaggio. Se Previs non tornerà, libererà Mjesecev.

 

Mjesecev sa che Previs ha subito una sconfitta e, conoscendo il fratello, sospetta che darà l’ordine di ucciderlo. Quando vengono per trasferirlo in un’altra cella, pensa che la sua ora sia giunta, ma viene accompagnato in una stanza dell’appartamento di Razbor, assai più comoda della cella.

Né Mjesecev, né Razbor lo sospettano, ma quando avviene lo spostamento, il destino di Previs si è già concluso: il cadavere del re giace sul campo di battaglia e la sua testa, che Nepoz ha tagliato, è stata infilata su una picca e piantata davanti alle mura di Nocigranica.

I re delle tribù del Nord si chiedono che cosa fare: tornare alle loro terre o attaccare le città del regno e saccheggiarle? L’idea di tornare con un ricco bottino fa gola a molti e tutti ritengono che sia un giusto indennizzo per il tentativo di Previs di sottometterli. 

Nepoz dice loro che devono aspettare l’arrivo di Mjesecev, che certamente verrà a Nocigranica.

 

La notizia della morte del re e della sconfitta dell’esercito giunge alla capitale. Razbor fa liberare Mjesecev e gli fa vedere l’ordine ricevuto da Previs, a cui lui ha disobbedito.

Mjesecev è il nuovo re, l’ultimo rimasto dei figli di Praotac, della stirpe di Musum. Tocca a lui radunare altri uomini e marciare su Nocigranica. Non c’è la possibilità di radunare un grande esercito: il tempo stringe e molti degli uomini in grado di combattere sono partiti con Previs e hanno trovato la morte. Le truppe con cui Mjesecev arriva in vista di Nocigranica sono costituite da quei pochi soldati che è stato possibile far venire dalle città e da coloro che sono riusciti a salvarsi dalla battaglia in cui Previs ha trovato la morte: non è certo sufficiente per fronteggiare le dodici tribù riunite. Se non si troverà un accordo, Mjesecev potrà soltanto trincerarsi con le truppe a Nocigranica e difendere la città, sperando che i guerrieri delle tribù non l’espugnino: in campo aperto non sarebbe in grado di affrontarli.

 

Mjesecev raggiunge Nocigranica. I guerrieri delle tribù sono accampati non lontano. Il loro comandante lo invita a un incontro. Mjesecev ha sentito parlare di quest’uomo molto forte, che ha guidato le tribù del Nord alla vittoria. Di lui a Nocigranica nessuno sa nulla: neppure il suo nome è noto. Qualcuno dice che è il re di una delle tribù, ma altri dicono che non è così.

Il giorno successivo Mjesecev si presenta davanti all’accampamento nemico con sei uomini, come concordato: sa che i guerrieri del Nord sono leali e non teme di essere catturato e ucciso a tradimento. Dall’accampamento degli uomini del Nord si muove la delegazione, costituita da tre sacerdoti, tre re delle tribù e dal comandante dell’esercito.

Mjesecev guarda gli uomini che si avvicinano. Davanti a tutti cammina Nepoz. Mjesecev si dice che avrebbe dovuto prevederlo, ma non aveva immaginato di ritrovare Nepoz come comandante dei guerrieri del Nord: la sua stessa esistenza era sconosciuta alle tribù dei figli di Lilith.

Nepoz si ferma davanti a lui. Lo guarda e per un momento a Mjesecev sembra che ci sia dolore nei suoi occhi.

- Ti saluto, re di Sjevekral. Noi ci siamo già incontrati, ma allora tu non eri re e io non comandavo l’esercito delle tribù del Nord.

I guerrieri delle tribù si stupiscono che Nepoz conosca Mjesecev. Coloro che accompagnano Mjesecev invece non mostrano stupore: il loro re ha trascorso lunghi periodi nelle terre del Nord e non è strano che abbia incontrato questo Nepoz.

Mjesecev annuisce.

