7 - Inverno

 

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È ormai inverno quando Harry raggiunge Londra. La necessità di guadagnarsi da vivere lo ha costretto a fermarsi più volte e con il passare dei giorni e il peggioramento del tempo, è diventato sempre più difficile trovare qualche lavoro occasionale in campagna. Harry ha patito spesso la fame. Si è imposto di arrivare a Londra comunque, ma sono due giorni che cammina nutrendosi soltanto di un po’ di pane.

Harry è stremato. La sua unica speranza è lo zio.

La casa dello zio è a Putney, un piccolo borgo a sud di Londra, oltre il Tamigi. Harry non ha l’indirizzo esatto. Sa che la casa è vicino alla chiesa di St. Mary, dalle parti del Putney Bridge.

Putney è poco più di un villaggio, circondato da campi e boschi, ma vi si vedono diverse nuove costruzioni: Londra è molto vicina, i londinesi vengono a Putney per escursioni di mezza giornata in campagna, per le corse di cavalli e per la caccia. Vi si veniva anche per i duelli, fino a qualche tempo fa. Qualcuno, soprattutto la sera, vi viene per andare nella casa dell’Irlandese, dove si sta recando Harry, ma questo il giovane non lo sa.

A piedi dal centro di Londra, dove Harry è arrivato nel primo pomeriggio, a Putney la strada è lunga, ma Harry non può certo permettersi di pagare qualche scellino per una carrozza: le sue tasche sono completamente vuote. La città è avvolta in una nebbia che con il passare delle ore diventa sempre più fitta. Harry chiede più volte la strada: nel grigio che nasconde il paesaggio non riesce a scorgere gli edifici che alcuni gli hanno indicato come punti di riferimento, neanche quando sono a pochi passi.

Nelle vicinanze del Tamigi la nebbia è tale che quando Harry raggiunge il ponte il fiume non si vede: se ne sente solo il rumore, che sembra un rombo minaccioso.

Harry chiede a un passante:

- Mi scusi, cerco la casa del signor O’Brian. Sa dov’è?

L’uomo non sa chi sia O’Brian. Harry spiega che dev’essere vicino alla chiesa di St. Mary e l’uomo gli indica la direzione. Giunto alla chiesa, Harry chiede altre due volte, ma senza risultato. Si appoggia contro il muro di una casa, scoraggiato. Davanti a lui un muro di nebbia lascia appena intravedere la finestra di una casa. Sembra che il mondo sia scomparso, dissolto in questa nebbia fredda. Harry rabbrividisce.

Sente dei passi avvicinarsi. È un signore ben vestito, con un’aria distinta, di quelli che di solito non girano a piedi. L’uomo lo vede all’ultimo momento e ha un piccolo movimento di sorpresa, forse di spavento: questa nebbia fitta è l’ideale per un agguato. Harry chiede anche a lui dove si trova la casa dell’Irlandese. Il passante, tranquillizzato dal tono gentile, scoppia a ridere e dice:

- O’Brian, l’Irlandese! Però!

Harry non capisce. Rimane interdetto. L’uomo scuote la testa, guardando Harry, ride ancora e dice:

- Prendi quella strada e poi svolta a destra. C’è una lanterna proprio vicino alla porta.

L’uomo ghigna, scuote nuovamente il capo e si allontana.

Harry è disorientato, ma non dà troppo peso alle parole dello sconosciuto. L’importante è arrivare. Gli sembra impossibile di essere alla fine di questo viaggio angoscioso. Tra poco troverà lo zio, che di sicuro gli darà una mano.

Harry imbocca la via che gli ha segnalato il passante. Vede una casa con una lanterna vicino alla porta. Bussa.

Un uomo apre la porta.

- Buonasera. Mi chiamo Niall O’Brian e sono nipote del signor Patrick. Vorrei parlare con lui.

L’uomo, che dev’essere il portiere, lo guarda perplesso.

- Patrick? Patrick O’Brian?

Harry è stupito della domanda: si è presentato come O’Brian, ha detto che Patrick è suo zio, è ovvio che cerca Patrick O’Brian.

- Certo.

- Il signor O’Brian non vive più qui.

Harry ha l’impressione che il mondo gli crolli addosso. Chiede, quasi balbettando:

- Non vive più qui? Non sa dove si è trasferito?

Il portiere guarda un attimo Harry, poi dice:

- Entri. Vado a sentire se il padrone può parlarle.

Harry entra. Il portiere lo accompagna in una stanza, dove ci sono due sedie, un divano e una poltrona. Harry si lascia andare su una sedia. Tutta la stanchezza degli ultimi due mesi pesa su di lui.

E adesso?

Qualcuno bussa alla porta. Il portiere va ad aprire e introduce nella stanza un altro uomo, sui cinquanta, che fissa Harry con interesse.

Il portiere esce. L‘uomo si rivolge a Harry, sorridendo.

