2 Nove mesi dopo Plazea
partorisce due bei maschi, che vengono chiamati Praotac e Djed. Sono entrambi
robusti, con la testa già piena di capelli. Quelli di Praotac sono neri, come
i suoi occhi: tutti i figli di Lilith hanno queste caratteristiche. Djed
invece ha la capigliatura rossiccia e gli occhi chiari. Nessuno si stupisce,
poiché Plazea è bionda e i suoi occhi sono azzurri, ma Musum pensa al
guerriero che lo ha posseduto: gli sembra che il piccolo abbia la stessa
sfumatura di rosso nei capelli e anche gli occhi sono di un azzurro tendente
al verde, non del celeste intenso degli occhi di sua moglie. C’è un altro elemento che
turba Musum: Djed ha sul corpo due segni a stella, identici a quelli del
padre, ma di colore rosso. Uno è alla base del collo, sul davanti; l’altro è
dietro lo scroto. Che cosa significa? Musum scaccia il pensiero,
che lo disturba, e si rivolge alla moglie, sorridendo: - Forse un giorno uno di
loro diventerà re. Plazea lo guarda e
annuisce. Poi risponde: - Saranno re entrambi Musum è stupito. - Perché dici questo? - Perché è così. Entrambi
saranno re. Ma non saliranno sullo stesso trono. - Chi di loro regnerà dopo
di me sulla tribù? - Djed. - E su quale tribù regnerà
Praotac? - Non regnerà su una delle
tribù: sarà il sovrano del settimo regno. I Figli di Eva hanno
fondato sei regni nelle terre d’Occidente: tutti gli uomini delle tribù del
Nord ne conoscono l’esistenza. - Il settimo regno? Che
cosa dici, donna? Non esiste. E comunque i figli di Eva non accetterebbero
mai un re che non appartiene alla loro stirpe. - Il settimo regno non
esiste: lo creerai tu. E dopo di te Praotac regnerà sui figli di Eva e sui
figli di Lilith che vivranno in quelle terre. Musum rimane un momento in
silenzio, guardando la sua sposa. Per un momento prova l’impulso di chiedere
ancora: vorrebbe sapere quale sarà il suo destino. Ma si dice che forse è
meglio non saperlo. Conclude: - Sarà quello che deve
essere. Anche dopo la nascita dei
gemelli Plazea rifiuta ogni rapporto. Musum si rende conto che il suo
matrimonio è stato voluto dal destino solo perché nascessero i gemelli.
Intuisce anche che Plazea se ne andrà, quando riterrà di aver svolto il suo
compito. Musum non cerca altre
donne. Succede spesso che altri guerrieri, della sua tribù o di un’altra, gli
si offrano: la credenza secondo cui il seme di un uomo valoroso trasmette
forza a chi lo riceve è diffusa in tutte le terre del Nord e non c’è
guerriero migliore di Musum. Al re non spiacciono questi rapporti, che
soddisfano un bisogno, ma non comportano nessun legame. Il pensiero va spesso al
guerriero che l’ha posseduto la notte prima del duello. Sa che davvero il
seme di quell’uomo gli ha trasmesso nuova forza, ma il ricordo lo tormenta:
malgrado il dolore, ha goduto come non gli era mai successo. Vorrebbe
ritrovarlo, anche solo per una notte. Sente che un legame profondo lo unisce
a quell’uomo che ha visto solo due volte nella sua vita, un legame che è
scritto nel suo destino e che nulla può sciogliere. Adesso però è un re e non
può più condurre la vita di prima. In tutte le tribù i
sovrani non hanno un potere assoluto: comandano gli uomini quando vi è una
guerra e amministrano la giustizia secondo regole non scritte, abbastanza
simili per tutti i figli di Lilith che vivono nelle terre del Nord. Un altro
loro compito è quello di partecipare ad alcune cerimonie religiose. Tutto
questo comporta una minore libertà di movimento: la sua presenza non è
richiesta ogni giorno, ma non può pensare di assentarsi per periodi molto
lunghi. Inoltre l’essere diventato padre l’ha caricato di un’altra
responsabilità: deve vegliare sui suoi figli. La sua partecipazione alle
battute di caccia è sempre limitata a pochi giorni. Ma il mattino del primo
plenilunio di autunno, che avviene pochi giorni dopo la nascita dei gemelli,
Musum è troppo irrequieto per rimanere ancora con gli altri. Si stacca dagli
uomini della sua tribù, dicendo che tornerà la sera del giorno seguente. Poi
si dirige verso Nord. Sa di non poter fare molta
strada, ma vuole cercare l’uomo che è stato ucciso da lui e che poi l’ha
posseduto. Non può certo spingersi fino alla Terra degli Otto Laghi, che
forse non saprebbe neppure ritrovare, ma spera di incontrarlo ugualmente.
Cammina tutto il giorno e poi parte della notte, alla luce della luna. Mentre ormai vaga al buio,
si chiede che senso ha la sua ricerca. Non ha nessuna possibilità di
ritrovare quell’uomo, posto che sia davvero un uomo. Perché lo cerca? La stanchezza lo assale.
Decide di fermarsi. Si stende in un posto riparato tra le rocce per dormire.
Vuole riposare. Lo sveglia un ruggito.
Apre gli occhi e vede un leone di montagna balzare su di lui. Non fa in tempo
ad afferrare un’arma: il suo corpo è schiacciato dal peso del leone. Musum è
sicuro di morire. Il muso dell’animale è
sulla sua faccia. Le zanne luccicano alla luce della luna. Tra un attimo i
denti lacereranno il collo di Musum, dandogli la morte. Ma il muso del leone si
trasforma. È il viso di un guerriero che ora ride. La luce lunare non è
sufficiente per distinguere i colori, ma Musum è certo che l’uomo ha occhi
azzurri e barba rossiccia. - Grazie per essere venuto
a cercarmi, Musum. Speravo che tu lo facessi. Poi lo bacia e Musum
ricambia il bacio. La lingua dell’uomo si spinge tra i denti del re e Musum
sente che le forze lo abbandonano. Chiude gli occhi. L’uomo si stacca da lui.
