| 
   7 - Inverno 
   È
  ormai inverno quando Harry raggiunge Londra. La necessità di guadagnarsi da
  vivere lo ha costretto a fermarsi più volte e con il passare dei giorni e il
  peggioramento del tempo, è diventato sempre più difficile trovare qualche
  lavoro occasionale in campagna. Harry ha patito spesso la fame. Si è imposto
  di arrivare a Londra comunque, ma sono due giorni che cammina nutrendosi
  soltanto di un po’ di pane. Harry
  è stremato. La sua unica speranza è lo zio. La
  casa dello zio è a Putney, un piccolo borgo a sud di Londra, oltre il Tamigi.
  Harry non ha l’indirizzo esatto. Sa che la casa è vicino alla chiesa di St.
  Mary, dalle parti del Putney Bridge.  Putney
  è poco più di un villaggio, circondato da campi e boschi, ma vi si vedono
  diverse nuove costruzioni: Londra è molto vicina, i londinesi vengono a
  Putney per escursioni di mezza giornata in campagna, per le corse di cavalli
  e per la caccia. Vi si veniva anche per i duelli, fino a qualche tempo fa.
  Qualcuno, soprattutto la sera, vi viene per andare nella casa dell’Irlandese,
  dove si sta recando Harry, ma questo il giovane non lo sa.  A
  piedi dal centro di Londra, dove Harry è arrivato nel primo pomeriggio, a
  Putney la strada è lunga, ma Harry non può certo permettersi di pagare
  qualche scellino per una carrozza: le sue tasche sono completamente vuote. La
  città è avvolta in una nebbia che con il passare delle ore diventa sempre più
  fitta. Harry chiede più volte la strada: nel grigio che nasconde il paesaggio
  non riesce a scorgere gli edifici che alcuni gli hanno indicato come punti di
  riferimento, neanche quando sono a pochi passi. Nelle
  vicinanze del Tamigi la nebbia è tale che quando Harry raggiunge il ponte il
  fiume non si vede: se ne sente solo il rumore, che sembra un rombo
  minaccioso. Harry
  chiede a un passante: - Mi
  scusi, cerco la casa del signor O’Brian. Sa dov’è? L’uomo
  non sa chi sia O’Brian. Harry spiega che dev’essere vicino alla chiesa di St.
  Mary e l’uomo gli indica la direzione. Giunto alla chiesa, Harry chiede altre
  due volte, ma senza risultato. Si appoggia contro il muro di una casa,
  scoraggiato. Davanti a lui un muro di nebbia lascia appena intravedere la
  finestra di una casa. Sembra che il mondo sia scomparso, dissolto in questa
  nebbia fredda. Harry rabbrividisce. Sente
  dei passi avvicinarsi. È un signore ben vestito, con un’aria distinta, di
  quelli che di solito non girano a piedi. L’uomo lo vede all’ultimo momento e
  ha un piccolo movimento di sorpresa, forse di spavento: questa nebbia fitta è
  l’ideale per un agguato. Harry chiede anche a lui dove si trova la casa
  dell’Irlandese. Il passante, tranquillizzato dal tono gentile, scoppia a
  ridere e dice: -
  O’Brian, l’Irlandese! Però! Harry
  non capisce. Rimane interdetto. L’uomo scuote la testa, guardando Harry, ride
  ancora e dice: -
  Prendi quella strada e poi svolta a destra. C’è una lanterna proprio vicino
  alla porta.  L’uomo
  ghigna, scuote nuovamente il capo e si allontana. Harry
  è disorientato, ma non dà troppo peso alle parole dello sconosciuto.
  L’importante è arrivare. Gli sembra impossibile di essere alla fine di questo
  viaggio angoscioso. Tra poco troverà lo zio, che di sicuro gli darà una mano. Harry
  imbocca la via che gli ha segnalato il passante. Vede una casa con una
  lanterna vicino alla porta. Bussa. Un
  uomo apre la porta. -
  Buonasera. Mi chiamo Niall O’Brian e sono nipote del signor Patrick. Vorrei
  parlare con lui. L’uomo,
  che dev’essere il portiere, lo guarda perplesso. -
  Patrick? Patrick O’Brian? Harry
  è stupito della domanda: si è presentato come O’Brian, ha detto che Patrick è
  suo zio, è ovvio che cerca Patrick O’Brian. -
  Certo. - Il
  signor O’Brian non vive più qui. Harry
  ha l’impressione che il mondo gli crolli addosso. Chiede, quasi balbettando: -
  Non vive più qui? Non sa dove si è trasferito? Il
  portiere guarda un attimo Harry, poi dice: -
  Entri. Vado a sentire se il padrone può parlarle. Harry
  entra. Il portiere lo accompagna in una stanza, dove ci sono due sedie, un
  divano e una poltrona. Harry si lascia andare su una sedia. Tutta la
  stanchezza degli ultimi due mesi pesa su di lui. E
  adesso?  Qualcuno
  bussa alla porta. Il portiere va ad aprire e introduce nella stanza un altro
  uomo, sui cinquanta, che fissa Harry con interesse. Il
  portiere esce. L‘uomo si rivolge a Harry, sorridendo. -
  Lavori qui? Harry
  lo guarda senza capire. -
  No. Cerco mio zio. L’uomo
  aggrotta la fronte. -
  Tuo zio? Per
  un attimo Harry pensa che forse l’uomo conosce suo zio, visto che viene in questa
  casa, e sa dove si trova. -
  Sì, Patrick O’Brian. -
  Ah, sei il nipote dell’Irlandese! Ma non dirige più lui la casa. Se n’è
