14 Nel palazzo reale Lazan ha nominato il figlio Ladrug
erede al trono. I due gemelli sono stati esclusi dalla successione. Molti sospettano
che siano morti: si sa che hanno raggiunto il confine settentrionale del
regno con il sovrano, ma non sono tornati con lui. Devono essere stati
ammazzati. Ma perché? Molti fanno ipotesi: forse
Lazan li ha fatti uccidere perché i gemelli non
intendevano aspettare la sua morte per impadronirsi del trono; oppure perché
volevano vendicare la famiglia della madre; o magari perché la seconda moglie
lo ha convinto che Ladrug deve salire al trono al
posto dei figli di Lahrab. Ognuno si tiene per sé
le proprie idee o le scambia con pochi amici fidati: il re ha troppe spie e
potrebbe non gradire che si parli della scomparsa dei gemelli. Lazan ha eliminato i gemelli, ma è inquieto.
Si chiede se su di lui non gravino altre minacce. Dopo due mesi di crescente
inquietudine decide di sentire nuovamente l’indovino, per cui manda il
messaggero Jadan da Prorok.
L’inviato del re trova il veggente nella sua torre, ma l’indovino, senza
lasciargli il tempo di riferire l’ordine del re, gli dice: - Di’ al sovrano che ho
risposto a tre sue domande e altro non posso fare per lui. - Ho ordine di portarti
con me, volente o nolente. - Anche se tu mi
trascinassi con la forza, non servirebbe a nulla: non dipende dalla mia
volontà. Le domande del re rimarrebbero senza risposta. Jadan manda una missiva al re, comunicando la
risposta di Prorok. Il re risponde dando ordine di
uccidere l’indovino: non può accettare un rifiuto. Ma quando Jadan e i soldati ritornano alla torre per eseguire
l’ordine del sovrano, Prorok è scomparso. Lazan è furibondo. Jadan
viene fustigato a sangue e poi gettato in una cella. Lo smacco subito rafforza
il desiderio del re di conoscere il proprio futuro, ma Lazan
non sa come fare. Non intende certo recarsi nell’Antro di Okrutan.
Ci sono altri indovini e veggenti nel regno, ma è difficile sapere quali
dicono la verità e quali sono soltanto ciarlatani. Proprio mentre si pone il
problema, l’ufficiale a capo della rete di spie gli comunica l’arrivo nella capitale
di un indovino. Costui ha detto, a una richiesta di un cittadino, che i
gemelli sono stati fatti decapitare per ordine del re e i loro cadaveri
lasciati nudi nella foresta. Lazan dà ordine di arrestare l’uomo. La sera stessa le guardie
portano davanti al re l’indovino. È un uomo molto alto, di carnagione scura,
con una fitta barba e lunghi capelli rossicci. Non sembra essere spaventato e
sorride, mettendo in mostra denti da lupo. - Tu hai osato dire che ho
fatto uccidere i gemelli. - È la verità, mio
sovrano. E tu lo sai benissimo. Eri presente quando il boia li ha decapitati,
su tuo ordine. - Impudente! Come osi
parlarmi in questo modo?! Inginocchiati! L’uomo non fa cenno di
obbedire, ma i soldati lo afferrano e lo costringono a mettersi in ginocchio. - Meriteresti che ti
facessi decapitare! L’uomo alza le spalle. Non
sembra spaventato. Lazan vorrebbe farlo uccidere,
ma quest’uomo conosce la verità: probabilmente è davvero un indovino o un
veggente. - Perdonerò la tua
impudenza, se saprai rispondere alle mie domande. - So che cosa vuoi
chiedere: vuoi conoscere le minacce che gravano su di te. - Esatto. - Il tuo regno e la tua
vita sono minacciati, Lazan, questo è vero. Un
pericolo viene dagli uomini del Nord, oltre i confini. Due forti guerrieri
hanno preso il comando di due tribù, che presto si uniranno nella lotta. Sai
bene che le terre del Settentrione ospitano molti guerrieri ostili a te e a
tuo figlio ed essi marceranno contro di te. - Cosa?! Quei fottuti
selvaggi oserebbero attaccare il mio regno?! E i traditori… Maledetti!
Avranno quello che si meritano. Li schiaccerò! A Lazan
sembra che l’indovino sorrida. - Dubiti forse che io sia
in grado di ucciderli? - Coloro che guidano le
tribù del Nord troveranno la morte nelle battaglie che si preparano. Lazan è soddisfatto della risposta. - Questo è quanto accadrà.
