Il Grande
Cacciatore 21 Divlovac, il Grande Cacciatore, è un essere
immortale. La sua forza è immensa e la sua mira infallibile. Può uccidere qualunque
preda con il pugnale, la daga, le frecce o la lancia. Anche le sue mani
possenti sono un arma formidabile, in grado di spegnere ogni vita. Gospodar si è sempre servito di lui per eliminare
i suoi nemici e Nesmerten lo usa allo stesso modo. Egli sarebbe in grado di
controllare la mente debole del fratello, ma non è necessario ricorrere a
questo, perché Divlovac è sempre ben contento di
uccidere. Nesmerten l’ha chiamato al
castello della voragine di Nasmirti. Divlovac vi giunge di prima mattina e osserva i cadaveri
infilzati sui pali: gli piace guardare i corpi di coloro che ha ucciso e gli
sembra che il palo che li trapassa sia un prolungamento del cazzo con cui li
ha stuprati dopo aver dato loro la morte. Tra i cadaveri impalati ce ne sono
due che non ha ucciso lui: suo padre Gospodar e il
veggente, di cui Divlovac non ricorda neppure il
nome. Non sa perché siano morti e si stupisce a vederli impalati, uno
castrato, l’altro con la testa girata al contrario. Lo spettacolo lo
sorprende, ma non lo turba: poco gli importa del padre o del fratello, perché
non prova sentimenti, solo emozioni. La più intensa gliela trasmette
uccidere: spegnere la vita di un maschio vigoroso lo eccita, è un piacere
intensissimo. Ama abbattere i figli di Eva e i figli di Lilith, in
particolare se sono forti guerrieri, e dopo averli uccisi li stupra. Nesmerten lo ha raggiunto
e gli parla, mentre osserva sorridente il corpo del padre. - Divlovac,
ti affido un compito, che di certo non ti spiacerà. Il Grande Cacciatore fissa
il fratello e chiede. - Qual è il mio compito,
fratello? - Devi sterminare tutta la
stirpe di Musum. Sono undici uomini, che sono morti, ma poi hanno
incominciato una nuova vita. Anche i loro compagni dovranno morire, per cui
in tutto sono quindici, tutti maschi vigorosi. Divlovac sorride: - Sarà un piacere. - Lo so, per questo ho
scelto te per eliminarli. Non è così, in realtà: i
portatori delle due stelle e i loro compagni non possono essere uccisi dai
trog o dai vatra o da qualsiasi altro essere vivente, perché sono già morti e
tornati a vivere una vita che non è più solo umana. Divlovac
può farlo, perché può spegnere ogni forma di vita. - Vivono nella Regione
delle Sorgenti. È una terra preclusa agli umani. - Ma non a noi. - Esatto. Ti manderò
quindici siskri per portare qui i corpi e
impalarli. E un sedicesimo su cui viaggerai anche tu. - Benissimo. A Divlovac
piace anche impalare coloro che ha ucciso: è come stuprarli una seconda
volta. * Musum si sveglia accanto a
Lavrh, che ancora dorme. Badando a non fare rumore,
si alza ed esce dalla grotta dove hanno trascorso la notte. Svuota la
vescica, poi guarda il sole che sta sorgendo. La distesa della grande foresta
è ancora immersa nell’ombra, ma il fianco della montagna è già illuminato. Lavrh si desta. Esce dalla caverna, si
avvicina a Musum e lo cinge da dietro con le braccia. Appoggia la testa sulla
spalla del compagno. Guarda anche lui il sole. Il contatto tra i loro corpi
accende in entrambi il desiderio, ma Lavrh lo
ignora. Il risveglio ha portato con sé una premonizione che è ben più
importante. - Musum, la fine è vicina. - Che dici? - Saremo presto uccisi.
Forse oggi stesso o domani, in ogni caso entro pochi giorni. Musum sa che Lavrh è capace di leggere i segni del destino. - Intendi dire… che saremo
uccisi e non ritorneremo in vita? Entrambi sono già morti,
ma sono tornati tra i vivi. - No, a meno che… Non te
lo posso dire. Esiste una possibilità per noi, ma non dipende da noi. La
nostra vita è una delle poste in gioco in una lotta a cui non possiamo
prendere parte. - Anche se si tratta della
nostra vita. - Esatto. Musum guarda l’oscurità
che ancora avvolge la distesa di alberi. - Siamo vissuti insieme
per diverse generazioni di uomini. Vivrei ancora volentieri con te a lungo,
ma se questo è il nostro destino, dobbiamo accettarlo. Non c’è modo di
sfidare la sorte, vero? - No. Il Grande Cacciatore
è infallibile e noi siamo le sue prede. Tutta la tua stirpe verrà sterminata. - Perché? - Perché solo un tuo
discendente potrebbe fermare il Signore Oscuro, impedendogli di dominare
tutte le terre dei figli di Lilith e dei figli di Eva. - E perché mai tu dovresti
morire? Non discendi certo da me. - No. Non so esattamente
perché. Forse se egli mi risparmiasse, io potrei riportarti in vita. Oppure
le nostre vite sono indissolubilmente legate. - Sono quindi io a
provocare la tua morte? - Non dire sciocchezze.
Nei giochi del destino noi siamo solo piccole pedine. C’è un momento di
silenzio, poi Musum dice: - Avrei voluto ritrovare
almeno Djed. Ho potuto rivederlo un’unica volta, alla Terra degli Otto Laghi. - Non possiamo avere
contatti con gli altri, ma se ritorneremo in vita ancora una volta, allora
potremo incontrarci liberamente. - Ma non sappiamo se
ritorneremo in vita. - No. C’è un momento di
silenzio, poi Musum dice: - Se dobbiamo morire
presto, amiamoci ancora una volta. Lavrh sorride. - Ben volentieri. Tornano nella grotta e si
dedicano ai loro giochi. Anche se si amano da sette generazioni di uomini,
non sono ancora sazi: il loro desiderio sempre si rinnova. Quando hanno
concluso, lasciano la caverna. Musum assume la sua forma animale, quella di
un leone di montagna dal pelame nero, e corre per i prati. Lavrh lo guarda scomparire. Sta per trasformarsi anche
lui in un leone di montagna, dal pelo rosso, quando Divlovac
tende l’arco e scocca la sua freccia. Il Grande Cacciatore non
manca mai il bersaglio: la freccia raggiunge il petto di Lavrh
e ne trafigge il cuore. Lavrh cade a terra senza un
grido: ha appena il tempo di rendersi conto di morire. Divlovac sale fino al punto in cui giace la preda
che ha abbattuto. Guarda il corpo steso al suolo. Recupera la freccia, poi
con il piede volta il cadavere. Osserva i fianchi del guerriero che giace ai
suoi piedi. Come sempre, uccidere un maschio vigoroso lo ha eccitato e quel
culo, coperto da una peluria rossastra, lo attira. - Ti fotterò, Lavrh. Non sentirai il mio cazzo entrarti in culo e
questo mi spiace. Divlovac si stende sul corpo di Lavrh, lo penetra con un’unica spinta violenta e
incomincia a fotterlo. Va avanti a lungo, finché non riversa il suo seme nel
culo del morto. Si alza, trionfante.
