Il Grande Cacciatore

 

21

 

Divlovac, il Grande Cacciatore, è un essere immortale. La sua forza è immensa e la sua mira infallibile. Può uccidere qualunque preda con il pugnale, la daga, le frecce o la lancia. Anche le sue mani possenti sono un arma formidabile, in grado di spegnere ogni vita.

Gospodar si è sempre servito di lui per eliminare i suoi nemici e Nesmerten lo usa allo stesso modo. Egli sarebbe in grado di controllare la mente debole del fratello, ma non è necessario ricorrere a questo, perché Divlovac è sempre ben contento di uccidere.

Nesmerten l’ha chiamato al castello della voragine di Nasmirti. Divlovac vi giunge di prima mattina e osserva i cadaveri infilzati sui pali: gli piace guardare i corpi di coloro che ha ucciso e gli sembra che il palo che li trapassa sia un prolungamento del cazzo con cui li ha stuprati dopo aver dato loro la morte. Tra i cadaveri impalati ce ne sono due che non ha ucciso lui: suo padre Gospodar e il veggente, di cui Divlovac non ricorda neppure il nome. Non sa perché siano morti e si stupisce a vederli impalati, uno castrato, l’altro con la testa girata al contrario. Lo spettacolo lo sorprende, ma non lo turba: poco gli importa del padre o del fratello, perché non prova sentimenti, solo emozioni. La più intensa gliela trasmette uccidere: spegnere la vita di un maschio vigoroso lo eccita, è un piacere intensissimo. Ama abbattere i figli di Eva e i figli di Lilith, in particolare se sono forti guerrieri, e dopo averli uccisi li stupra.

Nesmerten lo ha raggiunto e gli parla, mentre osserva sorridente il corpo del padre.

- Divlovac, ti affido un compito, che di certo non ti spiacerà.

Il Grande Cacciatore fissa il fratello e chiede.

- Qual è il mio compito, fratello?

- Devi sterminare tutta la stirpe di Musum. Sono undici uomini, che sono morti, ma poi hanno incominciato una nuova vita. Anche i loro compagni dovranno morire, per cui in tutto sono quindici, tutti maschi vigorosi.

Divlovac sorride:

- Sarà un piacere.

- Lo so, per questo ho scelto te per eliminarli.

Non è così, in realtà: i portatori delle due stelle e i loro compagni non possono essere uccisi dai trog o dai vatra o da qualsiasi altro essere vivente, perché sono già morti e tornati a vivere una vita che non è più solo umana. Divlovac può farlo, perché può spegnere ogni forma di vita.

- Vivono nella Regione delle Sorgenti. È una terra preclusa agli umani.

- Ma non a noi.

- Esatto. Ti manderò quindici siskri per portare qui i corpi e impalarli. E un sedicesimo su cui viaggerai anche tu.

- Benissimo.

A Divlovac piace anche impalare coloro che ha ucciso: è come stuprarli una seconda volta.

 

*

 

Musum si sveglia accanto a Lavrh, che ancora dorme. Badando a non fare rumore, si alza ed esce dalla grotta dove hanno trascorso la notte. Svuota la vescica, poi guarda il sole che sta sorgendo. La distesa della grande foresta è ancora immersa nell’ombra, ma il fianco della montagna è già illuminato.

Lavrh si desta. Esce dalla caverna, si avvicina a Musum e lo cinge da dietro con le braccia. Appoggia la testa sulla spalla del compagno. Guarda anche lui il sole. Il contatto tra i loro corpi accende in entrambi il desiderio, ma Lavrh lo ignora. Il risveglio ha portato con sé una premonizione che è ben più importante.

- Musum, la fine è vicina.

- Che dici?

- Saremo presto uccisi. Forse oggi stesso o domani, in ogni caso entro pochi giorni.

Musum sa che Lavrh è capace di leggere i segni del destino.

- Intendi dire… che saremo uccisi e non ritorneremo in vita?

Entrambi sono già morti, ma sono tornati tra i vivi.

- No, a meno che… Non te lo posso dire. Esiste una possibilità per noi, ma non dipende da noi. La nostra vita è una delle poste in gioco in una lotta a cui non possiamo prendere parte.

- Anche se si tratta della nostra vita.

- Esatto.

Musum guarda l’oscurità che ancora avvolge la distesa di alberi.

- Siamo vissuti insieme per diverse generazioni di uomini. Vivrei ancora volentieri con te a lungo, ma se questo è il nostro destino, dobbiamo accettarlo. Non c’è modo di sfidare la sorte, vero?

- No. Il Grande Cacciatore è infallibile e noi siamo le sue prede. Tutta la tua stirpe verrà sterminata.

- Perché?

- Perché solo un tuo discendente potrebbe fermare il Signore Oscuro, impedendogli di dominare tutte le terre dei figli di Lilith e dei figli di Eva.

- E perché mai tu dovresti morire? Non discendi certo da me.

- No. Non so esattamente perché. Forse se egli mi risparmiasse, io potrei riportarti in vita. Oppure le nostre vite sono indissolubilmente legate.

- Sono quindi io a provocare la tua morte?

- Non dire sciocchezze. Nei giochi del destino noi siamo solo piccole pedine.

C’è un momento di silenzio, poi Musum dice:

- Avrei voluto ritrovare almeno Djed. Ho potuto rivederlo un’unica volta, alla Terra degli Otto Laghi.

- Non possiamo avere contatti con gli altri, ma se ritorneremo in vita ancora una volta, allora potremo incontrarci liberamente.

- Ma non sappiamo se ritorneremo in vita.

- No.

C’è un momento di silenzio, poi Musum dice:

- Se dobbiamo morire presto, amiamoci ancora una volta.

Lavrh sorride.

- Ben volentieri.

Tornano nella grotta e si dedicano ai loro giochi. Anche se si amano da sette generazioni di uomini, non sono ancora sazi: il loro desiderio sempre si rinnova. Quando hanno concluso, lasciano la caverna. Musum assume la sua forma animale, quella di un leone di montagna dal pelame nero, e corre per i prati. Lavrh lo guarda scomparire. Sta per trasformarsi anche lui in un leone di montagna, dal pelo rosso, quando Divlovac tende l’arco e scocca la sua freccia.

Il Grande Cacciatore non manca mai il bersaglio: la freccia raggiunge il petto di Lavrh e ne trafigge il cuore. Lavrh cade a terra senza un grido: ha appena il tempo di rendersi conto di morire.

Divlovac sale fino al punto in cui giace la preda che ha abbattuto. Guarda il corpo steso al suolo. Recupera la freccia, poi con il piede volta il cadavere. Osserva i fianchi del guerriero che giace ai suoi piedi. Come sempre, uccidere un maschio vigoroso lo ha eccitato e quel culo, coperto da una peluria rossastra, lo attira.

- Ti fotterò, Lavrh. Non sentirai il mio cazzo entrarti in culo e questo mi spiace.

Divlovac si stende sul corpo di Lavrh, lo penetra con un’unica spinta violenta e incomincia a fotterlo. Va avanti a lungo, finché non riversa il suo seme nel culo del morto.

Si alza, trionfante. Riprende il suo arco e attende.

Vede il leone nero tornare a grandi balzi. Prende la mira e scaglia la freccia, che colpisce Musum mentre sta spiccando un salto. Anche questa volta il bersaglio viene raggiunto. Il leone ruggisce e cade a terra. Quando tocca il suolo, il corpo è già senza vita, ma non è la carcassa di un leone, è il cadavere di un uomo: Musum ha ripreso la sua forma umana. Divlovac lo raggiunge, per fotterlo come ha fatto con Lavrh.

Quando si rialza, non si accorge che una piccola stelle viola è comparsa sulla sua spalla destra.