Musum si sente voltare e nuovamente tra le cosce avverte la pressione del
membro che preme contro l’apertura. Avanza un poco, si ritrae e quando il
buco infine è ben dilatato, entra. Si ferma quasi subito. Musum geme. - Vuoi che esca, Musum? È doloroso, ma nello
stesso tempo trasmette piacere. - No, rimani dentro. L’uomo gli passa la lingua
dietro un orecchio e gli morde con delicatezza una spalla. Intanto avanza
lentamente, prendendo possesso del culo che gli si offre. Per Musum è una
sensazione fortissima. - Mi piace il tuo culo,
Musum. Mi piaci tu. Musum non dice nulla. Gli
sembra di fluttuare nel vuoto, perso nell’oscurità che lo avvolge. Il sesso dell’uomo ora è
tutto dentro Musum e le sue mani accarezzano, le labbra baciano, i denti
mordono, la lingua lecca. Musum affonda in un mare di sensazioni, in cui è
difficile distinguere il piacere dal dolore. L’uomo incomincia a
spingere e i movimenti provocano una sofferenza che cresce man mano che le
spinte diventano più forti. Ma a questa sofferenza si mescola un godimento,
che diventa anch’esso più forte. È una cavalcata che sembra non finire mai. Musum
assapora le sensazioni che gli trasmette il cazzo dentro di lui, questo cazzo
formidabile che gli dilata le viscere, che lo riempie. Gli piace sentirsi
preda di quest’uomo forte. Infine, dopo un tempo che
a Musum è apparso infinito, l’uomo emette un verso animale, prolungato, e il
re sente nuovamente il seme spandersi nelle sue viscere. Il cazzo dell’uomo perde
consistenza e volume. Ora è piacevole averlo dentro. L’uomo afferra Musum e si
volta con lui: Musum si ritrova disteso su di lui ed è una bella sensazione
poggiare su questo corpo caldo, sentire ancora dentro di sé il cazzo che ha
preso possesso del suo culo. L’uomo gli afferra con la destra l’uccello e
muove la mano lentamente. Musum sente il piacere dilatarsi e infine
esplodere. Musum non si è mai sentito
così bene come ora, mentre il guerriero gli accarezza la testa, con molta
delicatezza. Poi la mano dai capelli scende al petto, ritorna a stuzzicare il
cazzo. Si amano per tutta la
notte: Musum si stupisce del proprio vigore, che di certo gli ha trasmesso il
seme dell’uomo. Quando infine spunta
l’alba, Musum è ancora tra le braccia dello sconosciuto. Quante volte è stato
posseduto? Quante volte è venuto? Non saprebbe dirlo. Il piacere sconfinato è
stato più forte del violento male al culo. Solo ora sono entrambi
sazi. Alla prima luce del sole
Musum osserva l’uomo a cui si è dato. È un forte guerriero, con lunghi
capelli rossi e il viso incorniciato da una fitta barba dello stesso colore. L’uomo guarda Musum e
dice: - È ora che tu torni
all’accampamento. E che io vada per la mia strada. Musum non vorrebbe
separarsi da lui. Si sente legato a questo guerriero da qualche cosa che va
ben oltre i giochi del piacere. - Non te ne andare! Ma l’uomo si alza. - Non posso rimanere,
Musum. E anche tu devi tornare dalla tua gente. Musum non vuole perderlo. - Chi sei? - Il mio nome è Lavrh. - Non sei un umano, vero? - Non appartengo a nessuna
delle nove stirpi, ma sono anche un uomo. Come te, sono figlio di Vodjanoj. - Un uomo, un leone di
montagna… o me lo sono immaginato? - No, è l’altra mia forma. - Non sei mortale? - No, anche se posso
essere ucciso. - Sì, io ti ho ucciso. Lavrh ride. - Sì, è vero. Sei un
guerriero molto forte. Sapevo che mi avresti battuto. - Sei uno di Coloro Che
Ritornano? Musum ha sentito parlare
di questi esseri che ritornano in vita dopo essere morti. - Non proprio, ma anch’io
posso ritornare in vita. Musum ha chiesto per
curiosità, ma altro è quello che davvero gli preme. - Ci rivedremo, Lavrh? - Se lo vorrai, sì. Il
destino ci ha uniti. Torna al prossimo plenilunio. E con queste parole Lavrh si trasforma. Il viso diventa il muso di un leone,
le gambe e la braccia si tramutano in zampe. Con un balzo Lavrh
si allontana e scompare tra gli alberi. Musum raccoglie le sue
poche cose e si avvia verso l’accampamento di caccia degli uomini della sua
tribù. Camminare è doloroso, ma dentro di sé sente una nuova forza. Musum vorrebbe avere Lavrh al suo fianco, ma lo vede soltanto nelle tre notti
dei pleniluni d’autunno. Nelle poche ore trascorse con l’uomo-leone si sente
pienamente appagato. A legarlo a Lavrh non è solo
il desiderio fisico, il piacere intensissimo che prova: sa di amarlo. Dover
vivere separato da lui è una sofferenza continua. Il vecchio che gli era
apparso nella radura aveva parlato di dolore e di scegliere il proprio
destino. Musum non sa se davvero l’ha scelto, ma di certo lo ha accettato. L’inverno arriva. La neve
cade abbondante, coprendo i monti. Musum pensa spesso a Lavrh.
Qualche volta gli capita di vedere in lontananza il guerriero con l’elmo in
testa, la barba rossiccia e gli occhi azzurri, ma questi rimane sempre a
distanza. Altre volte è invece lo splendido leone di montagna ad apparire,
l’animale sacro a tutti gli uomini della tribù. Mentre il guerriero si mostra
solo a Musum, il leone viene avvistato spesso anche dagli altri guerrieri. Ma
nessuno, nemmeno Musum, riesce ad avvicinarglisi. Solo nei pleniluni
d’autunno Musum ritrova il guerriero che ama e il leone. Lavrh
non parla mai del futuro che attende Musum e non racconta molto di sé. Le tre
notti che ogni anno passano insieme sono gli unici momenti in cui Musum è
realmente felice. Il pensiero di quelle notti lo aiuta ad affrontare le
lunghe separazioni. Musum svolge con cura i
suoi compiti di re, dimostrandosi saggio e giusto e mantenendo la pace con le
altre tribù. Per gli uomini e le donne del Leone di Montagna è un periodo
tranquillo e tutti hanno grande stima del loro re. I gemelli crescono. Fin da
piccoli si rivelano molto più forti e coraggiosi dei loro coetanei. Nessuno
si stupisce: Musum è il più valoroso dei guerrieri e i suoi figli hanno preso da lui. Condividono la vita
brutale dei giovani maschi della tribù, ma dalla madre ricevono un’educazione
che nessun altro giovane ha. Quando i gemelli compiono
dieci anni, incominciano a partecipare alle battute di caccia, accompagnando
Musum. Il re vede con orgoglio che i suoi figli imparano in fretta e sono
elogiati da tutti. Praotac gli assomiglia molto nei tratti del viso, mentre Djed
assomiglia di più a Lavrh. Praotac e Djed compiono
infine quindici anni, l’età in cui i giovani della tribù sono considerati
guerrieri. Una cerimonia segna il passaggio all’età adulta: nel cerchio sacro
il sacerdote incide la loro pelle in tre punti. Poi con un dito raccoglie il
sangue e traccia alcuni segni sul volto dei due giovani. Infine un altro
sacerdote traccia sul petto il tatuaggio tipico della loro tribù, una testa
di leone. I gemelli non mostrano
nessun segno di dolore, come è richiesto a chi si appresta a diventare un
guerriero. Per tre anni non avranno
ancora tutti gli obblighi e i diritti degli adulti: possono partecipare
all’assemblea, ma non prendere la parola. Dopo la cerimonia, Plazea
dice a Musum: - È tempo che io vada. Musum non è stupito: ha
sempre pensato che Plazea se ne sarebbe andata. È stata sua moglie per una
sola notte e poi è stata la madre dei suoi figli, ma non appartiene alla
tribù. Non avrebbe senso cercare di trattenerla. Plazea aggiunge: - Non sono una mortale e
non è a te che mi lega il destino, anche se dovevo generare i tuoi figli.
