La congiura

 

10

 

Due giorni dopo il ritorno di Kralj, si tiene un grande banchetto, a cui partecipano le famiglie più importanti del regno. Al termine Osmikr alza la grande coppa di cristallo, piena di vino, e augura pace e prosperità a tutti i presenti: egli berrà per primo, poi il recipiente verrà passato di mano in mano e tutti berranno. Fa per portare la coppa alle labbra, ma vede con orrore che è piena di sangue. La coppa gli scivola dalle mani e cade sul tavolo, infrangendosi. Il liquido si sparge: è davvero sangue.

I commenti si intrecciano:

- Un presagio di morte.

- Per tutti noi, poiché era la coppa in cui tutti dovevamo bere.

- Qualche minaccia grava su di noi.

Osmikr guarda il sangue, assorto nei suoi pensieri. Antiche profezie annunciavano tradimento e morte per la sua stirpe. Forse il destino sta per compiersi.

Lazan, uno dei più importanti signori del regno, dice:

- Sapremo tutti difendere il re.

Osmikr lo guarda:

- Non conosciamo la minaccia che grava su di noi.

L’allegria del banchetto si è spenta ed è inutile cercare di rianimarla. Gli ospiti si allontanano, ribadendo la loro fedeltà al re.

Quando tutti gli invitati se ne sono andati, Osmikr si rivolge a Kralj.

- Bisogna che parliamo con un indovino, che ci spieghi il presagio.

- Andrò nell’antro di Okrutan.

Osmikr rabbrividisce. L’antro di Okrutan incute paura a tutti. Vareni ci è andato e ne è uscito vivo, ma molti non hanno fatto ritorno.

Kralj coglie il timore del padre e dice:

- È l’unico luogo in cui si può scoprire con certezza il proprio futuro.

- Sì, certo, ma è un luogo terribile. Molti di coloro che vi si recano non tornano e si dice che dall’albero posto all’ingresso della caverna penzolino i loro cadaveri. È molto pericoloso, figlio.

Kralj scrolla le spalle.

- È infallibile e noi abbiamo bisogno di un responso certo.

- Sì, è infallibile, ma non è facile leggere i suoi responsi. Tuo zio Vareni ci è andato, ma non ha avuto risposta alle sue domande.

Osmikr cerca di indurre Kralj a desistere, ma il figlio è irremovibile.

 

Il mattino seguente Kralj parte. Ci vogliono tre giorni per raggiungere il confine occidentale del regno ed entrare nella signoria di Vlag. Dopo un altro giorno di viaggio arriva alla collina rocciosa alla cui sommità si trova l’antro. È ormai notte: nessuno può avvicinarsi all’antro di giorno. La luna illumina la collina, sulla cui cima si trova un albero. Dai rami pendono ombre scure: Kralj sa che sono cadaveri.

Kralj non conosce la paura, ma avverte dentro di sé una forte tensione. Non si tratta di affrontare un nemico, ma di mettersi in balia di una forza che nessun uomo può controllare.

Si avvia lungo la salita. Il vento si alza subito, violento. Alla base dell’altura l’aria era immobile, ma ora è un vento di tempesta quello che gli batte contro il viso e rallenta la sua marcia, quasi volesse impedirgli di procedere. È un vento tanto caldo che Kralj incomincia a sudare. Porta un odore di marciume, di morte. Il principe non si ferma. Lottando contro i turbini che cercano di respingerlo, avanza. Ora è quasi in cima e può vedere alla luce lunare i corpi nudi che penzolano, scossi dal vento impetuoso. Alcuni sono in decomposizione e il loro fetore ammorba l’aria. Altri sono intatti. Due hanno un’erezione, un altro non ha i genitali, tagliati di netto. Kralj sa che il suo corpo potrebbe unirsi presto agli altri.

Quando arriva in cima, Kralj si spoglia. Sa che nell’antro si entra nudi, senza nessun indumento, senza ornamenti, se non i tatuaggi incisi sulla pelle: il rito è un sacrificio di cui Kralj è la vittima. Quando si è spogliato completamente, il vento si calma, di colpo.

Vicino al tronco c’è un’apertura. Con passo fermo Kralj si dirige verso il buco nero che sembra volerlo inghiottire. Vi si infila. Ora non può vedere nulla. Allargando le braccia può sentire a destra e a sinistra le pareti: capisce di trovarsi in un corridoio. Procede. Il pavimento su cui cammina è fortemente inclinato, per cui Kralj si trova a scendere all’interno dell’altura, fino a che non sente più nulla sotto il piede che ha messo avanti. Anche le pareti finiscono. Dev’essere sull’orlo di un precipizio. Non può parlare, perché potrà chiedere solo quando un’altra voce risuonerà nell’antro e gli permetterà di chiedere.

Kralj attende: altro non può fare. Se parlasse ora o se si voltasse e cercasse di allontanarsi, con ogni probabilità il suo cadavere nudo penzolerebbe tra gli altri appesi all’albero.

D’improvviso un’immagine appare, chiarissima: Kralj è in piedi e qualcuno lo trafigge alla schiena con una spada. Kralj vede la punta uscirgli dal ventre.

Poi vede il corpo di suo padre steso su un tavolo, una ferita al petto.

E infine una serie di pali infissi nel terreno, di fronte alle mura della capitale. Su quei pali sono conficcate le teste di alcuni degli uomini della guardia reale.