Li schiaccerò, te l’ho detto. Lazan guarda l’indovino, che sorride e tace.
Gli sembra che sia un sorriso di scherno e reagisce aspramente: - Perché sorridi,
maledetto? - Ognuno di noi va incontro
al suo destino. - Che cosa significano le
tue parole? Non parlare per enigmi. - Ti ho detto ciò che
desideravi. Non ti dirò altro. Lazan non può accettare che qualcuno rifiuti
di obbedire ai suoi ordini. - Bada, se non mi
rispondi, troverai la morte. - Non sarai certo tu a
darmi la morte! - Come osi, impudente?! L’uomo non risponde. Lazan lo fa rinchiudere in una cella sotterranea. Dopo
una notte in cella sarà più disponibile a rispondere, altrimenti sarà squartato.
Se invece risponderà, verrà decapitato: è un impudente e merita comunque la
morte. Nella notte però il
prigioniero scompare. Nei sotterranei vengono trovati i cadaveri di due
guardie con la gola squarciata: si direbbe un lupo li abbia sgozzati. Un
soldato dice di aver visto un lupo correre nel cortile. Ma come ha potuto
uscire dal palazzo di notte, quando tutte le porte sono sbarrate? Lazan ha radunato l’esercito. Ha scelto con
cura gli ufficiali sulla cui lealtà non ha dubbi, quelli che lo hanno aiutato
a conquistare il trono: saranno loro a formare l’avanguardia e ad affiancare
il sovrano. Nelle terre del Nord ci sono troppi guerrieri che non hanno mai
accettato il potere di Lazan e anche tra coloro che
servono il re, alcuni lo fanno malvolentieri. Il sovrano non vuole rischiare
di vedersi tradito dalle sue stesse truppe. L’esercito si mette in
marcia poche settimane dopo il colloquio con l’indovino. Non è la stagione giusta
per affrontare le tribù del Nord: le montagne sono ancora strette nella
gelida morsa invernale, la neve è alta e per l’esercito sarà difficile
muoversi. Non c’è stato neppure il tempo perché Nocigranica
e le province del Nord potessero prepararsi adeguatamente ad accogliere le
truppe e fornire i rifornimenti necessari durante la marcia oltre i confini
del regno. Ma Lazan è convinto di aver ragione
rapidamente dei ribelli e non vuole lasciare loro il tempo di organizzarsi,
perciò non si preoccupa, pensando di concludere la spedizione prima che i
problemi di approvvigionamento diventino troppo gravi. I consiglieri regi
sono di altro parere e molti ricordano la disastrosa spedizione del re Previs contro le tribù del Nord, ma conoscono troppo bene
il re per opporsi alle sue decisioni: sanno che non conviene mai esprimere
dubbi o dissenso, perciò si limitano a raccomandare prudenza, ben sapendo che
il loro invito rimarrà inascoltato. La notizia arriva alle
tribù del Nord e non giunge inattesa: da tempo i veggenti dicevano che quando
le tribù del Lupo e dell’Orso avessero cambiato re, ci sarebbe stato un
attacco da parte del regno di Sjevekral. Wilk e Niedzj si
consultano con l’assemblea dei guerrieri delle loro tribù e poi si ritrovano
per stabilire un piano d’azione. Per quanto gli uomini su cui regnano siano
forti e coraggiosi, non possono pensare di affrontare l’esercito di Lazan in campo aperto, perché non sono abbastanza
numerosi. Sulle montagne però l’esercito reale si troverà in difficoltà, per
la scarsa conoscenza del territorio, che ha una natura impervia, e per la
presenza della neve. L’esercito raggiunge Nocigranica, dove altre truppe vengono raccolte, poi si
dirige verso la catena di forti che difendono il confine settentrionale e la
supera, inoltrandosi nella grande foresta ai piedi delle montagne. Qui molti
dei sentieri estivi non sono percorribili e man mano che si sale la marcia
diventa più difficile. Le guide conducono le truppe lungo sentieri innevati,
di fianco a pendii scoscesi e strapiombi vertiginosi. Il passaggio è spesso
tanto stretto da costringere gli uomini a procedere in fila indiana. Lazan è impaziente di sterminare le tribù, ma
non intende esporsi troppo, per cui ha mandato avanti una consistente
avanguardia. Il re segue, con il grosso dell’esercito, e la retroguardia
chiude la marcia. Il sentiero infine scende
verso il fondo di una valle e i soldati dell’avanguardia vedono i dirupi
ridursi. Con grande sollievo osservano intorno a sé non più burroni, ma le
pareti della montagna, che delimitano una lunga gola, sufficiente per il
passaggio di più uomini affiancati. Sul fondo della gola lo strato di neve è
molto più spesso e gli uomini affondano fino alle cosce. La marcia è più
lenta e faticosa, ma gli uomini non si lamentano: la gola è sempre meglio del
sentiero che correva di fianco ai precipizi. Il canalone sembra
allargarsi: tra poco ne usciranno. Un po’ di neve cade
addosso agli uomini. Questi si chiedono se tra poco nevicherà, ma in cielo ci
sono solo alcune nuvole, che non paiono minacciose. Forse è solo neve che si
è staccata dalla parete. Il boato li sorprende.
