Djed del Leone di Montagna 3 Da alcuni anni Djed regna
sulla tribù del Leone di Montagna. Gode della stima della sua gente e delle
altre tribù: è considerato il più forte tra tutti i guerrieri che vivono
nelle terre del Nord, come prima di lui era stato suo padre, Musum il Grande.
Djed non assomiglia al
padre: ha gli occhi azzurri e la capigliatura di un rosso scuro, come nessun
altro uomo delle tribù del Nord. Dicono che abbia preso dalla madre, ma
qualcuno sussurra che assomiglia molto al guerriero che sfidò e uccise suo
padre. Sul collo, sotto il pomo d’Adamo, ha un segno a forma di stella, di
color rosso. Un segno identico si trova dietro i testicoli. Come Musum, Djed ha sempre
amato cacciare da solo e spingersi verso le regioni inesplorate del Grande
Nord, oltre le terre delle tribù, senza temere i pericoli che vi si celano:
prima di diventare re, vi trascorreva ogni anno un lungo periodo. Da quando regna sulla
tribù, Djed non si allontana più molto dal villaggio, perché il suo ruolo di
sovrano gli impone di non assentarsi per lunghi periodi. Solo in autunno,
quando i guerrieri della tribù si spostano verso i terreni di caccia più a Nord,
Djed si muove da solo, trascorrendo alcune notti senza tornare
all’accampamento autunnale. L’autunno è giunto. Le
foreste stanno cambiando colore e l’aria diventa di giorno in giorno più fresca.
È la stagione che Djed preferisce, quella in cui si sente più libero. I
maschi adulti si sono trasferiti negli accampamenti autunnali: solo alcuni
sono rimasti nei villaggi. In autunno non vi sono mai scontri tra le tribù:
antichi accordi stabiliscono la sospensione delle ostilità durante tutta la
stagione della caccia e non sono neppure possibili duelli tra guerrieri. Ogni
contesa viene rinviata all’inverno. Djed è all’accampamento
quando compare una grave minaccia. Un pomeriggio sul tardi Verhrab, un guerriero della tribù, arriva di corsa.
Ansima tanto che per un momento non riesce neppure a parlare. Gli altri gli
si fanno intorno. Infine Verhrab
riesce a dire: - I trog, ci sono i trog.
Li ho visti al Passo dei Corvi. I trog sono creature
spietate, dotate di grande forza. Essi amano uccidere e distruggere. Hanno un
aspetto simile a quello degli umani, ma sono più alti e molto massicci. Il
loro viso è largo e i canini sono lunghe zanne che escono dalla bocca; con
essi dilaniano i corpi delle loro vittime, di cui si cibano. Vivono in
regioni non popolate dagli umani, ma talvolta si spingono nelle terre dei
figli di Lilith, seminando morte e distruzione. La notizia provoca una
grande agitazione. Per i figli di Lilith del Nord i trog sono gli esseri più odiati,
i nemici più pericolosi. - Maledetti! - Di nuovo! Bisogna
fermarli! - Merda! Il Passo dei Corvi non è
lontano: i trog si muovono più lentamente degli umani, ma già in serata
possono raggiungere l’accampamento. È una minaccia mortale.