  andato tre mesi fa. Dicono che sia in America. Harry
  non riesce a parlare. Ha un groppo alla gola. L’uomo
  prosegue: -
  Conti di lavorare qui? Uno come te di sicuro lo prendono. Harry
  sta per chiedere che lavoro si fa, quando un uomo entra nella stanza. Deve
  avere qualche anno in più di Harry e ha barba e capelli scuri. Ha la camicia
  aperta, che mostra il suo torace villoso. Il
  nuovo arrivato lancia una rapida occhiata a Harry, poi si avvicina all’altro
  uomo e gli dice, con un tono tra l’ironico e il serio: -
  Ben tornato. Mentre mi aspetti ti dai da fare con un altro? Sei proprio una
  troia. Harry
  rimane sbalordito. L’uomo invece ridacchia, si alza e dice, con una voce
  quasi femminile, diversa da quella che ha appena usato con Harry: - Ma
  che dici? Sai che per me ci sei solo tu, tesoro. Poi
  si avvicina, gli cinge la vita con il braccio e così allacciati i due escono
  dalla stanza. Sulla soglia l’uomo si volta e fa l’occhiolino a Harry. Harry
  ha intuito. Uno dei servitori di lord Tumblestone aveva lavorato a Londra e
  diceva che c’era anche qualche bordello per uomini, dove di solito ci si
  prostituivano ragazzini. Suo zio gestiva un bordello per uomini o il nuovo
  proprietario ha trasformato la casa in un bordello? L’uomo ha detto che lo
  zio non dirige più la casa. Quindi era già un bordello prima.  Harry
  non è scandalizzato: in paese il disprezzo che il prete ha sempre dimostrato
  nei confronti di sua madre, colpevole di aver subito una violenza, e di lui,
  frutto di quella violenza, lo ha allontanato dalla religione. La vita nella
  tenuta dei Tumblestone gli ha insegnato quanta ipocrisia si celi dietro
  l’ostentazione della virtù: il figlio di Tumblestone ha ingravidato almeno
  due domestiche, ma loro sono state allontanate dalla casa come colpevoli e il
  giovane Tumblestone continua a insidiare le serve.  In
  un’altra situazione, l’idea che lo zio gestisse un bordello lo divertirebbe
  persino, ma adesso è angosciato. Che cosa farà? Andrà a dormire in qualche
  angolo della strada, rischiando di morire assiderato? Non mangia da due
  giorni e si regge a fatica in piedi. Il
  portiere ritorna dopo pochi minuti. -
  Venga, signor O’Brian. Il signor Ronaldson lo aspetta. Harry
  segue l’uomo su per le scale, fino a una stanzetta al piano superiore. Un
  uomo è seduto su una poltrona e lo guarda entrare. Non deve avere più di
  vent’anni e se non fosse per la lunga barba nera, Harry penserebbe che è
  ancora un ragazzo. Harry è stupito di trovare un uomo così giovane a dirigere
  un bordello. L’uomo
  non si alza. Harry rimane in piedi. - E
  così tu saresti il nipote di Patrick. Ma non si chiamava Niall. - Mi
  chiamano Harry. L’uomo
  annuisce. -
  Sì, il nome che conoscevo. E direi che puoi essere davvero il nipote
  dell’Irlandese. Gli assomigli parecchio: i capelli, gli occhi e il naso
  soprattutto. Ma anche la corporatura. - Io… cerco mio zio. -
  Tuo zio è da qualche parte negli USA. Harry
  annuisce. Non sa che cosa dire. - Siediti,
  ragazzo. Harry
  si abbandona sulla sedia. È l’uomo a parlare. - Io
  mi chiamo Peter Ronaldson. Perché cercavi tuo zio? - Io… io ho dovuto andare via dall’Irlanda. -
  Perché? Harry
  scuote la testa. Che senso ha raccontare a questo sconosciuto? Peter
  coglie l’incertezza di Harry. Non dice nulla per un momento, poi, davanti al
  protrarsi del silenzio di Harry, chiede: -
  Cercavi aiuto? Contavi che tuo zio ti aiutasse?  Harry annuisce. -
  Senti, se vuoi che ti dia una mano, devi raccontarmi la verità. Solo così
  posso capire come aiutarti. Harry
  esita. Ha senso mettersi nelle mani di questo sconosciuto? Ma ci sono altre
  possibilità? Che cosa può fare? Uscire nella notte e buttarsi a dormire in
  qualche angolo?   Harry
  scuote la testa. Peter alza le spalle. - Come
  vuoi. Puoi andartene, ma c’è una cosa che devo dirti e che forse potrebbe
  cambiare la tua situazione. Il tenente Hardy è
  passato di qua alla ricerca di tue notizie, qualche settimana fa. - Il
  tenente Hardy? Harry
  non ha la più pallida idea di chi sia il tenente Hardy. -
  Sì, noi lo chiamiamo così, ma adesso lavora nella polizia. Era… ma che hai? Harry
  è impallidito. La polizia lo cerca, Tumblestone deve averlo denunciato, avrà
  raccontato che ha rubato nella casa, come hanno detto i suoi uomini al
  carrettiere che lo portava a Dublino. Harry
  scuote la testa. È perduto. Harry respira a fatica. Non si aspettava questo
  colpo. Peter
  osserva: -
  Posso darti il suo indirizzo. Mi ha detto di metterti in contatto con lui se
  ti fossi presentato qui. Harry
  fa nuovamente un cenno di diniego. Si copre il viso con le mani, poi le
  toglie e incomincia a raccontare. -
  Lavoravo per lord Tumblestone, nel Leinster. Guardavo i cani, ero un whipper.