Verrò a trovarli, ma solo loro mi vedranno. Musum annuisce. Sa di non
poter mettere in discussione le scelte di Plazea. Pochi giorni dopo è il
terzo plenilunio d’autunno. Musum incontra di nuovo Lavrh.
Al termine di una notte d’amore, questi gli dice: - Ora dobbiamo separarci,
Musum. Musum ha l’impressione di
aver ricevuto un colpo. Sa che Lavrh non si
riferisce alla solita separazione che avviene alla fine dell’autunno. Si sente
sprofondare nel dolore. Dovrà rinunciare anche alle tre notti che trascorre
con lui? Neppure tre notti l’anno potranno vedersi? C’è ancora altra
sofferenza? - Che cosa intendi dire? - Tu lascerai i monti del
Nord, perché hai un compito da svolgere e non ci ritroveremo fino al momento
della tua morte. Musum si sente sprofondare
in un’angoscia senza fine. Non gli importa di morire, ma l’idea di non
rivedere più Lavrh è intollerabile - Ma perché? Quale compito
devo svolgere? - Lo scoprirai presto,
Musum. Musum china il capo: - Preferirei morire ora. Lavrh scuote la testa. - Non posso dirti di più,
ma il tuo dolore avrà fine. Quando Musum torna
all’accampamento, i guerrieri notano che il loro re è cupo. Non dicono nulla,
rispettando la sua sofferenza. Non sanno che cosa sia successo, ma intuiscono
di non dover chiedere. Le novità arrivano al
termine dell’inverno e provengono dal Sud, dalle terre fertili in cui da
tempo si sono stabiliti numerosi i figli di Eva, nella bassa valle del Fiume
dei Ghiacci. Prima alcuni mercanti hanno creato degli insediamenti da cui
partivano per i loro spostamenti. Poi sono giunti gli artigiani, i cui
prodotti erano richiesti dalla tribù del Nord. Infine contadini e pastori
hanno occupato la regione, allontanandosi dai regni in cui vivevano. Sono
state fondate alcune città, in ognuna delle quali gli abitanti scelgono i
loro governanti. Ora però Neposte, signore
di un territorio nel regno di Spadkral, ha deciso
di estendere il suo dominio su queste terre, fondandovi un nuovo regno.
Coloro che si sono stabiliti nella bassa valle del Fiume dei Ghiacci non
intendono sottomettersi a questo signore, tanto spietato quanto avido: sanno
che coloro che vivono nelle sue terre vengono duramente sfruttati e costretti
a versare pesanti tributi. Non vogliono vivere in balia di un uomo tirannico
e feroce. Per quanto siano
determinati a resistere, gli abitanti della regione non sono in grado di
respingere le truppe di Neposte: il signore ha arruolato molti guerrieri
liberi, a cui ha promesso parte delle terre che verranno conquistate. Un giorno inviano
un’ambasceria nelle terre del Nord e i re di tutte le tribù vengono convocati
per un’assemblea. Musum è tra gli ultimi ad
arrivare: la sua tribù è quella che vive più a Nord. Non conosce il motivo della
chiamata, ma sospetta che abbia a che fare con il compito di cui gli ha
parlato Lavrh. I dodici re siedono a
semicerchio. Alle loro spalle, in piedi, ci sono gli araldi. A parlare per primo è il
re della tribù del Lupo, una di quelle che vivono più vicino alle terre
popolate dai figli di Eva. - Abbiamo ricevuto una
richiesta di aiuto, rivolta a tutte le tribù del Nord. Per questo vi ho
chiesto di venire qui oggi. Un emissario dei figli di Eva vi spiegherà perché
si sono rivolti a noi. Si fa avanti un uomo sui
quarant’anni, con una cicatrice su una guancia. - Mi inchino davanti a
voi, re delle tribù del Nord. Lunga vita a voi e alle vostre tribù. Con voi
siamo sempre vissuti in pace e vorremmo che continuasse così. Ma ora una
minaccia incombe su tutti noi, che viviamo nella valle del Fiume dei Ghiacci:
figli di Eva e figli di Lilith, allo stesso modo. C’è un mormorio di stupore
tra i re. Chi osa minacciare le tribù del Nord, impavidi guerrieri, la cui fama
è grande? - Neposte, uno dei signori
di Spadkral, ha deciso di crearsi un proprio regno,
conquistando le terre in cui noi figli di Eva viviamo. Ma la sua ambizione
non si limiterà certo a noi: quando avrà consolidato il suo dominio si
spingerà più a nord, per conquistare anche queste terre. Non ci spaventa
l’idea di avere un re, ma Neposte è feroce e avido e non vogliamo essere in
suo potere. Quando l’uomo ha concluso,
si accende una discussione. - Perché mai dovremmo
intervenire? Se vuole conquistare la bassa valle, che lo faccia. Se proverà
ad attaccarci, sarà la sua fine. - Non è saggio lasciar
crescere il piccolo del serpente. Meglio schiacciarlo quando ancora non è
cresciuto. - Che c’entriamo noi con i
figli di Eva? La discussione procede.
Anche Musum esprime il suo parere: - Se questo Neposte è
davvero ambizioso e avido come viene descritto, non si fermerà certo alla
bassa valle. E allora, che senso ha aspettare che fondi un regno potente, che
arruoli i suoi nuovi sudditi, che chiami altri guerrieri liberi e magari
qualche signore di territori vicini, attratto dalla possibilità di
arricchirsi con il saccheggio? È saggio affrontare il male prima che si
aggravi. Le parole di Musum sono
convincenti. Al momento di decidere, nove re si pronunciano a favore
dell’intervento. Allora un altro si dichiara d’accordo, vedendo che la
maggioranza ha scelto la guerra. I due rimasti informeranno i guerrieri delle
loro tribù, che decideranno. Tutti comunque devono convocare un’assemblea,
perché tra i figli di Lilith che vivono nel Nord il re di solito non ha un
potere assoluto e quando si tratta di combattere le sue decisioni devono
essere confermate dai guerrieri. Ogni re ritorna al proprio
villaggio e parla con gli uomini della tribù. Alla fine, undici tribù
decidono di entrare in guerra e solo una non parteciperà. I re scelgono Musum
come condottiero. Non potrà decidere da solo, ma li guiderà in battaglia. Radunare i guerrieri non
richiede molto tempo: presto gli uomini del Nord marciano verso le terre dei
figli di Eva. Neposte sta assediando
Nocigranica, la città più settentrionale tra quelle fondate dai figli di Eva.