Di colpo le immagini scompaiono. Kralj vorrebbe chiedere, ma sa che non può parlare: dall’antro non è giunta nessuna voce.

Il vento si alza, fortissimo, e spinge indietro Kralj. Questi cerca invano di resistere, ma non è possibile. Non può chiedere, non può sapere altro. Merda!

Cade, si rialza e il vento lo spinge verso l’uscita, catapultandolo fuori. Cade ai piedi dell’albero. Guarda i corpi appesi. Sopra di lui incombe uno dei due impiccati che hanno un’erezione.

Si dice che anche lui sarà presto un cadavere, ucciso a tradimento. E anche suo padre. E alcuni dei migliori guerrieri del regno. Ma qual è la minaccia che grava su di loro? Esiste un modo di sventarla o non c’è nessuna possibilità di scampare?

Kralj non ha paura di morire, ma vorrebbe morire combattendo e non essere colpito alla schiena.

Kralj torna alla reggia. Al padre racconta la verità. Osmikr non teme la morte: è vissuto a lungo e sereno; ha avuto una vita piena. L’idea che Kralj venga ucciso lo angoscia. Ama questo figlio coraggioso e leale.

- Sentiremo gli indovini del regno, per vedere se riusciamo a ottenere qualche cosa di più.

- Molti sono solo ciarlatani, lo sai.

- Sì, ma non abbiamo altra possibilità. Si tratta delle nostre vite, di quelle dei guerrieri.

Osmikr consulta tre diversi indovini, quelli che godono di migliore fama. Due di loro confermano l’esistenza di una grave minaccia che pesa sul re e su suo figlio: prima che sia passato un anno, entrambi rischiano di essere uccisi a tradimento. Il terzo si mantiene nel vago. Nessuno però è in grado di fornire qualche elemento più preciso.

 

Il nobile Lazan si presenta al re. Ha saputo che Osmikr si rivolge ad indovini per conoscere quale minaccia grava sul suo futuro e gli propone di farlo parlare con un veggente che a corte nessun altro conosce, ma che pare essere infallibile.

- È un cieco, ma vede ciò che gli altri uomini non vedono.

È Lazan stesso ad accompagnare dal re l’anziano veggente, che procede appoggiandosi a un bastone.

- Tu sai che cosa voglio da te?

- Sì, sovrano. Vuoi conoscere la minaccia che grava su di te.

- Su di me, su mio figlio, sui guerrieri a me fedeli. Che cosa sai dirmi?

- È una minaccia molto grave, ma la fedeltà dei tuoi uomini può aiutarti a sfuggire al destino. Non conosco il suo nome, ma l’uomo che mi ha portato da te è coraggioso e leale e ti proteggerà.  I suoi figli hanno ereditato le virtù del padre e possono difendere te e tuo figlio.

- Ti ringrazio di questo. Non mi sai dire la natura di questa minaccia?

- No, essa è celata a tutti, le forze che entreranno in gioco non permettono a nessuno di leggere nei loro disegni.

 

Osmikr ricompensa il veggente e lo congeda. Non ha ottenuto molto: ha solo avuto la conferma che può contare su Lazan e sui suoi sette figli.

I mesi passano. La minaccia non si concretizza. L’inverno lascia il posto alla primavera e si arriva infine all’estate. Kralj non ha parlato di raggiungere il Nord. Soffre terribilmente per la lontananza da Vukmedje, ma nasconde il suo dolore. Vuole vegliare sul padre.

Un giorno Osmikr gli chiede:

- Figlio, come mai sei ancora qui? A quest’epoca di solito sei già a Nocigranica a seguire i tornei.

- Una minaccia incombe su di te, padre, e io dovrei allontanarmi? Resterò qui. Il governatore della città premierà i vincitori dei tornei.

Osmikr sorride. Le parole di Kralj gli fanno molto piacere.

- Tutto sembra tranquillo, per il momento.

- E speriamo che così resti. Non mi muoverò quest’anno.

Osmikr non insiste. Sa che al figlio pesa molto rinunciare a raggiungere il Nord, anche se non può supporre quanto: non sa che Kralj, per la prima volta nella sua vita, ama.

 

Ravasti, il governatore di Nocigranica, invia un messaggero al re, con una lettera. La missiva informa il sovrano che alcuni notabili tramano con le tribù del Nord per rovesciare il re e sostituirlo con uno di loro. Ravasti consiglia di inviare in città il principe, che conosce bene le tribù del Nord e può trattare con loro.

Osmikr non dubita che le informazioni fornite dal governatore siano veritiere e il consiglio gli appare sensato. Ne discute con Kralj, che non lascia volentieri il padre, ma si rende conto che è opportuno recarsi a Nord, se di lì viene la minaccia che incombe su di loro. Ha ottimi rapporti con i re di diverse tribù ed è sicuro di poterli convincere a non allearsi con i traditori.

Osmikr si consulta con Lazan, che approva la decisione e dice che tre dei suoi figli, Laman, Lastor e Larben, potranno accompagnare il principe, con alcuni soldati. Ritiene che non sia opportuno mandare tanti uomini, per non dare nell’occhio e riuscire a sorprendere meglio i congiurati: in caso di necessità, ci sono le truppe di stanza a Nocigranica e le guarnigioni dei forti che costellano il confine settentrionale. A Nord ci sono già molti soldati, più che in qualsiasi altra parte del regno.