  Circa tre mesi fa c’erano diversi ospiti. Uno era un conte, un certo Bentham,
  di Londra. Sul
  viso di Peter appare un’espressione di stupore, poi un ghigno. Harry
  esita un attimo, poi riprende. -
  Una sera, mentre mi lavavo, questo Bentham si è avvicinato a me e… -
  Voleva scopare o, meglio, voleva farsi scopare da te. Harry
  guarda Peter stupefatto. -
  Prosegui, Harry.  -
  Sì, insomma, lui si è messo contro un albero e io ho fatto quello che lui
  voleva, ma è arrivato lord Tumblestone. Bentham…
  lord Bentham, ha detto che io volevo violentarlo,
  che lo avevo colpito. Non era vero. -
  Certo che non era vero, ma era una buona scusa per salvare la faccia. Harry
  annuisce. Prosegue: -
  Lord Tumblestone voleva farmi ammazzare. Sono riuscito a scappare. La mia
  unica speranza era mio zio. Non ho nessun altro a cui rivolgermi. Peter
  sorride. - Ti
  credo, Harry. So benissimo chi è Bentham. Nel giro è noto. Peter
  riflette un momento: si chiede che cosa fare. Si dice che può pensarci con
  calma, non è necessario decidere ora. -
  Senti, Harry. Tu non hai un posto per dormire e magari è anche un po’ che non
  mangi qualche cosa. O mi sbaglio? Harry
  guarda Peter negli occhi, senza dire niente. Annuisce. -
  Allora questa notte puoi fermarti qui e adesso ti farò portare qualche cosa
  da mangiare. Poi vedremo il da farsi. -
  Grazie. Peter
  dà ordine di dare da mangiare a Harry e di preparargli una camera. Harry
  ringrazia ancora ed esce. Peter
  rimane solo nella stanza. Sorride. Il ragazzo è merce di gran lusso. Potrebbe
  farlo lavorare nel bordello. Oppure utilizzarlo come una pedina che può
  essere molto utile, se ben manovrata. Sono molte le possibilità. Deve
  rifletterci bene. Bentham. Lord George Bentham. Harry
  è esausto. Mentre si spoglia prima di coricarsi si chiede che cosa lo
  aspetta. Ha mangiato e ha un letto in cui dormire: quanto ha sognato in
  questi giorni. Ma per quanto? Può solo contare sulla generosità di uno
  sconosciuto.  Aveva
  un lavoro, che ha sempre cercato di fare bene. E per colpa di Bentham e di
  Tumblestone, due maledetti porci che non hanno mai lavorato un giorno in vita
  loro… Harry sente crescere la rabbia. Vorrebbe
  ucciderli entrambi. Harry
  è troppo stanco per arrovellarsi a lungo. Pochi minuti dopo essersi messo a
  letto si addormenta. Il
  giorno seguente, dopo colazione, Harry è convocato da Ronaldson. -
  Harry, tu cerchi un lavoro.  - Sì,
  signor Ronaldson. Ronaldson
  sorride e dice: - Ti
  andrebbe di lavorare qui? Credo che tu abbia capito di che lavoro si tratta. Harry
  abbassa gli occhi, poi guarda Ronaldson. -
  Sì, signor Ronaldson, ma sinceramente, preferirei trovare un altro lavoro. Io
  non vorrei… Ronaldson
  non sembra irritato dal rifiuto. Continua a sorridere, sembra comprendere la
  resistenza di Harry e non appare intenzionato a forzarlo. -
  Non è un problema, Harry. Io sto avviando un’altra attività, perché penso in
  grande. E mi servono giovani maschi forti. Non come carne da vendere, ma per
  dare spettacolo. -
  Spettacolo? Harry
  è alquanto perplesso.  - In
  primo luogo combattimenti. Saprai che il pugilato e la lotta hanno moltissimi
  appassionati: ormai ci sono infiniti circoli dove si organizzano incontri. In
  alcuni si scommette anche. Tu sei molto robusto. Credo che potresti diventare
  un buon pugile o un lottatore. Harry
  non sa bene che dire. Non ha nessuna esperienza, ma in ogni caso preferisce
  la lotta alla prostituzione. E non gli sembra di avere molte alternative. - Io
  non ho nessuna esperienza di lotta. Mi è capitato qualche volta di menare le
  mani, ma non certo come sport. Ma se lei ritiene che io possa imparare… -
  Credo proprio di sì. Sarò sincero con te, Harry. Sei un bel ragazzo e voglio
  che in questi combattimenti i lottatori siano uomini forti e attraenti. Sai
  benissimo che cosa faccio. Tra i lottatori ve ne saranno anche alcuni che
  intratterranno i clienti in altri modi, ma se questo non ti va, per il
  momento non c’è nessun problema. - La
  ringrazio, signor Ronaldson. -
  Avrai vitto e alloggio e un piccolo compenso per ogni incontro. Poi, se
  diventerai bravo, avrai modo di guadagnare di più. -
  Per me va bene. Harry
  è contento: per il momento almeno potrà dormire al coperto e mangiare. E poi
  si vedrà. Anche
  lord Bentham è tornato a Londra, assai prima di Harry. Ma la vita nella