- Lavori qui?

Harry lo guarda senza capire.

- No. Cerco mio zio.

L’uomo aggrotta la fronte.

- Tuo zio?

Per un attimo Harry pensa che forse l’uomo conosce suo zio, visto che viene in questa casa, e sa dove si trova.

- Sì, Patrick O’Brian.

- Ah, sei il nipote dell’Irlandese! Ma non dirige più lui la casa. Se n’è andato tre mesi fa. Dicono che sia in America.

Harry non riesce a parlare. Ha un groppo alla gola.

L’uomo prosegue:

- Conti di lavorare qui? Uno come te di sicuro lo prendono.

Harry sta per chiedere che lavoro si fa, quando un uomo entra nella stanza. Deve avere qualche anno in più di Harry e ha barba e capelli scuri. Ha la camicia aperta, che mostra il suo torace villoso.

Il nuovo arrivato lancia una rapida occhiata a Harry, poi si avvicina all’altro uomo e gli dice, con un tono tra l’ironico e il serio:

- Ben tornato. Mentre mi aspetti ti dai da fare con un altro? Sei proprio una troia.

Harry rimane sbalordito. L’uomo invece ridacchia, si alza e dice, con una voce quasi femminile, diversa da quella che ha appena usato con Harry:

- Ma che dici? Sai che per me ci sei solo tu, tesoro.

Poi si avvicina, gli cinge la vita con il braccio e così allacciati i due escono dalla stanza. Sulla soglia l’uomo si volta e fa l’occhiolino a Harry.

Harry ha intuito. Uno dei servitori di lord Tumblestone aveva lavorato a Londra e diceva che c’era anche qualche bordello per uomini, dove di solito ci si prostituivano ragazzini. Suo zio gestiva un bordello per uomini o il nuovo proprietario ha trasformato la casa in un bordello? L’uomo ha detto che lo zio non dirige più la casa. Quindi era già un bordello prima.

Harry non è scandalizzato: in paese il disprezzo che il prete ha sempre dimostrato nei confronti di sua madre, colpevole di aver subito una violenza, e di lui, frutto di quella violenza, lo ha allontanato dalla religione. La vita nella tenuta dei Tumblestone gli ha insegnato quanta ipocrisia si celi dietro l’ostentazione della virtù: il figlio di Tumblestone ha ingravidato almeno due domestiche, ma loro sono state allontanate dalla casa come colpevoli e il giovane Tumblestone continua a insidiare le serve.

In un’altra situazione, l’idea che lo zio gestisse un bordello lo divertirebbe persino, ma adesso è angosciato. Che cosa farà? Andrà a dormire in qualche angolo della strada, rischiando di morire assiderato? Non mangia da due giorni e si regge a fatica in piedi.

 

Il portiere ritorna dopo pochi minuti.

- Venga, signor O’Brian. Il signor Ronaldson lo aspetta.

Harry segue l’uomo su per le scale, fino a una stanzetta al piano superiore. Un uomo è seduto su una poltrona e lo guarda entrare. Non deve avere più di vent’anni e se non fosse per la lunga barba nera, Harry penserebbe che è ancora un ragazzo. Harry è stupito di trovare un uomo così giovane a dirigere un bordello.

L’uomo non si alza. Harry rimane in piedi.

- E così tu saresti il nipote di Patrick. Ma non si chiamava Niall.

- Mi chiamano Harry.

L’uomo annuisce.

- Sì, il nome che conoscevo. E direi che puoi essere davvero il nipote dell’Irlandese. Gli assomigli parecchio: i capelli, gli occhi e il naso soprattutto. Ma anche la corporatura.

- Io… cerco mio zio.

- Tuo zio è da qualche parte negli USA.

Harry annuisce. Non sa che cosa dire.

- Siediti, ragazzo.

Harry si abbandona sulla sedia. È l’uomo a parlare.

- Io mi chiamo Peter Ronaldson. Perché cercavi tuo zio?

- Io… io ho dovuto andare via dall’Irlanda.

- Perché?

Harry scuote la testa. Che senso ha raccontare a questo sconosciuto?

Peter coglie l’incertezza di Harry. Non dice nulla per un momento, poi, davanti al protrarsi del silenzio di Harry, chiede:

- Cercavi aiuto? Contavi che tuo zio ti aiutasse?

 Harry annuisce.

- Senti, se vuoi che ti dia una mano, devi raccontarmi la verità. Solo così posso capire come aiutarti.

Harry esita. Ha senso mettersi nelle mani di questo sconosciuto? Ma ci sono altre possibilità? Che cosa può fare? Uscire nella notte e buttarsi a dormire in qualche angolo? 

Harry scuote la testa. Peter alza le spalle.

- Come vuoi. Puoi andartene, ma c’è una cosa che devo dirti e che forse potrebbe cambiare la tua situazione. Il tenente Hardy è passato di qua alla ricerca di tue notizie, qualche settimana fa.