Il re accetta la proposta. Kralj non dice niente. Non è entusiasta di partire con i figli di Lazan, perché non prova simpatia per loro: sono guerrieri forti, ma troppo diversi da lui. L’idea di tornare a Nord desta in lui la speranza di poter rivedere colui che ama. Si ricorda le parole di Vukmedje, ma si dice che il destino può mutare. 

Gli uomini guidati da Kralj raggiungono Nocigranica in pochi giorni. Ravasti li riceve e parla a lungo con il principe, raccontandogli tutto quello che sa. 

Il governatore dice di essere riuscito a convincere i re delle tribù dell’Orso e del Lupo a incontrare il principe presso il guado sul Fiume Tortuoso, un affluente del Fiume dei Ghiacci. I due sovrani hanno chiesto un colloquio, perché è giunta loro voce che Osmikr progetta di invadere le loro terre, come cercò di fare a suo tempo suo zio, Previs.

Il governatore conclude:

- Probabilmente sono voci messe in giro dai cospiratori, per ottenere l’alleanza delle tribù del Nord. Voi, principe, conoscete bene i re e certamente riuscirete a convincerli che si tratta di insinuazioni prive di fondamento.

Il colloquio viene fissato e due sere dopo Kralj raggiunge il luogo dell’appuntamento con due dei figli di Lazan e sei soldati, che montano le tende.

Kralj è appena arrivato, quando la congiura viene portata a termine. Nel palazzo reale Lazan, quattro dei suoi figli e gli uomini a lui fedeli attaccano il re. A uccidere Osmikr, disarmato, è lo stesso Lazan, che lo trafigge con la spada. Poi i congiurati si impadroniscono del palazzo. Alcuni guerrieri della guardia personale del re cercano di resistere, ma vengono uccisi.

Scoppia una ribellione, in cui uno dei figli di Lazan, Lasne, viene abbattuto dal più valoroso dei guerrieri della guardia reale, Samohrab. La resistenza contro l’usurpatore è però vana, perché gli uomini fedeli al re ucciso sono troppo pochi per poter rovesciare Lazan.

Come convenuto, mentre Osmikr viene ucciso, i due figli di Lazan che hanno accompagnato Kralj fino al guado si occupano di lui. Non osando affrontarlo apertamente, Lamal aspetta che Kralj gli volti la schiena per trafiggerlo con la spada. Kralj sente il dolore atroce e vede la punta dell’arma uscirgli dal ventre.

- Traditore!

Lamal ritira l’arma e in quel momento Kralj si volta e gli trapassa il fegato con la spada, poi crolla a terra. Lamal lancia un grido, barcolla e poi cade, mentre il sangue gli esce dalla bocca. Kralj lo guarda, scuote la testa, poi rimane immobile. Larben ha sguainato la spada per colpire Kralj, ma il principe è ormai morto.

Larben lo guarda e sputa su di lui.

- Maledetto!

Chiama i soldati e dà ordine di prendere il cadavere di Lamal. Poi guarda ancora il cadavere di Kralj, che giace a terra. È in preda a una rabbia feroce.

- Maledetto! Ti inculerò, ti castrerò e poi piscerò sul tuo cadavere, che lascerò agli animali.

Spoglia il corpo e lo distende prono su una pelle d’orso, poi si spoglia, ma quando si accinge a fotterlo, sente rumori e grida. Senza rivestirsi esce dalla tenda, ma si trova di fronte un grande orso. Una zampata gli squarcia il petto. Larben urla. Una seconda zampata gli strappa i genitali.

Larben cade a terra. Mentre agonizza, l’orso diventa un uomo, molto alto, che lo guarda con odio, poi piscia sulla sua faccia e sul corpo.

Intorno ci sono i cadaveri dei soldati, orrendamente squarciati. L’orso ha infierito anche sul corpo di Lamal.

Vukmedje entra nella tenda e guarda il cadavere di Kralj. Ha le lacrime agli occhi.

- Ora ti porterò dove nessuno potrà oltraggiare il tuo corpo. Ci ritroveremo, fratello. Devo vegliare sui nostri figli, ma quando avrò assolto il mio compito, ti raggiungerò e saremo di nuovo insieme.

Vukmedje raccoglie la spada di Kralj, poi prende il corpo tra le braccia, bacia sulla bocca colui che ama e si allontana.

 

Lastor è rimasto a Nocigranica. Poiché i fratelli tardano a ritornare, decide di raggiungere il luogo dove si erano accampati. Per un tratto la strada costeggia il Fiume dei Ghiacci. Di colpo dall’acqua emerge un tritone. Lastor sa chi è: Vodjanoj, il signore delle acque. Il cavallo si impenna e Lastor cade a terra. Vodjanoj lo afferra e lo trascina del fiume. Invano Lastor cerca di resistere. Vodjanoj si immerge, trascinando con sé la sua vittima. Quando Lastor cerca di respirare, i suoi polmoni si riempiono di acqua. In breve è un cadavere, che il fiume trascina a valle.

Il giorno seguente due pescatori lo avvistano nel fiume e lo recuperano. Allora il governatore di Nocigranica manda un uomo di fiducia con un drappello di soldati all’accampamento dei figli di Lazan. Raggiungono senza incontrare ostacoli il guado e vi trovano i cadaveri dei due figli di Lazan e dei soldati che li accompagnavano, ridotti tutti a brandelli.

