5 – Caccia alla volpe

 

 

 

Autunno, la stagione della caccia.

È ormai sera quando lord George, conte di Bentham, arriva nella proprietà di lord Tumblestone. George ci è venuto solo una volta, sette anni fa: il viaggio da Londra a questa tenuta nel Leinster, in Irlanda, è lungo e molti nobili preferiscono dedicarsi alla caccia alla volpe senza lasciare l’Inghilterra.

Gli ospiti di Charles Tumblestone sono di solito altri nobili inglesi che vivono nelle loro grandi proprietà in Irlanda, perché solo raramente qualcuno viene dall’Inghilterra per la stagione della caccia. Si tratta di una compagnia titolata, ma che non brilla né per eleganza, né per distinzione, e pertanto è poco consona a un nobile di sangue reale, cugino del re. Ma lord Tumblestone ormai non lascia più l’Irlanda, anche se per lui gli irlandesi sono soltanto dei selvaggi di cui diffidare. Lord Tumblestone ha giurato di non rimettere più piede a Londra dopo un furibondo litigio con re Giorgio IV, ai tempi del processo alla regina Carolina.

Da tempo Giorgio IV è morto ed è salito al trono il fratello Guglielmo IV, ma Charles Tumblestone non ha buoni rapporti neppure con questo cugino, per cui vive stabilmente nella sua tenuta irlandese. Tornerà a Londra quando Guglielmo sarà morto e al trono sarà salita la giovane Vittoria, che è una donna assennata, anche se ha una madre insopportabile.  

La residenza che lord Tumblestone si è fatto costruire, abbattendo l’edificio preesistente, è un grande palazzo nello stile della Large Mansion a Gunnersbury: un pezzo di Londra nella campagna irlandese. La dimora del duca ha una forma allungata, con un corpo centrale, a tre piani, e due ali più basse. Un porticato corre nella parte bassa dell’edificio, in pieno gusto neoclassico. L’insieme è severo e possiede una certa eleganza, ma è poco attraente, come il proprietario. Davanti al palazzo, un grande prato con alcuni alberi; sul retro le scuderie e il casotto per i cani; più avanti un grande bosco, terreno ideale per la caccia.

Di solito George Bentham partecipa alle cacce che si tengono nella campagna non lontano da Londra e a cui viene invitato regolarmente, ma quest’anno ha ritenuto opportuno allontanarsi dall’Inghilterra. D’altronde ha ricevuto un solo invito, dai cugini Westguard, come se gli altri si fossero dimenticati di lui. Certo, in alcuni dei salotti che ancora frequenta avrebbe potuto portare la conversazione sulla caccia autunnale e manovrare in modo da ottenere un invito, ma George è orgoglioso e d’altronde stare un po’ lontano dalla società londinese e dai suoi pettegolezzi non può che fargli bene.

L’assassinio di Adrien de Bellisle rimane un mistero irrisolto: non è stato possibile scoprire il responsabile. Sono circolate le ipotesi più assurde, comprese quelle che attribuivano l’omicidio allo stesso George: come se il conte di Bentham fosse tanto stupido da far ammazzare qualcuno e lasciare il cadavere sulla porta di casa propria. Ma non sono queste le voci che preoccupano George. La sua relazione con Adrien è sulla bocca di tutti e le maldicenze si sprecano, tanto più fastidiose quanto più rispondenti alla realtà. A Londra non si parla d’altro e George ha rapidamente scoperto che il suo ingresso in un salotto provoca spesso mormorii di disapprovazione. Diversi lo salutano appena, alcuni gli voltano ostentatamente le spalle, come fosse un paria, un Ernest Becker. Gli inviti si sono diradati. 

George ha trascorso l’estate nella sua tenuta di campagna nel Sussex, in relativo isolamento, e in autunno ha deciso di allontanarsi dall’Inghilterra.

Da lord Tumblestone George Bentham potrà dedicarsi alla caccia alla volpe, in una compagnia in cui le voci che circolano a Londra sono sicuramente giunte, ma non suscitano la stessa eco.