Dopo aver conquistato alcuni centri minori e devastato le campagne, ha deciso
di attaccare questa città, che è ricca e fiorente, ma non è la più grande
della regione. La scelta è dettata da motivi strategici: conta di espugnare
presto Nocigranica, di raderla al suolo e di far giustiziare tutti i suoi
abitanti che hanno osato resistergli. La punizione spaventerà di certo la
popolazione delle altre città, che si arrenderanno per non subire la stessa
sorte. Probabilmente anche il centro più grande, Sjevredava,
che sorge più a sud, si arrenderà al suo arrivo. Neposte ha deciso di fare di
Sjevredava la capitale del suo regno, per cui preferirebbe che la città gli
aprisse le porte senza un assedio in cui subirebbe gravi danni. L’assedio di Nocigranica
dura da dodici giorni, quando una notte i guerrieri del Nord raggiungono
l’accampamento degli assedianti. Neposte non si aspetta certo un attacco in
forze: le altre città non possono inviare truppe, rischiando di trovarsi
sguarnite quando dovranno affrontare l’invasore, e a Nocigranica non ci sono
abbastanza uomini perché abbia senso tentare una sortita. Le sentinelle
sorvegliano il campo per assicurarsi che non venga qualche spia, ma nessuno
pensa di potersi trovare di fronte un esercito. I guerrieri del Nord sono
ben conosciuti dai figli di Eva: in altre terre i figli di Lilith sono
pacifici contadini e pastori, ma quelli che vivono nell’alta valle del Fiume
dei Ghiacci sono molto più bellicosi. Fino a ora non avevano avuto modo di
unire le loro forze, perché non si erano mai trovati di fronte un nemico
comune. I figli di Lilith di notte
vedono molto meglio dei figli di Eva. Piombano sull’accampamento mentre i soldati
dormono e incominciano a fare strage. Il grido di guerra dei guerrieri del
Nord e le urla dei soldati colpiti destano tutti coloro che dormivano. La
battaglia è breve e volge subito al peggio per gli uomini di Neposte. Questi
capisce che ogni resistenza è vana e fugge con una parte dei suoi uomini. Quando giunge l’alba,
l’accampamento abbandonato è una distesa di cadaveri, molti dei quali senza
testa: sono stati decapitati dai guerrieri che li hanno abbattuti e i loro
crani saranno infilzati su pali davanti all’abitazione di chi li ha uccisi. Anche Praotac e Djed hanno
combattuto, uccidendo diversi nemici. Musum è orgoglioso di loro. Alcuni uomini del Nord
vorrebbero ritornare alle loro terre con il bottino razziato, ma Musum si
oppone. - Tornare indietro adesso
non ha senso. Il nostro avversario è stato costretto a ritirarsi, ma se non
lo incalziamo, certamente tornerà, deciso a vendicarsi. Dobbiamo approfittare
del nostro vantaggio e non dargli il tempo di riorganizzarsi. Dopo una breve
discussione, i re accettano la proposta di Musum e l’esercito si rimette in
marcia. A esso si uniscono diversi uomini di Nocigranica. Neposte si ritira verso
sud, ma il pomeriggio del terzo giorno, non lontano da Sjevredava,
i guerrieri del Nord raggiungono le sue truppe. La battaglia si accende la sera. Musum fa strage degli
uomini di Neposte e i due gemelli si dimostrano nuovamente guerrieri
valorosi. Il mattino dopo, quando un
nutrito gruppo di uomini di Sjevredava raggiunge il campo
di battaglia per aiutare gli uomini del Nord, trova una distesa di cadaveri
decapitati. Il combattimento si è concluso, l’esercito invasore è stato
sbaragliato, i superstiti sono nelle mani dei vincitori e dovranno pagare un
riscatto per ottenere la loro liberazione. Per Neposte non c’è riscatto: il
comandante è stato
affrontato e abbattuto da Musum, con la spada che gli ha dato Vodjanoj. La
sua testa verrà infilzata su un palo e posta davanti alla città di Sjevredava:
è il dono del re della tribù del Leone di Montagna ai figli di Eva che vivono
nella regione. I guerrieri del Nord si
accampano vicino alla città e tre giorni dopo i re tengono un’assemblea, a
cui partecipano i rappresentanti delle diverse città e dei territori che
Neposte voleva conquistare. I re delle tribù intendono
tornare alle loro terre. Hanno ricevuto molti doni per il loro aiuto e sono
soddisfatti di aver sventato la minaccia che incombeva su tutti loro. Mudar, il governatore di
Sjevredava si alza e si rivolge ai rappresentanti delle diverse città: - Neposte è stato
sconfitto e abbiamo recuperato la nostra indipendenza, ma queste terre
fertili e le nostre ricchezze fanno gola a molti. Altri verranno, i re dei
sei regni o qualche signore ambizioso. Non credo che potremo conservare a
lungo la nostra libertà, se non ci organizziamo. Le preoccupazioni di Mudar
sono quelle di molti dei partecipanti. - Che cosa proponi? Mudar rimane un momento in
silenzio, poi dice: - Fondiamo un regno. Solo
così saremo abbastanza forti da resistere a ogni minaccia esterna.
Stringeremo un’alleanza con le tribù del Nord, impegnandoci a non attaccarci
mai. Alcuni esprimono la loro
perplessità. Si accende una discussione, al termine della quale la proposta
di Mudar sembra raccogliere un largo consenso. Uno dei rappresentanti chiede: - Tu parli di regno,
Mudar. Questo significa che ci sarà un re. Intendi diventare re? Mudar accoglie la domanda
con una risata. - No di certo. Nessuno di
noi accetterebbe un re proveniente da un’altra città. Il re non può essere
uno di noi. - Quello che dici è saggio.
E allora? Mudar si volta verso Musum
e lo guarda, poi si rivolge al suo interlocutore: - Un grande re ha sventato
la minaccia di Neposte e ci ha dato la sua testa, dopo averlo abbattuto. È il
più valoroso dei guerrieri. Ha sposato una donna che non è una figlia di
Lilith e gli ha dato due gemelli, forti e valorosi. Se questo re accettasse
di regnare su tutti noi, la sicurezza del regno sarebbe garantita. Musum non si stupisce
delle parole del governatore: Plazea gli aveva predetto che avrebbe fondato
il settimo regno. Non lo desidera e spera ancora che i rappresentanti delle
città rifiutino la proposta, ma sa che non sarà così. Si alza e dice: - Ringrazio il governatore
di Sjevredava per l’onore che mi fa con questa proposta. Se però voi volete
discutere della sua idea, io non posso essere presente. Perciò permettetemi
di ritirarmi. Mi direte ciò che avete deciso. Gli uomini approvano le
parole di Musum, che si allontana. Anche gli altri re lasciano la riunione:
ciò che si discute non li riguarda più direttamente. Musum si dirige alla sua
tenda. Non vuole parlare con gli altri. Si siede all’interno, su una stuoia,
e riflette. Se diventerà re – e lo diventerà, lo sa benissimo, lo ha predetto
il vecchio e Plazea lo ha confermato – dovrà stabilirsi tra i figli di Eva. E
non potrà tornare ai suoi monti. Non rivedrà più Lavrh,
come Lavrh stesso gli ha detto. Potrebbe rinunciare,
sottrarsi al proprio destino, ma non è un vile. Gli anni trascorsi con
Plazea gli hanno insegnato modi più urbani, preparandolo a svolgere il ruolo
di re, ma l’idea di lasciare i boschi e i monti lo angoscia. Un guerriero gli dice che
Praotac e Djed chiedono di parlargli. - Falli entrare. I due giovani si inchinano
davanti al padre, che li invita a sedersi a terra davanti a lui. - Perché volete parlarmi? - Nell’accampamento dicono
che i figli di Eva vogliono sceglierti come re, che regneresti su queste
terre. - Così ha proposto il
governatore di Sjevredava. Ne stanno discutendo. È Djed a formulare la
domanda che preme a entrambi: - Se la proposta sarà
approvata, tu accetterai? Musum abbassa lo sguardo.