- Sì, ci siamo già conosciuti, ma erano diverse le circostanze.

C’è un sorriso amaro sul viso di Nepoz.

- Sì, è vero. L’antico patto di alleanza tra il regno e le tribù non era stato violato e tra noi vi era pace.

Mjesecev risponde. Fa fatica a parlare, oppresso da un dolore che lo schiaccia.

- Mio fratello ha violato gli antichi patti attaccandovi e ha trovato la morte. Io posso solo chiedervi di rinnovare l’alleanza e offrirvi un risarcimento.

- Le tue parole sono sagge.

Viene avviata una trattativa. I guerrieri del Nord, irritati dal tradimento, avanzano molte pretese. Mjesecev non vorrebbe impoverire troppo il regno, che ha già pagato un pesante tributo di uomini all’ambizione di Previs.

La trattativa va avanti a lungo. Il re e il comandante degli uomini del Nord si incontrano ogni giorno e le loro proposte vengono poi riportate all’assemblea dei re e ai governatori delle città, che Mjesecev ha convocato a Nocigranica.

Mjesecev vorrebbe poter parlare un momento con Nepoz a tu per tu, ma questi si nega e d’altronde un loro dialogo senza nessun altro potrebbe suscitare sospetti. Mjesecev ne soffre.

Alla fine Mjesecev fa un’ultima offerta, che i re delle tribù del Nord dovranno decidere se accogliere o respingere. I re si riuniscono in assemblea. L’orientamento prevalente è quello di respingere l’offerta di Mjesecev.

- Previs ha invaso le nostre terre. Avrebbe voluto sottometterci. Perché mai, ora che siamo i più forti, dovremmo accontentarci di ciò che offre Mjesecev? Possiamo espugnare Nocigranica e saccheggiarla.

- Hai parlato bene! Che paghino per ciò che hanno fatto.

Planilav, il re della tribù del Leone di Montagna, interviene:

- Vogliamo davvero altre battaglie, che scaverebbero un solco incolmabile tra noi e il regno? Ora Mjesecev non è in grado di fare molto, ma il regno è grande e si riprenderà. Non possiamo certo pensare di sottometterlo. Una perenne inimicizia tra noi e il regno non va a vantaggio di nessuno.

La discussione prosegue a lungo, finché Planilav non si rivolge al gran sacerdote della tribù dell’Aquila:

- Tu hai saputo leggere i segni e ci hai indicato colui che ci ha portati alla vittoria. Che cosa leggi nel futuro?

- Poiché me lo chiedi, posso cercare di leggere nel futuro. Ma voi tutti, accetterete il responso?

I re sanno che l’oracolo non può essere ignorato. Alcuni dichiarano subito che seguiranno la via tracciata dal responso, altri esitano, ma poi decidono di accettare la consultazione, che metterà fine a ogni discussione.

Il gran sacerdote accende un fuoco e poi taglia una ciocca di capelli a ognuno dei dodici re. Le getta nel fuoco, da cui ora si sprigiona un fumo che cambia più volte colore. Quando infine il fumo si dirada, il grande sacerdote parla:

- Il sangue della stirpe di Musum dev’essere versato. Non ci può essere pace finché uno dei due condottieri non sarà stato ucciso dall’altro. Se a vincere sarà Nepoz, i guerrieri del Nord saccheggeranno il regno. Se a vincere sarà il re di Sjevekral, le tribù si ritireranno senza nulla chiedere.

Nepoz non si stupisce delle parole del sacerdote: già sapeva quale sarebbe stato il responso. I re sono perplessi. Nessuno di loro vorrebbe la morte di Nepoz, che li ha guidati alla vittoria. Più d’uno tra coloro che hanno insistito per il saccheggio ora si pente della propria ostinazione, ma ormai è tardi: se si richiede un responso, bisogna poi obbedire.

È Nepoz stesso a esporre a Mjesecev la decisione delle tribù.