George intende valutare le possibilità di praticare anche un altro tipo di caccia, quello alla sua preda preferita: i giovani maschi vigorosi. Dopo lo scoppio dello scandalo, George ha avuto pochi rapporti: sapendo di essere sempre sotto osservazione, ha dovuto fare molta attenzione per evitare di suscitare ulteriori maldicenze. Perciò si è rivolto qualche volta al bordello dell’Irlandese, finché è rimasto a Londra. Invece nel Sussex ha rinunciato a cercare una preda.

Ma George è un uomo vigoroso, abituato a soddisfare le sue voglie, e gli pesa rimanere a lungo in astinenza.

La tenuta di lord Tumblestone dovrebbe essere un buon terreno di caccia: vi lavorano molti irlandesi, pagati assai poco. Tra di loro alcuni saranno sicuramente ben contenti di soddisfare il conte, ricevendo in cambio qualche moneta.

George sa che dovrà fare molta attenzione: non devono circolare altre voci sul suo conto, perché la sua reputazione sarebbe definitivamente infangata.

 

O’Brian sta controllando i cani. O’Brian è un whipper, uno degli assistenti del capocaccia. È stanco: come tutti coloro che si occupano degli animali utilizzati per la caccia alla volpe, ha avuto molto da fare. Domani è il giorno della caccia e gli animali devono dare il meglio di sé. 

Quando O’Brian ha finito, il capocaccia Robert Scale controlla i cani, anche se non sarebbe necessario: ormai sono due anni che O’Brian è al servizio di lord Tumblestone e Robert sa che il giovane è competente e sempre attento. Ma il conte è molto esigente e se notasse qualche pecca nella cura degli animali, Robert in quanto capocaccia sarebbe chiamato a risponderne.

- Hai fatto un buon lavoro. Ora puoi andare, Harry.

Il nome di battesimo di O’Brian è Niall, ma lord Tumblestone, come molti altri grandi proprietari inglesi in Irlanda, non tollera che i suoi dipendenti abbiano nomi irlandesi. D’altronde Niall è diventato Harry a dodici anni, quando ha incominciato a lavorare presso un ricco borghese di Limerick, e si è abituato a questo nome, che non gli dispiace e che ormai considera il suo. Usa il suo nome di battesimo solo quando parla in gaelico, cosa che nella tenuta di lord Tumblestone è vietata.

- Grazie, signor Scale.

Robert guarda Harry uscire dalla scuderia. Robert è soddisfatto del suo aiutante: Harry, oltre a essere capace ed esperto, è sempre scrupoloso nell’eseguire i suoi compiti. Non lega molto con gli altri servitori della casa, è uno che se ne sta per conto proprio, ma non è litigioso e per Robert quello che conta è che sappia fare bene il suo lavoro.

Harry raggiunge il pozzo. Fa scendere il secchio e poi lo fa risalire, pieno d’acqua. Ne versa una parte in un altro secchio e si allontana in direzione del boschetto. Di solito si lava tra gli alberi, lontano dagli sguardi degli altri. Quando si è lavato al pozzo, una delle prime volte, alcune serve della casa si sono messe a ridere e a prenderlo in giro per il pelame abbondante: gli hanno detto che con tutto quel pelo rosso, sembra il diavolo. Harry si rende conto che le punzecchiature delle donne sono in realtà apprezzamenti, ma gli danno ugualmente fastidio. Forse, se le donne gli piacessero, vivrebbe queste prese in giro in un altro modo.

Harry è molto forte e ha anche un bel viso, incorniciato da una barba rossa, con occhi azzurri. Nonostante la peluria piuttosto rigogliosa, il suo corpo atletico attira lo sguardo e accende il desiderio. Non solo quello delle donne.

Lord Bentham ha notato subito Harry e, senza farsi vedere, lo ha osservato nei primi giorni passati nella tenuta. Ha scoperto che Harry si lava in una piccola radura nel bosco e ha deciso di passare “casualmente” di lì all’ora in cui il giovane si pulisce dopo una giornata di lavoro. Il giovane ha un bel pelo rosso, come la volpe che cacceranno domani. George Bentham intende dedicarsi a una piccola battuta di caccia personale, prima della grande battuta di domani.