- Il tenente Hardy?

Harry non ha la più pallida idea di chi sia il tenente Hardy.

- Sì, noi lo chiamiamo così, ma adesso lavora nella polizia. Era… ma che hai?

Harry è impallidito. La polizia lo cerca, Tumblestone deve averlo denunciato, avrà raccontato che ha rubato nella casa, come hanno detto i suoi uomini al carrettiere che lo portava a Dublino.

Harry scuote la testa. È perduto. Harry respira a fatica. Non si aspettava questo colpo.

Peter osserva:

- Posso darti il suo indirizzo. Mi ha detto di metterti in contatto con lui se ti fossi presentato qui.

Harry fa nuovamente un cenno di diniego. Si copre il viso con le mani, poi le toglie e incomincia a raccontare.

- Lavoravo per lord Tumblestone, nel Leinster. Guardavo i cani, ero un whipper. Circa tre mesi fa c’erano diversi ospiti. Uno era un conte, un certo Bentham, di Londra.

Sul viso di Peter appare un’espressione di stupore, poi un ghigno.

Harry esita un attimo, poi riprende.

- Una sera, mentre mi lavavo, questo Bentham si è avvicinato a me e…

- Voleva scopare o, meglio, voleva farsi scopare da te.

Harry guarda Peter stupefatto.

- Prosegui, Harry.

- Sì, insomma, lui si è messo contro un albero e io ho fatto quello che lui voleva, ma è arrivato lord Tumblestone. Bentham… lord Bentham, ha detto che io volevo violentarlo, che lo avevo colpito. Non era vero.

- Certo che non era vero, ma era una buona scusa per salvare la faccia.

Harry annuisce. Prosegue:

- Lord Tumblestone voleva farmi ammazzare. Sono riuscito a scappare. La mia unica speranza era mio zio. Non ho nessun altro a cui rivolgermi.

Peter sorride.

- Ti credo, Harry. So benissimo chi è Bentham. Nel giro è noto.

Peter riflette un momento: si chiede che cosa fare. Si dice che può pensarci con calma, non è necessario decidere ora.

- Senti, Harry. Tu non hai un posto per dormire e magari è anche un po’ che non mangi qualche cosa. O mi sbaglio?

Harry guarda Peter negli occhi, senza dire niente. Annuisce.

- Allora questa notte puoi fermarti qui e adesso ti farò portare qualche cosa da mangiare. Poi vedremo il da farsi.

- Grazie.

Peter dà ordine di dare da mangiare a Harry e di preparargli una camera.

Harry ringrazia ancora ed esce.

Peter rimane solo nella stanza. Sorride. Il ragazzo è merce di gran lusso. Potrebbe farlo lavorare nel bordello. Oppure utilizzarlo come una pedina che può essere molto utile, se ben manovrata. Sono molte le possibilità. Deve rifletterci bene. Bentham. Lord George Bentham.

 

Harry è esausto. Mentre si spoglia prima di coricarsi si chiede che cosa lo aspetta. Ha mangiato e ha un letto in cui dormire: quanto ha sognato in questi giorni. Ma per quanto? Può solo contare sulla generosità di uno sconosciuto.

Aveva un lavoro, che ha sempre cercato di fare bene. E per colpa di Bentham e di Tumblestone, due maledetti porci che non hanno mai lavorato un giorno in vita loro… Harry sente crescere la rabbia. Vorrebbe ucciderli entrambi.

Harry è troppo stanco per arrovellarsi a lungo. Pochi minuti dopo essersi messo a letto si addormenta.

 

Il giorno seguente, dopo colazione, Harry è convocato da Ronaldson.

- Harry, tu cerchi un lavoro.

- Sì, signor Ronaldson.

Ronaldson sorride e dice:

- Ti andrebbe di lavorare qui? Credo che tu abbia capito di che lavoro si tratta.

Harry abbassa gli occhi, poi guarda Ronaldson.

- Sì, signor Ronaldson, ma sinceramente, preferirei trovare un altro lavoro. Io non vorrei…

Ronaldson non sembra irritato dal rifiuto. Continua a sorridere, sembra comprendere la resistenza di Harry e non appare intenzionato a forzarlo.

- Non è un problema, Harry. Io sto avviando un’altra attività, perché penso in grande. E mi servono giovani maschi forti. Non come carne da vendere, ma per dare spettacolo.

- Spettacolo?

Harry è alquanto perplesso.

- In primo luogo combattimenti. Saprai che il pugilato e la lotta hanno moltissimi appassionati: ormai ci sono infiniti circoli dove si organizzano incontri. In alcuni si scommette anche. Tu sei molto robusto. Credo che potresti diventare un buon pugile o un lottatore.

Harry non sa bene che dire. Non ha nessuna esperienza, ma in ogni caso preferisce la lotta alla prostituzione. E non gli sembra di avere molte alternative.