Mjesecev lo guarda. Per un momento non riesce a parlare. Infine risponde:

- La tua vita o la mia. Ciò che offrivo non era abbastanza…

- Per alcuni no. Siamo stati attaccati e abbiamo dovuto difendere la nostra libertà .

- Ci dobbiamo battere, dunque?

- Questo è il nostro destino, Mjesecev,

Mjesecev china il capo. Gli sembra che un peso enorme lo schiacci. Nepoz continua:

- Te lo dissi. La nostra non è una stirpe come le altre. In ogni generazione almeno uno di noi va incontro a un destino diverso. Siamo destinati a soffrire molto, ma le nostre sofferenze hanno un termine.

Mjesecev ha un sorriso amaro. Annuisce.

- La morte mette fine a ogni sofferenza, certo.

Poi si volta e si allontana rapidamente. Non vuole sentire più nulla. I suoi uomini stabiliranno le modalità del duello.

 

L’indomani il duello ha luogo. Nepoz trascorre la notte in una capanna, seguendo le usanze delle tribù del Nord. Mjesecev si corica ina una stanza del palazzo del governatore. Nessuno dei due riesce a prendere sonno. Il pensiero di entrambi va, ossessivo, alla breve stagione del loro amore. Nepoz era preparato a quanto è successo: sua madre gliene aveva parlato. Mjesecev invece non si aspettava di dover affrontare in duello l’uomo che ama.

 

Il mattino successivo i due guerrieri combattono in un cerchio formato dai dodici re delle tribù e da dodici ufficiali dell’esercito. L’arma di Mjesecev è la spada che gli ha dato suo padre, quella che Vodjanoj diede a Musum.

Il combattimento  è violento: i colpi sono vibrati con forza e ognuno di essi, se andasse a segno, ucciderebbe. Ma entrambi i guerrieri sono abili a parare quanto a colpire, per cui il duello dura a lungo. I visi dei due comandanti, contratti nello sforzo, gocciolano di sudore.

Infine Mjesecev riesce a ferire al braccio destro Nepoz e, quando questi è costretto ad abbassare la guardia, la spada del re si immerge nel petto dell’avversario. Nepoz barcolla e sorride. Quando Mjesecev estrae l’arma, crolla in ginocchio, le mani sulla ferita. Mjesecev alza la spada e la abbatte sul collo di Nepoz, la cui testa rotola a terra.

Mjesecev si volta e, come il giorno prima, quando gli avevano annunciato il duello, se ne va senza voltarsi indietro, senza badare agli uomini che lo lodano per la sua vittoria. Il dolore che lo schiaccia lo rende sordo a tutto.

I guerrieri delle tribù del Nord decidono di tornare nelle loro terre l’indomani. Hanno difeso la loro libertà, ma l’avidità e il desiderio di vendetta di alcuni di loro hanno provocato la morte di colui che li ha condotti alla vittoria. Non tornano soddisfatti.

Intendono portare con sé il cadavere di Nepoz, per seppellirlo nelle terre del Nord, ma quando, il mattino successivo, all’alba, si apprestano a partire, la tenda in cui è stato messo il corpo è vuota.

In lontananza, nella direzione che devono prendere, possono vedere un leone di montagna, dal pelo rossastro, che pare guardarli e poi si dilegua verso Nord. Colui che è arrivato da loro come leone, ha ripreso la forma originaria per allontanarsi.

 

Mjesecev, dopo aver trascorso alcuni giorni a Nocigranica, rientra nella capitale. Lungo tutto il percorso viene accolto da una folla festosa: grazie al nuovo sovrano la guerra è finita e la minaccia costituita dai guerrieri del Nord è stata sventata. I cittadini sanno che è un uomo saggio e generoso e sono sicuri che nel regno torneranno pace e giustizia.

