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Trascorrono alcuni giorni e giunge l’ultimo plenilunio d’autunno. La neve ha già imbiancato i monti ed è scesa anche nel fondo delle valli, dove però è rimasta poco. Tra qualche giorno gli uomini delle tribù ritorneranno ai loro villaggi.

Djed sta rientrando all’accampamento dopo aver trascorso il mattino cacciando. Sono ancora le prime ore del pomeriggio, ma il cielo si sta scurendo in fretta: grandi nuvole nere hanno coperto il sole e avanzano compatte, spinte da un vento impetuoso. Gli ultimi lembi di azzurro scompaiono e i tuoni annunciano l’arrivo della tempesta. Djed si rende conto che non riuscirà a raggiungere l’accampamento prima che la pioggia incominci a scendere. Per lui, come per tutti gli uomini del Nord, bagnarsi quando piove non è un grande problema, anche se adesso che le giornate sono fredde non è piacevole.

Quando però prende a piovere, a scendere dal cielo è un vero diluvio: Djed ha l’impressione di avanzare attraversando un muro d’acqua. Si dice che è meglio cercare un rifugio, perché in queste condizioni non può pensare di arrivare all’accampamento: non c’è modo di ripararsi dal diluvio e ormai è completamente fradicio.

Sul fianco della montagna ci sono alcune caverne. Quando infine ne raggiunge una, dai suoi abiti inzuppati l’acqua scende a terra in piccoli rivoli.

L’ingresso è immerso nel buio, ma in lontananza si vede una luce. Djed è sorpreso: non si aspettava di trovare qualcuno. È un umano o… In queste terre vivono esseri di ogni tipo, a volte innocui, altre volte pericolosi. Alcuni amano cibarsi di carne umana.

Avanza con cautela, fino a che vede distintamente un fuoco che arde, ma non c’è nessuno. Vicino alle fiamme ci sono degli indumenti. Mentre si guarda intorno, sente una voce che conosce:

- Ben arrivato, Djed del Leone di Montagna.

Dall’ombra esce Vidram. È completamente nudo, con il cazzo in tiro, e ha la spada in mano, ma la depone a terra. Sorride a Djed e aggiunge:

- Ho sentito che arrivava qualcuno e, non sapendo di chi si trattasse, ho preferito essere prudente: da queste parti la cautela non è mai troppa.

Djed annuisce, senza dire nulla. Non si aspettava di incontrarlo, anche se i terreni di caccia della tribù della Lontra sono nella zona. Dopo quanto è successo nella Terra degli Otto Laghi, la presenza di Vidram lo turba ancora più di prima, di quando lo ha visto scopare. Osserva il corpo che si offre alla sua vista. È esattamente come se lo ricorda, come lo ha visto nel Lago Rosso. Un unico dettaglio non corrisponde: una cicatrice profonda al ventre, proprio dove Djed ricorda di aver colpito il suo avversario nel duello. No, non può essere così. Se Djed avesse davvero colpito Vidram, questi non sarebbe vivo. Con ogni probabilità la cicatrice  è dovuta a una ferita inferta da qualcun altro. Ma è una cicatrice profonda. Se qualcuno davvero gli ha immerso una lama nel ventre, come può Vidram essere ancora vivo?

Lo sguardo scende poi sotto la cicatrice, al cazzo, perfettamente teso. È come lo ricordava, lungo e soprattutto massiccio, come non ne ha mai visti.

Djed si sente la gola secca. Deglutisce. Sa che dovrebbe parlare, ma non riesce a dire nulla.

Vidram non sembra aver notato il turbamento di Djed o forse sceglie di ignorarlo, per cui prosegue:

- Anch’io sono stato sorpreso dalla tempesta e mi sono rifugiato qui. Ho acceso un fuoco per riscaldarmi e per asciugare gli abiti. E ti consiglio di spogliarti, perché mi sembra che i tuoi abiti siano completamente fradici. E tu pure.

Vidram sorride. Djed si riscuote.

- Hai ragione, Vidram.

Si libera degli indumenti e li depone vicino al fuoco, dalla parte opposta rispetto a quelli di Vidram, che si siede accanto ai propri abiti. Djed lo imita. Ora sono uno di fronte all’altro e in mezzo a loro c’è il fuoco che arde.

Djed guarda Vidram. Il desiderio cresce in lui e assume una forma precisa. Il cazzo gli si tende. Si sente a disagio, anche se il re della tribù della Lontra non mostra nessun imbarazzo. Vorrebbe dire qualche cosa, ma non trova le parole.

È Vidram a parlare:

- Sei un magnifico maschio, Djed.

