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Nel palazzo reale Lazan ha nominato il figlio Ladrug erede al trono. I due gemelli sono stati esclusi dalla successione. Molti sospettano che siano morti: si sa che hanno raggiunto il confine settentrionale del regno con il sovrano, ma non sono tornati con lui. Devono essere stati ammazzati. Ma perché?

Molti fanno ipotesi: forse Lazan li ha fatti uccidere perché i gemelli non intendevano aspettare la sua morte per impadronirsi del trono; oppure perché volevano vendicare la famiglia della madre; o magari perché la seconda moglie lo ha convinto che Ladrug deve salire al trono al posto dei figli di Lahrab. Ognuno si tiene per sé le proprie idee o le scambia con pochi amici fidati: il re ha troppe spie e potrebbe non gradire che si parli della scomparsa dei gemelli.

 

Lazan ha eliminato i gemelli, ma è inquieto. Si chiede se su di lui non gravino altre minacce. Dopo due mesi di crescente inquietudine decide di sentire nuovamente l’indovino, per cui manda il messaggero Jadan da Prorok. L’inviato del re trova il veggente nella sua torre, ma l’indovino, senza lasciargli il tempo di riferire l’ordine del re, gli dice:

- Di’ al sovrano che ho risposto a tre sue domande e altro non posso fare per lui.

- Ho ordine di portarti con me, volente o nolente.

- Anche se tu mi trascinassi con la forza, non servirebbe a nulla: non dipende dalla mia volontà. Le domande del re rimarrebbero senza risposta.

Jadan manda una missiva al re, comunicando la risposta di Prorok. Il re risponde dando ordine di uccidere l’indovino: non può accettare un rifiuto. Ma quando Jadan e i soldati ritornano alla torre per eseguire l’ordine del sovrano, Prorok è scomparso.

Lazan è furibondo. Jadan viene fustigato a sangue e poi gettato in una cella.

Lo smacco subito rafforza il desiderio del re di conoscere il proprio futuro, ma Lazan non sa come fare. Non intende certo recarsi nell’Antro di Okrutan. Ci sono altri indovini e veggenti nel regno, ma è difficile sapere quali dicono la verità e quali sono soltanto ciarlatani.

Proprio mentre si pone il problema, l’ufficiale a capo della rete di spie gli comunica l’arrivo nella capitale di un indovino. Costui ha detto, a una richiesta di un cittadino, che i gemelli sono stati fatti decapitare per ordine del re e i loro cadaveri lasciati nudi nella foresta.

Lazan dà ordine di arrestare l’uomo.

La sera stessa le guardie portano davanti al re l’indovino. È un uomo molto alto, di carnagione scura, con una fitta barba e lunghi capelli rossicci. Non sembra essere spaventato e sorride, mettendo in mostra denti da lupo.

- Tu hai osato dire che ho fatto uccidere i gemelli.

- È la verità, mio sovrano. E tu lo sai benissimo. Eri presente quando il boia li ha decapitati, su tuo ordine.

- Impudente! Come osi parlarmi in questo modo?! Inginocchiati!

L’uomo non fa cenno di obbedire, ma i soldati lo afferrano e lo costringono a mettersi in ginocchio.

- Meriteresti che ti facessi decapitare!

L’uomo alza le spalle. Non sembra spaventato. Lazan vorrebbe farlo uccidere, ma quest’uomo conosce la verità: probabilmente è davvero un indovino o un veggente.

- Perdonerò la tua impudenza, se saprai rispondere alle mie domande.

- So che cosa vuoi chiedere: vuoi conoscere le minacce che gravano su di te.

- Esatto.

- Il tuo regno e la tua vita sono minacciati, Lazan, questo è vero. Un pericolo viene dagli uomini del Nord, oltre i confini. Due forti guerrieri hanno preso il comando di due tribù, che presto si uniranno nella lotta. Sai bene che le terre del Settentrione ospitano molti guerrieri ostili a te e a tuo figlio ed essi marceranno contro di te.

- Cosa?! Quei fottuti selvaggi oserebbero attaccare il mio regno?! E i traditori… Maledetti! Avranno quello che si meritano. Li schiaccerò!

A Lazan sembra che l’indovino sorrida.

- Dubiti forse che io sia in grado di ucciderli?