Qualche giorno dopo, un messaggero si presenta al nuovo re:

- Maestà, vi porto una lettera del governatore di Nocigranica.

Il pallore del viso del messaggero non lascia presagire niente di buono. Lazan apre la missiva. Ravasti racconta la morte per annegamento di Lastor e quella degli altri due figli del nuovo re, uccisi da animali feroci o forse da una creatura diabolica che ha fatto scempio dei loro corpi. Il governatore non sa che Lamal è stato ucciso da Kralj: i cadaveri dei due fratelli sono stati smembrati da Vukmedje e nessuno dei soldati è sopravvissuto per raccontare ciò che è successo. Di Kralj il governatore non sa nulla: il suo corpo non è stato trovato.

Per Lazan le notizie da Nocigranica costituiscono un colpo durissimo. Ha conquistato il trono e ucciso il re, ma ha perso quattro figli e non sa neppure se Kralj è vivo o morto. Lazan fa diffondere la notizia che Kralj è morto, come il padre: se pensassero che l’erede è ancora vivo, molti potrebbero sostenere i ribelli. Ma in qualche modo la verità va appurata. La rivolta in corso non lo preoccupa: per quanto valorosi, i guerrieri ribelli non sono in grado di rovesciarlo. Infatti in poche settimane vengono tutti uccisi o costretti a lasciare il regno. Le teste di coloro che sono stati sconfitti vengono infilzate su pali e disposte intorno alle mura, come monito per tutti.

 

La scomparsa di Kralj costituisce una minaccia: occorre capire che ne è di lui. Lazan si consulta con due dei figli che gli sono rimasti, Latreci e Lahrab: il terzo, Ladrug, nato dalla seconda moglie, è ancora troppo giovane.

Latreci, il primo figlio ed erede al trono, è furibondo:

- Dobbiamo capire se quel bastardo di Kralj è ancora vivo. Se non è morto, è una minaccia per il trono: dovremo organizzare una spedizione contro le tribù del Nord, dove potrebbe aver trovato rifugio.

Lahrab osserva:

- Una spedizione contro le tribù del Nord senza sapere se Kralj è davvero tra di loro, senza nemmeno sapere se è ancora vivo… No. Rischia di essere controproducente, di provocare la loro ostilità. Già dobbiamo affrontare i guerrieri ribelli.

Lazan interviene:

- Quelli ormai li abbiamo sterminati e i pochi sopravvissuti sono fuggiti. Non costituiscono più un pericolo. Ma quello che tu dici è vero. Dobbiamo scoprire se Kralj è ancora vivo.

- Come possiamo fare?

È Latreci a rispondere:

- Andrò nell’antro di Okrutan.

Latreci non ha paura: è un uomo coraggioso, qualcuno lo direbbe temerario.

 

Il giorno seguente Latreci parte. Anche lui entra nell’Antro e percorre il corridoio fino al termine. Poi attende.

Gli appaiono delle immagini. Latreci vede un accampamento. Suo fratello Lahrab esce da una tenda, nudo, la spada in mano. Un uomo molto alto brandisce un’ascia e scaglia lontano l’arma del principe, poi abbatte l’ascia sulla sua testa, dividendo il corpo esattamente a metà.

Poi compare un paesaggio innevato, in cui combattono diversi uomini. Tra questi c’è suo padre, più anziano di ora, che viene assalito da due uomini, giovani e forti. Uno lo colpisce con la spada, l’altro lo decapita con un colpo d’ascia.

L’immagine svanisce e c’è un grande incendio che devasta un bosco. Tra le fiamme si scorgono molti soldati, che vengono uccisi da altri guerrieri.

E poi appare la reggia. Nel cortile si combatte accanitamente. Ci sono di nuovo i due uomini della prima visione e uno dei due trafigge un guerriero che assomiglia molto a Ladrug, il fratello minore di Latreci.

Latreci è sgomento. Sembra che una morte violenta attenda suo padre e i suoi fratelli. Sarà l’unico a scampare? Chi sono i due giovani? Chi è l’uomo molto alto che uccide Lahrab?

Le immagini scompaiono. C’è buio. Il silenzio è assoluto. Latreci non può accettare di tornare senza saperne di più. Sa di non dover parlare, ma vuole conoscere ciò che succederà: è venuto per questo.

- Chi ci minaccia?

Il silenzio sembra inghiottire le sue parole.,

- Rispondi! Esigo di sapere…

Latreci non riesce a continuare. Si è alzato un vento di tempesta, che lo solleva come un fuscello e lo fa turbinare, trascinandolo con sé su per il passaggio sotterraneo, sbattendolo contro le pareti e portandolo fino all’uscita. Latreci è stordito e dolorante per i colpi presi. Quando infine il vento lo spinge fuori dal corridoio, il principe non viene lasciato cadere a terra, ma sospinto verso l’albero, dove pende un cappio. La testa si infila nella corda, che si tende. Il giovane sente il respiro mancargli. Il nodo si stringe lentamente e Latreci cerca disperatamente di allentare la corda, ma non ci riesce. Le sue gambe si agitano, alla ricerca di un appiglio che non esiste, scalcia avanti e indietro, piega le ginocchia. Dalla bocca cola saliva in abbondanza. Sente l’incendio che gli divora i polmoni. Avverte che il cazzo si tende. Il dolore al collo diventa sempre più forte, come se avesse un collare incandescente. La vista gli si annebbia. Si agita ancora, a lungo, poi i movimenti rallentano e si fermano. Il piscio incomincia a colare dal cazzo teso, un po’ di merda dal culo. La lingua sporge dalla bocca. Il viso è congestionato.