Djed interroga il guerriero: - Quanti sono? - Non lo so. Li ho visti
in alto sul colle e sono corso qui per dare l’allarme. Djed si rivolge a un altro
guerriero: - Risovko,
tu e Vjestko salite sulla Grande Sella. Cercate di
capire quanti sono e che strada prendono. Risovko passa a chiamare il compagno e i due si
allontanano di corsa: dalla sommità della collina chiamata la Grande Sella si
vede il tratto terminale del sentiero che scende dal Passo dei Corvi. Djed si rivolge a un altro
dei suoi uomini. - Pozdani,
raggiungi l’accampamento della Lontra. Avvertili dell’arrivo dei trog e
chiedi loro se possono venire a darci man forte. Quando vengono avvistati i
trog, le tribù del Nord si riuniscono per affrontarli, ma questa volta
l’allarme è partito tardi: i trog sono probabilmente giunti in un piccolo
gruppo, che è riuscito ad avvicinarsi ai terreni di caccia dei figli di
Lilith senza farsi scoprire. Non c’è tempo per chiamare a raccolta tutte le
tribù. Gli unici a cui gli uomini del Leone di Montagna possono rivolgersi sono
i guerrieri della Lontra, perché i loro territori di caccia sono vicini. - E noi prepariamoci ad
affrontarli. Lovacki, suona il corno per richiamare
gli uomini. Diversi guerrieri sono
ancora a caccia, ma il richiamo del corno, suonato due volte e poi, dopo un
intervallo più lungo, altre due volte, li fa accorrere all’accampamento: è il
segnale d’allarme, che ingiunge a tutti di rientrare subito. Più tardi, quando il sole
ormai sta tramontando, tornano Risovko e Vjestko e riferiscono a Djed e agli uomini radunati
quanto hanno visto: - Sono un’ottantina. Hanno
preso il sentiero lungo il fiume. Saranno qui tra un’ora o poco più. - Va bene. I trog sono quasi il
doppio degli uomini presenti nell’accampamento: la battaglia sarà dura, anche
se i trog non li prenderanno di sorpresa e tutto è stato approntato per la
difesa. Poco dopo il tramonto
giunge Vidram, il re della tribù della Lontra, con
una quarantina di uomini. È un uomo noto per il suo valore, molto apprezzato
in tutte le tribù: è considerato l’unico guerriero in grado di competere con
Djed. Ha una cinquantina d’anni, i capelli, la barba e i baffi presentano
diversi fili grigi, ma la sua forza è quella di un giovane. Sulla guancia
destra c’è un segno, una linea rossa orizzontale, sfrangiata. - Djed del Leone di
Montagna, il tuo messaggero ci ha portato la tua richiesta di aiuto. Siamo
qui. - Sapevo di poter contare
su di te e sugli uomini della Lontra. Grazie per essere venuti. Ora la battaglia si
presenta assai meno incerta. Djed spiega il suo piano. È ormai notte quando i
trog raggiungono l’accampamento di caccia della tribù del Leone di Montagna.
Nessuno sembra muoversi tra le tende alzate dagli uomini. Ci sono solo due
sentinelle, le cui sagome si stagliano, immobili, contro la luce declinante
dell’unico fuoco. A un cenno del capo, due trog scagliano le loro lance. Le
sentinelle si abbattono senza un grido. I trog avanzano e
circondano l’accampamento, poi, a un grido del capo, si lanciano tutti verso
il fuoco e di lì si riversano nelle tende. Escono quasi subito: non hanno
trovato nessuno. Un trog si china su una delle due sentinelle uccise e scopre
che è un manichino, che l’impatto della lancia ha fatto cadere a terra. In quel momento arrivano
le frecce e le lance. Gli uomini della Lontra sono i migliori arcieri del
Nord e non mancano il bersaglio. Gli uomini del Leone di Montagna sanno usare
altrettanto bene la lancia. L’accampamento che i trog hanno trovato non è nel
luogo che la tribù aveva scelto, ma in un ampio spazio aperto, che non offre
nessun riparo. Frecce e lance fanno strage dei trog. Quando questi infine si
danno alla fuga, gli uomini delle due tribù li inseguono. Sono più veloci dei
trog, che sono costretti a fermarsi e ad affrontarli. Djed e Vidram guidano gli uomini, che sono ormai in netta
superiorità numerica e galvanizzati dal successo, mentre i trog sono
spaventati e demoralizzati. Djed ne uccide tre, ma la sua spada rimane
bloccata tra le costole di un nemico che ha abbattuto e il re del Leone di
Montagna verrebbe ucciso da un altro trog, se Vidram
non intervenisse, decapitando con la sua arma l’attaccante. Lo scontro non dura molto.