È evidente a tutti che Mjesecev non è felice. Alcuni attribuiscono la sua sofferenza alla morte del padre e dei due fratelli, altri alle traversie degli ultimi mesi. Qualcuno che lo conosce meglio pensa che soffra perché ha dovuto rinunciare alla vita libera delle terre del Nord. Nessuno sospetta il motivo più profondo della sua sofferenza.

Due anni dopo essere salito al trono, Mjesecev si sposa e ha un figlio, Osmikr. Il giorno stesso della sua nascita, il padre lo osserva con cura.

Con angoscia vede che porta i segni a forma di stelle che ritornano in alcuni maschi della stirpe di Musum. Sono di colore giallo. Neanche al piccolo sarà risparmiato un destino di sofferenza e solitudine?

La regina muore pochi giorni dopo e, trascorso un anno Mjesecev decide di risposarsi: non vuole lasciare il piccolo senza una madre. La seconda moglie si prende cura di Osmikr, che cresce forte e sano. Assomiglia molto al padre nei capelli neri e negli occhi scuri. È un bambino felice.

Diversi anni dopo la nuova regina rimane incinta e dà alla luce un figlio: Vareni. Il piccolo ha tanti capelli rossicci e gli occhi azzurri. Il padre lo guarda sgomento: troppi ricordi si risvegliano in lui. Ne esamina con cura il corpo e scopre che ha due stelle arancioni, una sull’anca destra e una dietro lo scroto. Mjesecev prova un’angoscia profonda.

 

Quando Osmikr ha vent’anni e Vareni cinque, vi sono nuovamente tensioni con le tribù del Nord. Mjesecev lascia Vareni nella capitale e si reca a Nocigranica con il figlio maggiore, a cui sta insegnando l’arte di governare.

Osmikr non ha mai dimostrato interesse per le tribù e per la vita che i figli di Lilith conducano oltre i confini del regno: in questo non assomiglia al prozio Djed o a suo padre Mjesecev, che rimpiange gli anni in cui ha trascorso lunghi periodi tra i guerrieri del Nord. Osmikr è a suo agio in città e ama la vita di corte. Ha viaggiato volentieri nei regni vicini, ma non ha mai manifestato l’intenzione di visitare le Terre del Nord.

Mjesecev e Osmikr incontrano al confine settentrionale del regno Velikilav, il re della tribù del Leone di Montagna, che per valore e saggezza è considerato il più autorevole tra i dodici re delle tribù e perciò è stato delegato a parlare con il re di Sjevekral.

Il colloquio è amichevole e le divergenze vengono appianate senza difficoltà. Alla fine del loro incontro, Velikilav dice:

- Tuo figlio mi sembra forte e saggio. Non è mai venuto nelle nostre terre. È un peccato: la tua stirpe, Mjesecev, proviene dalla nostra tribù. Permettimi di invitarlo: gli farò di guida nel Nord e spero di rafforzare così, prima di morire, l’amicizia tra il regno e le tribù.

Mjesecev non vuole apparire scortese con Velikilav, ma l’idea che Osmikr trascorra un periodo nelle Terre del Nord non gli fa piacere. Non vuole rifiutare senza aver parlato con Osmikr, per cui si limita a dire:

- Ti ringrazio per l’invito. Sono sicuro che con te al suo fianco un soggiorno nelle terre delle tribù sarebbe una bella esperienza, ma preferisco parlare con Osmikr prima di darti una risposta. Ci vedremo questa sera al banchetto di commiato e ti dirò che cosa abbiamo deciso.

Osmikr non ha detto nulla: sa stare al suo posto e ha aspettato che il padre gli chiedesse che cosa pensava. Se Mjesecev preferisce parlargli in privato, non intende interferire.

Quando sono soli, Mjesecev chiede:

- Che cosa pensi della proposta di Velikilav, Osmikr?

- Non ho mai visto come vivono le tribù del Nord. Sento dire che sono selvaggi. Confesso di essere curioso, anche se dubito che mi piacerà.

Mjesecev si stupisce di quanto suo figlio sia diverso da lui: a vent’anni avrebbe voluto trascorrere tutta la vita nelle Terre del Nord.

