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   18 -
  La svolta 
   C’è
  una folla immensa davanti all’Old Bailey, il
  Tribunale penale centrale di Londra. Il patibolo è montato contro un muro
  della prigione, a cui è collegato da una scala interna. La gente si è accalcata
  fin dal pomeriggio della domenica per assistere all’esecuzione capitale, uno
  spettacolo che attira sempre molti curiosi. Come avviene di solito, la
  polizia ha fatto costruire recinti per controllare la folla, ma fa fatica a
  mantenere libero un passaggio.  Nonostante
  la pioggia, che ha ripreso a cadere fitta dopo una pausa notturna, nessuno
  vuole rinunciare allo spettacolo. Una massa brulicante si accalca dietro le
  barriere. Ci sono almeno trentamila persone. Altri si sporgono dalle case che
  danno sullo spiazzo: i posti alle finestre sono stati venduti a caro prezzo e
  ora sono occupati da ricchi, nei loro eleganti abiti della domenica. C’è
  persino gente appollaiata sui tetti. Tra la folla si muove qualche
  borseggiatore, che approfitta della confusione per alleggerire la borsa degli
  spettatori meno attenti. I venditori di panini, focacce, bibite e pesce
  fritto fanno buoni affari. Al
  fondo della piazza, addossato contro un muro, c’è Harry O’Brian.
  Se qualcuno badasse a lui, si accorgerebbe che è pallido come un morto. E
  come un morto Harry si sente o, meglio, come un uomo che sta per morire. È
  arrivato presto nella mattinata, perché gli hanno detto che c’è sempre tanta
  gente che va ad assistere alle esecuzioni capitali. A Harry non interessa
  vedere bene, non gli importa. Se potesse scegliere, preferirebbe essere
  altrove, ma deve assistere, per trovare il coraggio che gli manca: il
  coraggio di andare a morire. La
  campana della chiesa di St Sepulchre incomincia a
  suonare poco prima delle otto: è la campana delle esecuzioni, come viene
  chiamata, e ai suoi rintocchi risponde il grido di entusiasmo della folla.
  Tra poco i condannati faranno la loro comparsa.    Il
  caso desta curiosità, anche se non certo come i tre misteriosi delitti di cui
  tutta Londra parla in quest’ultimo periodo. Ma forse questo misterioso
  tentativo di omicidio, sulle cui cause la polizia non è riuscita a fare luce,
  ha a che fare con la morte dell’industriale e dei due nobili: Summerscale, la vittima sfuggita per poco alla morte,
  pare essere il colpevole di due di quegli omicidi; del terzo la
  responsabilità va attribuita a quell’infernale Wheelsand.
  Non tutti sono d’accordo, i lettori del Times
  propendono per un’interpretazione diversa, ma comunque ora non ha importanza.
  Chiunque sia il colpevole, che i delitti siano collegati a questo agguato o
  meno, in ogni caso una bella esecuzione capitale, di ben cinque condannati,
  non si perde di certo.  Quando
  compare il gruppo composto dal boia, dai cappellani, dai cinque condannati e
  dalle guardie, la folla esplode nuovamente in un urlo. I prigionieri hanno
  tutti le mani legate dietro la schiena da una corda che blocca anche i gomiti
  lungo i fianchi. Il Mannese viene aiutato a salire le scala. Quando sono
  sulla piattaforma, il boia lega le caviglie a ogni prigioniero e gli sistema
  la corda intorno al collo. Poi prende i cappucci e copre le teste dei
  condannati. Il
  boia guarda un attimo i prigionieri, poi si avvicina alla leva e con un gesto
  deciso l’abbassa. I cinque precipitano. Quattro hanno appena un sussulto, poi
  rimangono inerti, i corpi che vibrano. Uno invece scalcia brevemente, sotto
  lo sguardo corrucciato del boia, poi anche lui rimane immobile. La
  folla esplode in un gigantesco boato. Molti ridono, qualcuno bestemmia, qua e
  là scoppiano risse, mentre gli spettatori incominciano a disperdersi in
  diverse direzioni, commentando ad alta voce. Harry
  guarda il patibolo, senza muoversi.  Pensa
  che è stato breve, molto breve. I quattro sicari che hanno cercato di
  uccidere Bart e l’uomo che ha fatto da intermediario sono morti in fretta.