Sente un forte dolore dentro di sé. Poi guarda i suoi due figli. Pensa che
Djed assomiglia moltissimo a Lavrh. - Figli, questo è quanto
mi chiede il destino. Non vorrei diventare re di questo regno che nascerà, ma
so che lo devo fare. Non voglio sottrarmi al mio destino, anche se questo
comporta sofferenza. Praotac chiede: - Non sei contento di
regnare su una terra così ricca? Djed guarda il fratello,
stupito, mentre Musum ha un cenno di diniego. - Non è questo ciò che
desideravo. Ma questo è ciò che devo fare. Djed china il capo. La
decisione del padre non gli è gradita. Praotac invece sembra entusiasta. - Perché non lo desideri?
Sono città splendide. Ieri, quando siamo entrati a Sjevredava… non avevo mai
visto nulla del genere. Molte case sono vere e proprie regge. In confronto a
queste città, il nostro villaggio è ben misero. Djed scuote la testa.
Evidentemente non concorda con il fratello. Musum pensa che è più simile a
lui. Plazea ha detto che regnerà sulla tribù. Sì, Djed è un uomo dei boschi e
dei monti, come lo è lui, Musum. Ma per il momento vivrà a Sjevredava. Perché
il regno non viene offerto a un uomo che ama la vita delle città, come
Praotac? Si rivolge a Praotac: - Non è il mio mondo, ma
non mi sottrarrò al mio destino, ve l’ho detto. Questo è quanto ancora posso
insegnarvi. Alcuni di noi sono chiamati dal destino a svolgere un compito.
Potete sottrarvi, ma sarebbe vile. Accettare il proprio destino, assumerlo su
di sé, può significare molta sofferenza. Questo dovete saperlo. Poco dopo un messaggero
arriva. Quando viene fatto entrare, l’uomo si inginocchia davanti a Musum, un
gesto che già indica qual è stata la decisione dell’assemblea: se Musum non
fosse stato scelto come re del nuovo regno, il messaggero si sarebbe
inchinato in segno di rispetto, senza inginocchiarsi. - Re Musum, l’assemblea mi
ha inviato per chiederti di tornare ad accettare la tua nomina. Musum annuisce. Hanno
impiegato poco tempo a decidere e questo è un segno positivo: significa che
non ci sono state molte obiezioni. Se deve regnare, è meglio che lo faccia
con il più largo consenso possibile. Forti contrasti all’interno
indebolirebbero la sua autorità e il regno stesso. In assemblea i
rappresentanti delle città espongono a Musum le condizioni a cui gli offrono
la corona reale. Nessuno vuole un sovrano tirannico e ogni città desidera
conservare una certa autonomia, per cui i poteri regali in tempo di pace sono
limitati. Musum non ha difficoltà ad accettare queste condizioni, perché
anche nella maggioranza delle tribù del Nord il re non è un signore assoluto:
guida i guerrieri in battaglia, ma le decisioni importanti vengono discusse
nell’assemblea. Nei regni dei figli di Eva il re ha spesso un maggiore potere,
ma Musum non lo desidera. Dopo alcuni chiarimenti,
Musum e i rappresentanti delle città si impegnano a rispettare gli impegni
presi. Dopo di che Musum viene acclamato re del nuovo regno, che prende il
nome di Sjevekral. L’incoronazione avverrà a Sjevredava tra
un mese. Solo due città dell’Est
non hanno accettato Musum come re. Esse rimarranno indipendenti. I re delle tribù
ripartono, dopo aver stretto un patto con il nuovo regno. Dopo alcuni giorni Musum
ritorna alla tribù del Leone di Montagna e convoca un’assemblea. Poiché ormai
è il sovrano di un regno lontano, non potrà certo tornare spesso al
villaggio. Propone perciò di lasciare la carica di re, ma, come ha previsto,
la sua proposta viene respinta: in quasi tutte le tribù del Nord il re rimane
tale fino alla morte. Se deve assentarsi per un lungo periodo, provvede a
nominare qualcuno che faccia le sue veci. Musum perciò sceglie come reggente
un guerriero che unisce coraggio e saggezza. Se i suoi figli avessero
qualche anno in più, Musum avrebbe chiesto a Djed se voleva diventare
reggente: il giovane non è fatto per vivere a Sjevredava. Ma
i gemelli sono ancora troppo giovani e non hanno l’esperienza necessaria per
governare. Musum vuole guidarli ancora per qualche anno, in modo che possano
diventare autonomi. Dopo aver fatto tutto
quanto era in suo potere, Musum riprende la strada del Sud con i due figli.
Come ha previsto, man mano che si allontanano dal villaggio Praotac diventa
sempre più euforico e Djed sempre più cupo. A Nocigranica Musum è
accolto con grandi festeggiamenti: il re è colui che ha salvato la città
dalle truppe di Neposte, sottraendola al saccheggio e alla distruzione. Dopo
due giorni il re si dirige verso Sud, fermandosi nei principali centri del
regno. Con un ampio giro raggiunge i confini meridionali, poi risale fino
alla città che ha scelto come capitale. Il palazzo del governatore diventa la
reggia del nuovo sovrano. Musum sa che la sua
esperienza di re della tribù del Leone di Montagna non sarà sufficiente a
governare un vasto regno: non conosce la vita delle città e l’organizzazione
complessa che richiede un regno di grandi dimensioni. Sa di avere molto da
imparare, ma intende farlo. È stato scelto come re e cercherà di svolgere il
suo compito nel modo migliore. Il regno è appena nato e
molto è ancora da definire. Musum intrattiene un dialogo costante con i
rappresentanti delle città, per trovare un accordo sulle diverse decisioni
che vanno prese. Tutto ciò richiede un impegno continuo. Le giornate passano
veloci, tra le incombenze del suo ruolo e il seguire l’educazione dei figli:
se Praotac sarà il suo successore, deve imparare a governare, facendo tesoro
dell’esperienza del padre. A Musum non dispiace che
le sue giornate siano piene. Dover affrontare i diversi problemi che nascono
gli impedisce di pensare troppo spesso a Lavrh e
attenua la sua sofferenza. Anche rimanere lontano dalla sua terra gli pesa
molto, ma ha accettato il suo destino. Sjevekral viene
organizzato, in parte in base all’ordinamento degli altri regni, in parte
attraverso un continuo confronto con i rappresentanti delle città, ognuna
delle quali conserva una certa autonomia. Gli abitanti sono soddisfatti della
scelta fatta e apprezzano il nuovo re. Un anno dopo
l’insediamento le due città che hanno scelto di non far parte del regno
vengono attaccate da Vojvod, un nobile di Brujekral, il regno montuoso a ovest di Sjevekral. Come Neposte, Vojvod mira a crearsi
un suo dominio personale oltre i confini del regno in cui vive. Di fronte alla minaccia,
le due città chiedono aiuto a Sjevekral e Musum decide di intervenire, anche
se non sarebbe tenuto a farlo. Quando scopre che l’esercito di Sjevekral si
sta avvicinando, Vojvod preferisce togliere
l’assedio e ritirarsi: non si aspettava di vedersi muovere contro le truppe
del nuovo regno e non vuole rischiare di finire come Neposte. Preferisce
avere la testa sul collo piuttosto che su un palo. Le due città scelgono di
unirsi a Sjevekral e giurano fedeltà a Musum. Dieci anni passano.