Alzano il capo e vedono massi e neve rotolare a valle, travolgendo tutto
nella loro corsa. L’intera avanguardia viene travolta dalla furia
distruttrice della valanga. Il re e i soldati che lo
accompagnano stanno percorrendo il tratto iniziale della gola. Sentono il
rumore, più avanti, vedono la nuvola di neve sollevata e si fermano, incerti.
E mentre stanno discutendo sul da farsi, un secondo boato annuncia una nuova
valanga, che si abbatte su di loro. Molti vengono travolti.
Gli altri si ritrovano bloccati nella gola, tra le due valanghe. Lazan non può né avanzare, né arretrare. Oltre
la valanga all’inizio della gola ci sono molti soldati, ma superare
l’ostacolo costituito dalla neve e dai massi richiederà tempo. Lazan e i suoi consiglieri hanno capito
benissimo che le due valanghe non sono eventi naturali, ma sono state
provocate ad arte. E infatti sul pendio innevato appaiono gli uomini delle tribù dei Lupi e degli
Orsi, che tempestano le truppe di frecce. La gola offre ben pochi
ripari e i soldati sono rapidamente decimati. I guerrieri delle tribù
scendono allora ad attaccare, armati di spada e ascia. Abituati a combattere
nella neve, hanno facilmente la meglio sui soldati e avanzano verso il gruppo
che si è stretto intorno al re. Qualcuno dei soldati cerca
una fuga impossibile, sperando di superare la valanga che chiude l’ingresso
della gola. Lazan dà ordine di abbattere i
fuggiaschi. Un ufficiale esita a dare l’ordine: che senso ha uccidere i
propri uomini, mentre ci si trova ad affrontare un nemico? Lazan sguaina la spada e lo colpisce. L’ufficiale cade a
terra e i soldati scagliano le lance contro i fuggitivi. I guerrieri delle due
tribù ormai si stanno avvicinando agli ultimi difensori e Lazan
vede, incredulo e sgomento, che a guidarli sono Wilk e Niedzj. I gemelli fanno strage dei difensori e
dietro di loro tutti gli uomini della tribù combattono valorosamente un
nemico che ancora non si arrende, ma ormai è sconfitto. Lazan stesso combatte, ma i suoi uomini cadono
uno dopo l’altro e infine il re si ritrova davanti i due gemelli. Sa di
essere perduto. Grida, con una voce che il
terrore rende stridula: - Siete spettri,
maledetti! Wilk ride e risponde: - Forse, ma questa spada
non è uno spettro. E con un rapido movimento infila
la spada nel petto del re. Niedzj abbatte l’ascia sul suo collo, troncandolo
di netto. La battaglia si è conclusa. - Ritiriamoci, ora. Gli
altri non tarderanno ad arrivare. E infatti i soldati
rimasti bloccati all’esterno della gola stanno faticosamente avanzando per
raggiungere il loro re, ma quando il grosso dell’esercito riesce a superare
la valanga e a raggiungere gli altri, la battaglia si è già conclusa e
restano solo i cadaveri al suolo. Wilk e Niedzj proteggono
la ritirata, combattendo contro i soldati che li incalzano. Sono gli ultimi e
fanno strage dei nemici, che infine rinunciano a inseguirli. Ma sono arrivati
i lancieri e uno di loro dalla gola scaglia una lancia contro Wilk. Niedzj se
n’accorge: spinge il fratello di lato e la lancia destinata a Wilk lo
trafigge. Wilk urla. Niedzj gli
dice: - Vattene… Wilk… mettiti…
in salvo… Wilk non vuole abbandonare
il fratello. Niedzj sa che c’è un solo modo per allontanarlo. Con le ultime
forze dice: - Vivi per vendicarmi. Poi gira la testa di lato,
un po’ di sangue esce dalla sua bocca e il suo corpo rimane esanime. Wilk annuisce. Vivrà per
vendicare Niedzj. Ma mentre lo pensa, una lancia lo colpisce. Wilk si dice
che è meglio così. Morire accanto a Niedzj è molto meglio che vivere senza di
lui. I guerrieri non vogliono
lasciare i corpi dei loro re al nemico. Rimanendo chinati per sfuggire alle
frecce e alle lance, riescono a recuperarli e a portarli con sé nella
ritirata. I soldati rinunciano a inseguirli: non vogliono finire come gli