- Io non ho nessuna esperienza di lotta. Mi è capitato qualche volta di menare le mani, ma non certo come sport. Ma se lei ritiene che io possa imparare…

- Credo proprio di sì. Sarò sincero con te, Harry. Sei un bel ragazzo e voglio che in questi combattimenti i lottatori siano uomini forti e attraenti. Sai benissimo che cosa faccio. Tra i lottatori ve ne saranno anche alcuni che intratterranno i clienti in altri modi, ma se questo non ti va, per il momento non c’è nessun problema.

- La ringrazio, signor Ronaldson.

- Avrai vitto e alloggio e un piccolo compenso per ogni incontro. Poi, se diventerai bravo, avrai modo di guadagnare di più.

- Per me va bene.

Harry è contento: per il momento almeno potrà dormire al coperto e mangiare. E poi si vedrà.

 

Anche lord Bentham è tornato a Londra, assai prima di Harry. Ma la vita nella capitale non ha più per lui lo stesso fascino. Da tempo si trova costretto a frequentare molto poco la società. Se si reca in visita da qualche nobile, non è raro che diversi degli altri ospiti gli rivolgano appena la parola: nessuno è scortese con lui, ma a tratti gli sembra di essere diventato quasi invisibile.

Gli inviti a una cena sono rari e provengono soprattutto da quelle poche famiglie che, per legami di parentela o altri motivi specifici, non vogliono escluderlo completamente. E anche in quelle serate c’è sempre qualcuno che lo tratta con una certa freddezza: tutto nei limiti imposti dalle buone maniere, ma per un uomo attento a cogliere ogni sfumatura del comportamento in società, è un tormento continuo.

A teatro quasi nessuno passa a salutarlo nel suo palco e George preferisce non andare a trovare gli altri, per evitare situazioni imbarazzanti: si limita a un rapido cenno di saluto, che viene ricambiato in modo cortese, ma di certo non cordiale.

Persino dai Parry George si accorge di essere malvisto: un Bentham accolto con degnazione nel salotto dei Parry! Ma Kellington ha raccontato di Adrien proprio dai Parry: tutti quelli che frequentano la casa sono perfettamente informati e sono ben felici di prendere una rivincita su qualcuno che vale più di loro e non mancava di farlo rimarcare.

George nota che anche Kellington è trattato con una certa freddezza da molti ospiti dei Parry: in qualche modo, grazie anche a ciò che George ha sostenuto ogni volta che in sua presenza si è parlato di Adrien, Kellington è considerato in parte responsabile dello scandalo.

 

George ha mandato a chiamare Spade, che da anni lavora nel bordello dell’Irlandese. George preferisce non frequentare la casa. È vero che non si corrono grossi rischi: il bordello ha sempre goduto di protezioni in alto, perché è frequentato da alcuni personaggi importanti, tra cui pare che ci siano almeno due principi di sangue reale e un ministro. Ma a George non piace l’idea che lo vedano e l’eventualità, per quanto remota, di un’incursione della polizia lo spaventa: nella sua situazione attuale sarebbe l’ultimo colpo a una reputazione già molto gravemente compromessa.

George non può permettersi di correre rischi e, per quanto ami la caccia, deve rinunciare a cercare una preda: se a una delle poche serate mondane a cui prende parte si ferma a conversare con un giovane, si accorge immediatamente di essere oggetto di sguardi ironici e qualcuno incomincia a mormorare all’orecchio del vicino.

Per George è più saggio accontentarsi di ciò che può offrire il bordello.

Spade è abituato a essere chiamato da qualche nobile o ricco borghese che preferisce consumare nella propria residenza. Per loro organizza incontri, ma anche spettacoli di ogni tipo. Già con Patrick O’Brian il bordello offriva una discreta varietà di servizi, che lo avevano reso famoso all’interno di una cerchia ristretta di clienti danarosi. Adesso il nuovo proprietario, Ronaldson, ha moltiplicato le attività. Si può avere di tutto, non solo uno o due maschi con cui scopare.

- Mi dica, milord, che cosa posso fare per lei?

- Avete merce nuova?

Spade sorride: Ronaldson ha rinnovato e ampliato l’offerta.

- Parecchia, milord. Ci sono cinque nuovi stalloni e tre ragazzi che sono dei veri angeli.

Spade sa benissimo che Bentham è interessato più agli stalloni che agli angioletti, ma i gusti cambiano e il bordello è in grado di rispondere a ogni esigenza.

- Come sono questi stalloni?

- Il più richiesto è un negro, un giamaicano. Milord, uno così…

Spade sorride, un sorriso complice, e prosegue:

- Molti fanno fatica a reggerlo, ma chi l’ha provato lo rivuole a ogni costo. È molto richiesto.

George è perplesso.

- Un negro?

L’idea non lo convince. No, un negro no. Un negro può andare bene per Shaffield, ma per George no. Un negro no, insomma, c’è un limite a tutto.