- Hai voglia di andare?

- Non so neanch’io che dire. Pensi che possa essere utile per i buoni rapporti tra noi e loro?

- Senza dubbio. Ma non voglio forzarti.

- Allora andrò a farmi un’idea di questi selvaggi.

Mjesecev sorride.

- Figlio, sarà meglio che tu non usi questo termine. Non vorrei mai che ti scappasse quando sarai tra di loro.

Osmikr ride:

- Dici che se la prenderebbero? Come sono suscettibili!

Poi aggiunge, serio:

- Farò attenzione, padre.

Prima di lasciarsi, Osmikr chiede:

- Padre, perché Velikilav ha parlato di morire? Mi sembra un uomo molto forte e dev’essere in grado di vivere ancora a lungo.

- Figlio, sai che nelle tribù del Nord il re non può invecchiare: la forza del re è la forza della tribù. Quando incomincia a indebolirsi e i capelli diventano bianchi, viene soppresso.

- Sì, avevo sentito di questi usi, ma pensavo a re ormai molto anziani, non certo a uomini come Velikilav, che deve aver più o meno la tua età.

- Questo è l’uso. Presto un guerriero lo sfiderà e se lo vincerà, prenderà il suo posto.

- Mi sembra davvero un uso da… quella parola che devo dimenticarmi di usare.

 

La sera Mjesecev comunica a Velikilav che accetta la sua proposta e che perciò Osmikr partirà con lui.

I primi giorni Osmikr è curioso di conoscere le Terre del Nord da cui proviene la sua stirpe. Non ha tutte le comodità a cui è abituato, ma è giovane e si adatta facilmente, tanto più che gli uomini che accompagnano il re cercano di non fargli mancare niente. Al villaggio viene accolto con tutti gli onori e non gli dispiace la vita semplice e schietta degli uomini delle tribù.

L’autunno è giunto e una settimana dopo l’arrivo di Osmikr si apre la stagione delle grandi cacce, nei territori più a Nord. Gli uomini del Leone di Montagna si spostano nell’area dove si solito piantano l’accampamento. Qui la vita è diversa, molto più rude: si dorme su giacigli di fortuna, sotto semplici tende, e se le giornate sono molto fredde, come a volte capita, ci sono solo le pellicce per ripararsi; il cibo è costituito soprattutto da carne cotta sul fuoco e mangiata con le mani, senza usare neppure i piatti; per lavarsi ci sono solo pozze e ruscelli; gli abiti si sporcano in fretta e vengono cambiati solo di rado. Osmikr si adatta, ma non è certo entusiasta della vita all’accampamento. La caccia gli piace e, anche se ha poca esperienza, la sua abilità nell’uso delle armi e il suo coraggio fanno di lui un discreto cacciatore: gli manca solo la conoscenza della selvaggina, ma in questo lo assistono i suoi compagni di caccia.

A stupirlo è l’intensa attività sessuale, che si svolge tutt’intorno: gli uomini scopano gli uni con gli altri, senza nessun pudore. Quando non sono impegnati nella caccia o non mangiano o dormono, non sembrano fare altro. Qualcuno fa anche proposte molto dirette a Osmikr, ma Velikilav interviene. Al principe spiega:

- Questi sono i nostri giochi d’autunno. Qui non ci sono donne e ci divertiamo tra di noi. Non ti stupire se qualcuno ti invita, non sentirti in obbligo di accettare, ma non prendertela.

Osmikr non è interessato a questi giochi d’autunno, anche se con il passare dei giorni l’astinenza gli pesa. A un certo punto il desiderio prende il sopravvento e possiede un giovane che gli si è offerto. L’esperienza non gli dispiace e la ripete alcune volte. Ma continua a pensare che un corpo di donna è molto più attraente di questi maschi villosi.