Alla fine a terra giacciono molti corpi, che vengono decapitati, secondo
l’uso comune in tutto il Nord. Le teste dei nemici uccisi
vengono di solito infilzate su pali davanti all’abitazione di chi li ha
abbattuti, ma nessuno desidera avere la testa di un trog vicino a casa:
quando si decompone, il che avviene molto in fretta, emana un fetore ben
maggiore di una testa umana. Un guerriero chiede: - Che facciamo delle
teste? È Vidram
a rispondere: - Possiamo far bollire
dell’acqua e gettarvi otto teste, in modo da staccare la carne dalle ossa del
cranio. Metteremo quattro teste infilzate su pali ai quattro punti cardinali
ai margini dei nostri due accampamenti, come monito per chiunque voglia
attaccarci. Che ne dici, Djed? - Mi sembra una buona
idea. E per le altre teste? Le bruceremo insieme ai corpi? Vidram scuote la testa. - No, direi di portarle al
Passo dei Corvi, da dove sono scesi i trog. Se altri trog progettano di
venire a visitarci, possono farsi un’idea di che cosa li aspetta. - Perfetto. Gli uomini si dispongono a
dormire le poche ore che restano prima dell’alba. La notte è serena e non
occorre mettersi al riparo dalla pioggia. I guerrieri delle due tribù si
gettano a terra. Molti si addormentano subito. Djed invece non ha sonno.
Dopo essere rimasto a lungo steso, si alza. Va a controllare le sentinelle,
che vegliano. Mentre sta parlando con Pozdani, che
è di turno, sente un leggero ansimare. - Che cos’è? Pozdani ridacchia e gli risponde sussurrando: - È uno degli uomini della
Lontra, Vidram lo sta fottendo. Credo che ne abbia
già fottuti due, ma lo sanno tutti: non c’è maschio più maschio di lui.
Dicono che quando combatte gli viene sempre duro e poi passa ore a scopare.
Pare che sia figlio di Vodjanoj il Terribile. - Sì, l’ho sentito anch’io. - Dicono che il Signore del Fiume dei Ghiacci sia il
più virile di tutti i maschi. Probabilmente lo sono anche i suoi figli. Djed pensa a suo padre. Dicevano che anche lui fosse
figlio di Vodjanoj. Una volta Djed gliel’aveva chiesto, ma Musum non era
stato in grado di dargli una risposta certa: sospettava che fosse così, ma
non ne era sicuro. Musum era molto dotato e aveva fama di essere un magnifico
stallone. Djed pensa che se sia Musum, sia Vidram
sono figli del Terribile, allora Vidram è suo zio.
L’idea lo fa sorridere. Pozdani
riprende: - A quanto pare, il Terribile ha un cazzo da cavallo.
E Vidram potrebbe essere davvero suo figlio. Poi abbassa ulteriormente
la voce, che ora è quasi inaudibile, e aggiunge: - È là. Prima sono stato
un po’ a spiarli. Pozdani ride di nuovo e con la mano indica un
punto poco distante. Djed annuisce. È anche lui curioso di vedere e davanti
all’amico non si vergogna della sua curiosità. La luce lunare illumina in
parte i due corpi stesi vicino a un albero. Vidram
sta fottendo uno dei guerrieri, che ansima e geme. Djed guarda il culo,
muscoloso e coperto da una peluria scura, che si muove ritmicamente. Sente la
gola secca e il cazzo gli si tende. È meglio che si allontani. Torna a coricarsi, ma il
sonno non viene. Dopo un po’ si alza e raggiunge il luogo dove Vidram sta ancora scopando. Questa volta però il re della
Lontra è in piedi e un guerriero in ginocchio davanti a lui gli succhia il
cazzo. Sono all’ombra dell’albero e, anche se i figli di Lilith vedono al
buio molto meglio dei figli di Eva, Djed non è in grado di distinguere bene.