Djed ha la gola secca. Risponde, a fatica:

- Posso dire lo stesso di te, Vidram. Non ho mai visto nessuno… dicono che tu sia figlio del Signore del Fiume dei Ghiacci.

- Sì, Vodjanoj è mio padre.

Djed annuisce.

- Dicono che anche mio padre, Musum, fosse figlio di Vodjanoj, ma non so se sia vero.

- Può essere. In questo caso tu sei mio nipote.

Vidram sorride, poi torna serio e aggiunge:

- Mi piaci molto, Djed.

Le parole sfuggono a Djed:

- Anche tu mi piaci molto, Vidram.

Vidram si alza e Djed lo imita. Il re della Lontra avanza, fino a che i loro corpi aderiscono. Quando Djed sente il calore del corpo di Vidram che preme sul suo, l’odore del suo sudore, il cazzo teso che batte contro il suo ventre, le forze gli mancano. Gli sembra di non riuscire a stare in piedi.

Si guardano negli occhi. Nella mente di Djed si è creato un vuoto che inghiotte tutto. Rimane solo la sensazione del corpo che aderisce al suo, dei loro due cazzi stretti in quella morsa di carne, entrambi tesi allo spasimo. Apre la bocca, ma gli sembra di non riuscire a immettere aria.

Vidram gli prende la testa tra le mani e lo bacia.

Djed chiude gli occhi. Nessun uomo lo ha mai baciato, ma il bacio di Vidram, la lingua che si infila tra le sue labbra, le mani che gli accarezzano la schiena, tutto fa vibrare il suo corpo di un’emozione nuova. Senza nemmeno rendersene conto, abbraccia il corpo di Vidram, le sue mani gli accarezzano la schiena. Djed si abbandona completamente a una corrente che lo trascina e a cui non è in grado di opporsi. Le mani di Vidram ora scendono ad accarezzargli il culo, le dita scorrono sul solco, premono contro l’apertura. Djed non si sottrae, non ha più una volontà.

Vidram si stacca da lui, gli sorride e gli dice:

- Stenditi a pancia in giù.

Djed accetta anche questo. Non è mai stato posseduto, non ha mai pensato che un giorno si sarebbe offerto a un altro maschio, ma si arrende senza resistere, si abbandona a un padrone che si è impossessato di lui senza lottare. Il suo corpo lo tradisce. Le gambe non lo sostengono e Djed si trova in ginocchio davanti a Vidram. Guarda sgomento il cazzo formidabile che ha di fronte al viso. Deglutisce. Entrerà dentro di lui, prenderà possesso del suo corpo. Ora Djed ha paura. A spaventarlo non è il dolore, che ci sarà, perché troppo grande è questo cazzo che violerà un’apertura mai forzata. Lo sgomenta la coscienza di aver perso ogni volontà.

La mano di Vidram preme leggermente sulla sua nuca. Djed scivola a terra. Vidram si stende su di lui e gli mordicchia il collo, la spalla, l’orecchio. È bellissimo sentire su di sé il peso e il calore di questo corpo possente, il movimento delle mani che ora stringono ora sfiorano, la pressione dei denti, la carezza umida della lingua. Ma la massa calda e rigida che ora si appoggia tra le sue natiche è una minaccia, a cui Djed non riesce a sottrarsi: il suo corpo è complice dello strazio che sta per subire.

Vidram non ha fretta. Procede con lentezza, lo accarezza, gli passa la mano tra i capelli, la sua lingua scivola dietro l’orecchio e lungo il collo. Poi si solleva, volta Djed e si stende nuovamente su di lui.

Djed sa che la sua disfatta è solo rimandata, ma accoglie con gioia questo rinvio della sentenza. Lascia che le mani esperte di Vidram lo accarezzino, lo stringano, gli stuzzichino i capezzoli, strappandogli un gemito, gli arruffino i capelli. Lascia che quelle labbra gli sfiorino gli occhi, la bocca, il torace, il ventre, gli inghiottano la cappella, gli avvolgano i coglioni. Lascia che quei denti gli mordano un labbro, il mento, i capezzoli, il cazzo.

Djed sprofonda in un vortice in cui esiste solo più Vidram, le mani di Vidram, la bocca di Vidram, il cazzo di Vidram, il corpo di Vidram, Vidram. E il desiderio cresce, tanto violento da essere doloroso, da non poter più essere contenuto. Vuole che accada ciò che non è mai accaduto, vuole sentire il cazzo di Vidram dentro di sé, vuole la sua completa disfatta.

Dalle labbra gli sfugge una richiesta, quasi un grido:

- Prendimi, Vidram. Prendimi. Fottimi.