  Non hanno sofferto. Harry O’Brian spera che sarà lo
  stesso anche per lui. La
  folla defluisce. Un uomo vede Harry contro il muro, pallidissimo, e dice: -
  Non capisco perché certa gente viene a vedere lo spettacolo, se non ha lo
  stomaco per reggerlo. Harry
  rimane appoggiato all’edificio. Poi, lentamente, si stacca e si incammina
  verso la sede della polizia, ma procede a fatica. Harry va a morire, per
  libera scelta, ma è angosciato. Eppure non intende tornare indietro: se con
  la sua vita può salvare Greg, va bene così. Arrivato
  a destinazione, Harry si rivolge a un poliziotto e spiega brevemente il
  motivo per cui è venuto.  Poco
  dopo, un agente bussa alla porta dell’ufficio di Thomas e dice: -
  Ispettore, c’è un certo Harry O’Brian che vuole
  parlare con lei. Dice che ha informazioni importanti sull’omicidio di lord Bentham. -
  Harry O’Brian? -
  Sì, ha detto così. Thomas
  è stupito di sentire questo nome in relazione all’omicidio Bentham. Ha cercato a lungo Harry O’Brian,
  ma per tutt’altro motivo. -
  Fallo passare. Thomas
  guarda l’uomo che entra. Giovane, alto, bello. Spaventato a morte. - Si
  sieda. Lei è Harry O’Brian? Il
  giovane annuisce. Sembra che non riesca nemmeno a parlare. -
  Qual è il suo nome irlandese? Harry
  scuote la testa. Non si aspettava la domanda. Thomas insiste: -
  Non ha un nome in gaelico? -
  Sì, Niall. -
  Quindi è il nipote di Patrick O’Brian. Harry
  guarda Thomas, allibito. -
  Sì, io… - Ma
  non è venuto per questo. Mi dica. Ha rivelazioni sull’omicidio Bentham, così ha detto, no? Harry
  annuisce. L’angoscia gli impedisce di parlare. Ma se non parla Greg sarà
  impiccato.  Harry
  chiude gli occhi, poi li riapre e dice: - Ho
  ucciso io lord Bentham. L’ispettore
  lo sta guardando e Harry ha l’impressione che quegli occhi gli leggano
  dentro. - Mi
  racconti tutto, fin dall’inizio. -
  Io… io… lavoravo per lord Tumblestone, nella sua
  tenuta nel Leinster. L’anno scorso venne lord Bentham per la caccia alla volpe. Harry
  racconta. Man mano che procede, il discorso diventa più fluido. Thomas pone
  qualche domanda, ma solo ogni tanto. Harry
  racconta brevemente quanto successo nella tenuta e la sua fuga, concludendo: -
  Lord Tumblestone potrà confermare quello che le ho
  raccontato. La parte a cui lui ha assistito.  -
  Non ne dubito. Prosegua. Harry
  pensa che è tutto facile. Morire è facile.  Harry
  racconta del suo arrivo a Londra. -
  Volevo vendicarmi di Lord Bentham, che aveva
  provocato il mio licenziamento. Scoprii che possedeva una casa in cui
  ospitava i suoi amanti. -
  Come lo scoprì? Harry
  rimane un momento interdetto. Non ha pensato a questi dettagli. Non ha
  riflettuto sul fatto che sarebbe stato interrogato. -
  Ma… lo sentii dire. - Da
  chi? - Da
  qualcuno, qualcuno nel giro delle lotte. Per un po’ qui a Londra ho
  partecipato a degli incontri di lotta, per guadagnare qualche cosa. - Ma
  non si ricorda chi… -
  No. L’ispettore
  annuisce. -
  Prosegua. -
  Feci in modo di incrociare lord Bentham. Come se
  fosse un incontro casuale. -
  Come? - In
  che senso, come? -
  Come fece per incrociarlo? -
  Ah, sì. Io… io mi appostai vicino a casa sua. - La
  casa dove ospitava i suoi amanti? -
  No, proprio la casa in cui viveva. -
  Dove? -
  Come, dove? - Le
  ho chiesto dove si appostò. -
  Non ricordo la via. Perché
  l’ispettore non lo lascia raccontare? Perché vuole sapere cose che non hanno
  nessuna importanza? -
  Dove si trova la casa di lord Bentham? Harry
  annaspa. -
  L’ho dimenticato. Me la indicarono. Ma adesso non me lo ricordo. - E
  chi gliela indicò? -
  Non so, nel giro si parlava di tante cose. Qualcuno lo disse. - Ma
  non si ricorda chi fu… -
  No. Harry
  si rende conto di aver sbagliato tutto, di aver pensato solo alla parte
  relativa all’omicidio e al furto. Ma ormai è tardi per rimediare. Deve
  cercare di essere più convincente. - E
  poi? -
  Quando mi incrociò, lord Bentham mi vide. Era… era
  incerto sul da farsi, ma io lo salutai rispettosamente. Lui si scusò per
  quello che aveva detto allora, spiegandomi che non avrebbe potuto fare
  diversamente. Io finsi di capire, di essere d’accordo. E allora lui mi
  propose di riprendere ciò che avevamo interrotto. Io accettai e raggiungemmo
  la villa. -
  Come ci andaste? Harry
  si morde un labbro. Non sa che distanza possa esserci tra il palazzo di Bentham e la villa. Probabilmente sono molto distanti. - In
  carrozza, prese una carrozza. - La
  sua carrozza? Harry
  sta per dire di sì, poi pensa che il cocchiere potrebbe smentirlo. -
  No, una carrozza che passava. -
  Prosegua, O’Brian. -