Non vuole avvicinarsi. Rimane un momento fermo, ma a un certo punto ha l’impressione
che Vidram stia guardando verso di lui, per cui si
volta e si allontana. Si stende nuovamente, ma il pensiero va al re della
Lontra. Quel guerriero vigoroso lo attrae. Il giorno dopo otto teste
di trog vengono gettate nell’acqua bollente, in modo da poter più facilmente
staccare la carne e lasciare solo le ossa. Verranno messe vicino agli
accampamenti, ai quattro punti cardinali, come proposto da Vidram. Un gruppo di venti
guerrieri delle due tribù, guidati dal re della Lontra, sale al Passo del
Corvo, con tutti gli altri capi mozzati. Piantano nel terreno otto assi di
legno, disposti a delimitare uno spazio quadrato, e infilano i loro trofei
all’interno dell’area posta tra i pali, in modo da formare una torre di
teste, su otto livelli. Djed si occupa invece di
far raccogliere tutti i corpi, che vengono riuniti in una radura e bruciati,
per evitare che ammorbino l’aria: quando si decompongono, diffondono un
fetore intollerabile, che si sente a distanza di miglia. Non c’è neanche da
sperare che qualche essere si cibi di quei corpi: pochi sono gli animali che
mangiano i trog e non è il caso di attirare i truplar,
che divorano ogni tipo di cadavere, ma non disdegnano un uomo vivo. Una grande quantità di
legna viene accumulata in un punto esposto al vento, i corpi vengono
accatastati e poi si appicca il fuoco. Il vento spinge il fumo maleodorante
verso est, lontano dai terreni di caccia delle tribù. Vidram ritorna nel pomeriggio e prende congedo.
Djed è contento che se ne vada: la sua presenza lo turba. Sono passate due settimane
dalla battaglia contro i trog ed è il mattino successivo al secondo
plenilunio d’autunno. Percorrendo un sentiero Djed incontra un blud. Non fa
in tempo a distogliere lo sguardo e quando i suoi occhi incrociano quelli del
blud, perde completamente l’orientamento. Non sa più dove si trova, non è in
grado di riconoscere la strada. Di solito in queste condizioni gli uomini
vagano per alcuni giorni, senza mai allontanarsi molto dal luogo
dell’incontro, finché l’effetto dello sguardo del blud non svanisce. Djed
invece si dirige verso Nord, senza rendersene conto, mantenendo sempre la
direzione, come se sapesse esattamente dove sta andando e non fosse invece in
una condizione di grande confusione. Solo un mattino, quando,
dopo essersi inerpicato su una montagna, arriva su un colle e vede davanti a
sé un’ampia conca, con sette laghi di colori diversi disposti intorno a un
piccolo lago centrale, la sua mente si snebbia e capisce di essere giunto
alla Terra degli Otto Laghi. Ne ha sentito parlare, anche da suo padre: Musum
fu uno dei pochi a raggiungerla e a uscirne vivo. Si racconta che in questa
terra sia possibile procurarsi tesori favolosi, poteri magici, donne
bellissime, ma coloro che hanno osato spingersi fino qui vi hanno più spesso
trovato la morte. Djed esita. Si chiede se
non sia più saggio tornare indietro, ma sa che non è giunto per caso a questa
terra. Ancora incerto, si avvia lungo il sentiero che scende fino ai laghi e
poi vi gira intorno. Si ferma in riva al lago
dalle acque rosse, su una grande roccia che lo costeggia per un tratto.
Qualche cosa lo attrae verso l’acqua, ma allo stesso tempo lo respinge.