Riprende il suo arco e attende. Vede il leone nero tornare
a grandi balzi. Prende la mira e scaglia la freccia, che colpisce Musum
mentre sta spiccando un salto. Anche questa volta il bersaglio viene
raggiunto. Il leone ruggisce e cade a terra. Quando tocca il suolo, il corpo
è già senza vita, ma non è la carcassa di un leone, è il cadavere di un uomo:
Musum ha ripreso la sua forma umana. Divlovac lo
raggiunge, per fotterlo come ha fatto con Lavrh. Quando si rialza, non si
accorge che una piccola stelle viola è comparsa sulla sua spalla destra. Riprende la sua ricerca. A
guidarlo è il suo istinto, infallibile, che gli indica dove si trovano le
prede che cerca: non gli servono cani per fiutare le tracce, perché sa sempre
con precisione in che direzione muoversi per raggiungere coloro di cui vuole
spegnere la vita. Vidram e Drunjed stanno scopando in una radura:
Drunjed è disteso sull’erba e Vidram è entrato in
lui e lo fotte. Nessuno dei due ha avuto una premonizione della propria morte
e non pensano certo che stanno per essere uccisi. Vidram
viene, spargendo il suo seme nel culo di Drunjed, che a sua volta viene con
un gemito. In quel momento Divlovac, giunto vicino
a loro, colpisce Vidram alla schiena e la sua
lancia trapassa il cuore di colui che fu un tempo re della Lince e poi
penetra in Drunjed, spaccando anche il suo cuore. Divlovac ride, poi estrae la lancia e fotte prima
il cadavere di Vidram, poi quello di Drunjed. Sulla
sua spalla destra una stella rossa appare subito sotto quella viola. Uno dopo l’altro, tutti i
portatori di stelle e i loro compagni vengono abbattuti, con la lancia, la
spada o le frecce. Gli ultimi a essere
colpiti sono quelli che sono morti dopo gli altri. Drunjed e Tezhrab vivono
vicino a Wilk e Niedzj e spesso si ritrovano insieme. Sono tutti e quattro a
un lago, dove amano bagnarsi. Niedzj e Tezhrab sono in acqua, mentre Wilk e
Drunjed sono seduti sulla riva. Tezhrab si allontana nuotando e in quel
momento una freccia colpisce Wilk al cuore. Niedzj, che è in acqua, lancia un
urlo: ancora una volta ha visto Wilk morire. Sapeva che sarebbe giunto il
giorno della loro morte, ma sperava questa volta di morire prima del fratello
e compagno. Intanto una seconda freccia abbatte Drunjed. Niedzj si immerge:
non gli interessa continuare a vivere, ma vorrebbe vendicare la morte del
fratello e del figlio. Emerge tra le canne che si trovano a un’estremità del
lago e guarda verso il punto dove giacciono i due cadaveri. Divlovac si sta avvicinando. Sa che ci sono altre
due prede vicino, ma non se ne preoccupa: nessuno può ucciderlo. Tezhrab sta tornando a
nuoto. Solo al momento in cui emerge dall’acqua si accorge dello sconosciuto
e vede i due corpi al suolo. Prima che possa reagire, una lancia trapassa il
suo cuore. Niedzj si è avvicinato,
rimanendo nascosto tra gli alberi. Quando è abbastanza vicino scatta di corsa
e salta addosso a Divlovac. Lottano a lungo. Il
Grande Cacciatore è forte, ma nessuno può battere l’Orso nella lotta. Quando però Niedzj riesce
a bloccare il suo avversario e gli passa un braccio attorno al collo,
stringendo, si rende conto che Divlovac non perde i
sensi. Aumenta ancora la pressione, senza ottenere nessun risultato. Infine capisce che è del
tutto inutile: non può uccidere l’assassino di suo fratello e di suo figlio.
E allora tanto vale morire. Allenta la presa e la
lotta riprende. Niedzj non si batte più con la stessa convinzione. Finisce
sotto e Divlovac è sopra di lui. Le mani del Grande
Cacciatore afferrano il collo taurino di Niedzj e stringono in una morsa
mortale. Uccidere a mani nude è un grande piacere e il cazzo gli si tende. Con
un movimento brusco Divlovac penetra l’Orso: il suo
cazzo entra a fondo in lui. Per la prima volta della sua vita Niedzj viene
stuprato e a farlo è il suo assassino, che lo fotte e lo uccide con ugual
piacere. Le mani stringono e infine Niedzj vede il mondo svanire. Divlovac viene e si abbandona sul corpo senza
vita di Niedzj. Non ha mai goduto tanto e gli spiace che l’Orso sia morto,
perché vorrebbe poterlo uccidere di nuovo. Dopo di lui, il Grande
Cacciatore fotte le altre tre prede. Il suo compito è concluso. Suo fratello
gli ha parlato di quindici prede, ma ce ne sono solo quattordici, su questo Divlovac non ha dubbi, perché il suo istinto è
infallibile. Sulla sua spalla destra ci
sono sette stelle di colori diversi. Il Grande Cacciatore
raggiunge l’area dove si sono posati i siskri,
forzati dal potere di Nesmerten. Sale su uno e guida gli altri ai luoghi dove
ha abbattuto le sue prede. Carica i cadaveri sui siskri
e ritorna in volo alla voragine di Nasmirti. I pali sono già pronti e Divlovac impala i corpi. Farlo è, come sempre, un piacere
profondo: il cazzo gli si tende e quando infine spinge il palo in culo a
Niedzj, la tensione è tanto forte che viene. I pali vengono issati. Nesmerten ha assistito
all’operazione. Non si è accorto che uno dei siskri
è arrivato senza portare un carico. Guarda compiaciuto i corpi, che ora il
Grande Cacciatore provvede a castrare: non sarebbe necessario, ma è una
pratica antica che permette di spegnere definitivamente ogni potere rimasto
dopo la morte negli esseri soprannaturali. Solo quando l’operazione è
conclusa, Nesmerten si accorge che un palo è rimasto a terra. Conta i corpi
impalati: sono solo quattordici. Nesmerten non capisce.
Perché manca uno dei portatori di stelle? Si rivolge a Divlovac. - Perché sono quattordici?
Dov’è il quindicesimo? - Non c’era un
quindicesimo. - C’era, idiota! C’era!
Perché non l’hai ucciso? - Nessuna preda mi può
sfuggire, fratello. Li ho uccisi tutti. - Ne manca uno, idiota! Ne
manca uno. Non dovevo fidarmi di una bestia come te. - No… Incapace di controllare la
sua rabbia, Nesmerten colpisce Divlovac con la mano
aperta. Si è lasciato trascinare dalla rabbia, ma l’errore che attribuisce a Divlovac è troppo grave e costituisce una minaccia
mortale. Divlovac guarda il fratello, furente. Sulla
rabbia che cresce in lui si innesta una volontà che si impadronisce della sua
mente, una volontà pura, che a una cosa sola mira ed è perciò molto più forte
di tutte le altre volontà. Il pugno di Divlovac colpisce Nesmerten al mento, facendolo cadere a
terra, privo di sensi. Divlovac lo guarda. La sua
rabbia non si è placata, un odio feroce scava in lui. Con le mani forti
spoglia il fratello. Nesmerten si risveglia
quando il palo incomincia a penetrargli nelle viscere. Urla, mentre un nuovo
colpo fa penetrare la punta più a fondo, strappandogli altre grida. Suo
fratello lo sta impalando. Cerca di controllare la mente di Divlovac: è una mente debole, come quella dei siskri o dei vatra. Anche se il dolore gli rende
difficile persino pensare, non vuole morire. La sua volontà però si scontra
con una volontà altrettanto forte, che gli impedisce di assumere il controllo
della mente del suo assassino. E a ogni colpo il palo penetra più a fondo,
squarciandolo. Divlovac mette il palo in verticale e lo blocca.
Poi guarda il fratello e dice - Ho avuto la mia
vendetta, figlio. Il Grande Cacciatore non
saprebbe spiegare le parole che ha pronunciato: Nesmerten è suo fratello, non
suo figlio. Nesmerten, memore delle parole del veggente, ne coglie invece il
significato. L’agonia di Nesmerten dura
sette giorni, al termine dei quali Divlovac lo
castra. Ora è lui il Signore Oscuro. La volontà del padre che lo guida farà
di lui il dominatore dei Sette Regni, se nessuno lo fermerà. Divlovac il Grande Cacciatore era invulnerabile.