Riprende la sua ricerca. A guidarlo è il suo istinto, infallibile, che gli indica dove si trovano le prede che cerca: non gli servono cani per fiutare le tracce, perché sa sempre con precisione in che direzione muoversi per raggiungere coloro di cui vuole spegnere la vita.

Vidram e Drunjed stanno scopando in una radura: Drunjed è disteso sull’erba e Vidram è entrato in lui e lo fotte. Nessuno dei due ha avuto una premonizione della propria morte e non pensano certo che stanno per essere uccisi. Vidram viene, spargendo il suo seme nel culo di Drunjed, che a sua volta viene con un gemito. In quel momento Divlovac, giunto vicino a loro, colpisce Vidram alla schiena e la sua lancia trapassa il cuore di colui che fu un tempo re della Lince e poi penetra in Drunjed, spaccando anche il suo cuore.

Divlovac ride, poi estrae la lancia e fotte prima il cadavere di Vidram, poi quello di Drunjed. Sulla sua spalla destra una stella rossa appare subito sotto quella viola. 

Uno dopo l’altro, tutti i portatori di stelle e i loro compagni vengono abbattuti, con la lancia, la spada o le frecce.

Gli ultimi a essere colpiti sono quelli che sono morti dopo gli altri. Drunjed e Tezhrab vivono vicino a Wilk e Niedzj e spesso si ritrovano insieme. Sono tutti e quattro a un lago, dove amano bagnarsi. Niedzj e Tezhrab sono in acqua, mentre Wilk e Drunjed sono seduti sulla riva. Tezhrab si allontana nuotando e in quel momento una freccia colpisce Wilk al cuore. Niedzj, che è in acqua, lancia un urlo: ancora una volta ha visto Wilk morire. Sapeva che sarebbe giunto il giorno della loro morte, ma sperava questa volta di morire prima del fratello e compagno. Intanto una seconda freccia abbatte Drunjed. Niedzj si immerge: non gli interessa continuare a vivere, ma vorrebbe vendicare la morte del fratello e del figlio. Emerge tra le canne che si trovano a un’estremità del lago e guarda verso il punto dove giacciono i due cadaveri.

Divlovac si sta avvicinando. Sa che ci sono altre due prede vicino, ma non se ne preoccupa: nessuno può ucciderlo.

Tezhrab sta tornando a nuoto. Solo al momento in cui emerge dall’acqua si accorge dello sconosciuto e vede i due corpi al suolo. Prima che possa reagire, una lancia trapassa il suo cuore.

Niedzj si è avvicinato, rimanendo nascosto tra gli alberi. Quando è abbastanza vicino scatta di corsa e salta addosso a Divlovac. Lottano a lungo. Il Grande Cacciatore è forte, ma nessuno può battere l’Orso nella lotta.

Quando però Niedzj riesce a bloccare il suo avversario e gli passa un braccio attorno al collo, stringendo, si rende conto che Divlovac non perde i sensi. Aumenta ancora la pressione, senza ottenere nessun risultato.

Infine capisce che è del tutto inutile: non può uccidere l’assassino di suo fratello e di suo figlio. E allora tanto vale morire.

Allenta la presa e la lotta riprende. Niedzj non si batte più con la stessa convinzione. Finisce sotto e Divlovac è sopra di lui. Le mani del Grande Cacciatore afferrano il collo taurino di Niedzj e stringono in una morsa mortale. Uccidere a mani nude è un grande piacere e il cazzo gli si tende. Con un movimento brusco Divlovac penetra l’Orso: il suo cazzo entra a fondo in lui. Per la prima volta della sua vita Niedzj viene stuprato e a farlo è il suo assassino, che lo fotte e lo uccide con ugual piacere. Le mani stringono e infine Niedzj vede il mondo svanire.

Divlovac viene e si abbandona sul corpo senza vita di Niedzj. Non ha mai goduto tanto e gli spiace che l’Orso sia morto, perché vorrebbe poterlo uccidere di nuovo.

Dopo di lui, il Grande Cacciatore fotte le altre tre prede. Il suo compito è concluso. Suo fratello gli ha parlato di quindici prede, ma ce ne sono solo quattordici, su questo Divlovac non ha dubbi, perché il suo istinto è infallibile.

Sulla sua spalla destra ci sono sette stelle di colori diversi.

Il Grande Cacciatore raggiunge l’area dove si sono posati i siskri, forzati dal potere di Nesmerten. Sale su uno e guida gli altri ai luoghi dove ha abbattuto le sue prede. Carica i cadaveri sui siskri e ritorna in volo alla voragine di Nasmirti.

I pali sono già pronti e Divlovac impala i corpi. Farlo è, come sempre, un piacere profondo: il cazzo gli si tende e quando infine spinge il palo in culo a Niedzj, la tensione è tanto forte che viene.

I pali vengono issati.

Nesmerten ha assistito all’operazione. Non si è accorto che uno dei siskri è arrivato senza portare un carico. Guarda compiaciuto i corpi, che ora il Grande Cacciatore provvede a castrare: non sarebbe necessario, ma è una pratica antica che permette di spegnere definitivamente ogni potere rimasto dopo la morte negli esseri soprannaturali.

Solo quando l’operazione è conclusa, Nesmerten si accorge che un palo è rimasto a terra. Conta i corpi impalati: sono solo quattordici.

Nesmerten non capisce. Perché manca uno dei portatori di stelle?

Si rivolge a Divlovac.

- Perché sono quattordici? Dov’è il quindicesimo?

- Non c’era un quindicesimo.

- C’era, idiota! C’era! Perché non l’hai ucciso?

- Nessuna preda mi può sfuggire, fratello. Li ho uccisi tutti.

- Ne manca uno, idiota! Ne manca uno. Non dovevo fidarmi di una bestia come te.

- No…

Incapace di controllare la sua rabbia, Nesmerten colpisce Divlovac con la mano aperta. Si è lasciato trascinare dalla rabbia, ma l’errore che attribuisce a Divlovac è troppo grave e costituisce una minaccia mortale.

Divlovac guarda il fratello, furente. Sulla rabbia che cresce in lui si innesta una volontà che si impadronisce della sua mente, una volontà pura, che a una cosa sola mira ed è perciò molto più forte di tutte le altre volontà.

Il pugno di Divlovac colpisce Nesmerten al mento, facendolo cadere a terra, privo di sensi. Divlovac lo guarda. La sua rabbia non si è placata, un odio feroce scava in lui. Con le mani forti spoglia il fratello.

 

Nesmerten si risveglia quando il palo incomincia a penetrargli nelle viscere. Urla, mentre un nuovo colpo fa penetrare la punta più a fondo, strappandogli altre grida. Suo fratello lo sta impalando. Cerca di controllare la mente di Divlovac: è una mente debole, come quella dei siskri o dei vatra. Anche se il dolore gli rende difficile persino pensare, non vuole morire. La sua volontà però si scontra con una volontà altrettanto forte, che gli impedisce di assumere il controllo della mente del suo assassino. E a ogni colpo il palo penetra più a fondo, squarciandolo.

Divlovac mette il palo in verticale e lo blocca. Poi guarda il fratello e dice

- Ho avuto la mia vendetta, figlio.

Il Grande Cacciatore non saprebbe spiegare le parole che ha pronunciato: Nesmerten è suo fratello, non suo figlio. Nesmerten, memore delle parole del veggente, ne coglie invece il significato.

L’agonia di Nesmerten dura sette giorni, al termine dei quali Divlovac lo castra. Ora è lui il Signore Oscuro. La volontà del padre che lo guida farà di lui il dominatore dei Sette Regni, se nessuno lo fermerà.

Divlovac il Grande Cacciatore era invulnerabile. Ora è il Signor Oscuro, che può essere ucciso da un portatore delle due stelle, con una spada forgiata nelle officine di Noz.