- Coloro che guidano le tribù del Nord troveranno la morte nelle battaglie che si preparano.

Lazan è soddisfatto della risposta.

- Questo è quanto accadrà. Li schiaccerò, te l’ho detto.

Lazan guarda l’indovino, che sorride e tace. Gli sembra che sia un sorriso di scherno e reagisce aspramente:

- Perché sorridi, maledetto?

- Ognuno di noi va incontro al suo destino.

- Che cosa significano le tue parole? Non parlare per enigmi.

- Ti ho detto ciò che desideravi. Non ti dirò altro.

Lazan non può accettare che qualcuno rifiuti di obbedire ai suoi ordini.

- Bada, se non mi rispondi, troverai la morte.

- Non sarai certo tu a darmi la morte!

- Come osi, impudente?!

L’uomo non risponde. Lazan lo fa rinchiudere in una cella sotterranea. Dopo una notte in cella sarà più disponibile a rispondere, altrimenti sarà squartato. Se invece risponderà, verrà decapitato: è un impudente e merita comunque la morte.

Nella notte però il prigioniero scompare. Nei sotterranei vengono trovati i cadaveri di due guardie con la gola squarciata: si direbbe un lupo li abbia sgozzati. Un soldato dice di aver visto un lupo correre nel cortile. Ma come ha potuto uscire dal palazzo di notte, quando tutte le porte sono sbarrate?

 

Lazan ha radunato l’esercito. Ha scelto con cura gli ufficiali sulla cui lealtà non ha dubbi, quelli che lo hanno aiutato a conquistare il trono: saranno loro a formare l’avanguardia e ad affiancare il sovrano. Nelle terre del Nord ci sono troppi guerrieri che non hanno mai accettato il potere di Lazan e anche tra coloro che servono il re, alcuni lo fanno malvolentieri. Il sovrano non vuole rischiare di vedersi tradito dalle sue stesse truppe.

L’esercito si mette in marcia poche settimane dopo il colloquio con l’indovino.

Non è la stagione giusta per affrontare le tribù del Nord: le montagne sono ancora strette nella gelida morsa invernale, la neve è alta e per l’esercito sarà difficile muoversi. Non c’è stato neppure il tempo perché Nocigranica e le province del Nord potessero prepararsi adeguatamente ad accogliere le truppe e fornire i rifornimenti necessari durante la marcia oltre i confini del regno. Ma Lazan è convinto di aver ragione rapidamente dei ribelli e non vuole lasciare loro il tempo di organizzarsi, perciò non si preoccupa, pensando di concludere la spedizione prima che i problemi di approvvigionamento diventino troppo gravi. I consiglieri regi sono di altro parere e molti ricordano la disastrosa spedizione del re Previs contro le tribù del Nord, ma conoscono troppo bene il re per opporsi alle sue decisioni: sanno che non conviene mai esprimere dubbi o dissenso, perciò si limitano a raccomandare prudenza, ben sapendo che il loro invito rimarrà inascoltato.

 

La notizia arriva alle tribù del Nord e non giunge inattesa: da tempo i veggenti dicevano che quando le tribù del Lupo e dell’Orso avessero cambiato re, ci sarebbe stato un attacco da parte del regno di Sjevekral.

Wilk e Niedzj si consultano con l’assemblea dei guerrieri delle loro tribù e poi si ritrovano per stabilire un piano d’azione. Per quanto gli uomini su cui regnano siano forti e coraggiosi, non possono pensare di affrontare l’esercito di Lazan in campo aperto, perché non sono abbastanza numerosi. Sulle montagne però l’esercito reale si troverà in difficoltà, per la scarsa conoscenza del territorio, che ha una natura impervia, e per la presenza della neve.

 

L’esercito raggiunge Nocigranica, dove altre truppe vengono raccolte, poi si dirige verso la catena di forti che difendono il confine settentrionale e la supera, inoltrandosi nella grande foresta ai piedi delle montagne. Qui molti dei sentieri estivi non sono percorribili e man mano che si sale la marcia diventa più difficile. Le guide conducono le truppe lungo sentieri innevati, di fianco a pendii scoscesi e strapiombi vertiginosi. Il passaggio è spesso tanto stretto da costringere gli uomini a procedere in fila indiana.