ufficiali e il re, i cui cadaveri giacciono tutt’intorno a loro. Per gli uomini delle due
tribù è un triste ritorno. Hanno sconfitto il nemico e decimato il suo
esercito, hanno allontanato la minaccia e pochi guerrieri sono morti
nell’impresa, ma hanno perso i loro re, amati e stimati da tutti. I corpi vengono portati
nell’accampamento che è stato allestito in una delle grotte della montagna. È
una caverna molto estesa, che si addentra in profondità, diramandosi. Nessuno
l’ha mai esplorata completamente: torrenti, cascate e laghi bloccano certi
passaggi. I gemelli vengono deposti
in una delle caverne laterali che sono collegate alla grande sala centrale:
sarà la loro camera funeraria. I corpi vengono spogliati. Quando sorgerà il
giorno verranno lavati. Poi gli uomini delle due
tribù accendono un grande fuoco nella sala centrale, davanti al passaggio che
porta alla camera funeraria. Si siedono tutti davanti al fuoco, ma rivolti al
lato opposto, e intonano un canto funebre. Più tardi si taglieranno i capelli
in segno di lutto. Il fuoco che arde alle loro spalle proietta le loro ombre
sulle pareti. A un tratto un’ombra
sembra aggiungersi, scivolando tra le altre, quella di un uomo molto alto che
cammina. Ma non c’è nessuno in piedi nella caverna. Il canto tace e tutti
osservano sgomenti l’ombra, che si dirige verso la camera funeraria. A tratti
sembra assumere i contorni di un lupo, poi di un orso, poi riprende forma
umana. Nessuno osa parlare, nessuno si muove. Sanno a chi appartiene l’ombra:
è l’Orso-Lupo, che entrambe le tribù considerano il loro nume tutelare.
L’Orso-Lupo è venuto per i due re. L’ombra scompare nel
passaggio che porta alla camera funeraria. Ora si sentono delle voci. Gli
uomini si guardano. Sono guerrieri coraggiosi, abituati a d affrontare ogni
sorta di pericoli, ma ciò che sta avvenendo incute loro timore. Poco dopo l’ombra riappare
e si dirige verso l’ingresso della grotta. I guerrieri si guardano,
confusi. Non sanno se riprendere il canto funebre. E di colpo sentono le voci
dei loro re. - Siamo qui, guerrieri. Tutti si voltano e fissano
i gemelli, che sui corpi nudi hanno ancora il sangue colato dalle
ferite. C’è un momento di silenzio,
poi è tutto un intrecciarsi di voci, esclamazioni, domande. I gemelli alzano le mani
per richiedere silenzio. - Non vi stupite di
vederci vivi. Abbiamo tre vite, perché in noi c’è il seme di Vukmedje, l’Orso-Lupo. Una vita ci è stata tolta da Lazan, a tradimento. Una seconda dai suoi soldati. Ora ci
rimane un’ultima vita. Un uomo esclama: - Che essa sia lunga,
sovrano. Gli altri gridano la loro
approvazione, ma Wilk scuote la testa. Niedzj dice: - Il nostro tempo è breve,
ma prima che si concluda, vogliamo completare l’opera avviata, sventando la
minaccia che incombe su di noi. Le parole di Niedzj
turbano gli uomini, ma sanno che non è possibile opporsi al destino. Niedzj e Wilk si siedono
accanto al fuoco e i guerrieri si spostano, disponendosi in cerchio. Si parla
della prosecuzione della guerra. Sono quasi tutti convinti che l’esercito si
ritirerà, ma questo non significa la fine del conflitto: il nuovo re non può
certo lasciare impunita la morte del padre, anche se è stato Lazan ad aggredire le tribù del Nord. Bisognerà
prepararsi per la spedizione che di certo si terrà in primavera o in estate. L’esercito si ritira a Nocigranica: dopo la pesante sconfitta subita, cercare di
penetrare ulteriormente nel territorio delle tribù sarebbe follia. Viene avvisato Ladrug, che è rimasto nella capitale come reggente. A Ladrug
non spiace che il padre sia morto, perché questo gli permette di salire al
trono. Mentre si dirige a Nocigranica il nuovo re
riflette sul da farsi. Non può certo lasciare impuniti coloro che hanno