- Che cos’altro avete?

Spade non insiste sul nero: sa che ogni cliente ha i suoi gusti e il suo compito è quello di assecondarli, non certo quello di modificarli. Pensa di proporre l’indiano, ma se lord Bentham preferisce la carne bianca, il più adatto è lo Scozzese.

- Io le consiglierei lo Scozzese. Bel maschio, sui venticinque, alquanto ben provvisto – Spade ridacchia – e con un corpo da statua greca.

Spade in vita sua non ha mai visto una statua greca, ma sa che l’espressione ottiene il suo effetto su molti nobili e sulle persone istruite. Con altri clienti è meglio fare un paragone con qualche buon pugile. Spade sa come piazzare la merce, tenendo conto delle caratteristiche dei compratori.

- Potrebbe essere.

Definire i dettagli non richiede molto tempo: l’uso del preservativo e soprattutto il prezzo. Lo Scozzese costa, Ronaldson ha alzato i prezzi, ma la qualità si paga e il denaro per lord George Bentham non è mai stato un problema.

Nel pomeriggio George si reca alla villa dove ospita i suoi amanti, in Curzon Street. Non c’è più stato nessuno dopo la morte di Adrien: George si muove con grande prudenza. Ha mandato due servitori a preparare tutto.

Lo Scozzese si presenta puntuale. George deve riconoscere che è un gran bel pezzo d’uomo. È alto, vigoroso, con capelli e barba di un rosso scuro, quasi castano.

- Come ti chiami?

- Bruce, milord, ma mi chiamano lo Scozzese.

Il nome probabilmente è falso, ma a George non importa.

- Vieni davvero dalla Scozia?

- Certo, milord, da Aberdeen.

L’accento in effetti sembra scozzese. In ogni caso è del tutto irrilevante.

George sorride e dice:

- Seguimi.

George sale al primo piano, nella camera da letto. Un lenzuolo è stato messo in modo da coprire il tappeto al fondo del letto.

- Spogliati.

Bruce si spoglia. Ha un torace ampio, con una leggera peluria sul petto e sul ventre. George è soddisfatto. Non ama gli uomini molto pelosi, ma neanche un petto completamente glabro, almeno in un maschio adulto: per i giovani è diverso.

Bruce finisce di spogliarsi. Un’attrezzatura è di tutto rispetto, gambe vigorose come le braccia. Sì, davvero un corpo da statua greca, uno di quei lottatori che si vedono al British Museum, in lotta contro i centauri.

George è contento. La merce dell’Irlandese è sempre di prima qualità.

- Spogliami, Bruce.

Bruce sorride e si avvicina. Le sue mani si muovono sicure, energiche, ma non brusche. George si ritrova nudo. Una mano di Bruce si infila sotto i coglioni, li accarezza e risale, stringe il cazzo.

Lo Scozzese sorride. Ha un bel sorriso. George si inginocchia. Avvicina la bocca alla cappella. Nessun cattivo odore. Anche questo a George piace.

George avvolge con le labbra. Sente il calore del cazzo, che ora si sta irrigidendo. George lecca e succhia. Il cazzo cresce di volume, diventa sempre più rigido. George non riesce più a tenerlo tutto in bocca.

George si stacca. Sorride. Si inginocchia al fondo del letto, appoggiando sul lenzuolo a terra le ginocchia e sul letto il torace. George apre bene le gambe.

Lo Scozzese si mette dietro di lui. Si infila il preservativo. Poi George sente le dita umide che preparano la strada, poi Bruce si stende su di lui e spinge il suo cazzo, che lentamente avanza, forza l’anello di carne e infine affonda completamente nel culo di George.

Eccellente, davvero eccellente.

Bruce ci sa fare. Si muove lentamente e le sue mani accarezzano i fianchi di George, raggiungono il cazzo, lo stringono, lo stuzzicano. George geme. Bruce continua a muoversi piano, delicatamente e le sue mani sanno essere forti ma non brutali. George sente che il piacere cresce, dal culo e dal cazzo, sempre più forte.

Bruce imprime un ritmo più deciso al suo movimento. George geme. Le mani di Bruce si muovono decise. George chiude gli occhi, perché il piacere sta dilatandosi dentro di lui, sempre più forte. Le spinte diventano più rapide e sicure e a George sfugge un grido mentre il seme sgorga abbondante e ricade sul lenzuolo.

- Vuole che venga anch’io, milord?

Bruce sa che alcuni clienti vogliono che anche il prostituto venga, mentre ad altri non interessa. Qualcuno vuole sentire in culo lo sborro, ma in questo caso, usando un preservativo, non è possibile.

- No, non occorre.

Bruce si ritira. A George spiace non sentire più il suo cazzo voluminoso in culo, ma ormai è sazio.

- Puoi andare, Bruce.