  Arrivati alla villa, andammo subito nella camera da letto. Ci spogliammo e
  quando fui su di lui, gli tagliai la gola. -
  Lui non si accorse di niente? -
  No, non capì. -
  Non reagì? -
  No, no, le dico, non si accorse di nulla. Dopo averlo ucciso mi rivestii e incominciai
  a prendere gli oggetti preziosi per simulare un furto. Per quello forzai
  anche una finestra. Nel
  descrivere il furto, Harry indica tutti gli oggetti rubati e i posti in cui
  li ha presi, la via seguita per uscire, la finestra da cui è passato. Abbonda
  in dettagli, sicuro di riuscire così a convincere l’ispettore, senza rendersi
  conto che il contrasto tra ciò che ha inventato e ciò che ha davvero fatto
  diventa ancora più stridente. Infine
  Harry conclude: -
  Portai la refurtiva da Greg Wheelsand. Lo
  conoscevo. Mi aveva dato lui lezioni di lotta. Non gli dissi che erano cose
  rubate. Non pensavo che qualcuno potesse cercarle da lui. Non mi passò
  proprio per la testa.  Ora
  Harry è più sicuro. L’ispettore non dubiterà della sua confessione. Ha
  fornito una serie di elementi che solo il ladro può sapere. -
  Chi era a conoscenza del furto? -
  Nessuno. -
  Non ne ha parlato con nessuno, né prima, né dopo? -
  No, di certo. - E
  allora chi ha scritto la lettera che segnalava la presenza della refurtiva da
  Greg Wheelsand? Harry
  rimane spiazzato. Anche a questo non aveva pensato. -
  Non lo so, io no di certo. Non avevo motivo per accusare Wheelsand. E
  mentre lo dice Harry sente una fitta. Thomas Hardy annuisce. - Sì, signor O’Brian. Lei
  mi ha raccontato molte cose interessanti, permettendomi di aggiungere altri
  elementi al quadro che mi sto costruendo. La ringrazio per queste
  informazioni. Naturalmente so benissimo che lei non ha ucciso lord Bentham. Personalmente credo che non lo abbia ucciso
  neanche il signor Wheelsand. Ma devo dimostrarlo,
  altrimenti sarà condannato. Gli elementi che mi ha fornito mi sono utili, ma
  non mi bastano. Harry
  guarda l’ispettore senza capire.  - Ma
  io ho confessato. Thomas
  scuote la testa. -
  Sì, l’ho ascoltata con la massima attenzione, glielo garantisco, ed è per
  quello che mi sento di dire che lei mi ha raccontato una parte della verità e
  alcune cose del tutto inventate. Adesso le chiedo un’informazione essenziale.
  Se riuscirà a darmela, forse potrò salvare il signor Wheelsand
  dalla forca. Harry
  guarda Thomas, che chiede: -
  Chi le ha suggerito il furto nella villa di Bentham? Harry
  scuote la testa. -
  No, nessuno… io… - O
  chi l’ha suggerito a Greg Wheelsand? Harry
  si copre il viso con le mani. Inutile, è stato tutto inutile. Non ha più
  senso mentire.  -
  Non lo so, ispettore. Greg mi disse qualche cosa, ma non ricordo. - È
  vero? Harry
  annuisce. È la verità. In questo momento non riesce a ricordare. In questo
  momento non sa più nulla, se non che Greg è perduto. Harry vorrebbe solo
  morire. Le parole
  di Thomas lo scuotono. - Va
  bene. Adesso devo dirle un’altra cosa, che avrei voluto dirle mesi fa, ma non
  ne ho avuto la possibilità. Peccato, perché sicuramente lei e forse anche il
  signor Wheelsand non vi sareste resi colpevoli di
  un furto.  Il
  colloquio tra Thomas e Harry dura ancora una ventina di minuti. Poi Thomas si
  fa lasciare l’indirizzo di Harry, per poterlo contattare di nuovo. Dopo
  aver parlato con Harry, Thomas va nel carcere di Newgate
  e fa chiamare Greg Wheelsand. Greg
  viene condotto da un agente. È pallido e chiaramente sofferente. -
  Buongiorno signor Wheelsand. Si sieda. -
  Buongiorno ispettore. Greg
  fa un leggero inchino e, facendo attenzione a non appoggiarsi sulla gamba che
  è ancora un po’ dolorante, si siede su una della due sedie che fronteggiano
  la scrivania dietro a cui è seduto Thomas. -
  Signor Wheelsand, adesso deve scegliere. Io sono
  molto vicino alla verità. Mi manca ancora qualche elemento per arrivare e so
  con sicurezza che lei può fornirmi le informazioni che mi permetteranno di
  arrestare l’assassino che sto cercando. -
  Ispettore, io le ho detto tutto. Thomas
  alza la mano e Greg tace. -
  Non è più tempo per questo. La sua vita e quella di Harry O’Brian
  dipendono da lei. Se
  Thomas gli avesse tirato un pugno in faccia, Greg avrebbe incassato il colpo
  molto meglio. Greg chiude gli occhi, stordito. Harry! Non Harry! Non lui! Non
  è possibile! Greg
  guarda Thomas Hardy, gli occhi spalancati in una smorfia di terrore, incapace
  di nascondere la disperazione che lo sommerge.  -
  Ora deve scegliere. Fidarsi di me e aiutarmi a scoprire l’assassino, salvando
  se stesso e O’Brian, oppure non fidarsi e perdersi.