Ora Djed prova vergogna, di fronte alla propria resa totale.

Vidram lo volta e Djed  grida:

- Sì!

Nuovamente sente le mani di Vidram stringergli il culo, con forza, poi i denti di Vidram mordere, affondare nelle natiche, strappandogli piccoli gemiti, la lingua scorrere sul solco, premere sull’apertura. Djed ha l’impressione di svenire. Il corpo di Vidram si stende nuovamente sul suo, la lingua indugia sul collo, poi i denti mordicchiano la nuca.

Djed si rende conto che sta gemendo, una serie di gemiti incontrollati, preda di un piacere che gli mozza il fiato.

E infine avverte la pressione del cazzo di Vidram contro l’apertura. Geme più forte, impaziente, perché vuole essere posseduto. Vidram gli morde con forza la spalla ed entra, con un movimento lento, ma inarrestabile. E Djed avverte il dolore, lancinante, che cancella il piacere. Il cazzo penetra nel suo culo e lacera, ma Djed vuole anche questo dolore, sigillo della sua definitiva sconfitta.

Vidram è dentro di lui, ora. Gli lascia il tempo per abituarsi a questa spada di carne che lo martirizza, poi prende a muoversi, lentamente. Djed sprofonda nel dolore, un dolore che è anche piacere. Gli sembra di delirare, grida il nome di Vidram.

Vidram gli risponde sussurrandogli il suo nome nell’orecchio, poi la sua lingua torna a percorrergli il collo, la nuca. Arretra il culo, il suo cazzo quasi esce, poi ritorna a martirizzare la carne che lo accoglie, fino a che i coglioni battono contro il culo. Vidram avanza, lentamente, poi arretra, senza fretta. Djed sprofonda in un delirio senza fine, un delirio di dolore e di piacere.

Il tempo sembra scomparire. A lungo Vidram fotte e Djed fluttua in un oceano di sofferenza e di godimento, finché il re della Lontra accelera le sue spinte, il dolore diventa intollerabile, il piacere non può più essere contenuto. Vengono entrambi: il seme sgorga, dirompente ed incontenibile.

Vidram lo stringe con forza e si abbandona su di lui.

Rimangono a lungo così, poi Vidram lo accarezza, lo bacia e si ritrae. Guarda il cazzo e si accorge che c’è del sangue. E qualche goccia cola dall’apertura di Djed insieme al seme.

- Merda!

Djed non capisce: è ancora stordito dal piacere che ha provato.

Ma Vidram è turbato.

- Mi spiace, Djed. Non pensavo… c’è del sangue. Ti ho ferito. Non volevo. Ho cercato di fare attenzione, ma… era troppo bello… mi sono lasciato trascinare. Mi spiace.

Djed si volta, a fatica, e sorride a Vidram. Gli sembra che il re della Lontra sia bellissimo. Gli guarda il grosso cazzo, che l’ha penetrato.

- Non ti preoccupare.

Poi sorride e aggiunge:

- È stata la prima volta ed era inevitabile, ce l’hai troppo grosso. Passerà.

Vidram apre la bocca, poi scuote la testa e chiude gli occhi. È chiaramente sconvolto.

- No, no! Non è possibile.

Djed si solleva su un gomito. Vedere Vidram tanto turbato gli ha restituito la lucidità.

- Che cosa c’è, Vidram?

- Non volevo… non avrei dovuto. Non ho pensato che per te potesse essere la prima volta.

- Vidram, mi ha fatto male, è vero, ma è stato bellissimo. Non ho mai goduto tanto. Il dolore passerà.

- Non è questo, Djed. Non è questo. Io…

Tace, poi si mette a sedere vicino al fuoco, che si sta spegnendo. Fissa Djed e dice:

- Siediti, Djed. È giusto che tu sappia.

Djed si mette a sedere.

Vidram rimane un momento in silenzio, poi inizia a raccontare:

- Anni fa, prima di diventare re, giunsi alla Terra degli Otto Laghi. Non era mia intenzione arrivarci, anche se ne avevo sentito parlare molto ed ero curioso. Ma pare che pochi ci arrivino perché lo vogliono. La primavera era appena finita. C’è un viale di borobieli che porta dal colle ai laghi. Sai che in primavera il loro profumo inebria coloro che si avvicinano agli alberi, impedendo loro di allontanarsi. Lungo il viale c’erano i cadaveri di coloro che erano rimasti incantati dal profumo dei fiori e avevano trovato la morte. Dicono che chi muore così non rimpiange la vita, ma nessuno di coloro che sono morti è mai tornato a raccontarlo, per cui credo che sia una leggenda. Sapevo che avrei fatto meglio ad andarmene: anche se la primavera era finita e i borobieli erano sfioriti, quella terra cela molti pericoli. Ma ero molto giovane e la curiosità fu più forte della prudenza. Osservai gli otto laghi. Ce n’è uno al centro, circolare, e gli altri sette, colorati, che paiono quasi diramarsi da quello.