Sjevekral è un regno forte e ben ordinato, dove la vita scorre tranquilla.
Musum è rispettato da tutti e amato da molti. Ha ormai cinquantacinque anni.
I gemelli ne hanno compiuti venticinque e sono due grandi guerrieri. Praotac gira molto per le
città del regno, a volte con il padre, a volte da solo, e si impratichisce
nell’arte di governare. Djed invece trascorre lunghi periodi nel Nord, nel
villaggio della tribù, ed è molto apprezzato dagli altri guerrieri per il suo
coraggio e la sua lealtà. Musum si accorge che i due
gemelli, per quanto siano legati da un affetto profondo, si stanno
allontanando l’uno dall’altro, ma sa che i loro destini sono comunque
diversi. È affezionato a entrambi, ma sa di avere una netta preferenza per
Djed. In lui, nella sua irrequietezza, rivede se stesso. Spera che trovi la
sua strada e possa essere felice, senza pagare il prezzo altissimo che lui ha
pagato per aver accettato il proprio destino. Quando Praotac compie
venticinque anni, viene organizzato il matrimonio con una principessa di Istokrali, un regno che ha un lungo confine con
Sjevekral. Subito dopo il matrimonio, Musum annuncia la sua decisione di
lasciare il regno. Ne parla prima ai due
figli: - Praotac, tu regnerai su
Sjevekral. Ti lascio il regno. Tra pochi giorni, dopo aver informato le
città, abdicherò e tu sarai incoronato. Ti ricordo che gli impegni che ho
preso con le città valgono anche per tutti i miei discendenti. Li conosci e
ti invito a onorarli, come ho sempre fatto io. Poi Musum si rivolge a
Djed. Sa che al figlio non importa di regnare su Sjevekral, ma lo vede
perplesso. Probabilmente si chiede perché il padre ha lasciato il regno al
fratello, come se lui non fosse suo figlio. - Djed, questo è il
destino, a cui non posso oppormi: il regno va a Praotac. Anche tu sarai re,
ma non di Sjevekral. Regnerai sulla tribù dopo di me: tua madre me lo disse e
sapeva leggere il futuro, come io non so fare. Djed sorride. - Non ti preoccupare per
me. Preferisco essere libero e poter vivere nelle nostre terre. Fratello, se
mai avrai bisogno di me, mi manderai a chiamare: sappi che puoi sempre
contare su di me. Ma il mio posto è nelle terre dove siamo nati. Poi, di colpo, il suo viso
si rabbuia. Conosce gli usi della tribù e sa come avviene la successione al
trono, che non è ereditaria. - Padre, mi dici che
regnerò dopo di te. Io di certo non intendo sfidarti. - Non so che cosa mi
attende, se morirò in battaglia o in altro modo. Se i presagi diranno che la
mia ora è giunta, tu dovrai sfidarmi. Djed scuote la testa: - No, certamente non lo
farò. È la prima volta che Djed
gli si oppone. Musum non dice niente. Spera davvero che il destino non forzi
Djed a ucciderlo. Gli sembra di aver pagato abbastanza , senza che anche i
suoi figli debbano soffrire. Musum annuncia la sua
decisione di abdicare. Compiute tutte le formalità necessarie, si tiene la
grande cerimonia, in cui Musum si toglie la corona di Sjevekral e la pone
sulla testa del figlio. Ormai porterà solo i segni regali della tribù del
Leone di Montagna. Musum e Djed tornano nelle
terre del Nord. Musum sa che non manca più molto alla fine. Per quanto sia
ancora fortissimo, subirà il destino dei re delle tribù del Nord quando
invecchiano: sarà ucciso. Non gli pesa, tutt’altro: desidera la pace che solo
la morte gli può portare. La tribù accoglie con
gioia il suo re, che è stato lontano per tanti anni, e il figlio. Musum spera
di poter incontrare ancora una volta Lavrh,
l’uomo-leone che non ha mai smesso di amare. Gli uomini della tribù dicono
che un grande leone di montagna si aggira vicino al villaggio, soprattutto
nelle notti dei pleniluni d’autunno. Nessuno ha osato cercare di ucciderlo:
il leone di montagna è l’animale sacro per la tribù e solo il re può
cacciarlo. L’estate volge alla fine, l’autunno incomincerà proprio con un plenilunio
e Musum spera di ritrovare Lavrh. È tornato da pochi giorni,
quando una guerra interrompe un lungo periodo di pace. A scatenarla è il
nuovo re della tribù del Cinghiale. La tribù vive più a sud di
quella del Leone di Montagna. È costituita da guerrieri bellicosi, spesso in
contrasto con le popolazioni vicine. C’è stato un periodo di pace, sotto il
re Mudari, che ha regnato per vent’anni, evitando
di sfidare le altre tribù. Un giorno Nemilo, il più valoroso e feroce dei guerrieri della
tribù, sfida il re. Mudari è ancora un uomo
vigoroso, ma si rende conto di avere poche possibilità di vittoria contro
questo avversario tanto forte quanto spietato. Il duello si svolge nel
cerchio sacro, che per la tribù del Cinghiale è delimitato solo da massi. Mudari si difende a lungo, parando gli attacchi del suo
rivale, ma questi lo incalza, senza dargli tregua. Infine Nemilo
lo ferisce al braccio e il re lascia cadere la spada, che non è più in grado
di sostenere. Mudari può ucciderlo, ma non gli
immerge la lama nel cuore, come potrebbe fare. Preferisce infilargliela nel
ventre, inclinata verso il basso, in modo da fargliela uscire dal culo:
un’umiliazione per il re. Nemilo estrae la spada e Mudari cade in ginocchio. Con un movimento rapido, il
vincitore decapita il re sconfitto. Nemilo è il nuovo re. Colloca la testa mozzata
di Mudari davanti alla sua casa e ogni mattina
piscia su di essa, mostrando tutto il suo disprezzo per il suo predecessore. Nemilo è un uomo ambizioso e, come molti
guerrieri, desidera estendere i territori della tribù. Alla fine dell’estate,
pochi giorni dopo essere diventato re, manda suo fratello Uboji
come messaggero agli uomini della Lontra, che vivono poco più a Nord. Uboji parla di fronte all’assemblea dei guerrieri: - Il re Nemilo, il più forte dei guerrieri, vi impone di
sottomettervi entro tre giorni. Se lo farete, potrete vivere in pace nelle
vostre terre, lasciandoci i terreni di caccia del Nord e fornendo ogni anno
un tributo di tre giovani maschi e tre giovani donne per il mio signore.