Ora è il Signor Oscuro, che può essere ucciso da un portatore delle due
stelle, con una spada forgiata nelle officine di Noz. Divlovac non è interessato a sottomettere i Sette Regni e la volontà del padre che è in lui fatica a imporsi. L’autunno lascia il posto all’inverno, l’inverno alla primavera e la primavera all’estate, senza che Divlovac abbia intrapreso nessuna azione per realizzare i sogni di potere che la volontà di suo padre accende nella sua mente. Preferisce cacciare e uccidere, ma la volontà che agisce in lui lentamente riesce a imporsi e al termine dell’estate Divlovac si prepara a lanciarsi alla conquista dei Sette Regni. I fratelli
dell’Orso Vodjanoj e Posljednj
trascorrono insieme l’inverno, la primavera e buona parte dell’estate. Per
Posljednj è il periodo più felice della sua vita. Quando giunge l’ultimo
plenilunio d’estate, Vodjanoj dice: - Adesso dobbiamo
separarci. Posljednj non si stupisce:
Vodjanoj ha fatto più volte riferimento a una missione da compiere e a un
distacco, senza però entrare nei dettagli. Posljednj ha preferito non
chiedere: il pensiero di separarsi è troppo doloroso. Ora però è giunto il
momento. - Devo partire per la
missione di cui mi hai parlato? - Sì. Quella da cui
dipende la libertà dei Sette Regni e delle Terre del Nord e anche la nostra
vita insieme. - Che cosa devo fare? - Devi uccidere il Signore
Oscuro, nel suo castello che sorge nella Voragine di Nasmirti. Egli mira a sottomettere i Sette Regni e le
Terre del Nord, portando morte e distruzione. - Indicami la strada che
devo seguire. - Non puoi partire da
solo. Le forze delle tenebre imporranno un tributo di sangue durante il
viaggio. Non arriveresti mai. - E allora che cosa devo
fare? - Ci sono undici uomini
che verranno con te: sanno della missione e sanno di andare a morire. - Dove li posso trovare? - Sarà uno di loro a
trovare te. - Come lo riconoscerò? - È un uomo che avrà vinto
tutti i più forti lottatori tra i guerrieri del Nord. Tu lo sfiderai a
lottare e riuscirai a batterlo. Altro non posso dirti. È ora che tu vada. Posljednj avverte una
fitta. - Ci rivedremo? - Se porterai a termine la
tua missione, sì, ci rivedremo. Altrimenti i Sette Regni e le Terre del Nord
sprofonderanno nel buio di un dominio spietato e solo dopo altre sette
generazioni potranno essere liberati. E io ti perderò per sempre. Vodjanoj lo abbraccia
ancora, lo bacia, poi si immerge e scompare nelle acque del fiume. Posljednj rimane
pensieroso sulla riva. * Intanto nel regno di Sjevekral
la vita scorre tranquilla. Il re Drugivolk è saggio
e vive in pace con le tribù del Nord, come con gli altri regni. La notizia
della morte di Drunjed, il re dell’Orso, è arrivata nel regno alla fine
dell’autunno, portata da alcuni mercanti. Oltre un anno è passato da allora e
l’estate giunge al termine. A Nocigranica,
nella scuola di lotta di Glasno, il maestro si
prepara a partire: sa che deve mettersi alla ricerca di un dodicesimo
lottatore che si unirà agli altri nella missione che devono compiere, una
missione in cui tutti loro troveranno
la morte. Hanno trascorso la notte
dell’ultimo plenilunio d’estate insieme, nei giochi del piacere. Di solito si
amano a due o a tre, ma, poiché Glasno il Grigio
sta per partire, hanno voluto riunirsi tutti. Il mattino è giunto. Glasno si sveglia prima degli altri, come spesso succede:
ha diversi anni in più. Guarda i corpi stesi intorno a lui. Pensa che presto
non respireranno più: saranno tutti morti. È un pensiero angoscioso e solo la
coscienza che la morte aspetta anche lui lenisce la sua sofferenza. Li osserva, uno per uno.
Davanti a lui dorme Quercia, il corpo possente dai muscoli d’acciaio. Più in
là Oro, dalla fitta peluria bionda, e Lince, un figlio di Lilith. Ognuno di
loro aveva un nome, che ha perso nel corso del suo soggiorno nella casa: ora
portano tutti soprannomi. Alcuni fanno riferimento alla tribù di provenienza:
è il caso di Lince, Falco e Cinghiale. Altri sottolineano una caratteristica
fisica: Oro si chiama così perché i capelli, la barba e la peluria che
ricopre il suo corpo hanno il colore del prezioso metallo; lo stesso discorso
vale per Rosso e per Nero, il cui pelame rigoglioso ricorda rispettivamente
il rame e la pece; Toro è chiamato così per il suo cazzo vigoroso e il suo
grande appetito sessuale; Quercia infine deve il suo nome al corpo
robusto. Per due di loro il soprannome
ha un’altra origine: Arco è bravissimo nell’uso dell’arma; Sorgente fu
abbandonato presso una fonte. Anche Glasno
non viene più chiamato con il suo nome, ma Grigio, perché ormai i suoi
capelli hanno il colore dell’argento. In mattinata, dopo aver
mangiato la colazione, si riuniscono tutti nella sala comune e Glasno informa gli altri: - Fratelli, come sapete
tra poco partirò alla ricerca del dodicesimo lottatore. Non potevo partire
prima dell’ultimo plenilunio d’estate, perciò non ho molto tempo, perché devo
trovarlo entro il primo plenilunio d’autunno. In quel giorno infatti dobbiamo
partire. Abbiamo parlato più volte di ciò che è scritto nel nostro destino:
una grande prova ci attende. Dobbiamo accompagnare nel suo viaggio colui che
ucciderà il Signore Oscuro. Non sappiamo se riusciremo a svolgere il compito
che ci è stato assegnato, ma nella missione troveremo tutti la morte. Rimane un attimo in
silenzio: vuole che tutti abbiano il tempo per riflettere su ciò che li
aspetta. Poi riprende: - Se qualcuno di voi
preferisce rinunciare, è libero di farlo. Non occorre che decidiate ora, c’è
tempo. Oro scuote la testa: - Ne abbiamo già parlato e
abbiamo tutti accettato. Io non ho cambiato idea. Gli altri concordano con
Oro. Quercia dice: - Glasno,
tu parti alla ricerca di colui senza il quale la nostra missione non può
compiersi. Sai come trovarlo? - So come cercarlo,
Quercia, ma non so se lo troverò. In base alle antiche profezie dovrei
incontrarlo prima del prossimo plenilunio e in questo caso tornerò con lui.
Poi partiremo per compiere la nostra missione e morire. - Speriamo che la nostra
morte non sia inutile. Glasno prende congedo. Un’imbarcazione lo attende
al porto fluviale. Appartiene ad alcuni mercanti che commerciano con le tribù
del Nord. Intendono risalire il Fiume dei Ghiacci, ritenendolo una via più
sicura per raggiungere la loro meta. Quando sbarcano, Glasno si dirige verso gli accampamenti autunnali delle
tribù. Il primo che visita è
quello del Lupo: le tribù dell’Orso e del Lupo sono le più vicine al regno di
Sjevekral e anche gli accampamenti autunnali sono meno lontani dal regno. Si
presenta al re e dice: - Il mio nome è Glasno, detto il Grigio. Sono venuto per sfidare nella
lotta il più forte dei vostri guerrieri. Il re si stupisce che
quest’uomo che proviene dal regno venga a proporre una sfida: è un uso molto
comune nelle tribù, ma non tra gli abitanti di Sjevekral. Non può certo rifiutare:
sarebbe vile. - Va bene, Grigio.