ucciso suo padre, ma adesso una nuova spedizione, con un esercito decimato,
rischierebbe di essere fallimentare e una sconfitta potrebbe provocare lo
scoppio di una rivolta. Ladrug sa bene di non
essere popolare, come non lo era suo padre: il regime di terrore che Lazan ha instaurato incute paura, ma di certo non ispira
amore. Sulla fedeltà dei suoi sudditi sa di poter contare solo nella misura
in cui è garantita dalla paura. Ma il giorno in cui Ladrug
non incutesse più timore, il suo regno sarebbe destinato a finire. A Nocigranica
Ladrug può misurare l’entità della disfatta, che è
maggiore di quanto avesse temuto: tra gli ufficiali più fedeli, che il re
teneva accanto a sé, quasi nessuno è sopravvissuto; le truppe sono state
decimate; il morale dei soldati è molto basso. Il nuovo re decide che
affronterà le tribù del Nord dopo la fine dell’inverno. Davanti ai notabili
della città, riuniti per accogliere il sovrano, promette di vendicare il
padre, di sterminare tutti i guerrieri che vivono ai piedi della grandi
montagne e di ampliare i confini del regno. In realtà i suoi obiettivi
sono molto più limitati, ma Ladrug vuole mostrarsi
implacabile e determinato. Il suo discorso viene
ripetuto molte volte e presto ne vengono a conoscenza anche le tribù del
Nord: non solo quelle del Lupo e dell’Orso, che sanno di essere il principale
bersaglio, ma anche le altre. Non hanno motivi di contrasto con il regno e
non capiscono perché Lazan abbia attaccato due
tribù che non erano ostili e ora voglia sottomettere tutte le altre. Non
intendono perdere la loro libertà e prendono contatto le une con le altre per
organizzarsi. Per alcuni mesi vi sono frequenti incontri, che portano infine
a un’alleanza tra le diverse tribù. Esse scelgono come comandante comune
Wilk. A Sjevredava Ladrug
medita sul da farsi. Fa reclutare nuovi soldati, forzando contadini, operai e
artigiani ad arruolarsi per la grande spedizione che si terrà nell’estate. Il
reclutamento forzato colpisce le famiglie e le attività economiche del regno
e incontra molte resistenze. Al malcontento popolare il re reagisce
nell’unico modo che conosce: con una repressione spietata. Due uomini vengono
impiccati perché in una taverna hanno disapprovato la guerra scatenata contro
le tribù del Nord. Quattro soldati sono impalati per aver avere osato
criticare l’organizzazione della fallimentare spedizione di Lazan. Le esecuzioni rendono i cittadini ancora più prudenti
di quanto non fossero al tempo di Lazan, ma non
accrescono certamente la popolarità del nuovo re. I consiglieri più esperti
se ne rendono conto, ma preferiscono non esprimere il loro dissenso:
all’unico che ha osato avanzare alcuni dubbi sulla feroce repressione Ladrug ha fatto mozzare la lingua. Il re affida
l’organizzazione della spedizione al più esperto degli ufficiali
sopravvissuti. Nessuno però conosce bene le terre del Nord e dopo il disastro
invernale i soldati sono demoralizzati. Le nuove reclute devono essere
formate e questo richiede tempo. Lo stesso Ladrug non è impaziente di partire per la spedizione: non
ama mettere a rischio la vita e il regno. Quando arriva la
primavera, l’esercito non è ancora pronto. La spedizione viene rinviata più
volte, fino all’inizio dell’autunno, quando infine le truppe si avviano,
guidate dal re in persona. Non c’è ancora neve a Nord, se non sulle cime dei
monti. Ladrug conta di sconfiggere le tribù del
Lupo e dell’Orso in breve tempo e attaccare ancora qualche altra tribù, poi
la neve fornirà un buon motivo per ritirarsi senza aver completato la
conquista delle terre oltre il confine settentrionale, obiettivo chiaramente
impossibile da raggiungere. Se le due tribù degli Orsi e dei Lupi saranno
state sterminate completamente, le altre capiranno che è meglio non opporsi
al re di Sjevekral.