Divlovac non è interessato a sottomettere i Sette Regni e la volontà del padre che è in lui fatica a imporsi. L’autunno lascia il posto all’inverno, l’inverno alla primavera e la primavera all’estate, senza che Divlovac abbia intrapreso nessuna azione per realizzare i sogni di potere che la volontà di suo padre accende nella sua mente. Preferisce cacciare e uccidere, ma la volontà che agisce in lui lentamente riesce a imporsi e al termine dell’estate Divlovac si prepara a lanciarsi alla conquista dei Sette Regni.

 

 

I fratelli dell’Orso

 

Vodjanoj e Posljednj trascorrono insieme l’inverno, la primavera e buona parte dell’estate. Per Posljednj è il periodo più felice della sua vita.

Quando giunge l’ultimo plenilunio d’estate, Vodjanoj dice:

- Adesso dobbiamo separarci.

Posljednj non si stupisce: Vodjanoj ha fatto più volte riferimento a una missione da compiere e a un distacco, senza però entrare nei dettagli. Posljednj ha preferito non chiedere: il pensiero di separarsi è troppo doloroso. Ora però è giunto il momento.

- Devo partire per la missione di cui mi hai parlato?

- Sì. Quella da cui dipende la libertà dei Sette Regni e delle Terre del Nord e anche la nostra vita insieme.

- Che cosa devo fare?

- Devi uccidere il Signore Oscuro, nel suo castello che sorge nella Voragine di Nasmirti.  Egli mira a sottomettere i Sette Regni e le Terre del Nord, portando morte e distruzione.

- Indicami la strada che devo seguire.

- Non puoi partire da solo. Le forze delle tenebre imporranno un tributo di sangue durante il viaggio. Non arriveresti mai.

- E allora che cosa devo fare?

- Ci sono undici uomini che verranno con te: sanno della missione e sanno di andare a morire.

- Dove li posso trovare?

- Sarà uno di loro a trovare te.

- Come lo riconoscerò?

- È un uomo che avrà vinto tutti i più forti lottatori tra i guerrieri del Nord. Tu lo sfiderai a lottare e riuscirai a batterlo. Altro non posso dirti. È ora che tu vada.

Posljednj avverte una fitta.

- Ci rivedremo?

- Se porterai a termine la tua missione, sì, ci rivedremo. Altrimenti i Sette Regni e le Terre del Nord sprofonderanno nel buio di un dominio spietato e solo dopo altre sette generazioni potranno essere liberati. E io ti perderò per sempre.

Vodjanoj lo abbraccia ancora, lo bacia, poi si immerge e scompare nelle acque del fiume.

Posljednj rimane pensieroso sulla riva.

 

*

 

Intanto nel regno di Sjevekral la vita scorre tranquilla. Il re Drugivolk è saggio e vive in pace con le tribù del Nord, come con gli altri regni. La notizia della morte di Drunjed, il re dell’Orso, è arrivata nel regno alla fine dell’autunno, portata da alcuni mercanti. Oltre un anno è passato da allora e l’estate giunge al termine.

A Nocigranica, nella scuola di lotta di Glasno, il maestro si prepara a partire: sa che deve mettersi alla ricerca di un dodicesimo lottatore che si unirà agli altri nella missione che devono compiere, una missione in  cui tutti loro troveranno la morte.

Hanno trascorso la notte dell’ultimo plenilunio d’estate insieme, nei giochi del piacere. Di solito si amano a due o a tre, ma, poiché Glasno il Grigio sta per partire, hanno voluto riunirsi tutti.

Il mattino è giunto. Glasno si sveglia prima degli altri, come spesso succede: ha diversi anni in più. Guarda i corpi stesi intorno a lui. Pensa che presto non respireranno più: saranno tutti morti. È un pensiero angoscioso e solo la coscienza che la morte aspetta anche lui lenisce la sua sofferenza.

Li osserva, uno per uno. Davanti a lui dorme Quercia, il corpo possente dai muscoli d’acciaio. Più in là Oro, dalla fitta peluria bionda, e Lince, un figlio di Lilith. Ognuno di loro aveva un nome, che ha perso nel corso del suo soggiorno nella casa: ora portano tutti soprannomi. Alcuni fanno riferimento alla tribù di provenienza: è il caso di Lince, Falco e Cinghiale. Altri sottolineano una caratteristica fisica: Oro si chiama così perché i capelli, la barba e la peluria che ricopre il suo corpo hanno il colore del prezioso metallo; lo stesso discorso vale per Rosso e per Nero, il cui pelame rigoglioso ricorda rispettivamente il rame e la pece; Toro è chiamato così per il suo cazzo vigoroso e il suo grande appetito sessuale; Quercia infine deve il suo nome al corpo robusto.  Per due di loro il soprannome ha un’altra origine: Arco è bravissimo nell’uso dell’arma; Sorgente fu abbandonato presso una fonte.

Anche Glasno non viene più chiamato con il suo nome, ma Grigio, perché ormai i suoi capelli hanno il colore dell’argento.

 

In mattinata, dopo aver mangiato la colazione, si riuniscono tutti nella sala comune e Glasno informa gli altri:

- Fratelli, come sapete tra poco partirò alla ricerca del dodicesimo lottatore. Non potevo partire prima dell’ultimo plenilunio d’estate, perciò non ho molto tempo, perché devo trovarlo entro il primo plenilunio d’autunno. In quel giorno infatti dobbiamo partire. Abbiamo parlato più volte di ciò che è scritto nel nostro destino: una grande prova ci attende. Dobbiamo accompagnare nel suo viaggio colui che ucciderà il Signore Oscuro. Non sappiamo se riusciremo a svolgere il compito che ci è stato assegnato, ma nella missione troveremo tutti la morte.

Rimane un attimo in silenzio: vuole che tutti abbiano il tempo per riflettere su ciò che li aspetta. Poi riprende:

- Se qualcuno di voi preferisce rinunciare, è libero di farlo. Non occorre che decidiate ora, c’è tempo.

Oro scuote la testa:

- Ne abbiamo già parlato e abbiamo tutti accettato. Io non ho cambiato idea.

Gli altri concordano con Oro.

Quercia dice:

- Glasno, tu parti alla ricerca di colui senza il quale la nostra missione non può compiersi. Sai come trovarlo?

- So come cercarlo, Quercia, ma non so se lo troverò. In base alle antiche profezie dovrei incontrarlo prima del prossimo plenilunio e in questo caso tornerò con lui. Poi partiremo per compiere la nostra missione e morire.

- Speriamo che la nostra morte non sia inutile.

Glasno prende congedo. Un’imbarcazione lo attende al porto fluviale. Appartiene ad alcuni mercanti che commerciano con le tribù del Nord. Intendono risalire il Fiume dei Ghiacci, ritenendolo una via più sicura per raggiungere la loro meta.

Quando sbarcano, Glasno si dirige verso gli accampamenti autunnali delle tribù. 

Il primo che visita è quello del Lupo: le tribù dell’Orso e del Lupo sono le più vicine al regno di Sjevekral e anche gli accampamenti autunnali sono meno lontani dal regno. Si presenta al re e dice:

- Il mio nome è Glasno, detto il Grigio. Sono venuto per sfidare nella lotta il più forte dei vostri guerrieri.

Il re si stupisce che quest’uomo che proviene dal regno venga a proporre una sfida: è un uso molto comune nelle tribù, ma non tra gli abitanti di Sjevekral. Non può certo rifiutare: sarebbe vile.

- Va bene, Grigio. Accettiamo la tua sfida, ma in base agli usi di queste terre, se sarai vinto, dovrai offrire il tuo corpo a chi ti ha battuto.

- Conosco questo uso. Per me va bene, re.

Il re chiama i guerrieri più forti e riporta le parole di Glasno. Tutti accoglierebbero volentieri la sfida, perciò la scelta viene rimessa al re. A misurarsi con Glasno sarà il guerriero più abile nella lotta, Velibor, che nessuno è mai riuscito a battere.