Bruce si riveste. George guarda il suo bel cazzo, ancora duro, scomparire nelle mutande. Lo gusterà ancora.

 

In serata George va dai Moryson, che vivono a Brimpton, a sud di Hyde Park.

I Moryson frequentano poco le altre famiglie nobili e la società molto eterogenea che si riunisce da loro è poco interessata agli scandali. Nel salotto si è parlato molto poco di Adrien Bellisle. Qualcuno ricorda forse di averlo visto al fianco di lord Bentham, ma per tutti la faccenda è poco rilevante: dai Moryson si trovano fianco a fianco nobili, giornalisti, impresari, attori, scrittori e pittori. Non è una società esclusiva. E tra i presenti qualcuno di loro considera l’inganno ordito da Adrien una piccola opera d’arte, uno spettacolo teatrale recitato magistralmente fuori dal palcoscenico.

Questa sera tra i presenti c’è Ernest Becker. George lo saluta come ha sempre fatto: un cenno appena, che riconosce la presenza di un uomo di famiglia illustre, ma nega ogni rapporto più personale. Becker ricambia il saluto. George sorride, pensando che con ogni probabilità Ernest Becker non sa nulla di quanto è successo: Becker frequenta pochissimo l’alta società ed è del tutto indifferente a ogni tipo di pettegolezzo. O forse, ripensando a qualche episodio del passato, prima che Becker si occupasse di politica, quando era più presente nei salotti, sarebbe esatto dire che Becker è insofferente, più che indifferente. Sentire sparlare degli altri, uno dei passatempi preferiti della nobiltà e dell’alta borghesia, sembrava quasi dargli fastidio.

George si dice che potrebbe scambiare due parole con lui, ma preferisce evitarlo: prima o poi qualche nuovo scandalo farà dimenticare ciò che è successo e le porte dei salotti torneranno ad aprirsi. L’importante è che su George non incomincino a circolare nuove voci. George ripensa a quanto è avvenuto da lord Tumblestone. Rabbrividisce: è stata una follia. Come gli è potuto passare per la testa? Avrebbe dovuto parlare con il giovane e farsi raggiungere in camera in un momento in cui nessuno potesse vederlo, come aveva pensato inizialmente. Lasciarsi trascinare dal desiderio del momento, che idiozia! Dopo quanto era successo, poi!

Niente cacce, ora. Nessun bell’animale selvatico da cacciare. La carne fresca si può acquistare al bordello e la merce è di qualità, anche se magari non proprio di primo pelo. Lo Scozzese in effetti è merce di lusso: il nuovo gestore ci sa fare, ma il bordello dell’Irlandese è sempre stato il migliore di Londra.

Lady Moryson si avvicina a George e lo saluta cordialmente. George non l’apprezza, ma deve riconoscerle il talento di una padrona di casa attenta e una competenza in campo artistico non comune tra i nobili.

Dopo qualche convenevole, lady Moryson osserva:

- Oggi sembra che il tema della serata siano i ritratti. Il ritratto che Charles Higgins ha fatto l’inverno scorso al conte di Letchworth è stato esposto alla mostra e ha avuto un successo clamoroso.

Lady Moryson è una delle poche persone che chiamano Ernest Becker con il suo titolo di conte di Letchworth. Gli altri parlano sempre di lord Becker, per motivi che non sono chiari a nessuno e che invece George sarebbe in grado di spiegare: una vecchia storia che risale ai tempi di Maria la Sanguinaria, quando un Becker si vide privato della contea e venne poi decapitato. La regina Elisabetta restituì la contea alla famiglia, ma da allora, in memoria del loro antenato, i Becker non si presentano mai come conti di Letchworth. In un altro ambiente l’aneddoto storico susciterebbe l’interesse degli ascoltatori, ma qui sarebbe del tutto sprecato. Probabilmente Ernest Becker non ne è nemmeno a conoscenza: è troppo stupido. Semplicemente si presenta così perché lo faceva suo padre.

George sorride e risponde a lady Moryson:

- Lei dice che dovrei farmi fare un ritratto anch’io?

- Perché no? Ma i tempi di attesa potrebbero essere lunghi. Il conte di Letchworth è molto convincente.

George dubita che tra gli invitati siano in molti disponibili a pagare per un ritratto, ma è costretto a ricredersi: in effetti l’entusiasmo di Becker e il grosso successo ottenuto dal quadro all’esposizione hanno convinto alcuni borghesi. C’è gente ben contenta di potersi far ritrarre da un pittore di talento, richiesto anche dalla nobiltà.

Per i borghesi il fatto che Ernest Becker sia escluso da molti salotti non ha nessuna rilevanza: molti non ne sono nemmeno a conoscenza e anche per gli altri Becker rimane comunque un nobile, di una famiglia illustre e ricchissima. Sarebbero ben felici di poterlo invitare a casa propria.