I pali su cui saranno infilzati i corpi di tutti i guerrieri delle due tribù,
vivi o morti, saranno un monito sufficiente per chiunque osi mettere in discussione
l’autorità di Ladrug, figlio di Lazan. I contatti tra le tribù
sono continuati per tutta l’estate, grandi lavori sono stati fatti in segreto
e i guerrieri del Nord sono pronti ad affrontare il nemico assai prima che
l’esercito si metta in marcia. Alla fine dell’estate Wilk
diventa padre di due gemelli, che portano uno il segno del Lupo e l’altro
quello dell’Orso. Il primo viene chiamato Drugivolk,
il secondo Drunjed. Drugivolk non ha nessun segno
particolare, mentre Drunjed ha due segni a forma di stella, di colore giallo:
uno è dietro lo scroto, l’altro sul ginocchio destro. Wilk è felice di questa
nascita e spera che ai due figli siano risparmiate le sofferenze che hanno
patito lui e Niedzj. Vede ogni tanto il fratello, quando i capi delle diverse
tribù si riuniscono, ma di rado riescono a trascorrere una notte insieme e a
ogni incontro lo strazio della separazione si rinnova. L’autunno è già
incominciato quando infine l’esercito raggiunge Nocigranica
e di lì si dirige verso Nord. Evitando i sentieri che si inerpicano sulle
montagne, le truppe percorrono la valle del grande fiume, tenendosi sulla
riva occidentale. Il fiume garantisce il rifornimento di acqua e, essendo il
terreno in pendenza, la corrente tumultuosa protegge da attacchi dall’Est:
non ci sono guadi e chi si allontana dalla riva, anche se è un nuotatore
esperto, rischia di essere trascinato via. Nei primi due giorni di marcia non
ci sono problemi. La sera del terzo giorno raggiungono una grande ansa del
fiume, che forma una vasta penisola boscosa. Qui possono accamparsi con
sicurezza: la pendenza del terreno è più forte e la corrente tanto violenta
da rendere impossibile entrare in acqua senza essere trascinati via. Bisogna
solo controllare la parte settentrionale, dove vengono messi di guardia molti
soldati. Vengono montate le tende per il re e gli ufficiali, mentre i soldati
si stendono tra gli alberi. Nessuno pensa a un possibile attacco e molti si
addormentano tranquilli, nonostante il forte vento che soffia da Nord. Il
cielo è coperto dalle nuvole e il buio è fitto. Nel cuore della notte le
sentinelle vedono un fuoco che si accende, poi un secondo e un terzo. Non
capiscono che cosa stia succedendo. Non osano dirigersi verso i fuochi,
temendo di cadere in una trappola. Chiamano gli ufficiali. Due ufficiali e
una decina di soldati vanno in esplorazione, ma non fanno ritorno. I fuochi si moltiplicano,
formando una linea quasi continua, che blocca completamente la penisola.
Frecce incendiarie volano in alto, dando fuoco agli alberi. L’accampamento è in
subbuglio, tutti si sono destati. Bisogna spegnere le fiamme, che avanzano
rapidamente. C’è l’acqua del fiume, ma non ci sono certo abbastanza secchi
per soffocare l’incendio che rapidamente si estende. Chi cerca di fuggire
attraverso gli spazi che si aprono nella linea delle fiamme, viene abbattuto
dalle frecce e dalle lance. Chi riesce a scampare alle frecce e alle lance
trova la morte quando pensa di essere in salvo: nel buio della notte i
guerrieri figli di Lilith vedono le loro prede e non sbagliano a colpire con
la spada. Le fiamme avanzano.