Djed vorrebbe dire a Vidram che conosce bene la Terra degli Otto Laghi, che c’è stato, ma tace. Glielo dirà dopo. Adesso vuole ascoltare il racconto dell’uomo che lo ha posseduto, dell’uomo che lo attrae come non gli era mai successo, dell’uomo che ama.

- Scesi lungo il sentiero, oltre il viale di borobieli, fino alla riva del lago rosso. Mi spogliai, non saprei dirti il perché: non intendevo bagnarmi, perché sapevo che i laghi celano insidie mortali. In qualche modo sentivo di dovermi spogliare. Quando fui nudo, il sonno mi prese. Mi distesi e mi addormentai.

Djed ascolta, attento. 

Vidram prosegue il suo racconto:

- A svegliarmi fu la sensazione che il sole si fosse di colpo oscurato. Aprii gli occhi e mi accorsi che c’era un uomo in piedi davanti a me, che copriva il sole. Era anche lui nudo e aveva una spada in mano. Mi alzai e il guerriero mi parlò. Mi disse che sarei diventato re, ma non mi sarei sposato, non avrei avuto figli e solo poco prima di morire avrei conosciuto l’uomo che avrei amato. Lo avrei posseduto, togliendogli la verginità. Amandolo avrei provocato la sua morte.

Vidram fissa Djed. C’è un lungo momento di silenzio. Ognuno dei due insegue i propri pensieri, ma entrambi sentono che ormai è tardi e il destino non può essere mutato: non possono tornare indietro. Djed non lo vorrebbe: le ultime ore lo hanno marchiato in modo indelebile.

Vidram riprende il racconto:

- Io ascoltavo. Avrei voluto chiedere, ma non riuscivo a parlare. L’uomo mi porse la spada, poi mi prese e scivolammo in acqua. Mi lasciò sul fondo e scomparve nel nulla. Io lasciai cadere la spada. Mi guardavo intorno, senza capire. Ero sott’acqua, ma respiravo normalmente. Poi vidi un altro guerriero. Non l’avevo mai visto, ma…

Vidram esita, poi dice

- Allora tu eri un bambino, ma quel guerriero era esattamente come tu sei ora, un magnifico maschio, nel rigoglio della sua età.

Djed fa per parlare, ma si dice che è meglio aspettare la fine del racconto di Vidram, prima di replicare.

- Ci affrontammo in duello. Combattemmo a lungo, finché riuscì a infilarmi la spada nel ventre, trapassandomi da parte a parte. Caddi. Il guerriero mi guardava, l’acqua del lago diventata sempre più rossa, per il mio sangue. Infine mi decapitò. Io mi destai sulla riva. Era ormai sera. La ferita si era rimarginata. Rimanevano le due cicatrici, una davanti e una dietro.

Djed annuisce, lentamente. Solo dopo un lungo momento di silenzio parla.

- È ora che ti racconti il mio viaggio fino alla Terra degli Otto laghi.

- Ci sei stato anche tu?

- Tre giorni fa. Ora ti dirò.

Djed racconta tutto ciò che gli è successo.

Quando ha concluso, c’è un lungo momento di silenzio. È Djed a romperlo, dicendo:

- Ero davvero io il guerriero che ti ha ucciso ed eri tu quello che io ho ucciso.

Vidram scuote la testa.

- Sono passati vent’anni da quando raggiunsi la Terra degli Otto Laghi. E tu mi dici che ci sei stato pochi giorni fa. Come hai potuto uccidermi nel passato, se allora eri solo un bambino?

- Non posso certo spiegartelo. Come non posso spiegarti perché ti ho incontrato come sei ora, anche se quando sei stato alla Terra degli Otto Laghi eri molto più giovane. Ma è così e credo di potertelo dimostrare. Tu non hai detto una cosa nel tuo racconto e anch’io l’ho taciuta. Durante il combattimento eravamo entrambi eccitati e quando ti ho ucciso, sono venuto. E anche tu sei venuto, mentre morivi.

- È vero. Allora eri proprio tu. Non so come sia possibile, ma è così. E ora… Merda! Non  volevo provocare la tua morte.

- La mia morte è fissata. Ho concepito un figlio e il giorno della sua nascita io morirò.