Tutti gli uomini della tribù assistono alla sfida.

L’incontro dura a lungo, perché Velibor è davvero un avversario molto forte, ma alla fine Glasno ha la meglio.

- Onore a te, Grigio, nessuno era mai riuscito nell’impresa di battermi.

- Sei un avversario formidabile, Velibor.

- Ti ringrazio per l’onore che mi fai con queste parole. Ora, secondo il nostro uso, mi offrirò a te. Il tuo seme mi darà forza.

Velibor si dispone a quattro zampe. Glasno non si sottrae: sa che se rifiutasse di possedere il guerriero, lo offenderebbe.

Il giorno dopo Glasno lascia la tribù e raggiunge quella dell’Orso. Anche qui sfida il guerriero più forte, lo vince e lo possiede.

Il suo giro prosegue e intanto la sua fama si diffonde e lo precede. Il suo arrivo negli accampamenti è atteso, i guerrieri sono impazienti di misurarsi con lui: riuscire a batterlo sarebbe un grandissimo onore. Ma uno dopo l’altro i grandi guerrieri vengono sconfitti e devono offrire il culo a questo lottatore invincibile.

L’ultima tribù, quella che vive più lontano dal regno, è quella del Leone di Montagna. Glasno sa che è la sua ultima possibilità di trovare l’uomo che cerca.

Viene accolto con tutti gli onori: la sua fama di lottatore invincibile ha raggiunto anche questa tribù. Il re parla a lungo con lui.

- Nessuno ti ha battuto fino a ora, Grigio, vero?

Il pensiero di Grigio va all’unico avversario che riuscì a bloccarlo.

- Da quando sono diventato maestro, un solo guerriero mi ha vinto: Niedzj l’Orso, colui che fu reggente di Sjevekral e re della tribù dell’Orso.

- Egli è morto qualche anno fa, ma il suo ricordo è ben vivo nelle tribù del Nord.

- Così come è vivo nel regno di Sjevekral, dove era molto amato. Io l’ho sempre considerato il migliore degli uomini.

Conversano ancora a lungo, poi il re chiama i guerrieri e viene scelto il più abile nella lotta.

Glasno spera di essere battuto: è la sua ultima possibilità di trovare l’uomo che cerca. Senza di lui, la missione che deve compiere con i suoi compagni sarebbe destinata al fallimento.

Il suo avversario è molto forte, ma anch’egli si trova costretto a cedere e a offrire il culo a Glasno.

Quando il guerriero si rialza, si rivolge a Glasno e gli dice:

- Essere battuto da te non è certo una vergogna. Onore a te, sei davvero invincibile.

Glasno accoglie l’elogio, ma in cuor suo è angosciato. Non ha trovato colui che cercava e ormai il plenilunio si avvicina.

La notte si stende nella tenda che gli uomini del Leone di Montagna gli hanno messo a disposizione. Non riesce a prendere sonno, per cui si alza e guarda l’accampamento immerso nel sonno. La luna brilla in cielo, nascondendo le stelle vicine. Mancano solo due notti al plenilunio: non riuscirà neppure ad arrivare a Nocigranica in tempo per la data a cui avrebbe dovuto essere di ritorno, ma che importanza ha? Non ha trovato l’uomo che cercava, non possono partire per la loro missione. Ha fallito

C’è silenzio nell’accampamento. Si sente solo, qua e là, il russare di alcuni uomini e, più lontano, il gracidare delle rane.

Glasno rientra nella tenda.

 

Il giorno dopo intraprende il viaggio di ritorno. Cammina lungo il fiume, assorto nei suoi pensieri, quando incontra un uomo.

- Salute a te. Sei tu il Grigio, colui che ha battuto tutti i più forti guerrieri delle dodici tribù?

- Sì, sono io.

- Il mio nome è Posljednj. So che ti sei misurato solo con i migliori lottatori e che li hai vinti. Non mi giudicare troppo ardito se ti chiedo di misurarti con me.

Posljednj ha sentito parlare di Glasno: i guerrieri che ha incontrato gli hanno tutti raccontato di questo lottatore invincibile. È sicuro che questo sconosciuto sia l’uomo di cui gli ha parlato Vodjanoj.

Una tenue speranza si accende in Glasno. Forse c’è ancora una possibilità.

- Sarà per me un onore misurarmi con te.

Si spogliano, rimanendo solo con la fascia che cinge i fianchi.

La lotta è lunga e senza esclusione di colpi. Posljednj non sembra particolarmente abile: commette diversi errori ed è chiaro che, benché sia un colosso molto forte, non è in grado di competere con Glasno. Il maestro di lotta si dice che l’uomo che ha davanti non è quello che cerca e che lo vincerà: la sua ricerca è fallita. Ma Posljednj riesce sempre a sottrarsi. I corpi si coprono di una patina di sudore che li fa luccicare alla luce del sole e rende più difficile bloccare l’avversario. Posljednj e Glasno si scagliano uno contro l’altro, si avvinghiano, cadono a terra, si bloccano, si liberano, si rialzano e riprendono. La lotta si prolunga, entrambi ansimano, ma non intendono cedere. Infine Glasno e Posljednj rotolano a terra avvinghiati e Posljednj passa il braccio intorno al collo del maestro di lotta. Stringe con forza e Glasno si rende conto di aver perso: per la seconda volta nella sua vita di maestro è stato battuto e a sconfiggerlo è stato un uomo che non è particolarmente abile nella lotta. Ma questo era scritto nel destino.

Glasno è costretto ad arrendersi. Posljednj è in piedi. Respira a fondo, mentre rivoli scorrono nel pelame rigoglioso che gli ricopre il petto e il ventre. Si passa il dorso di una mano sul viso per detergere il sudore. Glasno si solleva. Non si alza: sa che cosa deve fare, per cui si mette in ginocchio davanti al vincitore.

Posljednj si toglie la fascia che gli cinge i fianchi, l’unico indumento che entrambi hanno tenuto nella lotta.

Glasno guarda il cazzo di Posljednj e vede il segno a forma di stella. Sorride: è la conferma, ormai superflua, che questo è l’uomo che cercava.

Apre la bocca e accoglie il cazzo di Posljednj, che già non è più a riposo. Non è la prima volta che succhia un cazzo e non gli dispiace. A Posljednj viene duro molto in fretta.

Quando il cazzo è ben duro, Glasno si mette a quattro zampe. Spera che Posljednj non entri con violenza, perché quella che ha tra le gambe è davvero un’arma letale.

Posljednj sputa sull’apertura. Il cazzo è già stato inumidito da Glasno, per cui avvicina la cappella al buco e spinge, lentamente. Glasno mugola.

Posljednj spinge ben dentro, poi si ritrae e dà inizio a una lenta cavalcata: non ha fretta e vuole godere questo culo sodo, che non molti devono aver preso prima di lui. Affonda e si ritira, andando avanti a lungo. Glasno non dice nulla. È grato a Posljednj di non essere entrato brutalmente. Gli fa male, parecchio, ma è un dolore tollerabile.

Infine Posljednj viene. Si ritrae. Glasno si alza, con una smorfia sul viso.

- Ti ho fatto molto male?

- Sì, Posljednj. Ma era inevitabile. E va bene così.

Glasno sorride e prosegue:

- Sono un maestro di lotta e solo due uomini al mondo mi hanno battuto. Uno è colui che cercavo e che ora ho trovato: sei tu, Posljednj. L’altro era il migliore degli uomini: lui avrebbe battuto anche te, ma è morto. I suoi giorni sono stati troppo brevi.

- Tu mi cercavi e io sapevo che mi cercavi, anche se non conoscevo il tuo nome. Tu vuoi che io partecipi a una missione, vero?

- Sì, nella mia scuola di lotta siamo in undici, ma il nostro compito è accompagnare un uomo e tu sei quell’uomo. Ti devo avvisare: tutti troveremo la morte.