Qualcuno si getta nel fiume e la corrente lo inghiotte. Il re esige di essere
messo in salvo. Gli ufficiali fanno
raccogliere tutti i secchi disponibili, per spegnere l’incendio a
un’estremità della linea di fuoco e permettere il passaggio dei cavalieri. I
soldati vengono mandati all’attacco in un altro punto, per impedire che il
nemico si accorga per tempo della fuga del re. La manovra ha successo e
il re, con alcuni cavalieri, riesce a passare. Anche molti soldati cercano di
uscire dalla trappola. Alcuni si salvano, diversi trovano la morte a opera
dei guerrieri delle tribù del Nord. Quando sorge l’alba, Ladrug raccoglie quanto rimane dell’esercito: parecchi
cavalieri e un numero irrisorio di fanti. Le truppe non sono certamente in
grado di affrontare le tribù del Nord. Un cavaliere viene inviato a Nocigranica per richiedere l’invio di soccorsi. Incomincia una lenta
ritirata, ma il secondo giorno in lontananza si vedono i guerrieri delle
tribù del Nord che avanzano: inseguono l’assalitore in fuga. Ladrug accelera la marcia, lasciando indietro
quel che rimane della fanteria: vuole rifugiarsi a Nocigranica
con le truppe rimaste. Giunto di fronte alle mura, lo attende una sorpresa:
le porte della città sono chiuse e non vengono aperte. Da una delle torri
accanto alla porta del Nord pende il cadavere di Ravasti,
il governatore della città, che aveva partecipato alla congiura contro Osmikr
e Kralj. Ladrug guarda allibito. Non capisce. - Che cosa significa
questo? Uno degli ufficiali gli
risponde: - Temo che la città si sia
ribellata alla notizia della disfatta. Non intendono aprirci le porte. - Maledetti! L’assedieremo
e la raderemo al suolo. Moriranno tutti. Gli ufficiali si guardano.
Sanno che non c’è il tempo e non ci sono le forze per porre un assedio e non
esiste nessuna possibilità di conquistare Nocigranica
prima dell’arrivo dei loro inseguitori. Non osano dirlo, ma il re dovrebbe
saperlo. Uno di loro si fa coraggio
e dice: - Maestà, certamente la
città va rasa al suolo e la popolazione sterminata. Lo faremo non appena
l’esercito sarà stato ricostituito. Adesso assediare la città significherebbe
trovarci tra i difensori all’interno delle mura e le tribù che si avvicinano:
saremmo presi tra due fuochi e non abbiamo forze sufficienti per affrontare
vittoriosamente il nemico. Ladrug freme, ma sa che l’ufficiale ha ragione.
All’arrivo delle tribù non avrebbero nessuna possibilità di salvezza. - Ripieghiamo, ma di Nocigranica non resterà pietra su pietra. Con l’arrivo della
fanteria la ritirata riprende. I soldati sono sempre più demotivati. Ogni
mattina si scoprono nuove diserzioni. Ci sono sentinelle la notte, che
dovrebbero impedire ai soldati di fuggire, ma spesso anche tra di loro
avvengono defezioni. Due soldati che volevano
scappare vengono sorpresi e bloccati. Ladrug li fa
impalare. Nel pomeriggio di quel giorno giungono a una delle principali città
del regno, posta alla confluenza di due fiumi. La posizione è ottima, la
città è facilmente difendibile e sarà possibile attendere in sicurezza
l’arrivo dei rinforzi richiesti alla capitale. Ma anche qui le porte sono
chiuse. È il governatore stesso, dall’alto delle mura, a dichiarare che la
città non riconosce Ladrug come re: la notizia
della sconfitta si è diffusa in fretta, la rivolta è dilagata e diversi
governatori hanno preferito schierarsi con gli insorti, per non rischiare di
finire come il loro collega di Nocigranica. L’esercito è costretto a
rimettersi in marcia. Nella notte moltissimi uomini disertano. Ladrug impone marce forzate per raggiungere la capitale.