Tre cacciatori lo invitano a una battuta nelle terre del Grande Nord. Osmikr accetterebbe, ma Velikilav lo blocca: non vuole che l’erede al trono di Sjevekral rischi la vita, creando alle tribù grossi problemi con il regno vicino.

Nella notte però Vodjanoj gli appare in sogno e gli intima di lasciar partire Osmikr. Velikilav non sa se deve fidarsi della visione notturna, che non necessariamente è stata inviata dal Terribile, per cui non ritorna sulla sua decisione. I tre cacciatori partono senza Osmikr, ma tornano dopo poche ore: il Fiume dei Ghiacci è in piena e ha allagato la valle che avrebbero dovuto percorrere. La piena prosegue e i terreni di caccia diventano impraticabili. Lo stesso accampamento è minacciato.

Velikilav dice a Osmikr che può partire con i tre cacciatori. L’acqua del fiume defluisce immediatamente: il sogno notturno non era ingannevole.

Il re è comunque preoccupato. Sa che Osmikr, in quanto discendente di Musum, porta nelle vene il sangue di Vodjanoj, ma questo non ha impedito a Djed, che pure era figlio di Musum, di morire molto giovane.

La spedizione si svolge senza inconvenienti nei primi due giorni, a parte l’incontro con una krilovil, per cui i tre cacciatori cadono addormentati, risvegliandosi dopo qualche tempo. La selvaggina è abbondante e la caccia dà buoni risultato. Il terzo giorno però, mentre cercano di stanare un orso, Osmikr vede un blud. Quando guarda in faccia questo piccolo essere con le ali trasparenti, perde coscienza del luogo in cui si trova e incomincia a vagare a casaccio, senza sapere dove si trova. I compagni non sono lontani, ma non si accorgono di nulla e quando, stupiti di non vederlo, incominciano a cercarlo, Osmikr ha lasciato l’area.

Cammina a lungo, confuso, fino a che giunge in una valle stretta tra ripide pareti. Al fondo c’è una cascata, ma su quella parete quasi verticale si vede un sentiero. Osmikr ha ormai ripreso piena coscienza, ma non sa dove si trova. Si dice che forse dall’alto potrà scoprire come tornare verso l’accampamento della tribù.

Il sentiero si inerpica fino a un colle. Giunto in cima, Osmikr vede davanti a sé una conca con sette laghi di diversi colori disposti intorno a un lago centrale. Sa che è la Terra degli Otto Laghi. Ne ha sentito parlare all’accampamento, ma pure a Sjevredava. Conosce anche l’esistenza dei borobieli, gli alberi che con il profumo dei loro fiori impediscono a chi si avvicina di andarsene, ma in autunno non sono fioriti. Osmikr esita, poi scende nella conca e si avvicina ai laghi. Raggiunge quello giallo e guarda l’acqua, che lo attira.

- Benvenuto, Osmikr.

La voce lo fa sussultare: arrivando non ha visto nessuno. Osmikr si volta e vede davanti a sé un uomo che ha pochi anni in più di lui, i capelli di un rosso scuro e gli occhi azzurri. L’uomo è nudo e sulla spalla ha il segno di un artiglio di leone.

- Chi sei tu, che conosci il mio nome?

- Sono Nepoz. Sono un cugino di tuo padre, che mi uccise prima della tua nascita.

- Ti uccise? Ma sei qui, davanti a me.

- Perché noi della stirpe di Musum non siamo come gli altri umani. E io ora vivo in terre che nessun uomo può raggiungere.

- Mi dici qualcosa di incredibile.

Nepoz sorride.

- So che ti appare incredibile, è naturale che sia così. Ma ora ascoltami: sono venuto qui perché tu sei un portatore delle due stelle, come tuo padre, come me. Le stelle che porti sono gialle e questo è il Lago Giallo. Un destino ti attende, di gloria e di sofferenza. Se ti immergerai, accetterai il tuo destino, altrimenti ti sottrarrai e seguirai altre strade. A te la scelta.

- Quale destino mi aspetta?