  capitale non ha più per lui lo stesso fascino. Da tempo si trova costretto a
  frequentare molto poco la società. Se si reca in visita da qualche nobile,
  non è raro che diversi degli altri ospiti gli rivolgano appena la parola:
  nessuno è scortese con lui, ma a tratti gli sembra di essere diventato quasi
  invisibile. Gli
  inviti a una cena sono rari e provengono soprattutto da quelle poche famiglie
  che, per legami di parentela o altri motivi specifici, non vogliono
  escluderlo completamente. E anche in quelle serate c’è sempre qualcuno che lo
  tratta con una certa freddezza: tutto nei limiti imposti dalle buone maniere,
  ma per un uomo attento a cogliere ogni sfumatura del comportamento in
  società, è un tormento continuo. A
  teatro quasi nessuno passa a salutarlo nel suo palco e George preferisce non
  andare a trovare gli altri, per evitare situazioni imbarazzanti: si limita a
  un rapido cenno di saluto, che viene ricambiato in modo cortese, ma di certo
  non cordiale. Persino
  dai Parry George si accorge di essere malvisto: un Bentham accolto con
  degnazione nel salotto dei Parry! Ma Kellington ha raccontato di Adrien
  proprio dai Parry: tutti quelli che frequentano la casa sono perfettamente
  informati e sono ben felici di prendere una rivincita su qualcuno che vale
  più di loro e non mancava di farlo rimarcare.  George
  nota che anche Kellington è trattato con una certa freddezza da molti ospiti
  dei Parry: in qualche modo, grazie anche a ciò che George ha sostenuto ogni
  volta che in sua presenza si è parlato di Adrien, Kellington è considerato in
  parte responsabile dello scandalo.  George
  ha mandato a chiamare Spade, che da anni lavora nel bordello dell’Irlandese.
  George preferisce non frequentare la casa. È vero che non si corrono grossi
  rischi: il bordello ha sempre goduto di protezioni in alto, perché è
  frequentato da alcuni personaggi importanti, tra cui pare che ci siano almeno
  due principi di sangue reale e un ministro. Ma a George non piace l’idea che
  lo vedano e l’eventualità, per quanto remota, di un’incursione della polizia
  lo spaventa: nella sua situazione attuale sarebbe l’ultimo colpo a una
  reputazione già molto gravemente compromessa. George
  non può permettersi di correre rischi e, per quanto ami la caccia, deve
  rinunciare a cercare una preda: se a una delle poche serate mondane a cui
  prende parte si ferma a conversare con un giovane, si accorge immediatamente
  di essere oggetto di sguardi ironici e qualcuno incomincia a mormorare
  all’orecchio del vicino.  Per
  George è più saggio accontentarsi di ciò che può offrire il bordello.  Spade
  è abituato a essere chiamato da qualche nobile o ricco borghese che preferisce
  consumare nella propria residenza. Per loro organizza incontri, ma anche
  spettacoli di ogni tipo. Già con Patrick O’Brian il bordello offriva una
  discreta varietà di servizi, che lo avevano reso famoso all’interno di una
  cerchia ristretta di clienti danarosi. Adesso il nuovo proprietario,
  Ronaldson, ha moltiplicato le attività. Si può avere di tutto, non solo uno o
  due maschi con cui scopare. - Mi
  dica, milord, che cosa posso fare per lei? -
  Avete merce nuova? Spade
  sorride: Ronaldson ha rinnovato e ampliato l’offerta. -
  Parecchia, milord. Ci sono cinque nuovi stalloni e tre ragazzi che sono dei
  veri angeli. Spade
  sa benissimo che Bentham è interessato più agli stalloni che agli angioletti,
  ma i gusti cambiano e il bordello è in grado di rispondere a ogni esigenza. -
  Come sono questi stalloni? - Il
  più richiesto è un negro, un giamaicano. Milord, uno così…
   Spade
  sorride, un sorriso complice, e prosegue: -
  Molti fanno fatica a reggerlo, ma chi l’ha provato lo rivuole a ogni costo. È
  molto richiesto.  George
  è perplesso. - Un
  negro? L’idea
  non lo convince. No, un negro no. Un negro può andare bene per Shaffield, ma
  per George no. Un negro no, insomma, c’è un limite a tutto. -
  Che cos’altro avete? Spade
  non insiste sul nero: sa che ogni cliente ha i suoi gusti e il suo compito è
  quello di assecondarli, non certo quello di modificarli. Pensa di proporre
  l’indiano, ma se lord Bentham preferisce la carne bianca, il più adatto è lo
  Scozzese.  - Io
  le consiglierei lo Scozzese. Bel maschio, sui venticinque, alquanto ben
  provvisto – Spade ridacchia – e con un corpo da statua greca. Spade