 

George ha già pensato più volte di farsi fare un ritratto, ma, troppo preso nel vortice della vita mondana, ha sempre rimandato l’esecuzione del progetto. Adesso che passa molto meno tempo in società, potrebbe essere il momento giusto.

Aveva pensato di rivolgersi a John Jackson, da cui si fanno ritrarre i nobili inglesi, ma George sa bene che non necessariamente il pittore più quotato è anche il migliore. Se c’è qualcuno più in gamba, questo è il posto per scoprirlo. Dei Moryson quando si parla di arte ci si può fidare. E anche di Ernest Becker, George deve riconoscerlo: pazzo, sovversivo, stupido, ma con un gusto infallibile. Basta guardarlo ora: non c’è un dettaglio del suo abbigliamento che non sia in perfetta armonia con gli altri. Eppure George scommetterebbe che Ernest Becker si è vestito in pochi minuti. Un uomo che per titolo, ricchezza, bellezza, eleganza potrebbe essere uno dei leoni di Londra e che invece è un lebbroso, invitato in pochissimi salotti, ignorato da quasi tutti i suoi pari.

 

Charles Higgins è ben contento di vedersi commissionare un quadro da lord Bentham: da quando ha ritratto lord Becker, Higgins riesce a lavorare in modo molto più regolare. Ha finalmente ottenuto il riconoscimento del suo valore come pittore e non deve più adattarsi a fare di tutto per riuscire a tirare avanti. Lo spettro della fame sembra essersi definitivamente dissolto.

George posa a casa propria: non ha certo intenzione di andare nello studio di un pittore. A Charles Higgins va benissimo. Nei confronti del conte sa che deve mostrarsi molto ossequioso: è ben consapevole di come si tratta un nobile. Non si rivolge certo a lord Bentham con la familiarità con cui poteva parlare a Ernest Becker durante le sedute di posa. Ma lord Becker era in grado di fargli dimenticare chi era, l’atteggiamento di lord Bentham gli ricorda a ogni minuto che tra loro esiste un abisso. Per Charles non esiste problema: lord Bentham paga e questo è quello che conta.

 

Tornando in carrozza da un’escursione in campagna con alcuni parenti, George vede dal finestrino Nigel Kellington. Il borghese è vestito come un operaio e George non lo riconoscerebbe neppure, se non lo vedesse in faccia alla luce di un lampione a gas. Si direbbe che si stia dirigendo verso il bordello dell’Irlandese. Chiederà dello Scozzese? George non sa quali siano i gusti di Nigel Kellington e di sicuro non gli importa conoscerli. Ma perché si è vestito in quel modo? Un minimo di dignità!

 

Nigel Kellington non ha guardato la carrozza e non si è accorto di Bentham. Raggiunge il bordello dell’Irlandese, ma non si ferma. Prosegue per alcuni isolati fino a raggiungere un altro edificio. Si ferma e guarda la porta. Esita. Tutto andrà come concordato, ma c’è un margine di incertezza che lo spaventa e, come sempre, lo eccita. Il sangue sta affluendo al cazzo.

Nigel esercita una leggera pressione contro la porta, che cede e si apre: è aperta, come gli ha detto Ronaldson. Nigel entra. Dentro è buio pesto. Nigel esita.

Di colpo la porta si chiude dietro di lui, una mano gli tappa la bocca e qualche cosa appoggia contro il suo collo.

- Una sola parola e ti sgozzo.

Nigel tace. Il cazzo gli si tende.

L’uomo lo spinge brutalmente in avanti. Nigel non vede niente, ma una porta laterale si apre e una debole luce illumina il corridoio. Nigel viene costretto ad avanzare fino alla porta e poi un violento strattone lo proietta dentro, facendolo quasi cadere.

Dentro la stanza ci sono quattro uomini, tre bianchi e un nero. Il nero è il Giamaicano, Nigel lo conosce. E un altro è quello che chiamano Cazzogrosso: Nigel ha avuto modo di provarlo e ne è stato soddisfatto. C’è anche lo Scozzese e poi un altro, che Nigel non ha mai visto. Sono tutti a torso nudo, ma hanno il viso coperto da maschere.

Sul fondo del locale c’è un camino in cui arde un fuoco. Le fiamme illuminano la stanza.

Cazzogrosso si avvicina a lui. Gli mette le mani addosso e fruga, finché trova la borsa con il denaro. La apre e controlla che ci sia la cifra pattuita. Poi la richiude e la getta in un angolo. Afferra Nigel per i capelli e lo forza a inginocchiarsi davanti a lui. Si abbassa i pantaloni, mettendo in mostra un grosso cazzo.

- Succhia, porco, succhialo bene.

Nigel avvicina la bocca. Può sentire l’odore del cazzo: piscio, sudore, sborro. Incomincia a leccare la cappella, poi prende il cazzo in bocca e lo succhia avidamente. Lo sente crescere di volume e consistenza, sempre più grande e più duro. Continua a succhiare, mentre le mani si poggiano sul culo dell’uomo e stringono.