Lazan è impaziente di sterminare le tribù, ma non intende esporsi troppo, per cui ha mandato avanti una consistente avanguardia. Il re segue, con il grosso dell’esercito, e la retroguardia chiude la marcia.

Il sentiero infine scende verso il fondo di una valle e i soldati dell’avanguardia vedono i dirupi ridursi. Con grande sollievo osservano intorno a sé non più burroni, ma le pareti della montagna, che delimitano una lunga gola, sufficiente per il passaggio di più uomini affiancati. Sul fondo della gola lo strato di neve è molto più spesso e gli uomini affondano fino alle cosce. La marcia è più lenta e faticosa, ma gli uomini non si lamentano: la gola è sempre meglio del sentiero che correva di fianco ai precipizi.

Il canalone sembra allargarsi: tra poco ne usciranno.

Un po’ di neve cade addosso agli uomini. Questi si chiedono se tra poco nevicherà, ma in cielo ci sono solo alcune nuvole, che non paiono minacciose. Forse è solo neve che si è staccata dalla parete.

Il boato li sorprende. Alzano il capo e vedono massi e neve rotolare a valle, travolgendo tutto nella loro corsa. L’intera avanguardia viene travolta dalla furia distruttrice della valanga.

Il re e i soldati che lo accompagnano stanno percorrendo il tratto iniziale della gola. Sentono il rumore, più avanti, vedono la nuvola di neve sollevata e si fermano, incerti. E mentre stanno discutendo sul da farsi, un secondo boato annuncia una nuova valanga, che si abbatte su di loro.

Molti vengono travolti. Gli altri si ritrovano bloccati nella gola, tra le due valanghe.

Lazan non può né avanzare, né arretrare. Oltre la valanga all’inizio della gola ci sono molti soldati, ma superare l’ostacolo costituito dalla neve e dai massi richiederà tempo.

Lazan e i suoi consiglieri hanno capito benissimo che le due valanghe non sono eventi naturali, ma sono state provocate ad arte. E infatti sul pendio innevato appaiono  gli uomini delle tribù dei Lupi e degli Orsi, che tempestano le truppe di frecce.

La gola offre ben pochi ripari e i soldati sono rapidamente decimati. I guerrieri delle tribù scendono allora ad attaccare, armati di spada e ascia. Abituati a combattere nella neve, hanno facilmente la meglio sui soldati e avanzano verso il gruppo che si è stretto intorno al re.

Qualcuno dei soldati cerca una fuga impossibile, sperando di superare la valanga che chiude l’ingresso della gola. Lazan dà ordine di abbattere i fuggiaschi. Un ufficiale esita a dare l’ordine: che senso ha uccidere i propri uomini, mentre ci si trova ad affrontare un nemico? Lazan sguaina la spada e lo colpisce. L’ufficiale cade a terra e i soldati scagliano le lance contro i fuggitivi.

I guerrieri delle due tribù ormai si stanno avvicinando agli ultimi difensori e Lazan vede, incredulo e sgomento, che a guidarli sono Wilk e Niedzj.  I gemelli fanno strage dei difensori e dietro di loro tutti gli uomini della tribù combattono valorosamente un nemico che ancora non si arrende, ma ormai è sconfitto.

Lazan stesso combatte, ma i suoi uomini cadono uno dopo l’altro e infine il re si ritrova davanti i due gemelli. Sa di essere perduto.

Grida, con una voce che il terrore rende stridula:

- Siete spettri, maledetti!

Wilk ride e risponde:

- Forse, ma questa spada non è uno spettro.

E con un rapido movimento infila la spada nel petto del re. Niedzj abbatte l’ascia sul suo collo, troncandolo di netto. La battaglia si è conclusa.

- Ritiriamoci, ora. Gli altri non tarderanno ad arrivare.

E infatti i soldati rimasti bloccati all’esterno della gola stanno faticosamente avanzando per raggiungere il loro re, ma quando il grosso dell’esercito riesce a superare la valanga e a raggiungere gli altri, la battaglia si è già conclusa e restano solo i cadaveri al suolo.

Wilk e Niedzj proteggono la ritirata, combattendo contro i soldati che li incalzano. Sono gli ultimi e fanno strage dei nemici, che infine rinunciano a inseguirli. Ma sono arrivati i lancieri e uno di loro dalla gola scaglia una lancia contro Wilk. Niedzj se n’accorge: spinge il fratello di lato e la lancia destinata a Wilk lo trafigge.