- Non lo so e se lo sapessi, non potrei comunque dirtelo. Devi scegliere, senza sapere. E ora addio.

Sotto gli occhi attoniti di Osmikr, Nepoz si trasforma in un leone di montagna, dal pelo rosso, e si allontana a grandi balzi. Osmikr lo guarda esterrefatto scomparire tra gli alberi.

Si siede e riflette a lungo, guardando le acque del lago. Un destino di gloria e di sofferenza. Osmikr non è interessato alla gloria. Sarà re, perché è l’erede al trono. Cercherà di essere un re saggio e giusto, come suo padre, che è molto amato: vorrebbe essere anche lui amato dal suo popolo. Perché dovrebbe cercare altra gloria? Non gli interessano grandi imprese o conquiste.

Quanto alla sofferenza, perché mai dovrebbe sceglierla? Preferisce decidere liberamente la strada da percorrere, per quanto sia possibile agli umani.

Si alza e si allontana dai laghi, salendo al colle da cui è arrivato e di lì scende nella valle che ha percorso.

Non conosce i luoghi in cui si trova, ma sa che deve dirigersi verso Sud. Dopo due giorni di marcia, incontra alcuni guerrieri della tribù del Leone di Montagna, che Velikilav ha mandato a cercarlo: la scomparsa del principe lo ha molto preoccupato e tutti i cacciatori sono stati inviati alla sua ricerca.

Osmikr viene accompagnato all’accampamento autunnale. La sera si tiene un banchetto per festeggiare il suo ritorno. Il mattino seguente Osmikr comunica a Velikilav che intende tornare nel regno. D’altronde non manca più molto alla fine del periodo previsto. Il re non si oppone: preferisce che l’erede di Sjevekral non corra altri rischi. Sei guerrieri lo accompagnano fino al confine, con i doni che Velikilav gli ha destinato.

Osmikr raggiunge Nocigranica, dove si ferma due giorni. È ben contento di ritrovarsi in città e di poter godere di tutte le comodità a cui ha dovuto rinunciare nel periodo trascorso con la tribù, ma non gli spiace di aver fatto l’esperienza.

Al suo arrivo a Sjevredava si presenta a suo padre, che è felice di rivederlo sano e salvo.

- Allora, figlio, come è andato il tuo soggiorno?

- È stato interessante, ma devo dire…

- Che cosa?

Osmikr ride e conclude:

- Che sono proprio dei selvaggi.

Mjesecev è contento che Osmikr non sia attratto dalle Terre del Nord. Spera che possa avere una vita più serena della sua.

Osmikr racconta la sua esperienza. Non fa riferimento all’incontro con Nepoz: qualche cosa lo trattiene dal parlarne al padre.

Durante l’assenza di Osmikr, Mjesecev si è chiesto più volte se il figlio sarebbe giunto alla Terra degli Otto Laghi. Vedendo che il giovane non dice nulla in proposito, Mjesecev non chiede.

Qualche giorno dopo, però Osmikr domanda:

- Padre, hai anche tu due stelle sul tuo corpo?

Si stupisce vedendo suo padre sussultare.

Mjesecev lo fissa e gli dice:

- Sì, figlio, come te.

Poi aggiunge:

- Che cosa non mi hai raccontato del tuo soggiorno presso la tribù? Sei arrivato alla Terra degli Otto Laghi?

- Sì, ci sono arrivato.

- Ti sei immerso nel Lago Giallo?

- No, non mi sono immerso. Non mi interessa un destino di gloria e sofferenza. Mi va bene la vita che conduco qui.

Mjesecev si sente sollevato all’idea che il figlio non debba soffrire come lui.

- Credo che tu abbia fatto bene. Ma come hai fatto a sapere che sarebbe stato un destino di gloria e sofferenza?

- Me lo disse un uomo, se uomo lo posso chiamare, perché sotto i miei occhi si trasformò in leone.

- Era forse Musum, il nostro antenato?