  in vita sua non ha mai visto una statua greca, ma sa che l’espressione
  ottiene il suo effetto su molti nobili e sulle persone istruite. Con altri
  clienti è meglio fare un paragone con qualche buon pugile. Spade sa come
  piazzare la merce, tenendo conto delle caratteristiche dei compratori. -
  Potrebbe essere. Definire
  i dettagli non richiede molto tempo: l’uso del preservativo e soprattutto il
  prezzo. Lo Scozzese costa, Ronaldson ha alzato i prezzi, ma la qualità si
  paga e il denaro per lord George Bentham non è mai stato un problema. Nel
  pomeriggio George si reca alla villa dove ospita i suoi amanti, in Curzon Street. Non c’è più stato nessuno dopo la morte di
  Adrien: George si muove con grande prudenza. Ha mandato due servitori a
  preparare tutto. Lo
  Scozzese si presenta puntuale. George deve riconoscere che è un gran bel
  pezzo d’uomo. È alto, vigoroso, con capelli e barba di un rosso scuro, quasi
  castano. -
  Come ti chiami? -
  Bruce, milord, ma mi chiamano lo Scozzese. Il
  nome probabilmente è falso, ma a George non importa.  -
  Vieni davvero dalla Scozia? -
  Certo, milord, da Aberdeen. L’accento
  in effetti sembra scozzese. In ogni caso è del tutto irrilevante. George
  sorride e dice: -
  Seguimi. George
  sale al primo piano, nella camera da letto. Un lenzuolo è stato messo in modo
  da coprire il tappeto al fondo del letto. -
  Spogliati. Bruce
  si spoglia. Ha un torace ampio, con una leggera peluria sul petto e sul
  ventre. George è soddisfatto. Non ama gli uomini molto pelosi, ma neanche un
  petto completamente glabro, almeno in un maschio adulto: per i giovani è
  diverso.  Bruce
  finisce di spogliarsi. Un’attrezzatura è di tutto rispetto, gambe vigorose
  come le braccia. Sì, davvero un corpo da statua greca, uno di quei lottatori
  che si vedono al British Museum, in lotta contro i centauri. George
  è contento. La merce dell’Irlandese è sempre di prima qualità. -
  Spogliami, Bruce. Bruce
  sorride e si avvicina. Le sue mani si muovono sicure, energiche, ma non
  brusche. George si ritrova nudo. Una mano di Bruce si infila sotto i
  coglioni, li accarezza e risale, stringe il cazzo. Lo
  Scozzese sorride. Ha un bel sorriso. George si inginocchia. Avvicina la bocca
  alla cappella. Nessun cattivo odore. Anche questo a George piace. George
  avvolge con le labbra. Sente il calore del cazzo, che ora si sta irrigidendo.
  George lecca e succhia. Il cazzo cresce di volume, diventa sempre più rigido.
  George non riesce più a tenerlo tutto in bocca. George
  si stacca. Sorride. Si inginocchia al fondo del letto, appoggiando sul
  lenzuolo a terra le ginocchia e sul letto il torace. George apre bene le
  gambe. Lo
  Scozzese si mette dietro di lui. Si infila il preservativo. Poi George sente
  le dita umide che preparano la strada, poi Bruce si stende su di lui e spinge
  il suo cazzo, che lentamente avanza, forza l’anello di carne e infine affonda
  completamente nel culo di George. Eccellente,
  davvero eccellente. Bruce
  ci sa fare. Si muove lentamente e le sue mani accarezzano i fianchi di George,
  raggiungono il cazzo, lo stringono, lo stuzzicano. George geme. Bruce
  continua a muoversi piano, delicatamente e le sue mani sanno essere forti ma
  non brutali. George sente che il piacere cresce, dal culo e dal cazzo, sempre
  più forte. Bruce
  imprime un ritmo più deciso al suo movimento. George geme. Le mani di Bruce
  si muovono decise. George chiude gli occhi, perché il piacere sta dilatandosi
  dentro di lui, sempre più forte. Le spinte diventano più rapide e sicure e a
  George sfugge un grido mentre il seme sgorga abbondante e ricade sul
  lenzuolo.  -
  Vuole che venga anch’io, milord? Bruce
  sa che alcuni clienti vogliono che anche il prostituto
  venga, mentre ad altri non interessa. Qualcuno vuole sentire in culo lo
  sborro, ma in questo caso, usando un preservativo, non è possibile.  -
  No, non occorre. Bruce
  si ritira. A George spiace non sentire più il suo cazzo voluminoso in culo,
  ma ormai è sazio. -
  Puoi andare, Bruce. Bruce
  si riveste. George guarda il suo bel cazzo, ancora duro, scomparire nelle
  mutande. Lo gusterà ancora.  In
  serata George va dai Moryson, che vivono a Brimpton, a sud di Hyde Park.  I Moryson frequentano poco le altre famiglie nobili e la
  società molto eterogenea che si riunisce da loro è poco interessata agli scandali.