- Che cosa dici?

Djed racconta l’incontro con la figlia di Anahita e le sue parole.

Vidram ascolta attento, poi annuisce.

- Questo è il tuo destino. Mi spiace. Non avrei dovuto…

- Va bene così, Vidram. Mi sei sempre piaciuto molto.

Djed tende una mano e accarezza il viso di Vidram, che lo attira a sé. Si amano ancora, più volte. Quando infine si addormentano, stretti l’uno all’altro, è quasi l’alba.

Djed si sveglia tra le braccia di Vidram. Il dolore al culo è forte, ma Djed sta bene.

 

Il loro amore dura tre stagioni: l’inverno, la primavera e l’estate. Djed sa che il giorno della sua morte si avvicina, ma è felice. E spesso pensa che è un bene che muoia presto, perché Vidram, per quanto sia un guerriero formidabile, sta invecchiando e presto verrà ucciso: nella tribù della Lontra, come in tutte le altre, il re che invecchia deve morire. Djed non vorrebbe vedere la morte dell’uomo che ama.

Entrambi hanno coscienza della fine vicina e questo li aiuta a sopportare l’idea che anche l’altro morirà presto.

Si incontrano più volte e trascorrono notti ardenti.

 

Una sera Djed si reca al luogo dove deve incontrare Vidram, sulla riva del Fiume dei Ghiacci. Lo vede in lontananza, accovacciato sulla sponda e rivolto verso l’acqua. Dopo pochi passi si accorge che sta parlando con qualcuno che è in acqua: è Vodjanoj, il Signore del Fiume. Per un attimo Djed si sente gelare: sa che Vodjanoj a volte trascina in acqua coloro che lo vedono. Poi si ricorda che Vidram è suo figlio. E infatti i due sembrano parlare tranquillamente. A un certo punto Djed vede Vodjanoj ridere, poi voltarsi nella sua direzione e guardarlo. Il Signore del Fiume dice ancora qualche cosa a Vidram, poi si immerge, scomparendo. Vidram si volta e saluta Djed con un cenno del capo.

Djed gli si avvicina e chiede:

- Parlavi con Vodjanoj?

Non è davvero una domanda, li ha visti.

- Sì, certo. Ogni tanto ci troviamo.

- Non ho mai sentito di nessuno che parlasse con lui. Ha affogato molti uomini.

- Affoga soltanto coloro che meritano la morte. Ma non ti stupire che io parli con lui. Sai che è mio padre. 

- Sì, me l’hai detto. Ma lui è il Signore del Fiume, immortale…

- … e io sono mortale. Avrei potuto avere una vita molto lunga, ma ho scelto di diventare re e perciò sarò ucciso presto.

- Come mai hai scelto di diventare re?

- Perché solo diventando re avrei incontrato l’uomo che mi era destinato. Non devo spiegarti di chi si tratta, vero?

Djed sorride.

- No, non è necessario.

 

Il giorno della morte di Djed si avvicina, quando Vidram gli porta la notizia: i sacerdoti della tribù della Lontra hanno letto nei segni che è giunta la sua ora. Il sacrificio è stato fissato per due giorni dopo, prima della notte del terzo plenilunio d’estate.

Djed è sconvolto: era ormai sicuro di morire prima di Vidram, perché mancano pochi giorni alla sua fine.

Per l’ultima volta si amano, in una notte di passione. E dopo aver posseduto più volte Djed, Vidram gli dice:

- Prendimi, Djed.

- Che dici, Vidram?

- Sarò ucciso da uno schiavo e lui di certo mi prenderà. Non voglio che a possedermi sia stato solo uno schiavo.

- Ma… come potrebbe? Glielo permetterebbero?

- Quando sarò stato legato, i sacerdoti se ne andranno. Nessuno può assistere alla mia morte, a parte lo schiavo che deve uccidermi. Questo schiavo è Uboji, che mi odia perché io lo sconfissi e lo catturai. Di certo mi stuprerà, per vendicarsi.

- No! Lo ucciderò!

Vidram scuote la testa.

- Pazzo! Non puoi impedire il rito. Sarebbe sacrilegio. In ogni caso, non ha importanza. Anche se non sapessi che lo schiavo mi stuprerà, io desidero darmi a te. Non mi sono mai dato a nessuno, ma ora voglio che tu mi prenda.

Djed lo guarda. Possedere Vidram, l’uomo che ama… Lo desidera con violenza. Lentamente annuisce.

- Voltati, Vidram.