- No, disse di chiamarsi Nepoz e che… che tu l’avevi ucciso.

Osmikr vede che suo padre è impallidito e sembra barcollare.

- Che cosa succede, padre?

Mjesecev si è ripreso. Scuote la testa.

- Raccontami, figlio.

Osmikr racconta tutta la sua visita: non c’è molto oltre a quello che ha già detto.

Quando il figlio ha concluso, Mjesecev annuisce e si allontana, senza dire nulla: non è in grado di parlare. Osmikr è sicuro di avergli visto le lacrime agli occhi.

 

Gli anni passano. Osmikr vive serenamente.

Il fratello Vareni invece si rivela presto irrequieto: la reggia gli sta stretta, la città non gli piace. Ama gli spazi aperti, la libertà, la natura. Osmikr dice di lui che è un selvaggio, ma gli è affezionato.

Mjesecev non impedisce a Vareni di vivere come meglio crede e di trascorrere periodi sempre più lunghi nelle terre del Nord: nella capitale Vareni soffre, la sua vita è altrove. Se anche a lui è riservato un destino di sofferenza, che almeno possa vivere serenamente la sua vita fino al momento in cui conoscerà il dolore.

 

Mjesecev vive a lungo e regna per quarant’anni. Quando ormai è molto anziano, vede nascere due nipoti in pochi giorni.

Prima Osmikr, che si è sposato a trentacinque anni, genera un figlio, Kralj. La nascita del nipote riempie di gioia Mjesecev, ma è una gioia che dura poco. Quando esamina il corpo del piccolo, come ha fatto con i suoi due figli, vede che anche Kralj ha le due stelle. Sono verdi; una, come in tutti, è posta dietro lo scroto, e una sulla spalla sinistra. A Mjesecev sembra che i suoi discendenti non riescano a sottrarsi a un’antica maledizione. Sperava che almeno i figli di Osmikr sfuggissero al destino che ha avvelenato la sua vita e ha portato Djed a morire molto giovane: ma il rifiuto di Osmikr di assumere il destino che gli era stato assegnato non è stato sufficiente.

Pochi giorni dopo la nascita di Kralj, anche Vareni, che ormai vive nella tribù del Leone di Montagna e si è sposato a vent’anni, ha un figlio, Jebesin. Mjesecev lo vede un anno dopo e constata sgomento che anche lui, come il padre, ha i due segni a stella. Sono arancioni, come per Vareni, e questo stupisce Mjesecev, perché abitualmente i colori cambiano da una generazione all’altra.

Per Mjesecev sono gli ultimi anni di vita. Pochi lo vedono sorridere, se non quando è con il nipote Kralj, che sta a corte. È molto amato dai sudditi, ma è un uomo infelice, che attende la morte.

E quando infine sta morendo, pensa che avrebbe preferito che il cognato lo avesse fatto strangolare nella cella, obbedendo all’ordine di Previs.

 

La morte del re è un lutto profondamente sentito dalla popolazione. Viene organizzato un grande funerale: il corpo verrà portato attraverso le vie di Sjevredava, per permettere a tutti gli abitanti della capitale e a quelli giunti da altre città di rendere omaggio al defunto sovrano. Ma il giorno in cui il corteo funebre dovrebbe avviarsi, si scopre che il corpo del re è svanito nel nulla. Nessuno riesce a capire come sia stato possibile. La camera in cui giaceva il morto era sorvegliata da un picchetto d’onore e le guardie del turno di notte non hanno certo dormito.

Qualcuno ricorda che, secondo quanto si narra, anche la morte di Musum il Grande e di suo figlio Djed fu accompagnata da prodigi.

L’autunno seguente alcuni mercanti che si sono spinti molto a nord portano strane notizie. Secondo voci che circolano nelle terre delle tribù, Mjesecev e l’uomo che uccise in duello, Nepoz, sarebbero stati visti nel Grande Nord.

 

 

 

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