Le parole di Glasno sono un’ulteriore conferma di ciò che Posljednj ha pensato: questo è l’uomo di cui gli ha parlato Vodjanoj.

- Mi inviti a lasciare queste terre per andare a morire.

- Sì, Posljednj

Posljednj annuisce. Vodjanoj non ha detto esplicitamente che anche lui morirà nella missione, ma probabilmente è così.

- Verrò con te. So che devo compiere una missione e che potrei incontrare la morte, ma non intendo sottrarmi.

- Allora dirigiamoci verso Nocigranica. Di là partiremo. Dovremmo arrivare prima del plenilunio, ma non so come potremmo fare, perché ormai manca pochissimo: è dopodomani.

Glasno sorride e aggiunge:

- E io non sono certo in grado di muovermi rapidamente: mi fa troppo male il culo.

In quel momento una barca appare sul fiume e si ferma accanto alla riva, proprio dove si trovano loro.

Posljednj sorride e dice:

- Questa è un dono di Vodjanoj. Raggiungeremo velocemente la città.

- Dobbiamo fidarci? È davvero un dono del Terribile? O è una trappola?

- Egli è il Signore del Fiume dei Ghiacci e di certo questa barca non sarebbe giunta qui se egli non l’avesse voluto. È stato lui a parlarmi della missione e dell’incontro di lotta. Desidera il successo della nostra impresa.

- Va bene. Allora andiamo.

Salgono sulla barca che si mette in moto e li porta rapidamente lungo il fiume fino a Nocigranica, dove arrivano la sera stessa. Qui si ferma a riva. Posljednj e Glasno scendono e raggiungono la scuola.

 

Tutti i lottatori accolgono con gioia il ritorno di Grigio e salutano il nuovo arrivato. Si presentano, dicendo ognuno il proprio soprannome e anche il nome con cui si chiamavano prima di entrare nella scuola.

Rispondendo alle domande degli altri, Glasno racconta la sua ricerca. Poi è il turno di Posljednj, che parla della sua vita e dell’anno trascorso nei pozzi della morte di Rudnismirti.

- Dicono che nessuno sopravviva nei pozzi.

- Io sono sopravvissuto solo perché Vodjanoj mi ha aiutato.

- Come mai il Terribile ti ha protetto?

Posljednj esita un momento, poi decide di dire solo una parte della verità:

- Perché io potessi compiere la missione che ci è stata assegnata.

- La missione in cui moriremo tutti.

- Sì.

Cinghiale sorride e dice:

- Amici, partiremo dopodomani, al primo plenilunio d’autunno. Che ne direste di trascorrere questa notte nei giochi del piacere tutti insieme?

La proposta viene accolta da tutti, ma Glasno si rivolge a Posljednj:

- Posljednj, qui siamo tutti uniti da un legame profondo e spesso scopiamo insieme, ma nessuno intende forzarti: decidi liberamente se vuoi partecipare o meno.

- Perché no?

Tutti si spogliano. Gli altri osservano stupiti la virilità di Posljednj. E nella notte scoprono che questo maschio è insaziabile: come una notte successe con Niedzj, tutti vengono posseduti da lui. Posljednj non se ne stupisce: troppe volte ha ricevuto il seme del Terribile, che dà forza e vigore.

 

È notte fonda quando si addormentano tutti insieme. Il giorno dopo si preparano per la partenza.

Glasno si rivolge a Posljednj:

- Posljednj, come hai visto, ognuno di noi ha un soprannome. Vuoi scegliertene uno anche tu o preferisci che ti chiamiamo con il tuo vero nome?

- Grigio, poiché tutti avete un soprannome, me ne prendo uno anch’io. Chiamatemi Randagio: sono sempre stato un randagio nelle Terre del Nord.

Cinghiale ride e osserva:

- Avrei altri nomi da proporre per te.

Conoscendo Cinghiale, gli altri ridono, perché sospettano il tipo di soprannome che proporrà.

- E sarebbero?

- Direi Grandecazzo o Cazzodifuoco, ad esempio.

Di nuovo tutti ridono, anche Posljednj, che scuote la testa e dice:

- Preferisco Randagio.

- Come vuoi.

 

La sera Glasno prende la spada che gli ha lasciato Vukmedje e la porge a Posljednj:

- Questa spada è un’eredità della stirpe di Musum. Fu forgiata nelle officine di Noz ed è destinata a te.

Posljednj prende l’arma e sente una corrente di energia percorrerlo. L’arma è davvero destinata a lui. L’hanno maneggiata diversi uomini, ma è per lui che è stata forgiata.

Il mattino dopo si alzano molto presto: è ora di lasciare la scuola di lotta. Quando Grigio sbarra l’uscio, tutti avvertono una fitta: a chiudersi non è solo la porta, ma un periodo della loro vita, un periodo in cui sono stati felici, tutti insieme. Sanno di andare incontro alla morte e lasciarsi alle spalle definitivamente i giorni radiosi della loro vita comune è doloroso.

Glasno getta la chiave nel Fiume dei Ghiacci, come sa di dover fare, poi partono. Si dirigono verso Nord e a guidarli è Posljednj: lui è già stato alla Terra degli Otto Laghi, oltre la quale si trova la voragine di Nasmirti.

Nelle prime tappe del viaggio, anche se sanno di andare a morire, scherzano tra di loro e sono allegri: l’essere tutti insieme è sempre una gioia e sono tutti curiosi delle terre in cui si trovano a passare e degli esseri che potrebbero incontrarvi. I primi giorni trascorrono senza particolari difficoltà. Sanno che, man mano che s’inoltreranno nelle terre del Nord, i pericoli diventeranno maggiori, ma per il momento tutto è tranquillo. Procedono veloci.

Il decimo giorno, mentre stanno attraversando un altopiano tra i monti, vedono il cielo coprirsi di nuvole scure, spinte dal vento impetuoso.

Quercia osserva il cielo, scuote la testa e dice:

- Sarà meglio che cerchiamo un riparo: tra un po’ qui si scatena la tempesta.

Tutti concordano e si guardano intorno, ma non si vedono né capanne, né grotte e la vegetazione è scarsa: gli arbusti e gli alberelli sparsi qui e là non offrono certo protezione dalla pioggia che tra poco scenderà.

Cinghiale vede un’apertura sul fianco della montagna e la indica agli altri.

- Là, dev’essere una grotta. Non vedo altro. Cerchiamo di raggiungerla prima che scoppi il temporale.

Non sono neanche a metà strada quando la pioggia incomincia a scendere. All’inizio sono pochi goccioloni, ma quasi subito quello che scende dal cielo diventa un vero diluvio. Accelerano il passo. Quando infine i primi raggiungono la caverna, sono fradici. Entrano uno dopo l’altro, tenendo in mano le spade: nell’oscurità potrebbe nascondersi un animale o qualche essere pericoloso.

Mentre sale, Toro scivola sulla roccia bagnata e cade. Non si è fatto niente, ma perde tempo a raccogliere la spada che è caduta più in basso, per cui arriva quando gli altri sono già tutti al riparo. Nel momento in cui si appresta a entrare, un fulmine illumina tutto il cielo e colpisce la sua spada, mentre un tuono li assorda. Toro cade a terra. Gridano tutti e si precipitano fuori dalla grotta. Lo portano dentro e cercano di rianimarlo, ma non c’è più niente da fare: il loro compagno è morto, la pelle ustionata, le pupille fisse e dilatate.

Tutti guardano il corpo senza vita di Toro. Una sofferenza violenta li dilania.

Glasno dice:

- Moriremo tutti, lo sapete.

Non ha altra consolazione da offrire.

Gli uomini annuiscono. Solo la certezza di andare a morire attenua il dolore della morte di Toro. Lo raggiungeranno presto.