Ora c’è un cadavere in più in cima alla collina, un uomo vigoroso, il corpo nudo mostra la sua gagliarda virilità.

 

Lazan ha perso cinque dei suoi sette figli. Gliene sono rimasti due, l’erede al trono Lahrab e Ladrug, nato dalla seconda moglie. Impone a Krasna, la figlia di Osmikr, di sposare suo figlio Lahrab: in questo modo intende dare piena legittimità alla sua dinastia. Krasna non vorrebbe sposare uno degli assassini di suo padre e di suo fratello, ma non può rifiutarsi.

Lazan è inquieto: la ribellione è stata domata, ma c’è molto malcontento, perché Osmikr e Kralj erano amati dai sudditi. Inoltre è ancora vivo Vareni, il fratello di Osmikr, che potrebbe tornare nel regno: se Kralj è davvero morto, è lui l’erede legittimo. Ha fama di essere un grande eroe e, anche se non torna nel regno da molti anni, chi mal sopporta il nuovo re spera che arrivi presto a vendicare il fratello e il nipote. Nessuno sa esattamente dove sia: partecipa sempre a imprese temerarie in cui si copre di gloria. Lazan spera che trovi la morte in una delle sue avventure, ma non può certo contare solo su questa speranza, per cui predispone un piano per impadronirsi di lui.

Oltre a Vareni c’è anche suo figlio, Jebesin, ma di lui non si sa nulla da molti anni e nessuno nel regno lo conosce. Forse è già morto da tempo.

 

 

La notizia dell’uccisione di Osmikr e di Kralj da parte dell’usurpatore Lazan giunge nelle terre delle tribù del Nord e negli altri regni. Anche molti guerrieri che non hanno accettato l’usurpazione lasciano Sjevekral e raggiungono le terre del Nord, per sfuggire alla morte.

Quando Vareni ritorna da una spedizione nel Grande Nord, dove è ancora una volta scampato a diverse minacce mortali, viene a sapere che il fratello e il nipote sono stati assassinati e che un usurpatore regna su Sjevekral. La notizia lo sconvolge. A colpirlo è soprattutto la morte di Kralj, perché era molto affezionato al nipote, che per l’età gli ricordava Jebesin.

Vareni sarebbe il legittimo re di Sjevekral, in quanto unico erede del fratello e del nipote. Non è interessato a conquistare il trono, ma vuole vendicarli. Non è un’impresa facile, perché Vareni non dispone di un esercito. Potrebbe chiedere alle tribù del Nord di affrontare l’usurpatore, ma i guerrieri non hanno motivi per intromettersi negli affari interni del regno e Vareni stesso non vorrebbe trascinarli in una guerra sanguinosa. Riunire un gruppo di guerrieri fidati non sarebbe impossibile: molti stimano Vareni e sarebbero disposti a rischiare la vita per lui. Ma non è con un manipolo di guerrieri che si sconfigge un esercito.

Vareni raggiunge la tribù del Lupo, presso cui si trovano alcuni dei guerrieri che hanno lasciato il regno dopo il fallimento della rivolta contro l’usurpatore. Insieme a loro esamina la situazione e cerca di capire che cosa può fare. Se non fosse stato lontano quando è scoppiata la rivolta, il suo intervento avrebbe forse potuto cambiare la situazione, ma quando è ritornato la ribellione era stata domata e i guerrieri ribelli uccisi o in fuga. Adesso rovesciare l’usurpatore è molto più difficile.

Tre sere dopo l’arrivo di Vareni uno dei guerrieri, Pomet, gli parla.

- Vareni, devi fare attenzione. Non tutti coloro che sono qui sono realmente fedeli alla stirpe di Musum. Temo che ci siano spie inviate dall’usurpatore. Lazan sa che prima o poi cercherai di vendicare tuo fratello e di certo ha preso le sue precauzioni.

- Non avevo pensato a questo. Credo che tu abbia ragione, ma questo rende più difficile organizzare qualche cosa. Se c’è il rischio che i nostri piani vengano rivelati…

Vareni non completa la frase. Rimane pensieroso.

- Ascoltami, Vareni. A Nocigranica ci sono diversi cittadini che mal sopportano l’usurpatore. Kralj era molto amato e aveva tanti amici. Dovresti parlare con loro, ma senza che nessun altro lo sappia. Probabilmente con loro è possibile organizzare una rivolta e impadronirsi della città. Se Nocigranica ti riconosce come unico re legittimo, altre città probabilmente si ribelleranno. È una strada da tentare.

Vareni annuisce.

- Sì, senz’altro. Tu sai come posso mettermi in contatto con loro?

- Sì, certo. Possiamo recarci a Nocigranica in incognito, ma nessun altro deve saperlo, perché se qui c’è una spia, ci farà arrestare non appena passiamo la frontiera. Potresti dire che intendi raggiungere un’altra delle tribù e che per questo starai via alcuni giorni. Ci ritroviamo alle rovine della torre Strastolp. Entreremo a Nocigranica in giornata: nessuno è in grado di riconoscerti, manchi da troppi anni dal regno. E ti farò incontrare coloro che possono aiutarci.