Wilk urla. Niedzj gli dice:

- Vattene… Wilk… mettiti… in salvo…

Wilk non vuole abbandonare il fratello. Niedzj sa che c’è un solo modo per allontanarlo. Con le ultime forze dice:

- Vivi per vendicarmi.

Poi gira la testa di lato, un po’ di sangue esce dalla sua bocca e il suo corpo rimane esanime.

Wilk annuisce. Vivrà per vendicare Niedzj. Ma mentre lo pensa, una lancia lo colpisce. Wilk si dice che è meglio così. Morire accanto a Niedzj è molto meglio che vivere senza di lui.

I guerrieri non vogliono lasciare i corpi dei loro re al nemico. Rimanendo chinati per sfuggire alle frecce e alle lance, riescono a recuperarli e a portarli con sé nella ritirata. I soldati rinunciano a inseguirli: non vogliono finire come gli ufficiali e il re, i cui cadaveri giacciono tutt’intorno a loro.

 

Per gli uomini delle due tribù è un triste ritorno. Hanno sconfitto il nemico e decimato il suo esercito, hanno allontanato la minaccia e pochi guerrieri sono morti nell’impresa, ma hanno perso i loro re, amati e stimati da tutti.

I corpi vengono portati nell’accampamento che è stato allestito in una delle grotte della montagna. È una caverna molto estesa, che si addentra in profondità, diramandosi. Nessuno l’ha mai esplorata completamente: torrenti, cascate e laghi bloccano certi passaggi.

I gemelli vengono deposti in una delle caverne laterali che sono collegate alla grande sala centrale: sarà la loro camera funeraria. I corpi vengono spogliati. Quando sorgerà il giorno verranno lavati.

Poi gli uomini delle due tribù accendono un grande fuoco nella sala centrale, davanti al passaggio che porta alla camera funeraria. Si siedono tutti davanti al fuoco, ma rivolti al lato opposto, e intonano un canto funebre. Più tardi si taglieranno i capelli in segno di lutto. Il fuoco che arde alle loro spalle proietta le loro ombre sulle pareti.

A un tratto un’ombra sembra aggiungersi, scivolando tra le altre, quella di un uomo molto alto che cammina. Ma non c’è nessuno in piedi nella caverna. Il canto tace e tutti osservano sgomenti l’ombra, che si dirige verso la camera funeraria. A tratti sembra assumere i contorni di un lupo, poi di un orso, poi riprende forma umana. Nessuno osa parlare, nessuno si muove. Sanno a chi appartiene l’ombra: è l’Orso-Lupo, che entrambe le tribù considerano il loro nume tutelare. L’Orso-Lupo è venuto per i due re.

L’ombra scompare nel passaggio che porta alla camera funeraria. Ora si sentono delle voci. Gli uomini si guardano. Sono guerrieri coraggiosi, abituati a d affrontare ogni sorta di pericoli, ma ciò che sta avvenendo incute loro timore.

Poco dopo l’ombra riappare e si dirige verso l’ingresso della grotta.

I guerrieri si guardano, confusi. Non sanno se riprendere il canto funebre.

E di colpo sentono le voci dei loro re.

- Siamo qui, guerrieri.

Tutti si voltano e fissano i gemelli, che sui corpi nudi hanno ancora il sangue colato dalle ferite.  C’è un momento di silenzio, poi è tutto un intrecciarsi di voci, esclamazioni, domande.

I gemelli alzano le mani per richiedere silenzio.

- Non vi stupite di vederci vivi. Abbiamo tre vite, perché in noi c’è il seme di Vukmedje, l’Orso-Lupo. Una vita ci è stata tolta da Lazan, a tradimento. Una seconda dai suoi soldati. Ora ci rimane un’ultima vita.

Un uomo esclama:

- Che essa sia lunga, sovrano.

Gli altri gridano la loro approvazione, ma Wilk scuote la testa. Niedzj dice:

- Il nostro tempo è breve, ma prima che si concluda, vogliamo completare l’opera avviata, sventando la minaccia che incombe su di noi.

Le parole di Niedzj turbano gli uomini, ma sanno che non è possibile opporsi al destino.