  Io so che non avete ucciso voi Bentham, anche se
  siete entrati in quella casa per una rapina. Era una trappola, ma se non
  vuole che entrambi veniate condannati, deve dirmi la verità. Greg
  affonda. Non Harry. Non Harry. Lui non c’entra. Può fidarsi di quest’uomo?
  Non è invece una trappola proprio questa, che l’ispettore gli tende? Greg
  guarda Thomas negli occhi. Gli sembra di leggere comprensione. Non ha altro a
  cui aggrapparsi, se non la comprensione di quest’uomo, che forse è solo il
  suo carnefice. - Le
  dirò tutto, ispettore. -
  Non mi serve tutto. Un’unica cosa voglio sapere. Come le è venuta l’idea di
  rapinare la villa in cui lord Bentham ospitava i
  suoi amanti, una villa di cui non conoscevate neppure l’esistenza? Questa è
  la domanda a cui deve rispondere. Dalla sua risposta dipendono la sua vita e
  quella di O’Brian. Greg
  annuisce. Non sa perché l’ispettore vuole conoscere questo dettaglio, ma non
  può fare altro che dire la verità: - Me
  ne parlò il proprietario del bordello dell’Irlandese, ispettore. Il signor Ronaldson. Fu lui a dirmi di questa villa, quando non
  avevamo niente e non sapevamo come fare. Gliene aveva parlato un ragazzo che
  lavorava al bordello. Sapeva che un certo giorno il custode sarebbe stato
  assente. Aggiunse che poi, passato qualche giorno dal furto, mi avrebbe
  indicato qualcuno a cui potevo vendere la refurtiva.  Thomas
  Hardy annuisce. - Va
  bene, Wheelsand. Può andare. Greg
  si alza. Sta tremando. -
  Ispettore, la prego, Harry O’Brian non c’entra
  niente. Se ha bisogno di un colpevole, posso confessare tutto quello che
  vuole. Thomas
  lo guarda e scuote la testa. Se non vedesse la disperazione di quest’uomo, gli
  verrebbe da ridere: in una mattinata ha parlato con due persone disposte ad
  accollarsi un omicidio che non hanno commesso; probabilmente, facendo la
  giusta pressione, si accollerebbero anche gli altri due omicidi. Wilfer sarebbe felice di avere un assassino reo confesso
  da dare in pasto all’opinione pubblica. Ma Greg Wheelsand
  sta troppo male. -
  No, Wheelsand. Io non ho bisogno di un colpevole.
  Io ho bisogno del colpevole. E credo di averlo trovato. O’Brian non verrà coinvolto, questo glielo posso assicurare,
  e vedrò che cosa posso fare per lei. Stia tranquillo. Greg
  annuisce. Non si rende conto di aver incominciato a piangere. Thomas
  gli si avvicina e gli mette una mano sulla spalla: - Si
  fidi di me, Wheelsand. In qualche modo la
  sistemeremo.  Le
  lacrime che scendevano si trasformano in un pianto dirotto. Greg si vergogna,
  ma i singhiozzi lo scuotono tutto. Non gli era mai successo di piangere in
  questo modo, ma è esausto per la tensione delle ultime settimane: prima gli
  stenti, poi la vita nella cella della prigione, il timore di essere
  condannato a morte, la separazione da Harry, la paura che Harry venga
  coinvolto. Non regge più.   Thomas
  Hardy fa qualche cosa che Greg non si sarebbe mai aspettato: lo abbraccia.