Accettiamo la tua sfida, ma in base agli usi di queste terre, se sarai vinto,
dovrai offrire il tuo corpo a chi ti ha battuto. - Conosco questo uso. Per
me va bene, re. Il re chiama i guerrieri
più forti e riporta le parole di Glasno. Tutti
accoglierebbero volentieri la sfida, perciò la scelta viene rimessa al re. A
misurarsi con Glasno sarà il guerriero più abile
nella lotta, Velibor, che nessuno è mai riuscito a
battere. Tutti gli uomini della
tribù assistono alla sfida. L’incontro dura a lungo,
perché Velibor è davvero un avversario molto forte,
ma alla fine Glasno ha la meglio. - Onore a te, Grigio,
nessuno era mai riuscito nell’impresa di battermi. - Sei un avversario
formidabile, Velibor. - Ti ringrazio per l’onore
che mi fai con queste parole. Ora, secondo il nostro uso, mi offrirò a te. Il
tuo seme mi darà forza. Velibor si dispone a quattro zampe. Glasno non si sottrae: sa che se rifiutasse di possedere
il guerriero, lo offenderebbe. Il giorno dopo Glasno lascia la tribù e raggiunge quella dell’Orso.
Anche qui sfida il guerriero più forte, lo vince e lo possiede. Il suo giro prosegue e
intanto la sua fama si diffonde e lo precede. Il suo arrivo negli
accampamenti è atteso, i guerrieri sono impazienti di misurarsi con lui:
riuscire a batterlo sarebbe un grandissimo onore. Ma uno dopo l’altro i
grandi guerrieri vengono sconfitti e devono offrire il culo a questo
lottatore invincibile. L’ultima tribù, quella che
vive più lontano dal regno, è quella del Leone di Montagna. Glasno sa che è la sua ultima possibilità di trovare
l’uomo che cerca. Viene accolto con tutti
gli onori: la sua fama di lottatore invincibile ha raggiunto anche questa
tribù. Il re parla a lungo con lui. - Nessuno ti ha battuto
fino a ora, Grigio, vero? Il pensiero di Grigio va
all’unico avversario che riuscì a bloccarlo. - Da quando sono diventato
maestro, un solo guerriero mi ha vinto: Niedzj l’Orso, colui che fu reggente
di Sjevekral e re della tribù dell’Orso. - Egli è morto qualche
anno fa, ma il suo ricordo è ben vivo nelle tribù del Nord. - Così come è vivo nel
regno di Sjevekral, dove era molto amato. Io l’ho sempre considerato il
migliore degli uomini. Conversano ancora a lungo,
poi il re chiama i guerrieri e viene scelto il più abile nella lotta. Glasno spera di essere battuto: è la sua ultima
possibilità di trovare l’uomo che cerca. Senza di lui, la missione che deve
compiere con i suoi compagni sarebbe destinata al fallimento. Il suo avversario è molto
forte, ma anch’egli si trova costretto a cedere e a offrire il culo a Glasno. Quando il guerriero si
rialza, si rivolge a Glasno e gli dice: - Essere battuto da te non
è certo una vergogna. Onore a te, sei davvero invincibile. Glasno accoglie l’elogio, ma in cuor suo è angosciato.
Non ha trovato colui che cercava e ormai il plenilunio si avvicina. La notte si stende nella
tenda che gli uomini del Leone di Montagna gli hanno messo a disposizione.
Non riesce a prendere sonno, per cui si alza e guarda l’accampamento immerso
nel sonno. La luna brilla in cielo, nascondendo le stelle vicine. Mancano
solo due notti al plenilunio: non riuscirà neppure ad arrivare a Nocigranica in tempo per la data a cui avrebbe dovuto
essere di ritorno, ma che importanza ha? Non ha trovato l’uomo che cercava,
non possono partire per la loro missione. Ha fallito C’è silenzio
nell’accampamento. Si sente solo, qua e là, il russare di alcuni uomini e,
più lontano, il gracidare delle rane. Glasno rientra nella tenda. Il giorno dopo intraprende
il viaggio di ritorno. Cammina lungo il fiume, assorto nei suoi pensieri,
quando incontra un uomo. - Salute a te. Sei tu il
Grigio, colui che ha battuto tutti i più forti guerrieri delle dodici tribù? - Sì, sono io. - Il mio nome è Posljednj.
So che ti sei misurato solo con i migliori lottatori e che li hai vinti. Non
mi giudicare troppo ardito se ti chiedo di misurarti con me. Posljednj ha sentito
parlare di Glasno: i guerrieri che ha incontrato
gli hanno tutti raccontato di questo lottatore invincibile. È sicuro che
questo sconosciuto sia l’uomo di cui gli ha parlato Vodjanoj. Una tenue speranza si
accende in Glasno. Forse c’è ancora una
possibilità. - Sarà per me un onore
misurarmi con te. Si spogliano, rimanendo
solo con la fascia che cinge i fianchi. La
lotta è lunga e senza esclusione di colpi. Posljednj non sembra
particolarmente abile: commette diversi errori ed è chiaro che, benché sia un
colosso molto forte, non è in grado di competere con Glasno.
Il maestro di lotta si dice che l’uomo che ha davanti non è quello che cerca
e che lo vincerà: la sua ricerca è fallita. Ma Posljednj riesce sempre a
sottrarsi. I corpi si coprono di una patina di sudore che li fa luccicare
alla luce del sole e rende più difficile bloccare l’avversario. Posljednj e Glasno si scagliano uno contro l’altro, si avvinghiano,
cadono a terra, si bloccano, si liberano, si rialzano e riprendono. La lotta
si prolunga, entrambi ansimano, ma non intendono cedere. Infine Glasno e Posljednj rotolano a terra avvinghiati e
Posljednj passa il braccio intorno al collo del maestro di lotta. Stringe con
forza e Glasno si rende conto di aver perso: per la
seconda volta nella sua vita di maestro è stato battuto e a sconfiggerlo è
stato un uomo che non è particolarmente abile nella lotta. Ma questo era scritto
nel destino. Glasno è
costretto ad arrendersi. Posljednj è in piedi. Respira a fondo, mentre rivoli
scorrono nel pelame rigoglioso che gli ricopre il petto e il ventre. Si passa
il dorso di una mano sul viso per detergere il sudore. Glasno
si solleva. Non si alza: sa che cosa deve fare, per cui si mette in ginocchio
davanti al vincitore. Posljednj
si toglie la fascia che gli cinge i fianchi, l’unico indumento che entrambi
hanno tenuto nella lotta. Glasno
guarda il cazzo di Posljednj e vede il segno a forma di stella. Sorride: è la
conferma, ormai superflua, che questo è l’uomo che cercava. Apre
la bocca e accoglie il cazzo di Posljednj, che già non è più a riposo. Non è
la prima volta che succhia un cazzo e non gli dispiace. A Posljednj viene
duro molto in fretta. Quando
il cazzo è ben duro, Glasno si mette a quattro
zampe. Spera che Posljednj non entri con violenza, perché quella che ha tra
le gambe è davvero un’arma letale. Posljednj
sputa sull’apertura. Il cazzo è già stato inumidito da Glasno,
per cui avvicina la cappella al buco e spinge, lentamente. Glasno mugola. Posljednj
spinge ben dentro, poi si ritrae e dà inizio a una lenta cavalcata: non ha
fretta e vuole godere questo culo sodo, che non molti devono aver preso prima
di lui. Affonda e si ritira, andando avanti a lungo. Glasno
non dice nulla. È grato a Posljednj di non essere entrato brutalmente. Gli fa
male, parecchio, ma è un dolore tollerabile. Infine
Posljednj viene. Si ritrae. Glasno si alza, con una
smorfia sul viso. - Ti ho fatto molto male? - Sì, Posljednj. Ma era
inevitabile. E va bene così. Glasno sorride e prosegue: - Sono un maestro di lotta
e solo due uomini al mondo mi hanno battuto. Uno è colui che cercavo e che
ora ho trovato: sei tu, Posljednj. L’altro era il migliore degli uomini: lui
avrebbe battuto anche te, ma è morto. I suoi giorni sono stati troppo brevi. - Tu mi cercavi e io
sapevo che mi cercavi, anche se non conoscevo il tuo nome. Tu vuoi che io
partecipi a una missione, vero? - Sì, nella mia scuola di
lotta siamo in undici, ma il nostro compito è accompagnare un uomo e tu sei
quell’uomo. Ti devo avvisare: tutti troveremo la morte. Le parole di Glasno sono un’ulteriore conferma di ciò che Posljednj ha
pensato: questo è l’uomo di cui gli ha parlato Vodjanoj. - Mi inviti a lasciare
queste terre per andare a morire. - Sì, Posljednj Posljednj annuisce.