A Vareni l’idea appare buona. Definiscono tutti i dettagli e il giorno dopo Vareni annuncia che starà via alcuni giorni per visitare un’altra tribù.

 

Vareni raggiunge Pomet alle rovine di una vecchia torre di guardia, distrutta da un incendio, e insieme entrano nel regno. Raggiungono senza difficoltà un villaggio vicino a Nocigranica e si fermano in una locanda.

Dopo la cena, Vareni si sente molto assonnato. Attribuisce la stanchezza alle giornate di viaggio e si corica presto. Sprofonda subito in un sonno senza sogni. Pomet apre la porta ai soldati che ha avvisato. Questi entrano nella camera, prendono le armi di Vareni e poi si gettano su di lui. Intorpidito dal sonnifero, Vareni è facilmente sopraffatto. Viene legato e trasportato, nudo come è stato catturato, a Nocigranica, dove lo rinchiudono in una cella sotterranea.

Vareni entra e subito dopo la porta viene chiusa alle sue spalle. Poca luce filtra da una finestrella posta in alto. Alla parete pende una catena. Vareni la fissa. C’è qualche cosa di familiare in quella catena. Gli ci vuole un momento per capire: è la cella che ha visto in sogno, quando scopava con Jebesin. Vareni si sente gelare. Jebesin potrebbe finire nelle mani di Lazan, essere rinchiuso in questa cella, per attendere la morte! No, non è possibile. Non gli importa di morire, da tempo la vita è solo un peso che si porta dietro, ma non può accettare l’idea che Jebesin muoia. Il pensiero va alle due teste tagliate, infilzate sui pali, che ha visto nell’Antro di Okrutan. Vareni si accascia.

Il giorno dopo, quando gli portano da mangiare, un ufficiale entra nella cella.

- Sei stato condannato a morte, traditore.

Vareni ride a sentirsi chiamare traditore. È un riso amaro. L’ufficiale prosegue:

- Verrai impalato tra dieci giorni, in presenza del re, che verrà appositamente dalla capitale per assistere. Il secondo giorno sarai castrato. E dopo che sarai morto, il tuo cadavere verrà lasciato a marcire, ma la tua testa sarà infilzata su un altro palo, alle porte della città.

Vareni non dice nulla. Il palo è una morte orribile. A Sjevekral era una pena sconosciuta, ma Lazan l’ha introdotta per coloro che hanno osato opporsi alla sua presa del potere. I guerrieri che lo hanno sfidato sono per lo più morti in battaglia, sfuggendo a questa fine atroce, ma alcuni l’hanno subita.

Vareni non ha davvero paura di morire sul palo. La sua paura è un’altra: che Jebesin venga catturato e subisca la stessa sorte. Vorrebbe essere ucciso ora, per essere sicuro che Jebesin non muoia.

I giorni passano, il momento dell’esecuzione si avvicina. Mancano solo più quattro giorni. Vareni si dice che Jebesin è lontano, forse non ha neppure saputo dell’usurpazione e della sua cattura. Ciò che ha visto nell’Antro non si avvererà.

La porta della cella si apre. Due guardie spingono avanti un prigioniero, nudo. Negli anni trascorsi dall’ultima volta che si sono visti, Jebesin è cambiato molto, ma Vareni lo riconosce subito e il dolore lo schianta.

Una delle guardie dice a Vareni:

- Ecco qualcuno che ti terrà compagnia sul palo.

Padre e figlio si guardano. Vareni ha le lacrime agli occhi.

- Ho sempre desiderato ritrovarti, ma non così, non così.

Jebesin scuote la testa.

- Mi spiace, padre. Mi ero illuso di poterti liberare, ma un traditore mi ha attirato in una trappola.

Vareni fa due passi avanti. La sua mano scorre sul viso di Jebesin, in una carezza.

- Ti ho cercato ovunque. E ti trovo solo per vederti morire. Perché? Merda! Perché?

- Perdonami, padre, sono stato tradito da uno scellerato.

- L’infame Pomet?

- Sì, lui.

- Ha tradito anche me. Mi sono lasciato ingannare come un coglione.

- Anch’io.

- Non siamo abituati a trattare gente come Pomet. Nelle terre del Nord gli uomini sono molto più schietti.

C’è un momento di silenzio. Vareni pensa che ha infine ritrovato Jebesin, ma solo per vederlo morire. Il pensiero lo strazia e la domanda gli sale alle labbra:

- Perché te ne sei andato?

Jebesin abbassa il capo. Poi lo rialza e dice:

- Non potevo continuare a rimanerti vicino.

- Ma perché? Che cosa avevo fatto? Perché mi odi?

Jebesin scuote la testa.

- Odiarti, padre? Che dici? Ti ho sempre amato, profondamente.

- E allora perché non potevi rimanere con me?

C’è un lungo momento di silenzio. Rimangono muti, a guardarsi. Poi Vareni si siede sul pavimento della cella.

Jebesin si siede di fianco a lui. Guarda il muro opposto. E infine dice:

- Non riuscivo a resistere, padre. Ti desideravo troppo.

Vareni guarda il figlio.