 

Pensando che non ci sia nessuno, Harry si è spogliato completamente e si lava. Bentham lo osserva un momento, nascosto tra gli alberi. Il garzone ha un corpo possente: torace ampio, braccia e gambe muscolose, mani forti. Parecchio pelo: non è il massimo per il conte, ma non è neppure un gran problema. Bentham osserva il culo, le natiche robuste coperte da un pelame leggero, ma quello che gli interessa è altro. Si sposta un po’, in modo da poter osservare Harry di profilo. Ora può vedergli il cazzo, che appare alquanto vigoroso: dev’essere un’arma potente. Bentham ha la gola secca.

Bentham sorride e si avvicina, come se stesse passeggiando nel bosco. Quando con la coda dell’occhio si accorge che Harry lo ha notato, guarda dalla sua parte, come se lo vedesse solo ora. Il giovane ha preso la camicia e la tiene davanti, per coprirsi.

- Mi scusi, milord.

Bentham sorride.

- Ti stai lavando? Bene. Mi fa piacere sapere che tieni alla pulizia. Gli irlandesi sono sempre sporchi.

Ci sono molti uomini per cui la pulizia non è importante e altri che amano proprio maschi rudi e sporchi, ma Bentham non è tra questi: apprezza sempre la pulizia.

L’osservazione di Bentham irrita Harry, ma il conte è ospite dei suoi padroni e Harry non può certo permettersi di lasciar apparire il suo fastidio. Gli inglesi sono i padroni, loro si sono presi le terre e comandano. Gli irlandesi possono solo chinare il capo.

Bentham si avvicina.

- Sei un bel ragazzo. Devi essere molto forte.

Harry non risponde: non sa che dire. Si sta chiedendo che cosa voglia il conte. Mira a divertirsi alle sue spalle e umiliarlo? O ha in mente altro?

- Sei muto?

La domanda è stupida, Harry ha parlato prima, per scusarsi. Si limita a rispondere:

- No, milord.

- Meno male. Un bel ragazzo come te, sarebbe un peccato se fosse muto.

È la seconda volta che il conte usa l’espressione “bel ragazzo”. Harry ormai ha capito che con ogni probabilità il conte vuole scopare. Lord Bentham ha una quarantina d’anni e deve essere stato un bell’uomo. Adesso il corpo si è appesantito, ma conserva un certo fascino. Per quanto non abbia nessuna simpatia per gli inglesi, a Harry non spiacerebbe fotterlo, per niente: ha ben poche occasioni di scopare, perché gli piacciono i maschi e nel Regno Unito la sodomia è un reato passibile della pena di morte, per cui bisogna fare attenzione a non essere scoperti.

Ma che cosa vuole davvero Bentham? Harry non ha nessuna intenzione di farselo mettere in culo. Non l’ha mai fatto e non sarà certo un inglese il primo.

- No, milord. Mi scusi, ma mi ha sorpreso mentre mi lavavo. Sono nudo.

- Sei un bel ragazzo. Che importa se sei nudo? Non c’è nessun altro qui.

Bentham prende il lembo inferiore della camicia che Harry tiene davanti a sé e lo solleva, sorridendo.

- Sei anche ben dotato. Devi essere un vero stallone.

Harry allontana la mano che tiene la camicia, offrendosi allo sguardo di Bentham. Non dice nulla.

Bentham sorride. Si guarda intorno un momento. La sua intenzione era quella di vedere Harry nudo e, in base alla disponibilità del giovane, di fissare un incontro: farlo venire in camera in un momento in cui nessuno potesse vederlo o appartarsi nel bosco. Ma Harry ha davvero un corpo splendido e il desiderio preme.