Vodjanoj non ha detto esplicitamente che anche lui morirà nella missione, ma
probabilmente è così. - Verrò con te. So che
devo compiere una missione e che potrei incontrare la morte, ma non intendo
sottrarmi. - Allora dirigiamoci verso
Nocigranica. Di là partiremo. Dovremmo arrivare
prima del plenilunio, ma non so come potremmo fare, perché ormai manca
pochissimo: è dopodomani. Glasno sorride e aggiunge: - E io non sono certo in
grado di muovermi rapidamente: mi fa troppo male il culo. In quel momento una barca
appare sul fiume e si ferma accanto alla riva, proprio dove si trovano loro. Posljednj sorride e dice: - Questa è un dono di
Vodjanoj. Raggiungeremo velocemente la città. - Dobbiamo fidarci? È
davvero un dono del Terribile? O è una trappola? - Egli è il Signore del
Fiume dei Ghiacci e di certo questa barca non sarebbe giunta qui se egli non
l’avesse voluto. È stato lui a parlarmi della missione e dell’incontro di
lotta. Desidera il successo della nostra impresa. - Va bene. Allora andiamo. Salgono sulla barca che si
mette in moto e li porta rapidamente lungo il fiume fino a Nocigranica, dove arrivano la sera stessa. Qui si ferma a
riva. Posljednj e Glasno scendono e raggiungono la
scuola. Tutti i lottatori
accolgono con gioia il ritorno di Grigio e salutano il nuovo arrivato. Si
presentano, dicendo ognuno il proprio soprannome e anche il nome con cui si
chiamavano prima di entrare nella scuola. Rispondendo alle domande
degli altri, Glasno racconta la sua ricerca. Poi è
il turno di Posljednj, che parla della sua vita e dell’anno trascorso nei
pozzi della morte di Rudnismirti. - Dicono che nessuno
sopravviva nei pozzi. - Io sono sopravvissuto solo
perché Vodjanoj mi ha aiutato. - Come mai il Terribile ti
ha protetto? Posljednj esita un
momento, poi decide di dire solo una parte della verità: - Perché io potessi
compiere la missione che ci è stata assegnata. - La missione in cui
moriremo tutti. - Sì. Cinghiale sorride e dice: - Amici, partiremo
dopodomani, al primo plenilunio d’autunno. Che ne direste di trascorrere
questa notte nei giochi del piacere tutti insieme? La proposta viene accolta
da tutti, ma Glasno si rivolge a Posljednj: - Posljednj, qui siamo
tutti uniti da un legame profondo e spesso scopiamo insieme, ma nessuno
intende forzarti: decidi liberamente se vuoi partecipare o meno. - Perché no? Tutti si spogliano. Gli
altri osservano stupiti la virilità di Posljednj. E nella notte scoprono che
questo maschio è insaziabile: come una notte successe con Niedzj, tutti
vengono posseduti da lui. Posljednj non se ne stupisce: troppe volte ha
ricevuto il seme del Terribile, che dà forza e vigore. È notte fonda quando si
addormentano tutti insieme. Il giorno dopo si preparano per la partenza. Glasno si rivolge a Posljednj: - Posljednj, come hai
visto, ognuno di noi ha un soprannome. Vuoi scegliertene uno anche tu o
preferisci che ti chiamiamo con il tuo vero nome? - Grigio, poiché tutti
avete un soprannome, me ne prendo uno anch’io. Chiamatemi Randagio: sono
sempre stato un randagio nelle Terre del Nord. Cinghiale ride e osserva: - Avrei altri nomi da
proporre per te. Conoscendo Cinghiale, gli
altri ridono, perché sospettano il tipo di soprannome che proporrà. - E sarebbero? - Direi Grandecazzo o Cazzodifuoco, ad
esempio. Di nuovo tutti ridono,
anche Posljednj, che scuote la testa e dice: - Preferisco Randagio. - Come vuoi. La sera Glasno prende la spada che gli ha lasciato Vukmedje e la porge a Posljednj: - Questa spada è
un’eredità della stirpe di Musum. Fu forgiata nelle officine di Noz ed è destinata a te. Posljednj prende l’arma e
sente una corrente di energia percorrerlo. L’arma è davvero destinata a lui.
L’hanno maneggiata diversi uomini, ma è per lui che è stata forgiata. Il mattino dopo si alzano
molto presto: è ora di lasciare la scuola di lotta. Quando Grigio sbarra
l’uscio, tutti avvertono una fitta: a chiudersi non è solo la porta, ma un
periodo della loro vita, un periodo in cui sono stati felici, tutti insieme.
Sanno di andare incontro alla morte e lasciarsi alle spalle definitivamente i
giorni radiosi della loro vita comune è doloroso. Glasno getta la chiave nel Fiume dei Ghiacci,
come sa di dover fare, poi partono. Si dirigono verso Nord e a guidarli è
Posljednj: lui è già stato alla Terra degli Otto Laghi, oltre la quale si
trova la voragine di Nasmirti. Nelle prime tappe del
viaggio, anche se sanno di andare a morire, scherzano tra di loro e sono
allegri: l’essere tutti insieme è sempre una gioia e sono tutti curiosi delle
terre in cui si trovano a passare e degli esseri che potrebbero incontrarvi.
I primi giorni trascorrono senza particolari difficoltà. Sanno che, man mano
che s’inoltreranno nelle terre del Nord, i pericoli diventeranno maggiori, ma
per il momento tutto è tranquillo. Procedono veloci. Il decimo giorno, mentre
stanno attraversando un altopiano tra i monti, vedono il cielo coprirsi di
nuvole scure, spinte dal vento impetuoso. Quercia osserva il cielo, scuote
la testa e dice: - Sarà meglio che
cerchiamo un riparo: tra un po’ qui si scatena la tempesta. Tutti concordano e si
guardano intorno, ma non si vedono né capanne, né grotte e la vegetazione è
scarsa: gli arbusti e gli alberelli sparsi qui e là non offrono certo
protezione dalla pioggia che tra poco scenderà. Cinghiale vede un’apertura
sul fianco della montagna e la indica agli altri. - Là, dev’essere una
grotta. Non vedo altro. Cerchiamo di raggiungerla prima che scoppi il
temporale. Non sono neanche a metà
strada quando la pioggia incomincia a scendere. All’inizio sono pochi
goccioloni, ma quasi subito quello che scende dal cielo diventa un vero
diluvio. Accelerano il passo. Quando infine i primi raggiungono la caverna,
sono fradici. Entrano uno dopo l’altro, tenendo in mano le spade:
nell’oscurità potrebbe nascondersi un animale o qualche essere pericoloso. Mentre sale, Toro scivola
sulla roccia bagnata e cade. Non si è fatto niente, ma perde tempo a
raccogliere la spada che è caduta più in basso, per cui arriva quando gli
altri sono già tutti al riparo. Nel momento in cui si appresta a entrare, un
fulmine illumina tutto il cielo e colpisce la sua spada, mentre un tuono li
assorda. Toro cade a terra. Gridano tutti e si precipitano fuori dalla grotta.
Lo portano dentro e cercano di rianimarlo, ma non c’è più niente da fare: il
loro compagno è morto, la pelle ustionata, le pupille fisse e dilatate. Tutti guardano il corpo
senza vita di Toro. Una sofferenza violenta li dilania. Glasno dice: - Moriremo tutti, lo
sapete. Non ha altra consolazione
da offrire. Gli uomini annuiscono.