Intuisce che è a una svolta della sua esistenza e che immergersi cambierà per
sempre la sua vita o forse la chiuderà. Mentre è immerso nei suoi
pensieri, incapace di prendere una decisione, una voce alle sue spalle lo fa
sobbalzare: - È ora di scegliere,
figlio. Djed si volta e guarda
stupefatto suo padre, Musum. L’ha visto morire per mano di un guerriero
sconosciuto e poi rinascere come leone di montagna. Non l’ha mai incontrato
da allora. - Padre! Djed si lancia tra le
braccia di Musum. Il corpo che ora stringe non è un fantasma: è davvero suo
padre, ne sente il calore, il vigore della stretta, l’odore che conosce bene. - Padre! Padre! Tu sei
vivo. - Sì, vivo un’altra vita,
ma di questo non ti posso parlare, non ora. Musum scuote la testa e
dice: - Djed, devi decidere se
accettare il tuo destino. Sei tu che devi scegliere se assumerlo su di te o
sottrarti. Non posso dirti nulla su ciò che ti attende, se non che accettarlo
comporta molta sofferenza per te: questo è il destino della nostra stirpe. - Mi avevi insegnato che
un uomo deve accettare il proprio destino. - Ti ho detto quello che
ritenevo giusto, ma allora non sapevo quale fosse il tuo destino. Djed fissa il padre, gli
occhi scuri, i folti capelli neri con qualche filo bianco, la barba fitta,
ancora nera: appare più giovane di quando è morto. Passa le dita di una mano
su quel viso che gli è caro. Poi fa un cenno di assenso. - Seguirò il tuo
insegnamento, padre. Anche Musum annuisce e
sorride. Abbraccia il figlio, poi lo lascia e dice: - Allora immergiti in
questo lago, figlio. Prima che Djed abbia avuto
il tempo di parlare, Musum si trasforma in un leone di montagna, di colore nero,
e con pochi balzi si allontana. Djed lo guarda dirigersi
verso il bosco. Rimane a lungo a fissare il punto in cui è scomparso tra gli
alberi, poi si scuote. Lentamente si spoglia e quando è nudo guarda l’acqua
rossastra ai suoi piedi. Dopo un momento si tuffa. Si immerge in profondità,
ma non riesce a scorgere il fondo del lago, perché poca luce filtra dalla
superficie. Rendendosi conto che è ormai ora di risalire per respirare, si dà
una spinta verso l’alto, ma con sgomento si accorge di continuare a scendere.
Il suo destino è quello di morire nelle acque del lago? Ha bisogno d’aria, ma
quando apre la bocca entra solo dell’acqua. Scopre stupito che può respirare
nell’acqua. Continua a scendere e, dopo un tratto in cui non vede nulla,
scorge una luce rossastra che proviene dal basso e diventa più forte man mano
che scende. Djed raggiunge infine il fondo del lago. Qui vede un guerriero
davanti a lui, un uomo nudo, che Djed conosce bene: è Vidram,
il re della Lontra, al cui fianco ha combattuto contro i trog. Djed ne osserva il corpo
possente: spalle larghe, braccia e gambe vigorose, un viso dai lineamenti
duri, occhi scuri. I lunghi capelli, la barba e il pelame molto rigoglioso
che copre il corpo sono ormai grigi, perché Vidram
ha superato i cinquant’anni. Numerose sono le cicatrici: il segno di una
zampata di un orso, con le tracce lasciate dalle unghie ben visibili, sul
petto, a destra; una ferita sulla tempia sinistra, quasi verticale; diversi
segni sul braccio destro e altri in svariati punti del corpo. Djed non si
stupisce, perché Vidram ha fama di essere un grande
guerriero: il suo coraggio è noto e Djed stesso ha avuto modo di vederlo
all’opera più volte, prima del combattimento contro i trog. Per la prima volta invece
ne vede il cazzo, tanto grande da apparire inquietante. Djed avverte il desiderio
accendersi in lui: Vidram non è bello, tutt’altro,
ma c’è in lui una forza che soggioga Djed. E mentre il cazzo gli si
tende, Djed scorge ai suoi piedi una spada. Si china, la raccoglie e
l’impugna: lo fa senza riflettere, agendo d’impulso. Solo quando ce l’ha in
mano, si rende conto che è la spada che ha ricevuto in eredità dal padre,
quella che porta sull’elsa tre segni che nessuno sa interpretare. Anche Vidram
prende l’arma che ha ai suoi piedi. Djed si chiede perché mai ha raccolto la
spada, con un gesto che il re della Lontra ha interpretato come una sfida.