Gli altri commentano.

- È bravo a succhiare cazzi.

- Una brava troia, davvero.

- Poi vediamo com’è la figa.

- Secondo me gode quando lo inculiamo.

Cazzogrosso gli mette una mano sulla nuca e incomincia a muovere il culo avanti e indietro, fottendo Nigel in bocca. Spinge a fondo, tanto che a Nigel si blocca il respiro, poi si ritrae e Nigel riesce a immettere un po’ d’aria. Il movimento prosegue un buon momento, finché l’uomo viene e lo sborro riempie la bocca di Nigel.

Nigel ansima, ma i quattro uomini si avvicinano, lo fanno alzare e incominciano a spogliarlo, con movimenti bruschi, ma senza lacerare gli abiti. Nigel si ritrova nudo, il cazzo mezzo in tiro. Guarda i quattro uomini intorno a lui, che la luce della lanterna illumina a malapena.

Il Giamaicano si mette dietro di lui, Cazzogrosso gli afferra i capelli e lo forza a piegarsi in avanti. Nigel sente una massa calda che preme contro il buco del culo. L’ingresso è brusco e Nigel sussulta. Cazzogrosso gli intima:

- Bevi, troia.

Nigel apre la bocca. Cazzogrosso incomincia a pisciare. Nigel beve, ma lo Scozzese si avvicina. La mano che tiene i capelli di Nigel li lascia e lo Scozzese si mette anche lui a pisciare, dirigendo il getto sui capelli di Nigel e sulla faccia. Nigel chiude gli occhi. Il piscio scorre abbondante sulla sua testa. Nigel sporge la lingua e ne sente il gusto. Gli piace. Il cazzo ormai è rigido.

Cazzogrosso si sposta e lo Scozzese si mette davanti a lui.

- Ora succhiamelo, troia.

Nigel avvolge con le labbra la cappella dell’uomo e incomincia a succhiare. Intanto il Giamaicano spinge con forza e a tratti Nigel si sente proiettato in avanti, ma lo Scozzese gli afferra i capelli bagnati e questo gli impedisce di cadere.

Anche il quarto uomo si avvicina e piscia sulla testa di Nigel. Poco dopo Nigel sente la scarica riempirgli la bocca.

- Lecca via il piscio, troia.

Nigel passa la lingua sul cazzo dell’uomo, sui coglioni e sul ventre, leccando ogni goccia. Le spinte del Giamaicano diventano più decise e il seme riempie le viscere di Nigel. Il cazzo del Giamaicano esce. L’uomo dice:

- Puliscimi il cazzo, troia.

Nigel si inginocchia e prende in bocca il cazzo che ha gustato in culo. Pulisce a fondo.

Poi Cazzogrosso e il Giamaicano afferrano Nigel.

- Ora di divertirci un po’.

Lo spingono verso la croce di Sant’Andrea attaccata alla parete. Gli legano i polsi e le caviglie alle quattro braccia. Poi lo Scozzese prende una frusta e incomincia ad abbatterla sulla schiena e sul culo. La frusta non lacera la pelle, ma la arrossa. I colpi non spengono l’eccitazione di Nigel.

Quando ormai il culo e la schiena di Nigel sono tutti arrossati, lo Scozzese spinge il manico della frusta in culo a Nigel. Questi ha un guizzo e perde il controllo della vescica.

- Questa troia non sa comportarsi. Bisogna insegnarglielo.

Nigel viene slegato e spinto a terra. L’uomo che Nigel non conosce gli prende la testa e la preme al suolo, sulla pozza di piscio.

- Pulisci con la lingua, troia.

Nigel esegue. L’uomo si stende su di lui e lo incula con una spinta decisa. Lo fotte, sempre tenendogli la testa premuta contro il pavimento. Quando ha finito, si alza e volta Nigel sulla schiena, poi passa il piede sul cazzo e sui coglioni.

Il cazzo di Nigel si tende sempre di più e infine Nigel geme e viene. Il Giamaicano piscia su di lui: sborro e piscio si mescolano sul ventre di Nigel.

Poi gli uomini si rassettano. Uno di loro raccoglie la borsa di Nigel e i quattro se ne vanno.

Nigel ha male alla schiena e al culo, ma è stato splendido. Quello che voleva. Vorrebbe rimanere disteso a terra, ma adesso ha freddo. Si alza. Il movimento gli provoca una fitta al culo e gli sfugge un gemito.

Nigel prende la lanterna, che i quattro gli hanno lasciato, e passa in uno stanzino dove c’è un gabinetto. Ci sono un secchio d’acqua e due teli. Nigel si lava alla bell’e meglio e si asciuga. Poi torna nello stanzone, si riveste e passa nel corridoio. Esce e si allontana. Gli è costata un occhio della testa, ma ne è valsa la pena.

 

 

 

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