Non c’è nessuno intorno e sono abbastanza distanti dalla casa. I rischi sono minimi. Anche se lo facesse venire in camera ci potrebbe essere qualche problema: se qualcuno lo vedesse, George non saprebbe come giustificare l’aver chiamato nella propria camera un whipper. 

George individua un albero spezzato, poco lontano. Lo raggiunge, si abbassa i pantaloni e si stende sul tronco inclinato.

Harry si avvicina. Osserva il culo del conte che gli si offre. È la prima volta che gli capita di metterlo in culo a un nobile.

- Vacci piano. Hai un cazzo da cavallo.

Harry annuisce. Non gli spiacerebbe fare male a quest’uomo che lo considera solo un animale da monta, ai suoi ordini, ma non può permetterselo. Harry si accarezza il cazzo, che acquista rapidamente consistenza. Poi sputa sul culo del conte e sparge un po’ di saliva intorno all’apertura. Si inumidisce anche la cappella, l’avvicina al solco, preme contro il buco e lentamente spinge. Il conte sussulta.

Harry si ferma un attimo, poi avanza piano.

- Aspetta! Toglilo!

Harry obbedisce. È irritato per l’interruzione.

Dopo un momento, il conte dice:

- Riprova, ma piano. 

Harry obbedisce. Questa volta l’ingresso avviene senza problemi. Harry avanza piano, poi si ritrae e nuovamente avanza. Sono movimenti lenti.

Il conte geme, due volte.

- Sì, dai!

Harry accelera un po’ il ritmo. Per quanto disprezzi il lord inglese, non gli spiace per niente scoparlo. Le sensazioni sono molto piacevoli e il piacere cresce. Harry accelera il ritmo.

In quel momento la voce risuona alle spalle di Harry, facendolo sussultare.

- Che succede? O’Brian!

Harry si sente gelare. Ha riconosciuto la voce di lord Tumblestone. Si ritrae rapidamente, paralizzato dalla paura. E ora? C’è la pena di morte in Inghilterra, per sodomia. Gli hanno raccontato che l’anno scorso hanno impiccato due sodomiti davanti alla prigione di Newgate, a Londra! Il conte non avrà troppi problemi, i nobili inglesi si spalleggiano a vicenda, non si è mai visto un nobile giustiziato per questo. Ma Harry è solo un servo, irlandese, per di più. Purché lord Bentham interceda per lui, ma in ogni caso perderà il posto.

Bentham si alza e si tira su i pantaloni.

- Meno male che è arrivato lei, Tumblestone. Questo irlandese bastardo mi ha colpito e cercava di violentarmi.

Harry guarda il conte, ammutolito. Vorrebbe gridare che non è vero, che è stato il conte a proporsi, a imporsi. Ma sa che la parola di un garzone irlandese non vale niente contro quella di un nobile inglese. Merda!

Tumblestone è paonazzo per la collera.

- Sei un infame, O’Brian. Ma finirai impiccato per questo.

Harry si volta.

- Vostra Grazia, io…

La frustata lo prende sul viso, subito sotto lo zigomo. Harry arretra, portandosi una mano alla ferita.

- Non ti permettere di rivolgermi la parola!

Bentham interviene:

- Tumblestone, non voglio che si sappia che cosa ha fatto questo bastardo. Meglio…

Lord Tumblestone non lo lascia finire. Si rivolge a Harry:

- Ti faccio ammazzare, porco bastardo. Ammazzare.

Harry si riscuote. Senza dire nulla, raggiunge i suoi abiti e incomincia a rivestirsi. Cerca di contenere la rabbia che lo invade. Vorrebbe strangolare questi due nobili. E soprattutto Bentham, che è il vero responsabile. Tumblestone si comporta così perché crede a Bentham. Ma a lui non crederebbe mai.

Tumblestone sta parlando con Bentham. Parla piano, ma Harry lo sente.

- La capisco, Bentham. Non dirò nulla, ma quel bastardo lo faccio ammazzare dai miei uomini. Ammazzare di botte.