Solo la certezza di andare a morire attenua il dolore della morte di Toro. Lo
raggiungeranno presto. Vebor il Nero dice ciò che pensano in molti: - Avrei preferito essere
io a morire. Spero di essere il prossimo. Non voglio vedervi morire. Quando il temporale è
passato, escono dalla grotta e seppelliscono Toro. La pioggia che ancora
scende si confonde con le loro lacrime. Il giorno seguente
riprendono la strada. Non c’è traccia dell’allegria dei giorni precedenti.
Prima di lasciare l’altopiano si voltano tutti a guardare il luogo dove è
sepolto il loro compagno. A metà giornata scoprono
che non possono seguire il sentiero scelto da Posljednj, perché una frana
impedisce il passaggio. - Non possiamo continuare
da questa parte. Tornare indietro per prendere un altro sentiero sicuro ci
farebbe perdere troppo tempo. Dobbiamo passare per Velmorje,
la grande palude. Cinghiale aggrotta la
fronte. - L’ho sentita nominare. Dicono
che molti uomini siano scomparsi, inghiottiti dal fango, mentre cercavano di
attraversarla. - Sì, è così. Dobbiamo
essere molto cauti se vogliamo uscirne indenni. Raggiungono Velmorje nel pomeriggio. Non c’è modo di aggirarla, per
cui devono attraversarla, sprofondando nel fango fino alle ginocchia. È
Posljednj ad avanzare per primo, cercando dove passare. Gli altri lo seguono:
devono fare molta attenzione a stare dietro di lui, senza deviare dal
percorso che segue, perché in alcuni tratti la palude potrebbe inghiottirli. Falco procede lentamente,
mettendo il bastone in avanti, per controllare che non si sprofondi, e
seguendo attentamente Lince, che è davanti a lui. I primi che riescono ad
attraversare la palude si trovano davanti un’area rocciosa. Posljednj la
raggiunge e dopo di lui Nero e Lince: hanno completato la traversata e sono
al sicuro. Forse è quello a distrarre
Falco, che saggia con il bastone il terreno dove è appena passato Lince, ma
poi mette il piede un poco spostato rispetto a dove ha appoggiato il legno.
Falco si accorge di sprofondare. Cerca inutilmente di tirarsi fuori, ma la
palude lo sta inghiottendo. Rosso, che è dietro di
lui, gli prende il braccio con la mano, ma non riesce a tirarlo fuori, anche
se Quercia e Randagio lo aiutano. Falco affonda e Rosso, che continua a
tenerlo, rischia di essere inghiottito anche lui. Ormai solo la testa e il
braccio che Rosso tiene sono fuori dal fango della palude. Falco grida: - Lasciami, lasciami! Rosso non lo lascia, ma
Falco, con un movimento brusco libera il braccio: non vuole trascinare
l’amico alla morte. Quercia e Randagio trattengono Rosso, che di colpo
scoppia a piangere, mentre la palude inghiotte Falco. Gli ultimi raggiungono la
zona rocciosa, lasciandosi alle spalle la palude. Si siedono. Quercia tiene
un braccio sulle spalle di Rosso, che ancora piange. Nessuno parla. Fissano
la palude che ha inghiottito il loro fratello. Il terzo giorno si alzano.
Mentre mangiano un po’ del cibo che si sono portati, si chiedono che cosa li
aspetta: morirà qualcuno prima di sera o la giornata trascorrerà senza che il
loro numero si riduca? Ognuno pensa che se qualcuno deve morire, vorrebbe
essere lui: meglio la morte che vedere i fratelli perire uno dopo l’altro. Stanno preparandosi a
partire quando un cinghiale appare all’improvviso. Carica e Vebor il Nero finisce a terra. Quercia scaglia la lancia,
ma non è abbastanza rapido: quando l’animale cade a terra trafitto, le sue
zanne hanno già fatto scempio di Vebor. Il Nero muore con tutti i
suoi compagni intorno. Sorride e dice: - Meglio… così. Non ce
l’avrei fatta a vedere qualcun altro di noi morire. Vebor reclina il capo e un fiotto di sangue
gli esce dalla bocca. Quercia dice ciò che tutti pensano: - Sapevamo di andare a
morire, ma pensavo che saremmo morti tutti insieme, in una battaglia. Così è
terribile. - Sì, è terribile, è vero. Camminano tutto il giorno,
a capo chino, la mente piena di pensieri cupi. Il sentiero sale in modo
costante e si trovano a camminare tra montagne sempre più imponenti, completamente
coperte da neve nella parte più alta. La temperatura è calata, ma sono tutti
ben coperti, perché sapevano di doversi addentrare tra i monti mentre
l’autunno avanzava. Il quarto giorno salgono
su un versante fin quasi al limite della neve, poi prendono uno stretto
sentiero che scende lungo il fianco della montagna. Si muovono con cautela,
perché ai loro piedi si spalanca un precipizio: un passo falso
significherebbe la morte. Improvvisamente si sente
un forte rumore, che pare un tuono, ma il cielo è sereno. A precipitare a
terra non è un fulmine, ma una massa di pietre e terra, che travolge ogni
cosa sul suo passaggio. Sorgente è l’ultimo e non fa in tempo a sfuggire alla
frana. Gli altri lo vedono colpito dai massi, che lo schiacciano e poi nella loro
caduta lo trascinano con sé in fondo all’abisso. Per lui come per Falco non
c’è sepoltura. Ormai sospettano tutti che
ogni giorno porterà uno di loro alla morte. E infatti nel quinto giorno dalla
morte di Toro è il turno di Quercia. Mentre attraversano un bosco viene
attaccato da un kuz-pine. È un essere che
assomiglia a un uomo, con una testa molto grande e un’ampia bocca dai cui
angoli spuntano quattro lunghe zanne; le braccia gli arrivano fino alle
ginocchia e le mani terminano in artigli. L’essere si getta su di loro, le
braccia protese. Quercia vibra la spada, senza però riuscire a ferire
l’animale, che gli dilania la carne. Anche Posljednj interviene e la sua
arma, forgiata a Noz, trapassa la creatura
mostruosa. Il sangue che sgorga è nero e si rovescia a fiotti su Quercia, che
urla. Il sangue del kuz-pine gli brucia il corpo e
in pochi minuti Quercia muore. Si guardano smarriti.
Posljednj dice: - Non avvicinatevi. Il
sangue di questo mostro è velenoso. Facendo attenzione a non
venire in contatto con il sangue, raccolgono il corpo e gli danno sepoltura.