Vebor il Nero dice ciò che pensano in molti:

- Avrei preferito essere io a morire. Spero di essere il prossimo. Non voglio vedervi morire.

Quando il temporale è passato, escono dalla grotta e seppelliscono Toro. La pioggia che ancora scende si confonde con le loro lacrime.

 

Il giorno seguente riprendono la strada. Non c’è traccia dell’allegria dei giorni precedenti. Prima di lasciare l’altopiano si voltano tutti a guardare il luogo dove è sepolto il loro compagno.

A metà giornata scoprono che non possono seguire il sentiero scelto da Posljednj, perché una frana impedisce il passaggio.

- Non possiamo continuare da questa parte. Tornare indietro per prendere un altro sentiero sicuro ci farebbe perdere troppo tempo. Dobbiamo passare per Velmorje, la grande palude.

Cinghiale aggrotta la fronte.

- L’ho sentita nominare. Dicono che molti uomini siano scomparsi, inghiottiti dal fango, mentre cercavano di attraversarla.

- Sì, è così. Dobbiamo essere molto cauti se vogliamo uscirne indenni.

Raggiungono Velmorje nel pomeriggio. Non c’è modo di aggirarla, per cui devono attraversarla, sprofondando nel fango fino alle ginocchia. È Posljednj ad avanzare per primo, cercando dove passare. Gli altri lo seguono: devono fare molta attenzione a stare dietro di lui, senza deviare dal percorso che segue, perché in alcuni tratti la palude potrebbe inghiottirli.

Falco procede lentamente, mettendo il bastone in avanti, per controllare che non si sprofondi, e seguendo attentamente Lince, che è davanti a lui. I primi che riescono ad attraversare la palude si trovano davanti un’area rocciosa. Posljednj la raggiunge e dopo di lui Nero e Lince: hanno completato la traversata e sono al sicuro.

Forse è quello a distrarre Falco, che saggia con il bastone il terreno dove è appena passato Lince, ma poi mette il piede un poco spostato rispetto a dove ha appoggiato il legno. Falco si accorge di sprofondare. Cerca inutilmente di tirarsi fuori, ma la palude lo sta inghiottendo.

Rosso, che è dietro di lui, gli prende il braccio con la mano, ma non riesce a tirarlo fuori, anche se Quercia e Randagio lo aiutano. Falco affonda e Rosso, che continua a tenerlo, rischia di essere inghiottito anche lui. Ormai solo la testa e il braccio che Rosso tiene sono fuori dal fango della palude.

Falco grida:

- Lasciami, lasciami!

Rosso non lo lascia, ma Falco, con un movimento brusco libera il braccio: non vuole trascinare l’amico alla morte. Quercia e Randagio trattengono Rosso, che di colpo scoppia a piangere, mentre la palude inghiotte Falco.

Gli ultimi raggiungono la zona rocciosa, lasciandosi alle spalle la palude. Si siedono. Quercia tiene un braccio sulle spalle di Rosso, che ancora piange. Nessuno parla. Fissano la palude che ha inghiottito il loro fratello.

 

Il terzo giorno si alzano. Mentre mangiano un po’ del cibo che si sono portati, si chiedono che cosa li aspetta: morirà qualcuno prima di sera o la giornata trascorrerà senza che il loro numero si riduca? Ognuno pensa che se qualcuno deve morire, vorrebbe essere lui: meglio la morte che vedere i fratelli perire uno dopo l’altro.

Stanno preparandosi a partire quando un cinghiale appare all’improvviso. Carica e Vebor il Nero finisce a terra. Quercia scaglia la lancia, ma non è abbastanza rapido: quando l’animale cade a terra trafitto, le sue zanne hanno già fatto scempio di Vebor.

Il Nero muore con tutti i suoi compagni intorno. Sorride e dice:

- Meglio… così. Non ce l’avrei fatta a vedere qualcun altro di noi morire.

Vebor reclina il capo e un fiotto di sangue gli esce dalla bocca. Quercia dice ciò che tutti pensano:

- Sapevamo di andare a morire, ma pensavo che saremmo morti tutti insieme, in una battaglia. Così è terribile.

- Sì, è terribile, è vero.

Camminano tutto il giorno, a capo chino, la mente piena di pensieri cupi. Il sentiero sale in modo costante e si trovano a camminare tra montagne sempre più imponenti, completamente coperte da neve nella parte più alta. La temperatura è calata, ma sono tutti ben coperti, perché sapevano di doversi addentrare tra i monti mentre l’autunno avanzava.

Il quarto giorno salgono su un versante fin quasi al limite della neve, poi prendono uno stretto sentiero che scende lungo il fianco della montagna. Si muovono con cautela, perché ai loro piedi si spalanca un precipizio: un passo falso significherebbe la morte.

Improvvisamente si sente un forte rumore, che pare un tuono, ma il cielo è sereno. A precipitare a terra non è un fulmine, ma una massa di pietre e terra, che travolge ogni cosa sul suo passaggio. Sorgente è l’ultimo e non fa in tempo a sfuggire alla frana. Gli altri lo vedono colpito dai massi, che lo schiacciano e poi nella loro caduta lo trascinano con sé in fondo all’abisso. Per lui come per Falco non c’è sepoltura.

 

Ormai sospettano tutti che ogni giorno porterà uno di loro alla morte. E infatti nel quinto giorno dalla morte di Toro è il turno di Quercia. Mentre attraversano un bosco viene attaccato da un kuz-pine. È un essere che assomiglia a un uomo, con una testa molto grande e un’ampia bocca dai cui angoli spuntano quattro lunghe zanne; le braccia gli arrivano fino alle ginocchia e le mani terminano in artigli. L’essere si getta su di loro, le braccia protese. Quercia vibra la spada, senza però riuscire a ferire l’animale, che gli dilania la carne. Anche Posljednj interviene e la sua arma, forgiata a Noz, trapassa la creatura mostruosa. Il sangue che sgorga è nero e si rovescia a fiotti su Quercia, che urla. Il sangue del kuz-pine gli brucia il corpo e in pochi minuti Quercia muore.

Si guardano smarriti. Posljednj dice:

- Non avvicinatevi. Il sangue di questo mostro è velenoso.

Facendo attenzione a non venire in contatto con il sangue, raccolgono il corpo e gli danno sepoltura. Poi riprendono il loro viaggio.

La sera si accampano in un bosco. Dormono stesi a terra, uno accanto all’altro. Cinghiale si siede ai piedi di un albero. Nel cuore della notte si sveglia perché non riesce più a respirare: i rami dell’albero lo hanno avvolto in una stretta mortale e lo stanno stritolando. Capisce troppo tardi di essere prigioniero dello Zaoduh, l’albero malefico che soffoca coloro che si appoggiano al suo tronco.

Cinghiale non riesce a gridare per chiedere aiuto. Il mattino i compagni lo trovano morto contro l’albero che lo ha stritolato tra i suoi rami-braccia. Con un’ascia tagliano i rami e liberano il corpo, poi lo seppelliscono.

 

Il giorno seguente trascorre senza che succeda nulla di notevole fino al primo pomeriggio, quando il cielo si copre di grandi nuvoloni neri e, anche se ancora non piove, il temporale sembra imminente. Scoppiano i primi fulmini e, memori della morte di Toro, decidono di cercare un riparo.

Vedono in una radura nel bosco una capanna in legno. Si chiedono chi possa averla costruita e perché: in quelle terre è rarissimo trovare costruzioni, perché nessuno vi abita in modo permanente. Al massimo si incontrano tende erette da qualche cacciatore o da un mercante. Potrebbe trattarsi di un rifugio di banditi.

Sono incerti sul da farsi, quando un fulmine colpisce vicino a loro. Decidono che è meglio vedere se è possibile rifugiarsi nella capanna. Si avvicinano con cautela. Quando Glasno bussa, la porta si apre: non è chiusa. Entrano e si trovano in una grande stanza, completamente vuota. Non ci sono mobili, pagliericci, utensili. Sembra che nessuno vi abiti da molto tempo.