Niedzj e Wilk si siedono accanto al fuoco e i guerrieri si spostano, disponendosi in cerchio. Si parla della prosecuzione della guerra. Sono quasi tutti convinti che l’esercito si ritirerà, ma questo non significa la fine del conflitto: il nuovo re non può certo lasciare impunita la morte del padre, anche se è stato Lazan ad aggredire le tribù del Nord. Bisognerà prepararsi per la spedizione che di certo si terrà in primavera o in estate.

 

L’esercito si ritira a Nocigranica: dopo la pesante sconfitta subita, cercare di penetrare ulteriormente nel territorio delle tribù sarebbe follia.

Viene avvisato Ladrug, che è rimasto nella capitale come reggente.

A Ladrug non spiace che il padre sia morto, perché questo gli permette di salire al trono. Mentre si dirige a Nocigranica il nuovo re riflette sul da farsi. Non può certo lasciare impuniti coloro che hanno ucciso suo padre, ma adesso una nuova spedizione, con un esercito decimato, rischierebbe di essere fallimentare e una sconfitta potrebbe provocare lo scoppio di una rivolta. Ladrug sa bene di non essere popolare, come non lo era suo padre: il regime di terrore che Lazan ha instaurato incute paura, ma di certo non ispira amore. Sulla fedeltà dei suoi sudditi sa di poter contare solo nella misura in cui è garantita dalla paura. Ma il giorno in cui Ladrug non incutesse più timore, il suo regno sarebbe destinato a finire.

A Nocigranica Ladrug può misurare l’entità della disfatta, che è maggiore di quanto avesse temuto: tra gli ufficiali più fedeli, che il re teneva accanto a sé, quasi nessuno è sopravvissuto; le truppe sono state decimate; il morale dei soldati è molto basso.

Il nuovo re decide che affronterà le tribù del Nord dopo la fine dell’inverno. Davanti ai notabili della città, riuniti per accogliere il sovrano, promette di vendicare il padre, di sterminare tutti i guerrieri che vivono ai piedi della grandi montagne e di ampliare i confini del regno.

In realtà i suoi obiettivi sono molto più limitati, ma Ladrug vuole mostrarsi implacabile e determinato.

Il suo discorso viene ripetuto molte volte e presto ne vengono a conoscenza anche le tribù del Nord: non solo quelle del Lupo e dell’Orso, che sanno di essere il principale bersaglio, ma anche le altre. Non hanno motivi di contrasto con il regno e non capiscono perché Lazan abbia attaccato due tribù che non erano ostili e ora voglia sottomettere tutte le altre. Non intendono perdere la loro libertà e prendono contatto le une con le altre per organizzarsi. Per alcuni mesi vi sono frequenti incontri, che portano infine a un’alleanza tra le diverse tribù. Esse scelgono come comandante comune Wilk.

A Sjevredava Ladrug medita sul da farsi. Fa reclutare nuovi soldati, forzando contadini, operai e artigiani ad arruolarsi per la grande spedizione che si terrà nell’estate. Il reclutamento forzato colpisce le famiglie e le attività economiche del regno e incontra molte resistenze. Al malcontento popolare il re reagisce nell’unico modo che conosce: con una repressione spietata. Due uomini vengono impiccati perché in una taverna hanno disapprovato la guerra scatenata contro le tribù del Nord. Quattro soldati sono impalati per aver avere osato criticare l’organizzazione della fallimentare spedizione di Lazan.

Le esecuzioni rendono i cittadini ancora più prudenti di quanto non fossero al tempo di Lazan, ma non accrescono certamente la popolarità del nuovo re. I consiglieri più esperti se ne rendono conto, ma preferiscono non esprimere il loro dissenso: all’unico che ha osato avanzare alcuni dubbi sulla feroce repressione Ladrug ha fatto mozzare la lingua.

 

Il re affida l’organizzazione della spedizione al più esperto degli ufficiali sopravvissuti. Nessuno però conosce bene le terre del Nord e dopo il disastro invernale i soldati sono demoralizzati. Le nuove reclute devono essere formate e questo richiede tempo.

Lo stesso Ladrug non è impaziente di partire per la spedizione: non ama mettere a rischio la vita e il regno.