Poi riprendono il loro viaggio. La sera si accampano in un
bosco. Dormono stesi a terra, uno accanto all’altro. Cinghiale si siede ai
piedi di un albero. Nel cuore della notte si sveglia perché non riesce più a
respirare: i rami dell’albero lo hanno avvolto in una stretta mortale e lo
stanno stritolando. Capisce troppo tardi di essere prigioniero dello Zaoduh, l’albero malefico che soffoca coloro che si
appoggiano al suo tronco. Cinghiale non riesce a
gridare per chiedere aiuto. Il mattino i compagni lo trovano morto contro
l’albero che lo ha stritolato tra i suoi rami-braccia. Con un’ascia tagliano
i rami e liberano il corpo, poi lo seppelliscono. Il giorno seguente
trascorre senza che succeda nulla di notevole fino al primo pomeriggio,
quando il cielo si copre di grandi nuvoloni neri e, anche se ancora non
piove, il temporale sembra imminente. Scoppiano i primi fulmini e, memori
della morte di Toro, decidono di cercare un riparo. Vedono in una radura nel
bosco una capanna in legno. Si chiedono chi possa averla costruita e perché:
in quelle terre è rarissimo trovare costruzioni, perché nessuno vi abita in
modo permanente. Al massimo si incontrano tende erette da qualche cacciatore
o da un mercante. Potrebbe trattarsi di un rifugio di banditi. Sono incerti sul da farsi,
quando un fulmine colpisce vicino a loro. Decidono che è meglio vedere se è
possibile rifugiarsi nella capanna. Si avvicinano con cautela. Quando Glasno bussa, la porta si apre: non è chiusa. Entrano e
si trovano in una grande stanza, completamente vuota. Non ci sono mobili,
pagliericci, utensili. Sembra che nessuno vi abiti da molto tempo. Altri fulmini illuminano
il cielo, senza che la pioggia scenda. Accostano la porta e l’unica finestra,
senza chiuderle completamente, e rimangono vigili. Nella capanna regna
l’oscurità, anche se è ancora pieno giorno, perché il cielo è nuvoloso e poca
luce filtra dalle due aperture. Solo i lampi illuminano a tratti l’interno. Il temporale non sembra
placarsi e i fulmini cadono uno dopo l’altro, tutti molto vicini. A un certo
punto, poco dopo un tuono, sentono un altro violento rumore: un albero vicino
è stato colpito da un fulmine e si è abbattuto nella radura. Ora vedono una luce rossastra
filtrare nella capanna. Aprono la finestra e vedono che l’albero ha preso
fuoco. Il vento trascina le scintille verso la capanna. - Merda! Rischiamo di
andare a fuoco. - E se usciamo rischiamo
di finire come Toro. - Merda! L’odore di legno bruciato
è sempre più forte. Pensano che sia l’albero che brucia, perché la parete
vicina al tronco abbattuto non ha preso fuoco. Arco alza lo sguardo e dice: - Il tetto! Merda! Il
tetto! Il tetto ha preso fuoco:
un angolo è già bruciato. - Dobbiamo uscire. Escono rapidamente e si
allontanano, mentre le fiamme divampano. Non sono solo il tetto e l’albero
abbattuto a bruciare: anche diverse querce ardono ai margini della radura e
un fumo acre si diffonde. Si dirigono verso l’estremità settentrionale della
radura, ma un albero in fiamme crolla, sbarrando la strada all’ultimo di
loro, Oro. Questi cerca un’altra via di fuga, ma non ne vede nessuna:
tutt’intorno le fiamme stanno divorando gli alberi. Gli altri gridano: - Torna indietro! - Cerca di aggirare
l’incendio! Oro torna verso la
capanna, ma un’altra quercia in fiamme gli cade addosso, travolgendolo.
Quando il fuoco divora il suo corpo, è già morto. I compagni hanno assistito
sgomenti, senza poter fare nulla. Il divampare dell’incendio li costringe ad
allontanarsi, senza dare neppure sepoltura ai resti carbonizzati. Camminano rapidamente e
quando la pioggia infine scende, si mescola alle loro lacrime. Si fermano la sera sul
fianco di una montagna, in una piccola grotta. Accendono il fuoco e rimangono
in silenzio. Posljednj dice: - Sapevo che le forze
delle tenebre avrebbero imposto un tributo di sangue durante il viaggio. Me
lo disse Vodjanoj. Non sospettavo quanto doloroso sarebbe stato per tutti
voi. Glasno risponde per tutti: - La nostra morte è
necessaria per evitare che i regni e le terre circostanti finiscano per molte
generazioni di uomini sotto il dominio di un signore spietato, che porterà
morte e distruzione. Questo lo sapevamo e abbiamo accettato di compiere
l’impresa. Ma ci eravamo illusi di morire insieme, non sospettavamo che ci
sarebbe stato questo stillicidio quotidiano. Vedere morire ognuno degli
altri… vorrei essere morto per primo. - Lo vorremmo tutti. Sono rimasti in cinque.
Sono ormai molto a Nord, in una regione montuosa dove ben raramente si incontrano
figli di Eva o di Lilith. Stanno percorrendo un sentiero quando vengono
assaliti da una dozzina di trog: vedendoli poco numerosi, i trog sono
convinti di poterli uccidere facilmente, ma gli uomini che hanno attaccato
sono tutti bravi guerrieri e Posljednj in particolare fa strage degli
attaccanti. Due degli assalitori cercano di colpire Arco alla schiena. Lince
si mette in mezzo e uccide un trog, ma viene colpito al petto dall’altro. Posljednj trafigge il trog
e poi lui e Rosso uccidono gli ultimi tre assalitori. Per Lince non c’è più
nulla da fare: è stato ferito a morte e spira tra le braccia di Arco. Viene
sepolto dai compagni. La sera mangiano in
silenzio e poi si stendono. Nessuno ha più voglia di parlare. Il giorno seguente in
serata raggiungono la Terra degli Otto Laghi: ormai la loro meta non è più
molto lontana. È autunno e i borobieli
non hanno più fiori. Quando si stendono a
dormire vicino al lago centrale, Arco si accorge di aver perso il pugnale,
con cui ha reciso una pianta commestibile nel bosco di borobieli. - Torno a cercarlo. Rosso lo guarda,
preoccupato. Non è morto nessuno in giornata e teme che il compagno possa
rimanere vittima di qualche animale o mostro. - Ti accompagno. - Non è il caso. Glasno interviene: - Vengo anch’io. Tanto è
vicino. Anche Posljednj si unisce
a loro. Ritornano nel bosco di borobieli. Arco vede il suo pugnale a terra,
vicino a un albero. - Eccolo! Si dirige verso l’albero,
mentre i compagni lo attendono, vigili. Quando si china a raccogliere l’arma,
un fiore si schiude. Non è certo la stagione dei fiori, i cui petali
giacciono a terra. Eppure uno è sbocciato e diffonde il suo profumo tutto
intorno. Arco si siede ai piedi
dell’albero e aspira il profumo, dimentico di tutto. Rosso non capisce e
chiede: - Che cosa succede? Perché
si è seduto? È Posljednj a spiegare: - Il profumo dei borobieli
incanta chi lo senrte. Non si muoverà più. Rosso dice: - Dobbiamo trascinarlo
via. Posljednj scuote la testa. - Non è possibile: se
qualcuno si avvicinasse ora, cadrebbe anche lui vittima del profumo del
fiore. - Non possiamo coprirci la
bocca e il naso, evitando di respirare per il tempo necessario ad afferrarlo
e allontanarlo dall’albero? - No, nessun tessuto può
fermare il profumo. L’angoscia vibra nella voce
di Rosso mentre dice: - Vuoi dire che non c’è
niente da fare? Posljednj annuisce. Rosso
osserva: - Morirà di fame e di
sete. È atroce! Posljednj dice: - Non soffrirà, questo
almeno posso garantirvelo. Tornano in silenzio al
lago centrale e si stendono. Uno di loro a turno rimane di guardia, come
hanno fatto ogni notte. Ma ogni notte i turni di guardia sono diventati più
lunghi. Quando si svegliano, dopo
aver mangiato un boccone, incominciano a scendere lungo il canalone che
conduce alla Voragine di Nasmirti. Non è una
discesa facile: il canalone è spesso ostruito da massi, che bisogna superare
arrampicandosi e poi ridiscendendo. Nel pomeriggio giungono
sull’orlo della voragine, immersa in una nebbia spessa. Al centro emerge il
castello del Signore Oscuro. Guardandolo tutti e tre avvertono un brivido. Prendono la corda che si
sono portati per scendere nella voragine. La fissano alla roccia. Non possono
vedere il fondo dell’abisso, per cui non sono sicuri che la corda sia
abbastanza lunga. Si mettono d’accordo che Posljednj, il primo a scendere, se