Altrimenti sarete sterminati e coloro che sopravvivranno saranno ridotti in
catene. Le parole impudenti del
messaggero provocano un mormorio di protesta: alcuni vorrebbero mettere a
morte immediatamente quest’uomo che li ha offesi. Ma Vidram,
il re, li fa tacere. Si rivolge al messaggero e gli dice: - Torna alla tua tribù.
Anche se meriteresti la morte per la tua insolenza, rispettiamo i messaggeri
e ti permettiamo di andartene. - Bada, re… - Taci o non rispondo
della tua vita. Uboji si allontana senza dire più nulla. Vidram si rivolge all’assemblea. - Non abbiamo forze
sufficienti per sconfiggere gli uomini del Cinghiale, che sono più numerosi
di noi. Propongo perciò di chiedere l’aiuto degli uomini della tribù del
Leone di Montagna. Musum il Grande è tanto valente quanto giusto e non credo
che ignorerà il nostro appello. I guerrieri sanno che ciò
che dice il re è giusto, per cui acconsentono. Vidram si reca nel villaggio del Leone di
Montagna e chiede di parlare con Musum. China il capo, in segno di
omaggio e formula la sua richiesta: - Musum del Leone di
Montagna, la tua fama di guerriero è grande. La mia tribù è minacciata da
quella del Cinghiale. Il re Nemilo ci impone di
sottometterci, cedere i nostri territori di caccia e fornire ogni anno sei
giovani per il suo piacere. Noi preferiamo morire piuttosto che diventare
schiavi. Musum sa che l’ascesa al
trono di Nemilo costituisce una minaccia per tutte
le tribù del Nord e ritiene saggio accogliere la richiesta di aiuto di Vidram. I guerrieri della tribù si dichiarano d’accordo e
si preparano alla battaglia. Musum pensa che
probabilmente morirà nel combattimento: una bella morte per un guerriero. E
Djed potrà diventare re senza doverlo uccidere. Ormai è lui il più forte dei
guerrieri, dopo il padre. Musum affronta la morte sereno. Avrebbe voluto
ritrovare Lavrh, ma il destino ha deciso
altrimenti. La battaglia si svolge
vicino al lago di Zalajese, in una conca. È una
battaglia feroce, in cui gli uomini del Cinghiale hanno presto la peggio:
Musum abbatte tutti coloro che cercano di opporsi, facendo strage. Djed non è
da meno e ha la meglio in ogni scontro. Vidram è
anch’egli un grande guerriero e uccide tutti gli avversari. I più forti tra
gli uomini del Cinghiale cadono sotto i loro colpi e gli altri si
scoraggiano. Diventa presto chiaro che la battaglia è stata vinta dagli
uomini del Leone di Montagna e dai loro alleati della Lontra. Uboji è costretto da Vidram ad
arrendersi. Infine Musum e Nemilo si trovano uno di fronte all’altro. Nemilo sa che ormai non c’è modo di rovesciare le sorti
del combattimento. Spera almeno di potersi vendicare, uccidendo colui che ha
guidato i nemici alla vittoria. Nemilo è un
guerriero formidabile, ma l’avversario che ora affronta è di gran lunga più
forte di tutti i nemici che Nemilo ha abbattuto. Il re della tribù del
Cinghiale si trova presto costretto sulla difensiva: riesce a parare i colpi
che Musum vibra contro di lui, ma non a prendere l’iniziativa. E infine il
duello trova la sua naturale conclusione. Con un rapido movimento della spada
Musum devia l’arma di Nemilo e gli trafigge il
petto con la propria arma, dono del Signore del Fiume. Il guerriero cade in
ginocchio e viene decapitato. La sua testa verrà posta di fronte
all’abitazione di Musum. Gli uomini del Cinghiale
si arrendono. Musum e Vidram non infieriscono e
accettano la loro richiesta di pace. Uboji, unico
sopravvissuto tra i fratelli del re, sarà schiavo di Vidram,
che lo ha sconfitto. Musum sperava di trovare
la morte nel combattimento, ma non è stato così. E il valore dimostrato sul
campo ha reso evidente che è più forte di tutti gli altri guerrieri. Nessuno
intende sfidarlo per prendere il suo posto, anche se ormai i suoi capelli
sono grigi. L’unico che potrebbe affrontarlo con qualche probabilità di
successo è Djed, ma il giovane si rifiuta. L’autunno giunge e si apre
con il primo plenilunio. Musum spera di ritrovare Lavrh.
Come faceva prima di diventare re di Sjevekral, si allontana dagli altri
guerrieri e si dirige verso Nord, ma non c’è traccia dell’uomo-leone. Il cielo è limpido e alla
luce lunare Musum guarda intorno a sé. Intravede a volte qualche animale, ma
non il leone. Un dolore violento gli scava dentro. Ha compiuto il suo dovere,
fino in fondo. Il giorno della morte si avvicina. Neppure una notte può
rivedere l’uomo che ama? Poco prima dell’alba,
esausto, Musum si corica per dormire. Spera che Lavrh
appaia ora, ma nessuno lo desta dal suo sonno. Quando si sveglia il sole
è già alto in cielo. Musum ritorna all’accampamento. I guerrieri gli dicono
che hanno visto il leone di montagna aggirarsi nei dintorni. Musum non dice
nulla. Sente un peso che lo schiaccia. Nel secondo plenilunio
d’autunno Musum rimane nei pressi dell’accampamento. Nuovamente alcuni dei
guerrieri riferiscono di aver incontrato il grande leone, ma Musum non ha
modo di vederlo. Nel terzo plenilunio Musum
si allontana dall’accampamento, senza trovare traccia di Lavrh.
L’autunno ha un quarto
plenilunio, due giorni prima del solstizio d’inverno, ma Musum non spera più
d’incontrare colui che ama. Parla con Djed. Vorrebbe
che il figlio lo sfidasse, ma non glielo chiede, perché non vuole che soffra.
Si limita a dirgli: - Il mio tempo si avvia
alla fine. Ho già superato l’età a cui i re della tribù vengono sfidati e
uccisi. - Nessuno è in grado di
batterti, padre. - Tu sì. Djed scuote la testa. - Io non ti sfiderò mai. Musum è ancora il più
forte dei guerrieri, ma è stanco, di una stanchezza profonda, che viene da
dentro, una stanchezza che altri uomini della sua stirpe conosceranno. L’ultimo plenilunio
d’autunno si avvicina quando compaiono i presagi. Sono simili a quelli che
hanno accompagnato l’ascesa al trono di Musum. Il primo è il
combattimento delle aquile: un’aquila con le piume rossicce ne attacca
un’altra con le piume nere e l’uccide, poi l’afferra con gli artigli,
portandola via. Poco dopo riappare e
toglie dal capo di Musum il cerchio d’oro che è il segno del re, lasciandolo
cadere nel cerchio sacro. Musum è contento di sapere
che la sua vita è giunta al termine. Parla ancora con il
figlio. Il destino deve compiersi e i segni comparsi sono inequivocabili. Ma
Djed si rifiuta di sfidarlo. - Non lo farò, padre. Non
posso ucciderti. - Nel tuo destino è
scritto che diventerai re della tribù dopo di me. - Non sfidandoti, padre. Come richiede la
tradizione della tribù, Musum va a sedersi vicino al recinto sacro, tenendo
sulle ginocchia il cerchio regale che non può più mettere sul suo capo.