  Nel salotto si è parlato molto poco di Adrien Bellisle. Qualcuno ricorda
  forse di averlo visto al fianco di lord Bentham, ma per tutti la faccenda è
  poco rilevante: dai Moryson si trovano fianco a
  fianco nobili, giornalisti, impresari, attori, scrittori e pittori. Non è una
  società esclusiva. E tra i presenti qualcuno di loro considera l’inganno
  ordito da Adrien una piccola opera d’arte, uno spettacolo teatrale recitato
  magistralmente fuori dal palcoscenico.  Questa
  sera tra i presenti c’è Ernest Becker. George lo saluta come ha sempre fatto:
  un cenno appena, che riconosce la presenza di un uomo di famiglia illustre,
  ma nega ogni rapporto più personale. Becker ricambia il saluto. George
  sorride, pensando che con ogni probabilità Ernest Becker non sa nulla di
  quanto è successo: Becker frequenta pochissimo l’alta società ed è del tutto
  indifferente a ogni tipo di pettegolezzo. O forse, ripensando a qualche
  episodio del passato, prima che Becker si occupasse di politica, quando era
  più presente nei salotti, sarebbe esatto dire che Becker è insofferente, più
  che indifferente. Sentire sparlare degli altri, uno dei passatempi preferiti
  della nobiltà e dell’alta borghesia, sembrava quasi dargli fastidio. George
  si dice che potrebbe scambiare due parole con lui, ma preferisce evitarlo:
  prima o poi qualche nuovo scandalo farà dimenticare ciò che è successo e le
  porte dei salotti torneranno ad aprirsi. L’importante è che su George non
  incomincino a circolare nuove voci. George ripensa a quanto è avvenuto da lord
  Tumblestone. Rabbrividisce: è stata una follia. Come gli è potuto passare per
  la testa? Avrebbe dovuto parlare con il giovane e farsi raggiungere in camera
  in un momento in cui nessuno potesse vederlo, come aveva pensato
  inizialmente. Lasciarsi trascinare dal desiderio del momento, che idiozia!
  Dopo quanto era successo, poi! Niente
  cacce, ora. Nessun bell’animale selvatico da cacciare. La carne fresca si può
  acquistare al bordello e la merce è di qualità, anche se magari non proprio
  di primo pelo. Lo Scozzese in effetti è merce di lusso: il nuovo gestore ci
  sa fare, ma il bordello dell’Irlandese è sempre stato il migliore di Londra. Lady
  Moryson si avvicina a George e lo saluta
  cordialmente. George non l’apprezza, ma deve riconoscerle il talento di una
  padrona di casa attenta e una competenza in campo artistico non comune tra i
  nobili. Dopo
  qualche convenevole, lady Moryson osserva: -
  Oggi sembra che il tema della serata siano i ritratti. Il ritratto che
  Charles Higgins ha fatto l’inverno scorso al conte di Letchworth
  è stato esposto alla mostra e ha avuto un successo clamoroso. Lady
  Moryson è una delle poche persone che chiamano
  Ernest Becker con il suo titolo di conte di Letchworth.
  Gli altri parlano sempre di lord Becker, per motivi che non sono chiari a nessuno
  e che invece George sarebbe in grado di spiegare: una vecchia storia che
  risale ai tempi di Maria la Sanguinaria, quando un Becker si vide privato
  della contea e venne poi decapitato. La regina Elisabetta restituì la contea
  alla famiglia, ma da allora, in memoria del loro antenato, i Becker non si
  presentano mai come conti di Letchworth. In un
  altro ambiente l’aneddoto storico susciterebbe l’interesse degli ascoltatori,
  ma qui sarebbe del tutto sprecato. Probabilmente Ernest Becker non ne è
  nemmeno a conoscenza: è troppo stupido. Semplicemente si presenta così perché
  lo faceva suo padre.  George
  sorride e risponde a lady Moryson: -
  Lei dice che dovrei farmi fare un ritratto anch’io? -
  Perché no? Ma i tempi di attesa potrebbero essere lunghi. Il conte di Letchworth è molto convincente.  George
  dubita che tra gli invitati siano in molti disponibili a pagare per un
  ritratto, ma è costretto a ricredersi: in effetti l’entusiasmo di Becker e il
  grosso successo ottenuto dal quadro all’esposizione hanno convinto alcuni
  borghesi. C’è gente ben contenta di potersi far ritrarre da un pittore di
  talento, richiesto anche dalla nobiltà.  Per
  i borghesi il fatto che Ernest Becker sia escluso da molti salotti non ha
  nessuna rilevanza: molti non ne sono nemmeno a conoscenza e anche per gli
  altri Becker rimane comunque un nobile, di una famiglia illustre e
  ricchissima. Sarebbero ben felici di poterlo invitare a casa propria. George
  ha già pensato più volte di farsi fare un ritratto, ma, troppo preso nel
  vortice della vita mondana, ha sempre rimandato l’esecuzione del progetto.