  Gli posa una mano sulla testa, gliela appoggia sulla propria spalla e lo
  tiene così, come un bimbo, finché le lacrime si sono calmate. Greg
  si abbandona a questa stretta, che lenisce il suo dolore. Quando infine ha
  smesso di piangere, Thomas Hardy si stacca e gli sorride. Poi chiama l’agente
  che lo riaccompagna in cella. Thomas
  riflette. Diversi pezzi sono andati a posto e Thomas ormai è sicuro di aver
  capito chi è l’assassino.  L'idea
  è come un lampo. Thomas prende il biglietto che ha trovato nella villa di Bentham, la lettera anonima indirizzata al Times che
  rivelava la morte di Shaffield e quella che
  segnalava Wheelsand come autore del furto e
  dell’assassinio di Bentham. La scrittura è la
  stessa, non c’è dubbio. Thomas
  sorride. Thomas
  è a Manchester. Non c’era mai stato e deve riconoscere che Nigel Kellington non aveva tutti i torti: la città appare
  squallida. È cresciuta in modo caotico e intere aree sono occupate da
  fabbriche, magazzini e misere case operaie. Dalle ciminiere sale un fumo
  nero, che forma una cappa e rende l’aria irrespirabile. Thomas
  vuole trovare il bordello vicino a St Peter’s
  Field, quello di cui Nigel ha scritto nei suoi diari. Si rivolge alla polizia
  locale: sa che gli agenti non possono conoscerne l’esistenza, perché
  altrimenti l’avrebbero già chiuso, ma ottiene qualche indicazione utile sui
  luoghi d’incontro dei sodomiti, dove gli agenti cercano di sorprendere
  qualche trasgressore in flagrante. A sera si reca vicino a uno dei questi
  luoghi e prende una carrozza. Si rivolge al cocchiere, che sembra non sapere
  niente, ma parla con un collega e ottiene l’indicazione desiderata. La
  carrozza porta Thomas in una via che finisce sul St Peter’s
  Field. Il cocchiere gli indica una casa, raccomandandogli di fare attenzione,
  perché la polizia vigila. Thomas paga, lasciando una mancia, e scende. Per
  sicurezza, Thomas si apposta in un angolo buio e osserva. Vede un uomo
  arrivare, guardarsi intorno e poi bussare alla porta della casa, che viene
  subito aperta. Thomas rimane ancora un momento nell'ombra, poi si muove e
  batte alla stessa porta. Un
  uomo apre e lo guarda con diffidenza. -
  Buonasera, sono di passaggio a Manchester e un amico mi ha consigliato questo
  posto e uno in gamba che ci lavora. -
  Qui? -
  Sì, si chiama Edward. Lavora sempre qui? Il
  nome sembra vincere la diffidenza dell'uomo. -
  Sì, entri. Vado a vedere se è libero. Thomas
  è contento di aver trovato Edward. Ormai il cerchio si stringe. Thomas
  attende in un salottino, illuminato da candelabri dorati. L’ambiente è
  accogliente, con una profusione di tendaggi e tappeti, poltrone e tavolini.
  Dev’essere un bordello di lusso. L’uomo
  ritorna. - È
  libero. Fanno quattro scellini. Anche
  il prezzo è da bordello di lusso. E non viene fissato un limite di tempo: chi
  viene qui non bada a spese, ma vuole godersi la merce con tutta calma.  Thomas
  paga. L'uomo lo accompagna lungo un corridoio fino alla terza porta sulla
  destra. Thomas entra e chiude la porta dietro di sé. In piedi davanti al
  letto c'è Edward, un bell’uomo, che deve avere più o meno l’età di Thomas.
  Indossa solo i pantaloni e Thomas lo osserva, in silenzio. L’uomo non ha
  capelli, ha la barba corta e un petto muscoloso, con una leggera peluria. È
  un maschio alquanto virile, che appare fuori posto in una stanza arredata con
  un gusto molto femminile.  Edward
  guarda Thomas senza nascondere una certa perplessità: il cliente ha chiesto
  di lui e perciò Edward si aspettava un viso noto, ma quest’uomo gli è del
  tutto sconosciuto. Di clienti Edward ne ha tanti, ma un viso come quello di
  Thomas non si dimentica. Può darsi che qualcuno gli abbia consigliato di
  chiedere di lui. Thomas
  si siede sull’unica sedia e, indicando con il mento il letto, dice: -
  Siediti, Edward. Devo parlarti. Lo
  stupore lascia posto alla diffidenza. Edward non si siede. -
  Che cosa vuole? -
  Informazioni. Se me le dai, me ne vado e la visita di un ispettore di polizia
  non avrà altre conseguenze. Se non me le dai, questa sera ci sarà una retata
  qui. Edward
  si tende. Dice: -
  Così lei è un ispettore. Thomas
  annuisce. Ripete: -
  Siediti. E non fare scherzi. Sono armato e so sparare. Edward
  ha un mezzo sorriso, mentre si siede: -
  Non intendo saltarle addosso. Thomas
  sorride. -
  Anche se lo faresti volentieri… Edward, ti ho cercato perché tu conoscevi
  Adrien Bellisle, vi prostituivate insieme nella
  Casa rossa, dove entrambi siete riusciti a sfuggire a un’irruzione della
  polizia, grazie al cortile sul retro. Eravate tutti e due già sotto
  osservazione e tu hai progettato di andare a Londra, ma poi ci hai
  rinunciato. Edward
  annuisce. Sa che sarebbe del tutto inutile negare. - Ho
  bisogno che tu mi dica tutto quello che sai su Adrien. E non cercare di
  nascondermi niente. -
  Non ne so molto, ispettore. Si fa chiamare Bellisle,
  almeno si faceva chiamare così quand’era qui, adesso non so. In realtà porta
  il cognome della madre, una lavandaia che era venuta a Manchester con un
  commerciante inglese. Mi pare che sia Normand. Ha
  un fratello gemello, ma non sono mai andati d’accordo. -
  Sai dove vivano sua madre e il fratello? - Ad
  Ancoats, vicino a una grande fabbrica, forse il Beehive Mill, ma non ne sono
  sicuro. Non
  è molto, ma adesso che sa dove cercare, Thomas vedrà di trovare indicazioni
  più precise. -
  Un’ultima domanda: com’è che non sei andato a Londra, come avevi in mente di
  fare, al bordello che un cliente ti aveva consigliato? Edward
  sorride. -
  Quel cliente che già mi aveva interrogato su Adrien, vero? È un poliziotto
  anche lui? Lui però non si sedeva sulla sedia. Si dava da fare. -
  No, non era un poliziotto. Ma tu non hai risposto alla mia domanda. - Ci
  sono andato, ma il proprietario del bordello non mi ha preso, non ha voluto
  neanche parlare con me. Sono rimasto a Londra poco. Non sapevo dove andare.