Quando arriva la primavera, l’esercito non è ancora pronto. La spedizione viene rinviata più volte, fino all’inizio dell’autunno, quando infine le truppe si avviano, guidate dal re in persona. Non c’è ancora neve a Nord, se non sulle cime dei monti. Ladrug conta di sconfiggere le tribù del Lupo e dell’Orso in breve tempo e attaccare ancora qualche altra tribù, poi la neve fornirà un buon motivo per ritirarsi senza aver completato la conquista delle terre oltre il confine settentrionale, obiettivo chiaramente impossibile da raggiungere. Se le due tribù degli Orsi e dei Lupi saranno state sterminate completamente, le altre capiranno che è meglio non opporsi al re di Sjevekral. I pali su cui saranno infilzati i corpi di tutti i guerrieri delle due tribù, vivi o morti, saranno un monito sufficiente per chiunque osi mettere in discussione l’autorità di Ladrug, figlio di Lazan.

 

I contatti tra le tribù sono continuati per tutta l’estate, grandi lavori sono stati fatti in segreto e i guerrieri del Nord sono pronti ad affrontare il nemico assai prima che l’esercito si metta in marcia.

Alla fine dell’estate Wilk diventa padre di due gemelli, che portano uno il segno del Lupo e l’altro quello dell’Orso. Il primo viene chiamato Drugivolk, il secondo Drunjed. Drugivolk non ha nessun segno particolare, mentre Drunjed ha due segni a forma di stella, di colore giallo: uno è dietro lo scroto, l’altro sul ginocchio destro. Wilk è felice di questa nascita e spera che ai due figli siano risparmiate le sofferenze che hanno patito lui e Niedzj. Vede ogni tanto il fratello, quando i capi delle diverse tribù si riuniscono, ma di rado riescono a trascorrere una notte insieme e a ogni incontro lo strazio della separazione si rinnova.

 

L’autunno è già incominciato quando infine l’esercito raggiunge Nocigranica e di lì si dirige verso Nord. Evitando i sentieri che si inerpicano sulle montagne, le truppe percorrono la valle del grande fiume, tenendosi sulla riva occidentale. Il fiume garantisce il rifornimento di acqua e, essendo il terreno in pendenza, la corrente tumultuosa protegge da attacchi dall’Est: non ci sono guadi e chi si allontana dalla riva, anche se è un nuotatore esperto, rischia di essere trascinato via. Nei primi due giorni di marcia non ci sono problemi. La sera del terzo giorno raggiungono una grande ansa del fiume, che forma una vasta penisola boscosa. Qui possono accamparsi con sicurezza: la pendenza del terreno è più forte e la corrente tanto violenta da rendere impossibile entrare in acqua senza essere trascinati via. Bisogna solo controllare la parte settentrionale, dove vengono messi di guardia molti soldati. Vengono montate le tende per il re e gli ufficiali, mentre i soldati si stendono tra gli alberi. Nessuno pensa a un possibile attacco e molti si addormentano tranquilli, nonostante il forte vento che soffia da Nord. Il cielo è coperto dalle nuvole e il buio è fitto.

Nel cuore della notte le sentinelle vedono un fuoco che si accende, poi un secondo e un terzo. Non capiscono che cosa stia succedendo. Non osano dirigersi verso i fuochi, temendo di cadere in una trappola. Chiamano gli ufficiali. Due ufficiali e una decina di soldati vanno in esplorazione, ma non fanno ritorno.

I fuochi si moltiplicano, formando una linea quasi continua, che blocca completamente la penisola. Frecce incendiarie volano in alto, dando fuoco agli alberi.

L’accampamento è in subbuglio, tutti si sono destati. Bisogna spegnere le fiamme, che avanzano rapidamente. C’è l’acqua del fiume, ma non ci sono certo abbastanza secchi per soffocare l’incendio che rapidamente si estende.

Chi cerca di fuggire attraverso gli spazi che si aprono nella linea delle fiamme, viene abbattuto dalle frecce e dalle lance. Chi riesce a scampare alle frecce e alle lance trova la morte quando pensa di essere in salvo: nel buio della notte i guerrieri figli di Lilith vedono le loro prede e non sbagliano a colpire con la spada.

Le fiamme avanzano. Qualcuno si getta nel fiume e la corrente lo inghiotte. Il re esige di essere messo in salvo.