Vidram si volta, stendendosi sulla pancia, e allarga le gambe. Djed gli accarezza la schiena, indugia sul culo. Possedere questo culo che nessuno ha mai avuto. Prendere possesso di Vidram, che ha preso possesso di lui. Perché Djed sa che loro due si appartengono.

Djed si stende su Vidram, lo abbraccia, lo bacia sul collo, poi le sue mani lo accarezzano. Si solleva in ginocchio, gli mordicchia il culo, più volte, poi passa la lingua lungo il solco, spingendosi in avanti. Vidram mugola.

Djed inumidisce ancora con la lingua, poi si stende nuovamente su Vidram e lentamente affonda la sua arma dentro di lui. Ciò che prova va oltre tutto ciò che ha sperimentato in vita sua. L’uomo che sta possedendo è l’uomo che ama, l’uomo a cui appartiene e che ora gli appartiene.

Djed cavalca a lungo, con molta dolcezza, finché il desiderio non lo sprona ad accelerare e, con una rapida successione di spinte vigorose, viene dentro Vidram.

 

Nel pomeriggio si separano e Vidram torna al suo villaggio, perché deve prepararsi al sacrificio. Nella maggioranza delle tribù il re che invecchia viene sfidato dal più forte tra i guerrieri che desiderano prendere il suo posto. Nella tribù della Lontra invece il re viene offerto agli spiriti delle acque e in particolare a Vodjanoj, progenitore della tribù. I guerrieri che aspirano a diventare re si affronteranno in duello dopo che il vecchio re è stato sacrificato.

Vidram trascorre l’ultima notte in una capanna, senza avere contatti con nessuno. Il mattino dopo due sacerdoti lo accompagnano al luogo del sacrificio: una pozza formata dalle acque impetuose di un ramo del Fiume dei Ghiacci. Lì lo attende Uboji, il guerriero della tribù del Cinghiale che Vidram stesso catturò in battaglia. Il re non può essere ucciso da un uomo della tribù: a eseguire la condanna dev’essere un uomo di un’altra tribù.

Lo schiavo è nudo e tiene in mano una corda. Altre due sono a terra. Vidram guarda Uboji, poi le corde e il piolo piantato nel terreno sulla riva del fiume. Infine osserva l’acqua profonda.

Uboji guarda Vidram, poi passa dietro di lui, gli passa la corda intorno a un polso, poi intorno all’altro e gli lega saldamente le braccia dietro la schiena. Afferra la seconda corda e la passa intorno alle caviglie. Ora Vidram è completamente bloccato. Poi lo schiavo passa la terza corda tra i piedi di Vidram e la lega al piolo piantato sulla riva.

I sacerdoti tolgono i tre simboli del potere che Vidram indossa, come tutti i re delle tribù del Nord: il monile al collo, quello al braccio e la corona. La corona viene portata solo in occasioni particolari, ma i due monili devono essere portati sempre: toglierli comporta una condanna a morte per il re e anche per colui che li ha tolti, se non l’ha fatto dopo aver sconfitto il re o durante un rito di morte.

Dopo aver eseguito il loro compito i sacerdoti se ne vanno: neanche loro possono assistere al sacrificio. Torneranno domani, per verificare che il re sia morto e affidare il suo cadavere alla corrente del fiume.

Ora Vidram è nelle mani di Uboji, che deve ucciderlo secondo il rituale.

Uboji sorride. La sua schiavitù giunge alla fine, perché dopo aver affogato Vidram sarà un uomo libero. E prima di uccidere il re, lo umilierà.

Uboji si avvicina. Afferra Vidram per i capelli e lo forza ad appoggiare il petto su una roccia. Vidram sa che cosa lo aspetta: sarà stuprato, come aveva previsto. 

Ma nel momento in cui sente il cazzo dello schiavo premere contro l’apertura, c’è un rumore di fronde smosse e Djed compare. Prima che Uboji abbia avuto il tempo di reagire, Djed lo trafigge con la spada.

Vidram si solleva:

- Che hai fatto, Djed?

- Non potevo accettare che ti stuprasse.

- Non dovevi.

- Non aveva nessun diritto di prenderti. Se ti avesse ucciso senza cercare di stuprarti, lo avrei lasciato fare, ma questo non potevo accettarlo.

- Ora devi farlo tu.

Djed guarda Vidram, poi abbassa il capo. Sa che è così: Vidram deve morire e tocca a Djed, che ha interrotto il rito, portarlo a termine.

- Prendimi una seconda volta, Djed. Poi mi affogherai.

Djed annuisce. Prende il pugnale per tagliare le corde che tengono legato Vidram, ma questi scuote la testa.