Harry ha sentito da uno dei servi che quattro anni fa un garzone è stato ucciso per essersi avvicinato un po’ troppo a una nipote di lord Tumblestone. Il guardacaccia e gli uomini che dipendono da lui sono feroci e violenti. Se il conte glielo ordinasse, lo ucciderebbero davvero.

Tumblestone si avvicina:

- Va’ nella tua stanza e aspetta che ti mandi a chiamare.

Harry china il capo.

- Sì, Vostra Grazia.

Harry si muove in fretta. Raggiunge il canile, passa nella cameretta dove dorme insieme ad altri due garzoni e ritira le sue poche cose. Poi apre la finestra, scavalca e si allontana. Gli daranno la caccia, anche con i cani: è lui la preda, ora. I cani conoscono bene il suo odore.

Se lo prendono è un uomo morto, come la volpe. La sua vita non vale di più di quella di un animale. Per quel figlio di puttana di lord Bentham.

Quando ha raggiunto il bosco, Harry si mette a correre. La sua sopravvivenza dipende dalla rapidità con cui riuscirà ad allontanarsi. L’importante è che non lo trovino prima di notte. Raggiunge il torrente, si toglie le scarpe e cammina nell’acqua a lungo. A un certo punto si rende conto che per il freddo quasi non sente più i piedi, ma continua ad avanzare. Sulle rocce bagnate scivola più volte, perché cammina il più in fretta possibile. Spera di non cadere disteso nell’acqua: trascorrerà la notte all’aperto e rimanere al freddo tutto bagnato sarebbe pericoloso. Risale verso la collina, poi lascia il torrente e segue un altro corso d’acqua, risalendo ancora. Per fortuna in questi due anni, occupandosi dei cani, ha avuto modo di percorrere molte volte il bosco in lungo e in largo e sa dove dirigersi.

Infine esce dall’acqua. Ha i piedi gelati. Per riscaldarli un po’ se li strofina un momento, ma non ha tempo da perdere. Non fa ancora freddo, l’autunno è mite: almeno questo. Harry beve al torrente, poi si infila le scarpe e prosegue. Non si ferma neanche quando diventa buio. Camminare nel bosco è più difficile ora, ma Harry riesce a orientarsi in base al pendio della collina e alla posizione delle stelle.

A un certo punto sente lontano l’abbaiare dei cani e gli sembra che il cuore gli si fermi. Guarda verso il basso e vede delle luci che appaiono e scompaiono nel bosco: lo cercano con le torce e i cani, nella notte. Una caccia alla volpe notturna. Se i cani riescono a fiutare le sue tracce, è fottuto. Lord Tumblestone lo farà sbranare, su questo non esistono dubbi. Il vento porta nuvole che rapidamente coprono il cielo: le stelle scompaiono, inghiottite dalla coltre nera. Ora muoversi è più difficile.

Harry sta attraversando il bosco dei Glyn quando incomincia a piovere. Si copre con il mantello e procede. Meglio la pioggia, che confonde le tracce, ma nel buio della notte è sempre più arduo procedere e la fatica si fa sentire. Harry raggiunge infine la strada che costeggia la proprietà dei Glyn. Ora può procedere in fretta, anche se è buio.

Harry cammina per tutta la notte. Se si accorge che qualcuno sta percorrendo la strada, la lascia e prima di riprendere a camminare aspetta che non ci sia più nessuno. Quando il cielo incomincia a schiarirsi, si allontana tra i campi: sarebbe troppo pericoloso procedere, perché sicuramente lord Tumblestone manderà i suoi uomini lungo tutte le strade della zona a chiedere se qualcuno ha visto il fuggitivo. E loro saranno a cavallo: ci metteranno molto poco a coprire la distanza che Harry ha percorso in una notte di cammino, attraverso il bosco.

Cerca riparo in un fienile che sembra abbandonato. Ha bisogno di riposare un po’. Ha fame, ma non ha nulla da mangiare con sé. Si stende sul fieno e si copre con il mantello. Si addormenta immediatamente, un sonno profondo, che dura poche ore, fino a che una voce lo riscuote:  

- Chi sei? Che cosa fai qui?