Gli ufficiali fanno raccogliere tutti i secchi disponibili, per spegnere l’incendio a un’estremità della linea di fuoco e permettere il passaggio dei cavalieri. I soldati vengono mandati all’attacco in un altro punto, per impedire che il nemico si accorga per tempo della fuga del re.

La manovra ha successo e il re, con alcuni cavalieri, riesce a passare. Anche molti soldati cercano di uscire dalla trappola. Alcuni si salvano, diversi trovano la morte a opera dei guerrieri delle tribù del Nord.

Quando sorge l’alba, Ladrug raccoglie quanto rimane dell’esercito: parecchi cavalieri e un numero irrisorio di fanti. Le truppe non sono certamente in grado di affrontare le tribù del Nord. Un cavaliere viene inviato a Nocigranica per richiedere l’invio di soccorsi.

Incomincia una lenta ritirata, ma il secondo giorno in lontananza si vedono i guerrieri delle tribù del Nord che avanzano: inseguono l’assalitore in fuga.

Ladrug accelera la marcia, lasciando indietro quel che rimane della fanteria: vuole rifugiarsi a Nocigranica con le truppe rimaste. Giunto di fronte alle mura, lo attende una sorpresa: le porte della città sono chiuse e non vengono aperte. Da una delle torri accanto alla porta del Nord pende il cadavere di Ravasti, il governatore della città, che aveva partecipato alla congiura contro Osmikr e Kralj.

Ladrug guarda allibito. Non capisce.

- Che cosa significa questo?

Uno degli ufficiali gli risponde:

- Temo che la città si sia ribellata alla notizia della disfatta. Non intendono aprirci le porte.

- Maledetti! L’assedieremo e la raderemo al suolo. Moriranno tutti.

Gli ufficiali si guardano. Sanno che non c’è il tempo e non ci sono le forze per porre un assedio e non esiste nessuna possibilità di conquistare Nocigranica prima dell’arrivo dei loro inseguitori. Non osano dirlo, ma il re dovrebbe saperlo.

Uno di loro si fa coraggio e dice:

- Maestà, certamente la città va rasa al suolo e la popolazione sterminata. Lo faremo non appena l’esercito sarà stato ricostituito. Adesso assediare la città significherebbe trovarci tra i difensori all’interno delle mura e le tribù che si avvicinano: saremmo presi tra due fuochi e non abbiamo forze sufficienti per affrontare vittoriosamente il nemico.

Ladrug freme, ma sa che l’ufficiale ha ragione. All’arrivo delle tribù non avrebbero nessuna possibilità di salvezza.

- Ripieghiamo, ma di Nocigranica non resterà pietra su pietra.

Con l’arrivo della fanteria la ritirata riprende. I soldati sono sempre più demotivati. Ogni mattina si scoprono nuove diserzioni. Ci sono sentinelle la notte, che dovrebbero impedire ai soldati di fuggire, ma spesso anche tra di loro avvengono defezioni.

Due soldati che volevano scappare vengono sorpresi e bloccati. Ladrug li fa impalare. Nel pomeriggio di quel giorno giungono a una delle principali città del regno, posta alla confluenza di due fiumi. La posizione è ottima, la città è facilmente difendibile e sarà possibile attendere in sicurezza l’arrivo dei rinforzi richiesti alla capitale.

Ma anche qui le porte sono chiuse. È il governatore stesso, dall’alto delle mura, a dichiarare che la città non riconosce Ladrug come re: la notizia della sconfitta si è diffusa in fretta, la rivolta è dilagata e diversi governatori hanno preferito schierarsi con gli insorti, per non rischiare di finire come il loro collega di Nocigranica.

L’esercito è costretto a rimettersi in marcia. Nella notte moltissimi uomini disertano. Ladrug impone marce forzate per raggiungere la capitale. Vorrebbe lasciare quel che rimane dell’esercito alle sue spalle, per arrivare prima a Sjevredava, ma teme che lasciato a se stesso l’intero esercito si sciolga. E non è sicuro di poter controllare la capitale senza i soldati.

Giungono intanto notizie di ribellioni anche nelle altre città del regno. Molti si uniscono alle tribù del Nord che marciano sulla capitale, senza fretta: sanno che il tempo gioca a loro favore. Le città che hanno chiuso le porte all’esercito sconfitto le aprono ai vincitori. Le diserzioni diventano sempre più numerose, anche tra gli ufficiali.