  Ho preferito tornare qui. Se mi arrestano…  Edward
  alza le spalle e conclude: -
  Non sarà tanto peggio della vita che faccio qui. Thomas
  fissa Edward e dice: -
  Non mi hai nascosto niente? -
  No, ispettore. Thomas
  si alza. - Va
  bene. Allora eviterò di fare un salto dai colleghi di qui. Da parte mia non
  corri rischi, Edward. Edward
  fissa Thomas, poi ha un mezzo sorriso. -
  Perché non si ferma, ispettore? Ha pagato. -
  No, Edward. Ho pagato perché era il metodo più semplice per riuscire a
  parlarti.  -
  Non le piacciono gli uomini? Perché a me lei piace molto. Thomas
  scuote la testa. Risponde, serio: - Mi
  piace un uomo, è vero. Ma lui mi basta. -
  Lui è un uomo fortunato. Thomas
  sorride: - Lo
  sono anch'io. Thomas
  saluta e se ne va. Strano dialogo tra un ispettore di polizia e un uomo che
  si prostituisce in un bordello. Ma Thomas sa di essere anomalo come
  ispettore, troppo anomalo e questo sta diventando un problema, che una volta
  risolto il caso dovrà affrontare.  Le indicazioni fornite da Edward sono molto vaghe, ma Thomas è
  un ispettore e può di nuovo rivolgersi alla polizia locale. I colleghi sanno
  che l'ispettore Hardy si occupa degli omicidi di cui si parla in tutta
  l'Inghilterra e sono ben contenti di aiutarlo a scoprire dove vive la signora
  Normand.  Vengono
  chiamati gli agenti che operano ad Ancoats e uno di
  essi è in grado di indicargli la casa.  Thomas
  bussa, ma nessuno risponde. Una vicina si affaccia alla finestra. -
  Buongiorno, cerco la signora Normand. - È
  andata a consegnare della biancheria. Ma non credo che tardi. -
  Grazie, allora l'aspetto. Una ventina
  di minuti dopo arriva una donna, alta di statura e di forme prosperose. Sul
  viso ci sono ancora le tracce di una bellezza ormai sfiorita. La donna guarda
  perplessa il signore che è davanti alla porta. -
  Buongiorno, signora, mi chiamo Thomas Hardy e sono venuto per chiedere
  notizie di suo figlio, che conobbi a Londra l'anno scorso. La
  donna sorride. - È
  un amico di Adrien, allora. -
  Sì, ma ci siamo persi di vista perché io sono andato alla Giamaica e al mio
  ritorno non l'ho più trovato. Non abitava più presso il conte, in Grosvenor Square, dove stava prima che io partissi. Mi aveva detto
  dove abitava lei e allora, essendo di passaggio a Manchester, ho deciso di
  passare a trovarla. -
  Venga dentro, signor... Hardy, ha detto? -
  Sì, Hardy. La
  casa è piccola, ma ordinata e pulita. A giudicare dall'arredamento, la donna
  vive semplicemente, ma non in miseria. - Io
  non bevo e non posso offrirle un bicchiere di liquore. Vuole una tazza di tè? Anche
  l’offerta del tè dimostra che la donna vive in condizioni economiche
  discrete: per quanto il costo della bevanda sia molto diminuito rispetto al
  secolo scorso, tra la gente del popolo l’uso non è ancora così diffuso. -
  Perché no? La ringrazio. La
  donna accende il fuoco e versa in un contenitore un po' d'acqua. - Mi
  dica come ha conosciuto Adrien. - In
  un salotto, dai Parry, una famiglia nobile di
  Londra, che ha anche una tenuta nel Surrey. La
  donna sorride. -
  Adrien ha fatto strada. Può immaginare la gioia che mi dà sapere che ha fatto
  fortuna. Spero che anche Paul metta giudizio. - Ah
  sì, Adrien mi aveva detto di avere fratello. Dove si trova adesso? -
  Negli Stati Uniti. Ci era già andato una volta, poi è tornato qui. - Ah
  sì? Adrien non mi ha mai detto che Paul era tornato in Inghilterra. Ma io
  dovevo essere già partito per la Giamaica. Quando è stato, circa un anno fa? -
  Sì, proprio un anno fa. Non me l'aspettavo. È stata una sorpresa,
  ritrovarmelo davanti, così di colpo. Quasi non lo riconoscevo, con quel
  barbone! Era partito per fare fortuna, ma non gli è andata bene. Paul è un
  impulsivo, si arrabbia subito e litiga facilmente. Purtroppo ogni tanto si
  caccia nei guai. -
  Adrien mi ha parlato poco di lui. -