  Adesso che passa molto meno tempo in società, potrebbe essere il momento
  giusto.  Aveva
  pensato di rivolgersi a John Jackson, da cui si fanno ritrarre i nobili
  inglesi, ma George sa bene che non necessariamente il pittore più quotato è
  anche il migliore. Se c’è qualcuno più in gamba, questo è il posto per
  scoprirlo. Dei Moryson quando si parla di arte ci
  si può fidare. E anche di Ernest Becker, George deve riconoscerlo: pazzo,
  sovversivo, stupido, ma con un gusto infallibile. Basta guardarlo ora: non
  c’è un dettaglio del suo abbigliamento che non sia in perfetta armonia con
  gli altri. Eppure George scommetterebbe che Ernest Becker si è vestito in
  pochi minuti. Un uomo che per titolo, ricchezza, bellezza, eleganza potrebbe
  essere uno dei leoni di Londra e che invece è un lebbroso, invitato in
  pochissimi salotti, ignorato da quasi tutti i suoi pari. Charles
  Higgins è ben contento di vedersi commissionare un quadro da lord Bentham: da
  quando ha ritratto lord Becker, Higgins riesce a lavorare in modo molto più
  regolare. Ha finalmente ottenuto il riconoscimento del suo valore come
  pittore e non deve più adattarsi a fare di tutto per riuscire a tirare
  avanti. Lo spettro della fame sembra essersi definitivamente dissolto.  George
  posa a casa propria: non ha certo intenzione di andare nello studio di un
  pittore. A Charles Higgins va benissimo. Nei confronti del conte sa che deve
  mostrarsi molto ossequioso: è ben consapevole di come si tratta un nobile.
  Non si rivolge certo a lord Bentham con la familiarità con cui poteva parlare
  a Ernest Becker durante le sedute di posa. Ma lord Becker era in grado di
  fargli dimenticare chi era, l’atteggiamento di lord Bentham gli ricorda a
  ogni minuto che tra loro esiste un abisso. Per Charles non esiste problema:
  lord Bentham paga e questo è quello che conta. Tornando
  in carrozza da un’escursione in campagna con alcuni parenti, George vede dal
  finestrino Nigel Kellington. Il borghese è vestito come un operaio e George
  non lo riconoscerebbe neppure, se non lo vedesse in faccia alla luce di un
  lampione a gas. Si direbbe che si stia dirigendo verso il bordello
  dell’Irlandese. Chiederà dello Scozzese? George non sa quali siano i gusti di
  Nigel Kellington e di sicuro non gli importa conoscerli. Ma perché si è
  vestito in quel modo? Un minimo di dignità! Nigel
  Kellington non ha guardato la carrozza e non si è accorto di Bentham.
  Raggiunge il bordello dell’Irlandese, ma non si ferma. Prosegue per alcuni
  isolati fino a raggiungere un altro edificio. Si ferma e guarda la porta.
  Esita. Tutto andrà come concordato, ma c’è un margine di incertezza che lo
  spaventa e, come sempre, lo eccita. Il sangue sta affluendo al cazzo.  Nigel
  esercita una leggera pressione contro la porta, che cede e si apre: è aperta,
  come gli ha detto Ronaldson. Nigel entra. Dentro è buio pesto. Nigel esita. Di
  colpo la porta si chiude dietro di lui, una mano gli tappa la bocca e qualche
  cosa appoggia contro il suo collo. -
  Una sola parola e ti sgozzo. Nigel
  tace. Il cazzo gli si tende. L’uomo
  lo spinge brutalmente in avanti. Nigel non vede niente, ma una porta laterale
  si apre e una debole luce illumina il corridoio. Nigel viene costretto ad
  avanzare fino alla porta e poi un violento strattone lo proietta dentro,
  facendolo quasi cadere. Dentro
  la stanza ci sono quattro uomini, tre bianchi e un nero. Il nero è il
  Giamaicano, Nigel lo conosce. E un altro è quello che chiamano Cazzogrosso: Nigel ha avuto modo di provarlo e ne è stato
  soddisfatto. C’è anche lo Scozzese e poi un altro, che Nigel non ha mai
  visto. Sono tutti a torso nudo, ma hanno il viso coperto da maschere. Sul
  fondo del locale c’è un camino in cui arde un fuoco. Le fiamme illuminano la
  stanza. Cazzogrosso si avvicina a lui. Gli mette le mani
  addosso e fruga, finché trova la borsa con il denaro. La apre e controlla che
  ci sia la cifra pattuita. Poi la richiude e la getta in un angolo. Afferra
  Nigel per i capelli e lo forza a inginocchiarsi davanti a lui. Si abbassa i
  pantaloni, mettendo in mostra un grosso cazzo. -
  Succhia, porco, succhialo bene. Nigel
  avvicina la bocca. Può sentire l’odore del cazzo: piscio, sudore, sborro.