Quando Ladrug giunge in vista di Sjevredava l’esercito è ridotto a uno sparuto manipolo di ufficiali fedeli e soldati. La città, tenuta sotto il rigido controllo della guardia reale, non si è ribellata, anche se il malcontento serpeggia. È chiaro che la capitale non è in grado di sostenere un assedio, ma Ladrug rifiuta di abbandonarla. A lasciarla sono invece molti soldati, che non vogliono combattere per un re ormai sconfitto, e molti cittadini, che temono un lungo assedio. Corre voce che le tribù del Nord non si comportino con ferocia nei confronti di chi non oppone resistenza.

Sjevredava si prepara a un assedio a cui non può resistere e che non avverrà. Due giorni dopo l’arrivo delle tribù del Nord, a cui si sono uniti diversi guerrieri del regno, un soldato della città chiede di parlare con i comandanti delle tribù.

La notte le sentinelle di guardia aprono una porta della capitale e gli assedianti entrano. Guidati dai due gemelli, si dirigono al palazzo reale.

 

Quando Ladrug viene svegliato, la battaglia già infuria nel cortile del castello: gli assalitori non hanno fatto fatica a entrare, perché i due gemelli conoscono benissimo il palazzo reale e le sue fortificazioni. Presi di sorpresa, i soldati di guardia si sono arresi per avere salva la vita. Ladrug si getta nella mischia furibondo. Capisce che se gli attaccanti sono già nel cortile del palazzo, ormai tutto è perduto, ma non può accettare di essere spodestato, dopo nemmeno un anno di regno.

Quando lo vede, Wilk si dirige verso di lui. I due gemelli vedono bene di notte, perché in loro vi è anche il sangue dei figli di Lilith e quello dell’Orso-Lupo. Il duello è impari, perché nessuno maneggia la spada come Wilk.

La spada di Wilk trafigge Ladrug. In quel momento però un soldato, vedendo il suo re ucciso, scaglia la sua lancia, che prende Wilk alla schiena. Niedzj grida, un urlo di dolore che è un ruggito. Decapita il soldato con la sua ascia e corre a sostenere Wilk, che è caduto in ginocchio.

Stringe il fratello tra le braccia, augurandosi che qualcuno uccida anche lui.

- Wilk, Wilk!

- Lo sape… vamo, Niedzj…

Niedzj sta piangendo. Wilk gli sorride e gli stringe la mano, mentre la vita lo lascia.

La battaglia si conclude in fretta. Il re è morto e ogni resistenza ormai è inutile. La reggia è stata conquistata.

Niedzj prende il comando delle operazioni. Vorrebbe soltanto morire ed essere sepolto insieme al fratello che ha perso la sua ultima vita, ma sa che deve provvedere a tutto quello che è necessario.

Il mattino seguente Sjevredava scopre che non ci sarà nessun assedio, che Ladrug è stato ucciso da Wilk e che a comandare è Niedzj, uno dei gemelli che  hanno sconfitto il tiranno.

Niedzj convoca i notabili e dichiara che il nuovo re, per diritto ereditario, è Drugivolk, il figlio di Wilk, ancora in fasce. Nessuno può obiettare: tutti credono che il bambino sia l’erede naturale delle due stirpi che hanno regnato su Sjevekral, mentre in realtà in lui non scorre il sangue di Lazan. I notabili scelgono Niedzj come reggente.

Niedzj trascorre la notte seguente su una sedia accanto al letto dove è stato portato il corpo di Wilk: è la seconda notte in cui veglia, perché in quella precedente c’è stata l’ultima battaglia e poi c’erano troppe cose a cui pensare per poter riposare.

Niedzj guarda il corpo di Wilk e il dolore lo strazia. Vorrebbe morire, ma deve pensare ai gemelli. Verso mattina la stanchezza ha infine la meglio su di lui e si addormenta, la testa poggiata sul letto.

Quando si sveglia, il corpo è scomparso. Nessuno sa spiegarsi come questo sia stato possibile, ma molti ricordano che anche il corpo di Mjesecev scomparve mentre si preparavano i funerali. La stirpe di Musum non è come le altre.

 

 

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