  Non vanno d'accordo, quei due. Quando erano piccoli, non riuscivo a stare
  dietro a tutti e due e al lavoro. Di Paul si occupava soprattutto una vicina
  che non aveva figli. Ma lui e Adrien erano come cane e gatto. Paul era
  geloso... Oh, ma io chiacchiero e non bado all'acqua per il tè. La
  donna si alza, controlla l'acqua, che ormai sta bollendo. Toglie il
  recipiente dal fuoco e vi versa un po' di foglie. -
  Cosa le dicevo? Ah, sì. Non andavano d'accordo. Ma quando Paul è tornato, ha
  voluto l'indirizzo di Adrien e l'ha raggiunto a Londra.  - Ah
  sì? Non sapevo neanche questo, ma è naturale: se è stato un anno fa, io ero già
  in viaggio. Adrien non stava più in Grosvenor Square,
  vero? -
  No, era a Paddington. - A Paddington? Che buffo! Ci ho abitato per tre anni! Sa
  dove stava, esattamente? Thomas
  non ha mai abitato a Paddington, ma gli servono
  tutti gli indirizzi di Adrien Bellisle. - Ma
  sì, mi aveva dato l’indirizzo. Praed Street, sopra
  un negozio di tessuti. Thomas
  scuote la testa. -
  No, è una via nuova, quando abitavo a Paddington,
  non l’avevano ancora costruita, era solo in progetto. Io non stavo lontano.
  Ma l’ho distratta. Mi parlava di suo figlio Paul, mi diceva che era tornato
  in Inghilterra.  La
  donna annuisce. -
  Sì, è passato di qui, poi ha raggiunto Londra e dopo aver parlato con Adrien
  è ripartito per l’America. - È
  passato a salutarla prima di partire? La
  donna sorride. C’è un po’ di tristezza nel suo sorriso. -
  No, è partito direttamente da Londra. Me l'ha scritto Adrien: è stato lui a
  dargli i soldi per il viaggio. -
  Era primavera, no? -
  Sì, fine aprile. Thomas
  annuisce, sorridendo. Tutti i pezzi vanno a posto. La
  donna versa il tè nella tazza e la porge a Thomas. Questi sorseggia la
  bevanda. -
  Caldissima! È meglio che aspetti un momento.  -
  Certo. - E
  mi dica, ha più avuto notizie di Paul?  Il
  viso della donna si rabbuia un attimo. -
  No, ma Paul... è così. Non dà mai notizie. Non è come Adrien, che mi scrive e
  mi aiuta. Non che mi racconti molto, ma almeno si fa vivo.  La
  donna è curiosa di sapere qualche cosa di più della vita di Adrien a Londra.
  Thomas inventa, senza difficoltà, parlando di salotti, banchetti, balli e
  teatro.  Infine,
  dopo aver bevuto il tè, Thomas dice: - Io
  devo andare. Può darmi l'indirizzo di Adrien? Così adesso che torno a Londra
  passo a trovarlo. -
  Certamente. Le faccio vedere una lettera di Adrien, con la via e il
  quartiere. La
  donna apre il cassetto di un mobile, ne prende una lettera e la porge a
  Thomas, che guarda la scrittura e l'indirizzo: due conferme. Bruce
  esce dal bordello dell’Irlandese. Ronaldson lo ha
  mandato da un cliente che ha chiesto di lui.  Pioviggina
  e la giornata è grigia, anche se non fredda: ormai è quasi estate. Bruce si
  dirige a una piazza vicina, per prendere una carrozza e farsi portare
  all’indirizzo che gli ha dato Ronaldson. Non bada
  ai due uomini che parlano tra di loro. Non si accorge che dopo il suo
  passaggio i due si muovono e lo seguono per un breve tratto, finché, quando
  non sono più visibili dal bordello, lo raggiungono. Si
  presentano come due agenti. -
  Bruce, detto lo Scozzese, vero? Bruce
  è chiaramente a disagio -
  Io… sì, mi chiamo Bruce. -
  Vieni con noi. Bruce
  viene fatto salire in carrozza e accompagnato nella sede della polizia di
  Londra. Qui i due uomini lo fanno entrare nell'ufficio di Thomas. Questi
  gli fa segno di sedersi, senza dire nulla. Bruce si siede. -
  Sono l’ispettore Hardy e mi occupo di tre omicidi.  Bruce
  fissa Thomas. Non sembra spaventato, anche se sa benissimo che per sodomia e
  prostituzione rischia di finire impiccato. -
  Ispettore, non ho mai ucciso nessuno. Non so niente… - Tu
  lavori al bordello dell’Irlandese e tra i tuoi clienti c’erano lord Bentham e il signor Kellington.