arriverà senza problemi al fondo, lascerà la corda e farà un nodo. Quando
vedranno che la corda non regge più alcun peso, Grigio e Rosso la tireranno
su per verificare che ci sia il nodo. Se la corda non permette di arrivare al
fondo, Posljednj cercherà di risalire. In ogni caso non devono
gridare, per non rivelare la loro presenza. Non è facile calarsi,
perché la parete non offre nessun appiglio e solo la forza delle braccia
permette di non precipitare. Posljednj giunge al fondo: la corda è
sufficientemente lunga. Fa un nodo e la lascia. Poco dopo vede che la corda
viene tirata su e poi nuovamente calata. Arriva Grigio, tutto sudato. - Merda! Credevo di non
farcela. Dopo di lui si cala Rosso,
ma quando è a metà strada la corda si spezza. Rosso non grida: non vuole
tradire la loro presenza. Si schianta davanti ai due amici, che lo guardano
angosciati. Non è possibile seppellirlo, perché il fondo della voragine è
pietroso: non c’è terra in cui si possa scavare. Si limitano a ricoprire il
corpo di sassi. Poi si stendono a riposare: proseguiranno di notte. Glasno fa il primo turno di guardia, dicendo a
Posljednj: - Tanto non riuscirei a
prendere sonno. Mentre veglia si dice che
morirà presto e questo è l’unico pensiero che gli permette di andare avanti. Quando sorge la luna si
dirigono verso il castello. Non è facile orientarsi nella nebbia, ma riescono
a mantenere la direzione e raggiungere la guglia rocciosa su cui sorge la
fortezza. Si arrampicano fino a raggiungere uno spiazzo dove ci sono molti
pali. Su ognuno di essi vi è un cadavere. Alla fioca luce lunare Glasno riconosce uno dei corpi: è quello di Niedzj,
l’Orso. Sente una fitta. L’Orso è tornato in vita per poi morire ancora? Superati i pali si trovano
davanti alla fortezza dove vive il Signore Oscuro. Glasno
è perplesso. Sono in due: come possono pensare di entrare e di uccidere il
signore del castello? Di certo ci sono guardie, anche se probabilmente il
Signore Oscuro non sospetta che qualcuno possa essersi calato nella voragine. Posljednj sussurra a Glasno: - Proviamo a passare dai
sotterranei. Si avvicinano con cautela
a una porta nella roccia. Ci sono due trog di guardia. Li prendono di
sorpresa e li uccidono facilmente. Penetrano in un corridoio. L’oscurità è
completa. Avanzando a tentoni raggiungono una scala e salgono. Arrivano in una sala
illuminata da alcune torce. Qui ci sono altri trog. Si accende una battaglia,
che ha breve durata: per quanto Posljednj faccia strage, i loro avversari
sono troppo numerosi e altri ne arrivano. Glasno
riceve un colpo di spada nel petto e cade a terra. Davanti a lui Posljednj
viene colpito alla schiena: la punta della spada gli esce dal ventre. Si
volta e con un movimento rapido della spada decapita l’avversario. Mentre la
testa del trog che ha ucciso rotola a terra, un altro trog lo colpisce alla
schiena e la lama gli trapassa il fegato. Posljednj barcolla. Un trog gli
infila la spada nel basso ventre, con tanta forza che l’arma lo attraversa e
la punta esce dal culo. Quando il trog ritira la spada,. Posljednj cade a
terra. È ancora vivo: il seme di Vodjanoj gli ha dato una forza e una
resistenza che non sono umane. Mentre muore, Glasno si chiede qual è stato il senso di venire a morire
senza neppure riuscire ad avvicinarsi al Signore Oscuro. Mentre il mondo
intorno a lui scompare in una fitta nebbia, reclina il capo e un fiotto di
sangue gli esce dalla bocca. Il trog che ha colpito per
ultimo Posljednj si guarda intorno: ci sono i cadaveri di molti dei suoi compagni
e un altro sta agonizzando. Si avvicina a Posljednj, estrae il cazzo e
incomincia a pisciargli in faccia. Si rende conto che il guerriero è ancora
vivo. - Adesso ti finisco,
bastardo. Ti infilo la spada in culo! Il trog che è a capo delle
guardie gli mette una mano sul braccio: - Fermo. Forse il Signore
Oscuro vuole interrogarlo prima che crepi. Intanto Divlovac è uscito dalla fortezza. Lo fa ogni notte: gli
piace guardare i cadaveri di coloro che ha ucciso, fottuto, castrato e infine
impalato. Sta osservando il corpo di
Niedzj quando una guardia lo raggiunge per avvisarlo dell’attacco appena
avvenuto. Divlovac scende nei sotterranei: è
curioso di vedere questi due folli che sono giunti fino alla voragine e hanno
cercato di entrare nel castello. Nella sala ci sono i
cadaveri di una dozzina di trog e Divlovac si
stupisce che in due siano riusciti a fare una simile strage. Osserva i corpi
dei due uomini che sono stati abbattuti dai trog. Sono a terra, in un mare di
sangue. Uno ha i capelli grigi, l’altro li ha neri e il suo corpo è coperto
da un fitto pelame scuro. Non sono stati divorati dai trog, che sapevano di
dover aspettare l’autorizzazione del loro padrone. Divlovac si chiede chi fossero questi due
temerari e mentre si pone la domanda, si accorge che uno dei corpi si muove:
l’uomo è ancora vivo e con fatica si solleva a sedere. Divlovac ride. - Così non sei ancora
morto. Ma non credo che manchi più molto. - No, non manca più molto.
Il tempo per farti venire con me. Il Signore Oscuro ride
nuovamente: quest’uomo che agonizza in un mare di sangue pensa di poterlo
uccidere! Con un gesto congeda i trog presenti nel locale: non vuole che
sentano quello che sta per dire. Quando le guardie sono uscite, si rivolge a
Posljednj e gli dice, ridendo: - Idiota! Nessuno mi può
uccidere. Nessuna spada può ferire il Signore Oscuro. Solo un discendente di
Musum il Grande con le due stelle sul corpo avrebbe potuto farlo, ma sono
tutti morti. Nessun uomo della stirpe che regna su Sjevekral ha il doppio
segno della stella. Randagio si solleva:
nonostante le ferite mortali che ha ricevuto, ha ancora la forza di alzarsi:
il seme del Terribile gli permette di reggere. Con un movimento rapido
immerge la spada nel ventre del Signore Oscuro. Divlovac
sente il dolore atroce, che cresce mentre la spada attraversa il suo corpo ed
esce dalla schiena. Guarda Randagio,
incredulo. Questi sorride e dice: - Il mio nome è Posljednj
e discendo da Musum il Grande. Sul mio corpo ci sono le due stelle. E questa
spada è stata forgiata nelle officine di Noz.
Contro di lei non servono incantesimi. Ora puoi morire, maledetto. Randagio estrae la spada e
la immerge nuovamente nel petto di Divlovac,
trapassandogli il cuore. Il Signora Oscuro cade a terra, senza vita. Anche Posljednj non è più
in grado di reggersi. Cade in ginocchio e guarda il cadavere. Facendosi
forza, afferra con la mano i genitali di Divlovac e
con il pugnale li recide: ora ha concluso il suo compito. Dalla bocca il
sangue esce abbondante e gli cola sul petto e sul ventre. Poi cade prono, la
faccia nel mare di sangue che copre il pavimento. Si sente un boato e
l’intero castello trema: è un violento terremoto che scuote il pinnacolo e
infine fa crollare le mura, seppellendo tutti coloro che si trovano nella
fortezza. La guglia rocciosa su cui sorgeva il castello vibra e si sbriciola. Anche la Terra degli Otto
Laghi è agitata da un violento terremoto, che frantuma la roccia. L’acqua dei
laghi si mescola e poi si rovescia, in una grande cascata, nel canalone che
porta alla conca: è un fiume in piena, che travolge ogni cosa e si riversa
nella voragine. Il livello dell’acqua sale rapidamente, sommergendo le rovine
del castello, fino a che l’acqua riempie completamente la voragine. La terra ha smesso di
tremare. La Terra degli Otto Laghi non esiste più. La Voragine di Nasmirti ora è un ampio lago, in cui si riflette una
grande luna rossastra. Al rumore assordante della
terra che franava e dell’acqua che si rovesciava a valle è subentrato un
grande silenzio. Nessun essere vivente rompe la quiete della notte. Il mattino seguente il sole sorge e illumina la superficie del lago, in cui sono confluite le acque della Terra degli Otto Laghi, senza mescolarsi completamente: il lago presenta aree in cui l’acqua è rossa, altre in cui è azzurra o verde o gialla. |
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