Altri fulmini illuminano il cielo, senza che la pioggia scenda. Accostano la porta e l’unica finestra, senza chiuderle completamente, e rimangono vigili. Nella capanna regna l’oscurità, anche se è ancora pieno giorno, perché il cielo è nuvoloso e poca luce filtra dalle due aperture. Solo i lampi illuminano a tratti l’interno.

Il temporale non sembra placarsi e i fulmini cadono uno dopo l’altro, tutti molto vicini. A un certo punto, poco dopo un tuono, sentono un altro violento rumore: un albero vicino è stato colpito da un fulmine e si è abbattuto  nella radura. Ora vedono una luce rossastra filtrare nella capanna. Aprono la finestra e vedono che l’albero ha preso fuoco. Il vento trascina le scintille verso la capanna.

- Merda! Rischiamo di andare a fuoco.

- E se usciamo rischiamo di finire come Toro.

- Merda!

L’odore di legno bruciato è sempre più forte. Pensano che sia l’albero che brucia, perché la parete vicina al tronco abbattuto non ha preso fuoco. Arco alza lo sguardo e dice:

- Il tetto! Merda! Il tetto!

Il tetto ha preso fuoco: un angolo è già bruciato.

- Dobbiamo uscire.

Escono rapidamente e si allontanano, mentre le fiamme divampano. Non sono solo il tetto e l’albero abbattuto a bruciare: anche diverse querce ardono ai margini della radura e un fumo acre si diffonde. Si dirigono verso l’estremità settentrionale della radura, ma un albero in fiamme crolla, sbarrando la strada all’ultimo di loro, Oro. Questi cerca un’altra via di fuga, ma non ne vede nessuna: tutt’intorno le fiamme stanno divorando gli alberi.

Gli altri gridano:

- Torna indietro!

- Cerca di aggirare l’incendio!

Oro torna verso la capanna, ma un’altra quercia in fiamme gli cade addosso, travolgendolo. Quando il fuoco divora il suo corpo, è già morto.

I compagni hanno assistito sgomenti, senza poter fare nulla. Il divampare dell’incendio li costringe ad allontanarsi, senza dare neppure sepoltura ai resti carbonizzati.

Camminano rapidamente e quando la pioggia infine scende, si mescola alle loro lacrime.

Si fermano la sera sul fianco di una montagna, in una piccola grotta. Accendono il fuoco e rimangono in silenzio.

Posljednj dice:

- Sapevo che le forze delle tenebre avrebbero imposto un tributo di sangue durante il viaggio. Me lo disse Vodjanoj. Non sospettavo quanto doloroso sarebbe stato per tutti voi.

Glasno risponde per tutti:

- La nostra morte è necessaria per evitare che i regni e le terre circostanti finiscano per molte generazioni di uomini sotto il dominio di un signore spietato, che porterà morte e distruzione. Questo lo sapevamo e abbiamo accettato di compiere l’impresa. Ma ci eravamo illusi di morire insieme, non sospettavamo che ci sarebbe stato questo stillicidio quotidiano. Vedere morire ognuno degli altri… vorrei essere morto per primo.

- Lo vorremmo tutti.

 

Sono rimasti in cinque. Sono ormai molto a Nord, in una regione montuosa dove ben raramente si incontrano figli di Eva o di Lilith. Stanno percorrendo un sentiero quando vengono assaliti da una dozzina di trog: vedendoli poco numerosi, i trog sono convinti di poterli uccidere facilmente, ma gli uomini che hanno attaccato sono tutti bravi guerrieri e Posljednj in particolare fa strage degli attaccanti. Due degli assalitori cercano di colpire Arco alla schiena. Lince si mette in mezzo e uccide un trog, ma viene colpito al petto dall’altro.

Posljednj trafigge il trog e poi lui e Rosso uccidono gli ultimi tre assalitori.

Per Lince non c’è più nulla da fare: è stato ferito a morte e spira tra le braccia di Arco. Viene sepolto dai compagni.

La sera mangiano in silenzio e poi si stendono. Nessuno ha più voglia di parlare.

 

Il giorno seguente in serata raggiungono la Terra degli Otto Laghi: ormai la loro meta non è più molto lontana. È autunno e i borobieli  non hanno più fiori.

Quando si stendono a dormire vicino al lago centrale, Arco si accorge di aver perso il pugnale, con cui ha reciso una pianta commestibile nel bosco di borobieli.

- Torno a cercarlo.

Rosso lo guarda, preoccupato. Non è morto nessuno in giornata e teme che il compagno possa rimanere vittima di qualche animale o mostro.

- Ti accompagno.

- Non è il caso.

Glasno interviene:

- Vengo anch’io. Tanto è vicino.

Anche Posljednj si unisce a loro. Ritornano nel bosco di borobieli. Arco vede il suo pugnale a terra, vicino a un albero.

- Eccolo!

Si dirige verso l’albero, mentre i compagni lo attendono, vigili. Quando si china a raccogliere l’arma, un fiore si schiude. Non è certo la stagione dei fiori, i cui petali giacciono a terra. Eppure uno è sbocciato e diffonde il suo profumo tutto intorno.

Arco si siede ai piedi dell’albero e aspira il profumo, dimentico di tutto.

Rosso non capisce e chiede:

- Che cosa succede? Perché si è seduto?

È Posljednj a spiegare:

- Il profumo dei borobieli incanta chi lo senrte. Non si muoverà più.

Rosso dice:

- Dobbiamo trascinarlo via.

Posljednj scuote la testa.

- Non è possibile: se qualcuno si avvicinasse ora, cadrebbe anche lui vittima del profumo del fiore.

- Non possiamo coprirci la bocca e il naso, evitando di respirare per il tempo necessario ad afferrarlo e allontanarlo dall’albero?

- No, nessun tessuto può fermare il profumo.

L’angoscia vibra nella voce di Rosso mentre dice:

- Vuoi dire che non c’è niente da fare?

Posljednj annuisce. Rosso osserva:

- Morirà di fame e di sete. È atroce!

Posljednj dice:

- Non soffrirà, questo almeno posso garantirvelo.

Tornano in silenzio al lago centrale e si stendono. Uno di loro a turno rimane di guardia, come hanno fatto ogni notte. Ma ogni notte i turni di guardia sono diventati più lunghi.

 

Quando si svegliano, dopo aver mangiato un boccone, incominciano a scendere lungo il canalone che conduce alla Voragine di Nasmirti. Non è una discesa facile: il canalone è spesso ostruito da massi, che bisogna superare arrampicandosi e poi ridiscendendo.

Nel pomeriggio giungono sull’orlo della voragine, immersa in una nebbia spessa. Al centro emerge il castello del Signore Oscuro. Guardandolo tutti e tre avvertono un brivido.

Prendono la corda che si sono portati per scendere nella voragine. La fissano alla roccia. Non possono vedere il fondo dell’abisso, per cui non sono sicuri che la corda sia abbastanza lunga. Si mettono d’accordo che Posljednj, il primo a scendere, se arriverà senza problemi al fondo, lascerà la corda e farà un nodo. Quando vedranno che la corda non regge più alcun peso, Grigio e Rosso la tireranno su per verificare che ci sia il nodo. Se la corda non permette di arrivare al fondo, Posljednj cercherà di risalire.

In ogni caso non devono gridare, per non rivelare la loro presenza.

Non è facile calarsi, perché la parete non offre nessun appiglio e solo la forza delle braccia permette di non precipitare. Posljednj giunge al fondo: la corda è sufficientemente lunga. Fa un nodo e la lascia. Poco dopo vede che la corda viene tirata su e poi nuovamente calata. Arriva Grigio, tutto sudato.

- Merda! Credevo di non farcela.