Non ha nessun motivo per attaccare Vidram, che gli
ha salvato la vita nella battaglia contro i trog, ma sente che ormai loro due
devono combattere. Vidram attacca, Djed si difende e poi a sua
volta avanza. Sono due grandi guerrieri, coraggiosi e abili nel maneggiare le
armi. Il duello prosegue a lungo. Djed non vuole farsi uccidere, ma non
vorrebbe neppure uccidere il suo avversario, anche se sa che questa sfida
potrà concludersi solo con la morte di uno di loro due. Vidram
riesce a ferire Djed al braccio sinistro, poco sopra il gomito: una ferita
non profonda, da cui sgorga sangue che intorbida l’acqua. Mentre combattono Djed
sente il desiderio diventare sempre più forte. È assurdo, lo sa bene: è impegnato
in una sfida mortale, ma il corpo che cerca di colpire lo attrae e il cazzo è
rigido come la lama della spada che impugna. Anche Vidram
è eccitato e Djed osserva sgomento il grande cazzo del suo avversario, teso
verso l’alto. Djed non ha mai visto nulla di simile, anche se ha avuto modo
di vedere molti uomini impegnati nei giochi del piacere: nelle tribù del Nord
i rapporti tra maschi sono molto frequenti e nessuno si nasconde. Djed combatte con foga,
spronato dal suo desiderio, sempre più violento: ora vuole uccidere questo
guerriero che sta affrontando, vuole trapassare con la sua arma questo corpo
che lo attrae. E infine riesce a infilare la spada nel ventre di Vidram, che lascia cadere l’arma. La lama esce dalla
schiena del re. Djed viene e il suo seme si sparge nell’acqua. Dalla ferita
di Vidram sgorga il sangue, che tinge l’acqua
rendendola ancora più rossastra, ma anche il re della tribù della Lontra
viene e sul suo viso sembrano confondersi piacere e dolore. Vidram cade in ginocchio e guarda Djed, che
negli occhi dell’avversario legge una richiesta. Alza la spada e taglia di
netto la testa del re. Non sa di aver compiuto lo stesso rito che suo padre
eseguì in un altro lago di quella stessa Terra. Poi l’acqua diventa
torbida, sangue e seme si mescolano tutt’intorno e Djed li inghiotte mentre
respira. Infine tutto svanisce. Djed si sveglia in riva al
lago. Si chiede se è stato un sogno, ma la cicatrice al braccio gli dice che
non è così: la ferita c’è stata, anche se si è rimarginata subito. Subito?
Quanto tempo è passato? Djed non ha modo di saperlo. Quando si è immerso era
forse mezzogiorno, ora il sole si sta abbassando. Ma è lo stesso giorno? Djed
si alza. I suoi abiti sono poco lontano. Si riveste e si dirige verso il
colle da cui è sceso: sente di dover lasciare la Terra degli Otto Laghi. Fermandosi appena per
riposare qualche ora la notte, raggiunge l’accampamento dove i suoi uomini
sono inquieti perché manca da troppi giorni. Djed racconta di aver
incontrato un blud e di essersi spinto molto a nord, ma non fa cenno alla
Terra degli Otto Laghi, né all’incontro con Vidram. Parla con i guerrieri e
chiede loro notizie di ciò che è successo durante la sua assenza. La stagione
della caccia procede bene. A un certo punto uno degli uomini dice di aver
cacciato con due guerrieri della Lontra e Djed chiede, come casualmente: - Hai visto anche Vidram? È ancora da queste parti? - Il re? Io non l’ho
visto, ma Sven lo ha incontrato ieri. Sven interviene: - Sì, l’ho visto nella
Radura dei Segni. Djed annuisce. Non dice
nulla, lascia che i suoi uomini passino a parlare d’altro, dei cervi che
quest’anno sembrano poco numerosi, dei lupi che nella notte si sono spinti
fino all’accampamento, del litigio tra Robor, uno
dei guerrieri più forti, e un cacciatore di pelli della tribù del Cinghiale.
Non gli importa nulla di tutto ciò, si limita ad ascoltare e annuire. E
intanto pensa a ciò che è successo alla Terra degli Otto Laghi. È stato un
sogno. Certamente non solo un sogno: la cicatrice che ha sul braccio è reale.