- Intendi dire…

- Hai capito. Non ce la facevo più. Quando scopavi con qualche giovane… li avrei ammazzati tutti. Avrei voluto essere al posto loro.

Vareni chiude gli occhi, poi li riapre e dice:

- Anch’io ti ho sempre desiderato.

C’è un momento di silenzio, poi è Vareni a chiedere:

- È vero, padre?

Vareni si alza e si mette davanti a Jebesin, che si solleva. Vareni fa un passo in avanti e lo stringe tra le braccia. Jebesin chiude gli occhi: ha sempre desiderato questo momento, la stretta di queste braccia possenti, vere catene che lo bloccano, il contatto tra i loro corpi. Sente contro il proprio ventre il cazzo gagliardo di Vareni, che sta rapidamente crescendo, e gli sfugge un gemito. Ora la mano di Vareni gli accarezza i capelli, mentre l’altra scende lungo la schiena. Arriva fino alla vita, per un secondo si arresta, poi cala, accarezzando il culo del figlio e due dita scivolano lungo il solco, raggiungono l’apertura, indugiano.

Jebesin geme di nuovo. Non ha mai amato altri che il padre. Ha posseduto diversi maschi, per soddisfare un bisogno, ma quelle scopate rapide non hanno lasciato traccia. Non ha mai ricevuto carezze, né ne ha mai date e ignora le sensazioni che possono trasmettere.

Vareni si stacca, fissa negli occhi il figlio, si dice che ora lo possederà. Forse non dovrebbe, ma in lui il desiderio cancella ogni remora. Lo desiderano entrambi e sono due adulti, consapevoli di ciò che fanno.

Vareni si stacca, poi guida Jebesin a stendersi supino a terra, gli divarica le gambe e si accovaccia tra le sue ginocchia. Le sue mani si posano sul viso del figlio e lentamente lo percorrono, a tratti con dolcezza, a tratti in modo più brusco.

Jebesin sente che il suo corpo reagisce con violenza e prova vergogna. Le mani di suo padre scivolava sul suo torace e stringono i capezzoli, stuzzicandoli. C’è dolore, ma il piacere è assai più forte. Poi Vareni si china su di lui e Jebesin sente una carezza umida su un capezzolo, poi un morso leggero. Le mani che gli accarezzano il ventre incontrano il cazzo, ormai teso, lo percorrono, brutali, diventano più delicate quando gli stringono i coglioni, poi scivolano dietro di lui, gli afferrano il culo, stringono. Vareni si china e la sua bocca accarezza il cazzo del figlio, ne bacia la cappella e la lingua percorre tutta l’asta tesa allo spasimo. Jebesin geme di nuovo. Suo padre lo sta facendo impazzire di desiderio e di piacere, come nessun uomo è mai riuscito a fare.

Le sue mani si alzano verso la testa di Vareni, gli accarezzano i capelli. Il padre continua ad accarezzarlo, le grandi mani forti percorrono il suo corpo, stuzzicano di nuovo i capezzoli, stringono di nuovo il culo, tornano davanti. Una mano stringe forte il cazzo, l’altra scende più sotto, accarezza i coglioni, li strapazza un po’.

Le due mani lasciano la presa, poi Vareni si solleva e si sposta, mettendosi di lato. Le mani ritornano, si posano sui fianchi e con un movimento rapido voltano Jebesin a pancia in giù.

Ora, succederà ora. Suo padre sta per fotterlo. Ciò che Jebesin ha sempre desiderato sta per avverarsi. È quello che voleva, ma non sospettava che le carezze di suo padre potessero accendere nel suo corpo un incendio, che trasforma in puro piacere ogni suo gesto.

Vareni si stende su Jebesin. È bello stare così, sentire il calore del corpo del figlio sotto di lui. E per Jebesin è bello sentire il peso del padre sul proprio corpo. Ed è bello anche sentire il cazzo, duro e caldo, che si appoggia sul solco tra le natiche.

Vareni lo avvolge completamente con le sue braccia. Jebesin è prigioniero e sta bene così. Desidera provare la consistenza del formidabile pezzo di carne che si muove lentamente, come il suo padrone, trasmettendo con il suo movimento una piacevolissima sensazione di calore. Poi Vareni si solleva nuovamente. Jebesin sente un po’ di saliva colare tra le sue natiche. Due dita la spargono bene, una si fa avanti, forzando l’apertura. Jebesin si tende leggermente. Suo padre sta per incularlo. Lo ha desiderato molte volte, lo ha sognato. E ora sta per accadere. Il dito si ritrae, di nuovo altra saliva lubrifica bene l’apertura, poi il dito ritorna e si muove dentro di lui.

Vareni pensa che sta per possedere suo figlio. Prima di morire realizzerà il suo desiderio più profondo, quello che non ha mai osato confessare. Si stende nuovamente su Jebesin, gli passa la lingua sul collo, poi gli morde con forza una spalla. E mentre i denti stringono la carne, Jebesin avverte che un palo di carne lo sta penetrando. Procede lentamente, con delicatezza. Si ferma, per dargli il tempo di adattarsi. La lingua del padre lo accarezza dietro l’orecchio - e il palo avanza dolcemente. Vareni gli morde la nuca e spinge più a fondo.