Dopo di lui si cala Rosso, ma quando è a metà strada la corda si spezza. Rosso non grida: non vuole tradire la loro presenza. Si schianta davanti ai due amici, che lo guardano angosciati. Non è possibile seppellirlo, perché il fondo della voragine è pietroso: non c’è terra in cui si possa scavare. Si limitano a ricoprire il corpo di sassi. Poi si stendono a riposare: proseguiranno di notte.

Glasno fa il primo turno di guardia, dicendo a Posljednj:

- Tanto non riuscirei a prendere sonno.

Mentre veglia si dice che morirà presto e questo è l’unico pensiero che gli permette di andare avanti.

Quando sorge la luna si dirigono verso il castello. Non è facile orientarsi nella nebbia, ma riescono a mantenere la direzione e raggiungere la guglia rocciosa su cui sorge la fortezza. Si arrampicano fino a raggiungere uno spiazzo dove ci sono molti pali. Su ognuno di essi vi è un cadavere.

Alla fioca luce lunare Glasno riconosce uno dei corpi: è quello di Niedzj, l’Orso. Sente una fitta. L’Orso è tornato in vita per poi morire ancora?

Superati i pali si trovano davanti alla fortezza dove vive il Signore Oscuro. Glasno è perplesso. Sono in due: come possono pensare di entrare e di uccidere il signore del castello? Di certo ci sono guardie, anche se probabilmente il Signore Oscuro non sospetta che qualcuno possa essersi calato nella voragine.

Posljednj sussurra a Glasno:

- Proviamo a passare dai sotterranei.

Si avvicinano con cautela a una porta nella roccia. Ci sono due trog di guardia. Li prendono di sorpresa e li uccidono facilmente. Penetrano in un corridoio. L’oscurità è completa. Avanzando a tentoni raggiungono una scala e salgono.

Arrivano in una sala illuminata da alcune torce. Qui ci sono altri trog. Si accende una battaglia, che ha breve durata: per quanto Posljednj faccia strage, i loro avversari sono troppo numerosi e altri ne arrivano. Glasno riceve un colpo di spada nel petto e cade a terra. Davanti a lui Posljednj viene colpito alla schiena: la punta della spada gli esce dal ventre. Si volta e con un movimento rapido della spada decapita l’avversario. Mentre la testa del trog che ha ucciso rotola a terra, un altro trog lo colpisce alla schiena e la lama gli trapassa il fegato. Posljednj barcolla. Un trog gli infila la spada nel basso ventre, con tanta forza che l’arma lo attraversa e la punta esce dal culo. Quando il trog ritira la spada,. Posljednj cade a terra. È ancora vivo: il seme di Vodjanoj gli ha dato una forza e una resistenza che non sono umane.

Mentre muore, Glasno si chiede qual è stato il senso di venire a morire senza neppure riuscire ad avvicinarsi al Signore Oscuro. Mentre il mondo intorno a lui scompare in una fitta nebbia, reclina il capo e un fiotto di sangue gli esce dalla bocca.

Il trog che ha colpito per ultimo Posljednj si guarda intorno: ci sono i cadaveri di molti dei suoi compagni e un altro sta agonizzando. Si avvicina a Posljednj, estrae il cazzo e incomincia a pisciargli in faccia. Si rende conto che il guerriero è ancora vivo.

- Adesso ti finisco, bastardo. Ti infilo la spada in culo!

Il trog che è a capo delle guardie gli mette una mano sul braccio:

- Fermo. Forse il Signore Oscuro vuole interrogarlo prima che crepi.

Intanto Divlovac è uscito dalla fortezza. Lo fa ogni notte: gli piace guardare i cadaveri di coloro che ha ucciso, fottuto, castrato e infine impalato.

Sta osservando il corpo di Niedzj quando una guardia lo raggiunge per avvisarlo dell’attacco appena avvenuto. Divlovac scende nei sotterranei: è curioso di vedere questi due folli che sono giunti fino alla voragine e hanno cercato di entrare nel castello.

Nella sala ci sono i cadaveri di una dozzina di trog e Divlovac si stupisce che in due siano riusciti a fare una simile strage. Osserva i corpi dei due uomini che sono stati abbattuti dai trog. Sono a terra, in un mare di sangue. Uno ha i capelli grigi, l’altro li ha neri e il suo corpo è coperto da un fitto pelame scuro. Non sono stati divorati dai trog, che sapevano di dover aspettare l’autorizzazione del loro padrone.

Divlovac si chiede chi fossero questi due temerari e mentre si pone la domanda, si accorge che uno dei corpi si muove: l’uomo è ancora vivo e con fatica si solleva a sedere.

Divlovac ride.

- Così non sei ancora morto. Ma non credo che manchi più molto.

- No, non manca più molto. Il tempo per farti venire con me.

Il Signore Oscuro ride nuovamente: quest’uomo che agonizza in un mare di sangue pensa di poterlo uccidere! Con un gesto congeda i trog presenti nel locale: non vuole che sentano quello che sta per dire. Quando le guardie sono uscite, si rivolge a Posljednj e gli dice, ridendo:

- Idiota! Nessuno mi può uccidere. Nessuna spada può ferire il Signore Oscuro. Solo un discendente di Musum il Grande con le due stelle sul corpo avrebbe potuto farlo, ma sono tutti morti. Nessun uomo della stirpe che regna su Sjevekral ha il doppio segno della stella.

Randagio si solleva: nonostante le ferite mortali che ha ricevuto, ha ancora la forza di alzarsi: il seme del Terribile gli permette di reggere. Con un movimento rapido immerge la spada nel ventre del Signore Oscuro. Divlovac sente il dolore atroce, che cresce mentre la spada attraversa il suo corpo ed esce dalla schiena.

Guarda Randagio, incredulo. Questi sorride e dice:

- Il mio nome è Posljednj e discendo da Musum il Grande. Sul mio corpo ci sono le due stelle. E questa spada è stata forgiata nelle officine di Noz. Contro di lei non servono incantesimi. Ora puoi morire, maledetto.

Randagio estrae la spada e la immerge nuovamente nel petto di Divlovac, trapassandogli il cuore. Il Signora Oscuro cade a terra, senza vita.

Anche Posljednj non è più in grado di reggersi. Cade in ginocchio e guarda il cadavere. Facendosi forza, afferra con la mano i genitali di Divlovac e con il pugnale li recide: ora ha concluso il suo compito. Dalla bocca il sangue esce abbondante e gli cola sul petto e sul ventre. Poi cade prono, la faccia nel mare di sangue che copre il pavimento.

Si sente un boato e l’intero castello trema: è un violento terremoto che scuote il pinnacolo e infine fa crollare le mura, seppellendo tutti coloro che si trovano nella fortezza. La guglia rocciosa su cui sorgeva il castello vibra e si sbriciola.

Anche la Terra degli Otto Laghi è agitata da un violento terremoto, che frantuma la roccia. L’acqua dei laghi si mescola e poi si rovescia, in una grande cascata, nel canalone che porta alla conca: è un fiume in piena, che travolge ogni cosa e si riversa nella voragine. Il livello dell’acqua sale rapidamente, sommergendo le rovine del castello, fino a che l’acqua riempie completamente la voragine.

 

La terra ha smesso di tremare. La Terra degli Otto Laghi non esiste più. La Voragine di Nasmirti ora è un ampio lago, in cui si riflette una grande luna rossastra.

Al rumore assordante della terra che franava e dell’acqua che si rovesciava a valle è subentrato un grande silenzio. Nessun essere vivente rompe la quiete della notte.

 

Il mattino seguente il sole sorge e illumina la superficie del lago, in cui sono confluite le acque della Terra degli Otto Laghi, senza mescolarsi completamente: il lago presenta aree in cui l’acqua è rossa, altre in cui è azzurra o verde o gialla.

 

 

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