- Non puoi farlo, Djed. Nessuno può tagliare o sciogliere la corda che i sacerdoti hanno consacrato per il rito.

Djed china il capo. Osserva il culo di Vidram e il desiderio lo prende, violento. Le sue mani accarezzano il corpo che gli si offre, poi per la seconda volta lo prende. 

Poi Drjed accarezza l’uomo che ama e che dovrà uccidere. Sente crescere un dolore infinito, che lo schianta.

Continuerebbe ad accarezzare Vidram, ma questi dice:

- Immergimi.

Djed afferra Vidram, lo solleva, tenendolo tra le braccia come un bambino. Avanza fino alla riva e si immerge nell’acqua del fiume. Guarda smarrito il corpo dell’uomo che tiene sollevato. Poi abbassa le braccia e Vidram si trova immerso nell’acqua. 

Vidram apre la bocca. Ha bisogno di aria, ma a entrargli in gola e nei polmoni è solo acqua.

Istintivamente Djed cerca di sollevare il corpo, di riportarlo a galla per permettergli di respirare, ma non gli riesce. Due forti braccia stanno stringendo Vidram e lo tengono sommerso. Djed guarda a chi appartengono le braccia: è un tritone con una lunga barba. Non è un tritone qualunque: è Vodjanoj, il Signore del Fiume dei Ghiacci. Djed pensa che ora Vodjanoj lo trascinerà nell’acqua, affogandolo, ed è contento di morire con Vidram: non chiede di meglio. Ma il Signore del Fiume non lo afferra: si limita a tenere Vidram sott’acqua fino a che nessuna bolla d’aria sale alla superficie. Poi si stacca e si allontana.

Djed abbandona il corpo. La corrente lo trascinerebbe via, se la corda che lo lega al piolo non lo mantenesse vicino alla riva.

Djed trascina il cadavere di Uboji al fiume e ve lo getta. Lo vede scomparire a valle.

 

Il giorno dopo i sacerdoti raggiungono il luogo dove si è svolto il sacrificio. Sciolgono la corda che lega il cadavere di Vidram al piolo e il corpo si allontana dalla riva. Non viene però trascinato a valle: stupefatti, i sacerdoti lo vedono risalire il fiume, come un nuotatore che riesce a vincere la corrente. Ma Vidram è morto, il cadavere ha ancora le mani e i piedi saldamente legati. Eppure si muove in direzione contraria all’acqua, come se fosse trascinato da una corda o da un forte nuotatore.

 

Djed sa che ormai manca pochissimo alla fine della sua vita, ma ogni giorno senza Vidram è una sofferenza. Il terzo giorno dopo la sua morte, Vidram gli appare in sogno

- Djed, la tua ora è ormai vicina. Presto ci ritroveremo.

Djed si sveglia di colpo. Era un sogno, solo un sogno.

Djed caccia da solo: non vuole vedere nessuno. Solo la certezza che la morte non è più lontana gli dà pace.

Un giorno, uscendo da una valle che ha percorso, vede in lontananza una grande nuvola di fumo levarsi dal bosco. Gli incendi sono rari in queste terre ricche d’acqua, dove la pioggia scende sovente e la neve rimane per diversi mesi. Anche ora il cielo è coperto di nuvole scure e la pioggia potrebbe scendere presto.

Djed si affretta nella direzione del fuoco e dopo un tratto di cammino incontra alcuni guerrieri della sua tribù.

- Djed! Ringraziamo gli dei che ti hanno condotto qui. Ti stavamo cercando da questa mattina, ma non sapevamo dove fossi.

- Che cosa è successo? Perché la foresta di Gustasuma arde?

- Nella notte è giunto un vatra. È lui che ha incendiato il bosco.

Djed ha sentito parlare dei vatra, che vivono a est delle terre dei figli di Eva. Alcuni dicono che appartengano alla stirpe dei draghi, perché possono emettere fiamme, ma è un’assurdità, perché sono molto diversi. Sono molto più piccoli e non hanno ali. Il loro corpo assomiglia a quello dei cavalli ma la testa è piuttosto quella di un leone di montagna ed è dotata di due grandi corna. Gli occhi sono luminosissimi e dalla bocca i vatra emettono fuoco.

Djed e i suoi uomini si avvicinano all’area della foresta che arde. Il cielo è sempre più scuro.

- La pioggia che scenderà presto spegnerà l’incendio, ma dobbiamo uccidere il vatra.

Gli uomini guardano Djed. Sanno che il loro re ha ragione, ma come uccidere un mostro a cui è quasi impossibile avvicinarsi? Eppure, se non l’uccidono il vatra non se ne andrà di certo: distruggerà le foreste in cui i figli di Lilith cacciano, i loro campi coltivati e i loro villaggi.