Jebesin avverte un certo dolore, ma è una sensazione di fondo, assai meno forte del piacere che lo avvolge. Queste braccia che lo stringono, queste mani che lo accarezzano, gli tirano i capelli, gli solleticano l’uccello, tutto è troppo bello. E anche la sensazione del cazzo dentro di lui, caldo e duro, è bella, nonostante il dolore.

Vareni gli accarezza la testa. Poi dà una spinta più decisa e Jebesin geme. Sente crescere dentro di sé una tensione, nel suo culo, nei coglioni, nel cazzo. Si rende conto che verrà. Vareni si ritrae, poi avanza nuovamente, con decisione, e si ferma. Ripete l’operazione una seconda volta. Jebesin geme.

Allora Vareni prende a muoversi in modo continuo, con un ritmo regolare. Arretra, fino a che l’uccello quasi esce dal culo del figlio e poi avanza nuovamente, fino a che il suo ventre aderisce al corpo sotto di lui. Jebesin sente che l’onda del piacere cresce nuovamente, lo sovrasta, lo avvolge completamente. Vareni procede, instancabile, e a Jebesin sembra di venire dentro, in un modo che non avrebbe creduto possibile. Il suo cazzo è teso e caldo, ma il piacere si irradia dal culo, da quell’altro cazzo che entra ed esce, muovendosi dentro di lui.

Le mani di Vareni accarezzano il corpo del figlio, aggiungendo piacere a piacere. Le spinte lo squassano e a Jebesin a tratti pare di fluttuare in un mondo lontano.

Infine Vareni accelera il ritmo delle sue spinte, imprimendo una forza ancora maggiore. A Jebesin sembra che il suo corpo si apra, ma la destra del padre si stringe intorno al suo cazzo e il piacere esplode. Chiude gli occhi e ancora il piacere vibra in ogni fibra del suo corpo, nel cazzo, nella testa, nel ventre, nel cuore.

Urla, un grido di puro piacere, mentre Vareni emette un suono sordo, una specie di grugnito. Jebesin sente il fiotto riempirgli le viscere.

Per un momento Jebesin perde coscienza del luogo in cui si trova, di ciò che è successo: rimane soltanto la sensazione di un piacere che non aveva mai provato.

Vareni esce da lui, con delicatezza, e lo abbraccia stretto.

- Tutto bene?

Jebesin annuisce, incapace di parlare.

Dopo un momento Vareni si solleva e poi si stende accanto a Jebesin. Pensa che ha inculato suo figlio. È stato il piacere più intenso della sua vita. Se Jebesin avesse parlato… Vareni si dice che è un pensiero assurdo. Ciò che è stato, è stato.

Più tardi Jebesin dice:

- Non pensavo che questo giorno sarebbe arrivato. L’ho sempre desiderato, ma credevo che fosse impossibile.

- Io mi sono reso conto di desiderarlo solo quando…

Vareni si interrompe, ma non ha senso non raccontare:

- …solo quando andai nell’Antro di Okrutan.

- Nell’Antro? Ma perché?

- Per sapere se eri ancora vivo.

- Per me… Cazzo!

- Non reggevo più, Jebesin. Avevo bisogno di sapere che ne era di te, se eri ancora vivo.

Jebesin china il capo:

- Perdonami, padre. Mi rendo conto solo ora di quanto ti ho fatto soffrire.

- Non ha importanza.

 

Per tre giorni si amano.

La sera del terzo giorno, la guardia che porta il pasto dice:

- Godetevi la cena. È l’ultima. Domani vi impalano.

Ride e se ne va.

Non si stupiscono: se lo aspettavano.

- Amiamoci ancora una volta, Jebesin.

- Sì padre.

C’è una tenerezza infinita nel loro amore, ma quando infine Jebesin viene, scosso da un piacere intensissimo, Vareni gli mette le mani intorno al collo e incomincia a stringere.

- Non morirai sul palo, figlio. Almeno questo ti sarà risparmiato!

Jebesin cerca di allentare la stretta, ma Vareni usa tutta la sua forza e il figlio presto perde coscienza. Vareni gli spezza le vertebre, piegando violentemente indietro la testa.

Poi si siede contro la parete, annichilito. Il cibo rimane nelle ciotole.

 

Il mattino dopo le guardie che vengono a prenderli scoprono che Jebesin è morto. Sono furenti, ma non possono fare nulla. Nessuno si aspettava la morte di uno dei due condannati e nella cella c’è confusione.

Vareni ne approfitta per balzare su un soldato e strappargli la spada, con cui lo colpisce, poi si avventa su un altro, che reagisce. Vareni non cerca di deviare la lama, che gli attraversa il petto: la morte era quello che voleva, per sfuggire al palo.

La grande folla che si è riunita nella piazza, per assistere all’esecuzione di Vareni e Jebesin rimane delusa. A essere impalati sono due cadaveri e non due uomini vivi. Anche se nessuno ha motivi per odiare gli ultimi discendenti di Musum, gli spettatori sono furiosi. Alcuni sono arrivati la sera prima, piazzandosi davanti al palco per poter assistere allo spettacolo e adesso, dopo una notte insonne, non vedono l’agonia di due condannati, ma solo due cadaveri.

La sera i due corpi vengono decapitati e le teste poste su due pali. Ma il giorno seguente sia le teste, sia i cadaveri scompaiono.

Lazan è furibondo e fa fustigare i soldati di guardia per non aver saputo impedire che i corpi venissero portati via.

 

 

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