Vorrebbe lasciare quel che rimane dell’esercito alle sue spalle, per arrivare
prima a Sjevredava,
ma teme che lasciato a se stesso l’intero esercito si sciolga. E non è sicuro
di poter controllare la capitale senza i soldati. Giungono intanto notizie
di ribellioni anche nelle altre città del regno. Molti si uniscono alle tribù
del Nord che marciano sulla capitale, senza fretta: sanno che il tempo gioca
a loro favore. Le città che hanno chiuso le porte all’esercito sconfitto le
aprono ai vincitori. Le diserzioni diventano sempre più numerose, anche tra
gli ufficiali. Quando Ladrug
giunge in vista di Sjevredava
l’esercito è ridotto a uno sparuto manipolo di ufficiali fedeli e soldati. La
città, tenuta sotto il rigido controllo della guardia reale, non si è
ribellata, anche se il malcontento serpeggia. È chiaro che la capitale non è
in grado di sostenere un assedio, ma Ladrug rifiuta
di abbandonarla. A lasciarla sono invece molti soldati, che non vogliono
combattere per un re ormai sconfitto, e molti cittadini, che temono un lungo
assedio. Corre voce che le tribù del Nord non si comportino con ferocia nei
confronti di chi non oppone resistenza. Sjevredava si prepara a un assedio a cui non può
resistere e che non avverrà. Due giorni dopo l’arrivo delle tribù del Nord, a
cui si sono uniti diversi guerrieri del regno, un soldato della città chiede
di parlare con i comandanti delle tribù. La notte le sentinelle di
guardia aprono una porta della capitale e gli assedianti entrano. Guidati dai
due gemelli, si dirigono al palazzo reale. Quando Ladrug
viene svegliato, la battaglia già infuria nel cortile del castello: gli
assalitori non hanno fatto fatica a entrare, perché i due gemelli conoscono
benissimo il palazzo reale e le sue fortificazioni. Presi di sorpresa, i
soldati di guardia si sono arresi per avere salva la vita. Ladrug si getta nella mischia furibondo. Capisce che se
gli attaccanti sono già nel cortile del palazzo, ormai tutto è perduto, ma
non può accettare di essere spodestato, dopo nemmeno un anno di regno. Quando lo vede, Wilk si
dirige verso di lui. I due gemelli vedono bene di notte, perché in loro vi è
anche il sangue dei figli di Lilith e quello dell’Orso-Lupo. Il duello è
impari, perché nessuno maneggia la spada come Wilk. La spada di Wilk trafigge Ladrug. In quel momento però un soldato, vedendo il suo
re ucciso, scaglia la sua lancia, che prende Wilk alla schiena. Niedzj grida,
un urlo di dolore che è un ruggito. Decapita il soldato con la sua ascia e
corre a sostenere Wilk, che è caduto in ginocchio. Stringe il fratello tra le
braccia, augurandosi che qualcuno uccida anche lui. - Wilk, Wilk! - Lo sape… vamo, Niedzj… Niedzj sta piangendo. Wilk
gli sorride e gli stringe la mano, mentre la vita lo lascia. La battaglia si conclude
in fretta. Il re è morto e ogni resistenza ormai è inutile. La reggia è stata
conquistata. Niedzj prende il comando
delle operazioni. Vorrebbe soltanto morire ed essere sepolto insieme al
fratello che ha perso la sua ultima vita, ma sa che deve provvedere a tutto
quello che è necessario. Il mattino seguente Sjevredava scopre che non ci sarà nessun
assedio, che Ladrug è stato ucciso da Wilk e che a
comandare è Niedzj, uno dei gemelli che
hanno sconfitto il tiranno. Niedzj convoca i notabili
e dichiara che il nuovo re, per diritto ereditario, è Drugivolk,
il figlio di Wilk, ancora in fasce. Nessuno può obiettare: tutti credono che
il bambino sia l’erede naturale delle due stirpi che hanno regnato su
Sjevekral, mentre in realtà in lui non scorre il sangue di Lazan. I notabili scelgono Niedzj come reggente. Niedzj trascorre la notte
seguente su una sedia accanto al letto dove è stato portato il corpo di Wilk:
è la seconda notte in cui veglia, perché in quella precedente c’è stata
l’ultima battaglia e poi c’erano troppe cose a cui pensare per poter
riposare. Niedzj guarda il corpo di
Wilk e il dolore lo strazia. Vorrebbe morire, ma deve pensare ai gemelli.
Verso mattina la stanchezza ha infine la meglio su di lui e si addormenta, la
testa poggiata sul letto. Quando si sveglia, il
corpo è scomparso. Nessuno sa spiegarsi come questo sia stato possibile, ma
molti ricordano che anche il corpo di Mjesecev scomparve mentre si
preparavano i funerali. La stirpe di Musum non è come le altre. |
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