  Incomincia a leccare la cappella, poi prende il cazzo in bocca e lo succhia
  avidamente. Lo sente crescere di volume e consistenza, sempre più grande e
  più duro. Continua a succhiare, mentre le mani si poggiano sul culo dell’uomo
  e stringono. Gli
  altri commentano. - È
  bravo a succhiare cazzi. -
  Una brava troia, davvero. -
  Poi vediamo com’è la figa. -
  Secondo me gode quando lo inculiamo. Cazzogrosso gli mette una mano sulla nuca e
  incomincia a muovere il culo avanti e indietro, fottendo Nigel in bocca.
  Spinge a fondo, tanto che a Nigel si blocca il respiro, poi si ritrae e Nigel
  riesce a immettere un po’ d’aria. Il movimento prosegue un buon momento,
  finché l’uomo viene e lo sborro riempie la bocca di Nigel. Nigel
  ansima, ma i quattro uomini si avvicinano, lo fanno alzare e incominciano a
  spogliarlo, con movimenti bruschi, ma senza lacerare gli abiti. Nigel si
  ritrova nudo, il cazzo mezzo in tiro. Guarda i quattro uomini intorno a lui,
  che la luce della lanterna illumina a malapena. Il
  Giamaicano si mette dietro di lui, Cazzogrosso gli
  afferra i capelli e lo forza a piegarsi in avanti. Nigel sente una massa
  calda che preme contro il buco del culo. L’ingresso è brusco e Nigel
  sussulta. Cazzogrosso gli intima: -
  Bevi, troia. Nigel
  apre la bocca. Cazzogrosso incomincia a pisciare.
  Nigel beve, ma lo Scozzese si avvicina. La mano che tiene i capelli di Nigel
  li lascia e lo Scozzese si mette anche lui a pisciare, dirigendo il getto sui
  capelli di Nigel e sulla faccia. Nigel chiude gli occhi. Il piscio scorre
  abbondante sulla sua testa. Nigel sporge la lingua e ne sente il gusto. Gli
  piace. Il cazzo ormai è rigido. Cazzogrosso si sposta e lo Scozzese si mette
  davanti a lui. -
  Ora succhiamelo, troia. Nigel
  avvolge con le labbra la cappella dell’uomo e incomincia a succhiare. Intanto
  il Giamaicano spinge con forza e a tratti Nigel si sente proiettato in
  avanti, ma lo Scozzese gli afferra i capelli bagnati e questo gli impedisce
  di cadere. Anche
  il quarto uomo si avvicina e piscia sulla testa di Nigel. Poco dopo Nigel
  sente la scarica riempirgli la bocca. -
  Lecca via il piscio, troia. Nigel
  passa la lingua sul cazzo dell’uomo, sui coglioni e sul ventre, leccando ogni
  goccia. Le spinte del Giamaicano diventano più decise e il seme riempie le
  viscere di Nigel. Il cazzo del Giamaicano esce. L’uomo dice:  -
  Puliscimi il cazzo, troia. Nigel
  si inginocchia e prende in bocca il cazzo che ha gustato in culo. Pulisce a
  fondo. Poi Cazzogrosso e il Giamaicano afferrano Nigel. -
  Ora di divertirci un po’. Lo
  spingono verso la croce di Sant’Andrea attaccata alla parete. Gli legano i
  polsi e le caviglie alle quattro braccia. Poi lo Scozzese prende una frusta e
  incomincia ad abbatterla sulla schiena e sul culo. La frusta non lacera la
  pelle, ma la arrossa. I colpi non spengono l’eccitazione di Nigel. Quando
  ormai il culo e la schiena di Nigel sono tutti arrossati, lo Scozzese spinge
  il manico della frusta in culo a Nigel. Questi ha un guizzo e perde il
  controllo della vescica. -
  Questa troia non sa comportarsi. Bisogna insegnarglielo. Nigel
  viene slegato e spinto a terra. L’uomo che Nigel non conosce gli prende la
  testa e la preme al suolo, sulla pozza di piscio.  -
  Pulisci con la lingua, troia. Nigel
  esegue. L’uomo si stende su di lui e lo incula con una spinta decisa. Lo
  fotte, sempre tenendogli la testa premuta contro il pavimento. Quando ha
  finito, si alza e volta Nigel sulla schiena, poi passa il piede sul cazzo e
  sui coglioni. Il
  cazzo di Nigel si tende sempre di più e infine Nigel geme e viene. Il
  Giamaicano piscia su di lui: sborro e piscio si mescolano sul ventre di
  Nigel. Poi
  gli uomini si rassettano. Uno di loro raccoglie la borsa di Nigel e i quattro
  se ne vanno. Nigel
  ha male alla schiena e al culo, ma è stato splendido. Quello che voleva.
  Vorrebbe rimanere disteso a terra, ma adesso ha freddo. Si alza. Il movimento
  gli provoca una fitta al culo e gli sfugge un gemito. Nigel
  prende la lanterna, che i quattro gli hanno lasciato, e passa in uno stanzino
  dove c’è un gabinetto. Ci sono un secchio d’acqua e due teli. Nigel si lava
  alla bell’e meglio e si asciuga. Poi torna nello stanzone, si riveste e passa
  nel corridoio. Esce e si allontana. Gli è costata un occhio della testa, ma
  ne è valsa la pena.  | 
  
  | 
 |||||||||