La voce lo fa sussultare. Per un momento pensa che gli uomini di lord Tumblestone lo abbiano trovato, ma poi vede che è solo un contadino che gli ha appoggiato sul petto il forcone.

Harry guarda l’uomo, che dev’essere sui cinquanta. Prima che abbia pensato alla risposta da dare, l’uomo dice:

- Sei quello che cercano gli sgherri di Tumblestone, vero?

Harry sa che è inutile mentire.

- Sì, ma non ho fatto niente.

- Volevi ammazzare un conte, dicono.

- No, non è vero. Io…

- Non è vero? Peccato!

Il contadino scoppia a ridere e ritira il forcone. Poi prosegue:

- Se l’avessi ammazzato ti avrei aiutato più volentieri.

Harry guarda l’uomo: non mente. Harry non si stupisce: gli inglesi sono gli oppressori e di certo nessuno ha simpatia per loro.

- Se avessi potuto, forse l’avrei fatto. Non so, non ho mai ammazzato nessuno. Ma la voglia l’avevo.

Harry è sincero. L’uomo annuisce.

- Sono passati due che ti cercavano, chiedono dappertutto. Stanno battendo tutta la zona. Rimani qui. Hai qualche cosa da mangiare?

Harry scuote il capo.

- No, sono dovuto scappare di corsa. Non ho potuto prendere niente.

- Più tardi ripasso e ti porto da mangiare. Hai un posto dove andare?

- No, nessuno. Mia madre è morta. Mio padre non l’ho mai conosciuto.

Suo padre era un soldato al servizio degli inglesi, che violentò sua madre. Di lui Harry non conosce neppure il nome. Nel paese dove è nato Harry è sempre stato guardato con diffidenza: è il figlio di un traditore.

- Devi andare a Dublino o a Belfast. O a Londra. Là non ti troveranno. In campagna puoi nasconderti per un po’, ma se non hai una famiglia da cui rifugiarti, prima o poi qualcuno ti tradirà.

Harry annuisce. Per quanto gli inglesi siano odiati, molti cercano di ingraziarseli, anche denunciando i propri fratelli.

- Sì, credo anch’io che la città sia il posto migliore.

- Vedo di darti una mano. Ho un amico carrettiere che domani parte per Dublino con un carico di legname.

- Grazie. Non so davvero come ringraziarti.

- Non devi ringraziarmi. Mi spiace solo che non ne hai ammazzato almeno uno, di quei fottuti bastardi.

Il contadino scuote il capo, poi chiede:

- Come ti chiami?

- Harry. Il mio vero nome è Niall, ma loro vogliono un nome inglese.

- Neanche il nome ci lasciano, quei bastardi! Io sono Oisin. Ora io vado. Non uscire per nessun motivo.

Harry annuisce.

Oisin se ne va.

Harry si chiede se fidarsi di quest’uomo. Potrebbe avergli detto di rimanere nel fienile perché non scappi mentre lui va ad avvisare i servi di lord Tumblestone. Ma l’uomo gli è sembrato sincero. In ogni caso, che cosa potrebbe fare Harry? Uscire e avviarsi lungo la strada sarebbe un suicidio: ci devono essere dappertutto gli uomini di lord Tumblestone che lo cercano. Potrebbe infilarsi nel bosco, sperando di far perdere le sue tracce, ma se l’uomo ha intenzione di avvisare quelli che lo stanno cacciando, arriveranno presto con i cani. Non ci sono alternative. Tanto vale rimanere nel fienile e sperare di non essere tradito. L’uomo gli sembrava sincero.

Il tempo scorre lentissimo. Harry sa che è bene rimanere all’interno, senza farsi vedere, ma la fame e la sete lo tormentano: Harry non mangia da una ventina d’ore. Dopo un po’ si stende: anche se è pieno giorno, ha bisogno di dormire.