Forse un sogno premonitore, che annuncia il futuro. Ma solo un sogno. Non ha
ucciso Vidram, questo è quello che conta: aver
ucciso l’uomo che gli ha salvato la vita sarebbe orribile. Il giorno dopo Djed caccia
di nuovo da solo. Non intende allontanarsi molto dall’accampamento, ma
preferisce evitare la compagnia degli altri. Cammina a lungo e gli viene
sete. Conosce una sorgente nelle vicinanze e la raggiunge. È un luogo appartato, una piccola pozza molto
profonda, con alcune rocce su un lato e una cerchia di alberi. Si china e si
disseta. Poi si alza. Il ruscello che sgorga
dalla sorgente forma una seconda pozza d’acqua poco più sotto. Djed decide di
bagnarsi. Si spoglia e si immerge. Nuota un po’, ma lo spazio è troppo
ristretto. Si mette disteso. Il suo corpo galleggia sulla superficie
dell’acqua. È piacevole stare così, ma presto Djed avverte una tensione
crescente. Il cazzo gli si tende. Djed si scuote ed esce dalla pozza. Mentre
sta uscendo, sente un rumore dietro di sé.
Si volta. Dalla sorgente sta
emergendo una figura femminile, dalla pelle azzurrognola. È certamente una
figlia di Anahita, una donna del popolo che vive
nelle acque: Djed ne ha spesso sentito parlare, ma un’unica volta ha avuto
occasione di vedere un maschio nuotare nel Fiume dei Ghiacci. La donna guarda Djed e si
appoggia con la schiena a una roccia. Djed si avvicina. Non è il desiderio a
guidarlo, ma la certezza che questo è quanto deve fare. Per la prima volta
nella sua vita conosce il corpo di una donna. Quando infine il suo seme
si riversa nel corpo della figlia di Anahita, Djed
si stacca e la guarda, in silenzio. Non hanno detto una parola. La donna lo fissa e dice: - Tuo figlio nascerà da
me, Djed, ma tu non lo vedrai. La morte ti attende il giorno stesso in cui
tuo figlio nascerà. Nell’acqua potrai vedere come sarà un giorno, quando sarà
diventato un grande guerriero, come te, come i tuoi due padri. Sarà uomo e
animale, mortale e immortale. Mantieni il segreto su questo, ma raccontalo a
qualcuno di cui ti fidi, perché un giorno servirà agli uomini della tua
stirpe. Con un movimento rapido si
volta e si tuffa nella pozza, scomparendo in profondità. Djed rimane immobile a
guardare l’acqua, la cui superficie lentamente ritorna immobile. Ha avuto un
rapporto con una figlia di Anahita. Tra nove mesi
avrà un figlio. E morirà. Nell’acqua ora appare
un’immagine. È un guerriero, alto e forte, che ha su una spalla il segno di un artiglio di leone di
montagna e indossa un elmo che copre la parte superiore del suo viso. Ha la
barba rossastra e gli occhi azzurri, come Djed stesso. E come il guerriero
che uccise suo padre. La donna ha parlato dei suoi due padri. Un uomo ha un
solo padre, perché allora la donna ha detto “I tuoi due padri”? Il guerriero
che ha ucciso suo padre gli assomiglia moltissimo. È anche lui suo padre? Djed è molto turbato. Anche nei giorni
successivi caccia da solo. In realtà, più che cacciare, vaga per i boschi,
alla ricerca di risposte che sa di non poter trovare. Guarda i boschi che
l’autunno avvolge, le foglie che il vento stacca e fa turbinare nell’aria, la
neve sulle pendici dei monti, gli ultimi fiori che non si arrendono alla
stagione, l’acqua limpida di un torrente, il pallido sole che si riflette in
una pozza d’acqua. Pensa che non ci sarà un altro autunno e che a trent’anni
la sua vita sta per concludersi. Ha avuto il potere, che
non ha mai desiderato e di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Ha conosciuto
l’amicizia, la fraternità tra uomini che non sono uniti da vincoli di sangue,
ma da un legame che hanno liberamente scelto. Se ne andrà con il ricordo
delle serate intorno al fuoco, a sentire suonare e cantare, a raccontare
antiche storie, a ridere e commuoversi. Ha conosciuto il piacere dei corpi
che si sono offerti a lui in rudi amplessi in cui non c’era spazio per la
tenerezza, ma solo per il desiderio. Non si è mai dato a nessuno, non ha
conosciuto l’amore. Morirà senza conoscerlo, ma forse è meglio così. Ha visto
la sofferenza di suo padre, che la celava agli sguardi degli altri, ma che
lui ha sorpreso più volte, chiedendosi se non fosse dovuta a un amore
perduto. Dopo la sua morte vivrà per un po’ di tempo nella memoria di coloro
che lo hanno conosciuto, che canteranno la sua vittoria contro i trog. E poi
anche il suo ricordo scomparirà con gli ultimi uomini che sono stati suoi
compagni: rimarrà soltanto un nome in qualche canzone. Torna all’accampamento a
mani vuote, tra lo stupore dei suoi uomini, che conoscono la sua abilità
nella caccia e non capiscono perché da tre giorni non riporti nessuna preda. La quarta sera gli uomini
cantano intorno al fuoco. Le loro canzoni narrano antiche gesta di eroi, che
affrontarono e sconfissero nemici. Djed canta con i compagni, ma la sua mente
è altrove. Poi uno dei guerrieri più
anziani racconta le imprese di Musum il Grande. Djed ascolta il racconto.