  O mi sbaglio? E magari anche lord Shaffield. -
  Ispettore, non li ho uccisi io. -
  Allora raccontami quello che sai. -
  Del signor Kellington non so molto. L’ho visto
  alcune volte, gli piacevano… esperienze forti. Non conoscevo il suo nome, ma
  uno degli altri mi ha detto che era lui un cliente con cui avevamo… Bruce
  esita. È Thomas a completare la frase: - …
  avevate scopato, gli avevate pisciato in bocca e addosso, lo avevate
  frustato. Bruce
  guarda l’ispettore, senza nascondere il suo stupore, poi annuisce. - E Shaffield? -
  Non conoscevo lord Shaffield, anche se… non posso
  escludere che fosse tra i clienti del locale… -
  Quello in cui si lottava. Sicuramente lo frequentava.  Thomas
  non ha prove di questo, ma solo lì Shaffield poteva
  aver riconosciuto Bartholomew Summerscale
  nel Nero e infatti gli aveva fatto tendere un agguato proprio all’uscita del
  locale. Thomas
  chiede: - E Bentham? -
  Lord Bentham chiedeva spesso di me, almeno una
  volta a settimana. Lo raggiungevo nella villetta… nella villetta di Curzon Street, dove è stato assassinato. - Il
  giorno in cui venne ucciso, tu saresti dovuto andare da lui. -
  Sì, ma scrisse un biglietto per dire che aveva un altro impegno. -
  Vedesti quel biglietto? - No,
  me lo disse il signor Ronaldson. Thomas
  annuisce. -
  Bene, Bruce, adesso ci sono due possibilità. - Mi
  dica, ispettore. - La
  prima è che ti faccia mettere in prigione, con l’accusa di sodomia e
  prostituzione. Potrebbero condannarti a morte, come hanno fatto con Pratt e Smith, mi sembra molto probabile, ma magari ti va
  meglio e ti deportano solo in Australia. -
  Credo che mi piacerà di più la seconda possibilità. -
  Sei un uomo intelligente e sei in grado di capire che la seconda è un’offerta
  allettante, ma che va presa nel suo insieme. Non ti conviene accettare e poi
  non stare ai patti. - Mi
  dica. - Te
  ne vai a fare un giro, senza parlare con nessuno, e non torni al bordello
  prima di tre ore. -
  Tutto qui?   -
  Sì, tutto qui. -
  Confermo, mi piace di più questa. - Va
  bene, Scozzese. Direi che in queste tre ore puoi incominciare a pensare come
  trovarti un altro lavoro. Un’ultima cosa: tu e i tuoi colleghi fareste bene a
  lasciare il bordello questa sera. Domani mattina i miei colleghi verranno a
  fare un giro e se trovano qualcuno saranno ben felici di portarlo in
  prigione. -
  Grazie per l’avvertimento, ispettore. E grazie per avermi dato una
  possibilità. -
  Buona fortuna, Scozzese. È
  quasi sera e Thomas si trova di fronte alla porta del bordello
  dell’Irlandese. Uscendo da questa casa, una sera di quattro anni fa, Thomas
  ha visto per la prima volta Adam. Thomas sorride al ricordo. Era allora il
  momento più buio di un’esistenza che aveva avuto ben poca luce. Ora gli
  sembra di vivere sotto un sole splendente, anche se in questo momento piove,
  una pioggerella fine che scende ininterrotta.    Thomas
  bussa. Il
  domestico che viene ad aprire non è lo stesso che Thomas conosceva. -
  Desidera? -
  Buongiorno. Vorrei parlare con il signor Ronaldson. -
  Vado a vedere se può riceverla. Chi devo dire? Thomas
  sorride e dice: -
  Gli dica che vengo da parte di Paul Normand e di
  altri tre uomini. Lui capirà. Il
  domestico appare alquanto perplesso, ma lavora in un bordello, dove molti clienti
  si presentano con nomi fasulli. Fa entrare Thomas e lo fa accomodare in un
  salottino, che Thomas ricorda. Il domestico sale al piano di sopra.
  Rapidamente Thomas torna alla porta e la apre. I quattro uomini che
  aspettavano si infilano dentro. Serviranno in caso di resistenza e per
  perquisire la casa alla ricerca di elementi utili. Ronaldson ha già visto Hardy, quando questi è
  venuto per dirgli che cercava Harry O’Brian, per
  cui lo riconosce subito. -
  Tenente Hardy?! -
  Ispettore della polizia Thomas Hardy. Sono venuto ad arrestarla per quattro
  omicidi, signor Adrien Normand. O preferisce che la
  chiami Adrien de Bellisle?  | 
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