Le prime gocce di pioggia incominciano a scendere e presto è un diluvio quello che si rovescia sulla terra e spegne rapidamente il fuoco. Djed pensa a un'altra pioggia torrenziale, del giorno in cui lui e Vidram si sono amati. Il ricordo è doloroso, ma Djed lo scaccia.

Djed e i suoi uomini raggiungono l’area bruciata. Fortunatamente non è molto vasta. Al centro c’è il vatra, che si guarda intorno. Gli uomini rimangono nascosti.

A sera la pioggia si attenua e infine cessa.

- Voi rimanere qui. Mi avvicinerò io solo, quando sarà buio.

 

Quando scende la notte, Djed si avvicina lentamente al vatra, che è accovacciato a terra in riva al fiume e sembra dormire.

La pelle dei vatra è quasi una corazza, che le frecce non riescono a attraversare. Si dice che solo un’area ristretta del petto può essere trapassata da una lancia scagliata con grande forza o da una spada. Djed non sa dove si trovi quest’area, ma non c’è modo di scoprirlo. Se non colpirà il punto giusto, il mostro non gli darà una seconda possibilità.

Mentre avanza, Djed sente una presenza accanto a sé. Si volta e vede Vidram. A fatica trattiene un grido.

Vidram gli sorride. È nudo e gocciolante, come se fosse appena uscito dall’acqua. Il cazzo è in tiro.

- Djed, non puoi colpirlo quando riposa, perché l’unica area vulnerabile rimane nascosta. Devi immergere la spada nell’incavo alla base del collo, subito sotto la testa.

Djed si è sentito travolgere dalla gioia. Annuisce, incapace di parlare.

Vidram sorride di nuovo e gli dice:

- Ti aspetto.

Poi il suo corpo sembra dissolversi nell’aria.

Djed si avvicina silenziosamente al vatra, la spada in pugno. L’animale avverte una presenza e si desta. I suoi occhi splendono nell’oscurità e guidano Djed: mentre il vatra spalanca la bocca e le fiamme prorompono, il re della tribù del Leone di Montagna si lancia su di lui e gli immerge la spada nell’incavo alla base del collo.

Il vatra emette un grido acutissimo, mentre il fuoco avvolge il corpo di Djed. È un dolore atroce, che dura pochissimo. Djed si lancia nel fiume. L’acqua spegne le fiamme, ma ormai è troppo tardi: la morte inghiotte il re del Leone di Montagna e per lui il mondo svanisce.

Il vatra si  avvita su se stesso gridando, mentre le fiamme che escono dalla sua bocca incendiano l’area intorno. Poi il fuoco che emette si attenua e poco dopo la luce dei due occhi si spegne. Le fiamme attaccano il suo corpo e lo consumano.

L’incendio dura poco: il terreno è impregnato d’acqua e molti degli alberi sono già bruciati nel corso della giornata, per cui non alimentano più le fiamme.

Quando gli uomini della tribù raggiungono la riva, del vatra rimane solo la carcassa carbonizzata, bruciata dal fuoco da lui stesso generato. La spada che Djed ha immerso nel suo corpo è intatta. Uno degli uomini la prende: la farà avere al fratello, Praotac, che regna su Sjevekral. Non c’è invece traccia del corpo di Djed, che hanno visto lanciarsi nel fiume avvolto dalle fiamme.

Qualcuno spera che il re sia ancora vivo, ma tutti sono coscienti che le possibilità sono minime.

E infatti il mattino seguente nel villaggio della tribù, in mezzo al cerchio sacro, vengono trovati la corona e i due monili che il re porta al braccio e al collo. Nessuno sa come siano giunti lì, ma il significato è chiaro: Djed è morto e la tribù dovrà scegliere un altro re.

 

Nei mesi seguenti gli uomini della Lontra, i cui villaggi sorgono tutti vicino al Fiume dei Ghiacci, notano la presenza di due tritoni, che nuotano nelle acque e rimangono sempre lontano dagli insediamenti umani. Chi è riuscito a scorgerli più da vicino dice che hanno le fattezze dei due re che sono morti da poco: uno nella metà superiore del corpo sembra proprio essere Vidram, l’altro assomiglia moltissimo a Djed. Il prodigio, se è tale, non stupisce gli uomini delle tribù. Circola voce che anche il padre di Djed, Musum il grande, si sia trasformato dopo la morte, diventando un leone di montagna.

Quando la superficie del fiume incomincia a gelare, i due tritoni scompaiono e non ritornano nelle primavere successive.

 

 

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