Quando il narratore ha concluso, gli uomini vanno a coricarsi. Il re rimane
seduto accanto al fuoco, lo sguardo perso nel vuoto. Gli si avvicina Pozdani, il guerriero che è il suo migliore amico e con
cui a volte scopa. - Posso chiederti che cosa
ti tormenta, Djed? Djed si riscuote e lo
guarda. Vorrebbe negare, ma ha bisogno di confidarsi. E la figlia di Anahita gli ha detto che deve raccontare di suo figlio.
Se morirà presto, è bene che non perda tempo. - Te lo dirò, Pozdani, qualcuno deve saperlo, ma tu non lo devi
raccontare a nessuno. - Puoi contare sul mio
silenzio. - Giura che non
racconterai mai ciò che ti dirò, a meno che le circostanze non lo richiedano. Pozdani è stupito dalla richiesta: Djed lo
conosce bene e dovrebbe sapere che non occorre un giuramento per fargli
mantenere la parola. - Lo giuro. Djed annuisce. C’è un
lungo momento di silenzio, poi Djed incomincia: - I miei giorni volgono al
termine, Pozdani. Morirò entro nove mesi. - Cosa? Ma… perché dici
questo? - Perché così mi ha
predetto una figlia di Anahita, che ho ingravidato
e che partorirà mio figlio. - L’hai stuprata? Per
questo ti ha lanciato una maledizione? Djed fa un cenno di
diniego. - No, si è offerta lei. E
non era una maledizione. Una profezia, piuttosto. Molto chiara. Morirò il
giorno in cui nascerà mio figlio, tra nove mesi. - Non è possibile. Ci sarà
pure un modo per cambiare la sorte e sventare la minaccia. - Non credo. Pozdani… sono stato nella Terra degli Otto Laghi. Mi sono
bagnato nel Lago Rosso… Ho accettato il mio destino. Pozdani tace, sconvolto. Djed è il suo re e il
suo amico. L’idea che possa presto morire lo angoscia, per quanto gli uomini
del Nord siano abituati ad affrontare la morte. - Un’ultima cosa, amico
mio. Mio figlio avrà pelame rossiccio e occhi azzurri come i miei e il segno
di una zampa di leone di montagna sulla spalla. Altro non posso dirti. Quando
l’ho visto, aveva la parte superiore del viso coperta da un elmo e si
vedevano solo gli occhi. - Quando l’hai visto? Ma…
come è possibile? - Ho visto la sua immagine
nella sorgente in cui si è tuffata la figlia di Anahita. Pozdani annuisce. Poi dice: - Rivolgiamoci a un
indovino. Cerchiamo di capire se è possibile cambiare il destino. - Non lo è. Nella Terra
degli Otto Laghi io l’ho accettato, te l’ho detto. Pozadni china il capo, schiacciato dal dolore. Djed aggiunge: - Ciò che ti ho detto è
importante, perché verrà un giorno in cui sarà necessario che qualcuno lo
riconosca e sappia che è mio figlio. Non so quando. Mantieni il segreto e
trasmettilo a tuo figlio. |
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