Attende che qualcuno lo sfidi, ma nessuno dei guerrieri si avvicina. Tutti
sanno che, per quanto abbia ormai cinquantacinque anni, rimane il più forte
ed è impossibile batterlo. Lo scontro con la tribù del Cinghiale ha mostrato
a tutti il suo valore. C’è uno strano silenzio,
irreale. Nessuno parla e tutti guardano, muti, il re che deve essere
abbattuto, senza osare sfidarlo. Ma un guerriero compare.
Non è un uomo della tribù. Ha la parte superiore del viso coperta da un elmo,
che lascia vedere solo i suoi occhi azzurri e copre in parte i lunghi
capelli, rossicci come la barba: nessun figlio di Lilith ha occhi e capelli
di quei colori. Da dove viene questo misterioso guerriero? Musum è seduto, il cerchio
d’oro sulle sue ginocchia. Pensa che se fosse in piedi crollerebbe a terra:
le gambe non lo sosterrebbero. Il guerriero si avvicina
al re. Ora c’è un rimprovero negli occhi di Musum. Non per la sfida, che lo
priverà di una vita che gli è solo di peso. Un rimprovero per averlo
abbandonato. Lavrh prende il cerchio d’oro e lo stringe,
poi lo posa di nuovo in grembo a
Musum. La sfida è stata lanciata. Scende la notte, l’ultima
della vita di Musum. È la notte del quarto plenilunio d’autunno. Musum non
chiude occhio. Vorrebbe alzarsi e raggiungere la capanna dove Lavrh riposa, la capanna riservata allo sfidante, dove
lui a Lavrh si sono amati, in un tempo lontano. Non
può farlo, perché violerebbe le regole. Vorrebbe che Lavrh venisse da lui, come nella notte prima che lui
uccidesse Sarkr. Vorrebbe poterlo stringere un’ultima volta, non per
soddisfare un desiderio della carne, ma perché lo ama. L’alba giunge e Lavrh non è comparso. Ormai Musum può chiedergli una sola
cosa: che gli dia la morte. Non desidera altro. Musum entra nel cerchio
sacro, accompagnato dal rullo dei tamburi. I guerrieri lo guardano. Per molti
anni Musum è stato lontano, ma gli uomini della sua tribù gli sono molto
legati: è stato un grande re e li ha sempre portati alla vittoria, in tutte
le battaglie. A un cenno del sacerdote, Lavrh entra nel cerchio. Musum lo guarda e nei suoi occhi
c’è un dolore sconfinato. Musum guarda il viso dell’uomo che ama e che lo ha
abbandonato. Guarda il corpo vigoroso che lo ha stretto tante volte, guarda
il membro vigoroso che gli ha regalato un piacere come non pensava potesse
esistere. Nessun altro lo ha posseduto dopo Lavrh. Il sacerdote incide la
pelle della spalla dello sfidante e poi quella di Musum. Consegna le due
spade e si ritrae. Il rullo dei tamburi
accelera, mentre i due contendenti si affrontano. Musum combatte con vigore,
anche se non vuole ferire Lavrh e desidera solo la
morte: deve fare la sua parte e la farà fino in fondo, ma è in preda a una
disperazione profonda. Il rullo dei tamburi copre
ogni voce. Il combattimento dura a lungo. I corpi dei due guerrieri si
coprono di una patina di sudore, per quanto l’aria di fine autunno sia
fredda. Goccioline scorrono sulla fronte di Musum, perdendosi tra i peli
delle sopracciglia e della barba. Rivoli scorrono sul petto e luccicano come
diamanti tra il fitto pelame che ricopre il corpo del guerriero. Musum attende solo il
colpo fatale, che infine giunge: Lavrh gli immerge
la spada nel ventre e la spinge a fondo, fino a che esce dalla schiena. Musum
crolla a terra. Pensa con gioia che la sua sofferenza ha fine. Lavrh ritira la spada e la cala sul collo
dell’avversario, decapitandolo. E allora, mentre i tamburi
si fermano e si alza l’urlo dei guerrieri che acclamano il loro nuovo re, il
prodigio si manifesta. Il guerriero vincitore si
trasforma e assume l’aspetto di un leone di montagna. Non uno qualsiasi: è il
leone che nei pleniluni d’autunno si vedeva vicino al villaggio. E il corpo
di Musum si muove e sollevandosi si trasforma: è anche lui un leone di
montagna, dal pelo nero. I due leoni escono dal cerchio con due balzi, tra lo
stupore dei presenti. Poi si allontanano. Rimangono solo a terra i tre segni
regali: il cerchio, il monile che il re porta al collo e quello che porta al
braccio. Gli uomini rimangono
immobili, pietrificati dal prodigio. Poi esclamazioni e domande si intrecciano. Il gran sacerdote si fa
avanti: - Il più grande dei nostri
re ha concluso la sua esistenza mortale. Il guerriero che lo ha ucciso non
sarà re, perché non è un essere mortale. Neppure Musum lo è, ora. Il nuovo re
sarà il guerriero che riuscirà a battere gli altri pretendenti. Gli uomini della tribù si
guardano, ancora attoniti. Djed è confuso, ma sa che
deve accettare il suo destino, come il padre gli ha insegnato. Avanza e
afferra il cerchio d’oro, poi lo posa. Dopo di lui altri tre
guerrieri si fanno avanti. I combattimenti si
svolgono nel cerchio sacro. Non devono necessariamente concludersi con la
morte di uno dei contendenti, anche se
a volte succede che uno degli sfidanti rimanga ucciso. Djed sconfigge i tre
avversari, uno dopo l’altro: il primo viene disarmato; il secondo è costretto
ad arrendersi perché Djed lo incalza e lo manda a terra, puntandogli la spada
alla gola; il terzo viene ferito al braccio destro. La tribù acclama Djed come
nuovo re. Non è frequente che sia il figlio del re precedente a succedere al
padre: il potere non è in nessuna misura ereditario. Ma Djed è un guerriero
valoroso e viene accettato di buon grado come re, poiché ha battuto gli altri
contendenti. Sono due i leoni di
montagna che a volte si vedono vicino al villaggio, sempre in coppia. Uno è
il magnifico leone dal pelo rossiccio che da molti anni i guerrieri
conoscono. L’altro ha il pelo molto scuro, quasi nero. In autunno, nelle
notti di plenilunio, si sentono spesso i ruggiti dei due leoni in calore;
nelle altre stagioni è più raro avvistarli. I sacerdoti dicono che il
leone nero è il re precedente, Musum il Grande, colui che ha fondato il regno
di Sjevekral. A volte qualche guerriero che si è spinto molto a Nord dice di aver visto in lontananza Musum il Grande con il guerriero che lo ha ucciso, entrambi in forma umana. Ma nessuno ha mai potuto parlare con loro. |
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