 

Lord George Bentham è contento che per il momento non abbiano ritrovato O’Brian. Il giovane avrebbe potuto raccontare la verità e non è detto che Tumblestone non gli avrebbe creduto. Per Harry non sarebbe cambiato molto, Tumblestone lo avrebbe fatto ammazzare comunque, ma Bentham si sarebbe trovato in una situazione alquanto imbarazzante.

George Bentham ha insistito presso lord Tumblestone perché nessuno sappia dell’accaduto. Agli uomini che cercano Harry è stato detto che il giovane è scappato dopo aver rubato a casa del conte.

L’importante è che Harry non possa parlare: che non lo ritrovino o che lo ammazzino subito, prima che cerchi di raccontare la sua versione dei fatti. Non ci voleva anche questa, dopo la faccenda di Adrien. Purché Tumblestone non chiacchieri. La voce a Londra arriverebbe. Tumblestone a Londra non va mai, ma qualcuno dei suoi ospiti sì. Non si deve assolutamente sapere. Dopo quanto è successo! Di questa storia non si deve parlare a Londra. Si parla già troppo. Per George sarebbe la fine. Sarebbe definitivamente messo al bando dalla società. Tutti vi leggerebbero una conferma dei suoi gusti, dei suoi comportamenti.

Le ricerche continuano, la caccia alla volpe è stata rimandata a domani: adesso c’è un’altra volpe rossa da inseguire, una preda più ambita, di che saziare quei cani di cui Harry si occupava.

 

Quando Harry si sveglia, trova accanto a sé dell’acqua, del pane e un po’ di formaggio: il contadino è ritornato e non l’ha neanche svegliato. Non l’ha tradito, non l’ha denunciato. È davvero dalla sua parte. Harry divora tutto con appetito. Quando ha finito, si dice che avrebbe fatto meglio a conservarne un po’ per la sera.

Nel pomeriggio Harry si rimette a dormire. Il contadino ritorna verso sera, portandogli altro cibo. Lo guarda divorare le patate, poi gli dice:

- Domani mattina ti verrò a prendere, prima dell’alba. Ti nasconderai nel carretto del mio amico Seamus che va a Dublino.

Quando diventa buio, Harry esce dal fienile. Il cielo si sta rasserenando e verso occidente si vedono le stelle. A oriente le nuvole sono ancora fitte. Harry rimane immobile a guardare in alto. Che ne sarà di lui?

È difficile che lord Tumblestone lo denunci: quel figlio di puttana di Bentham non vuole certo che si parli della faccenda. Ma in Irlanda i pericoli sono troppo forti, in particolare a Dublino, dove il conte si reca con una certa frequenza. La città è grande, ma Harry rischia di essere scoperto: qualcuno dei servitori del conte potrebbe incontrarlo e denunciare la sua presenza. Se Tumblestone scoprisse dove si trova, lo farebbe certamente ammazzare. Belfast potrebbe essere meno rischiosa, ma è meglio che cerchi di raggiungere Londra, dove Tumblestone non va mai. Bentham ci vive, ma quel bastardo non ha nessun motivo per avercela con lui. E in una grande città come Londra è ben difficile che Harry incontri qualcuno del Leinster. Potrebbe anche cercare di raggiungere gli Stati Uniti d’America, lì di certo non correrebbe rischi, ma non ha di che pagarsi il viaggio per Londra, figuriamoci per New York! Harry non conosce nessuno che gli possa prestare un po’ di denaro.

Londra è l’unica soluzione possibile. Là abita suo zio, Patrick O’Brian. Harry lo ha visto un’unica volta in vita sua, ma sa che ha spesso mandato piccole somme di denaro a sua madre: quello che ha permesso a tutti e due di vivere decentemente e a lui di studiare un po’. Dello zio Harry ha un indirizzo, quello a cui sua madre gli faceva scrivere le lettere, e niente di più. Non sa nemmeno se sia ancora vivo.

Domani sera sarà a Dublino. Di là si imbarcherà o cercherà di raggiungere Belfast. Una volta arrivato in Inghilterra, in un modo o nell’altro arriverà a Londra. Lungo la strada troverà qualche lavoro da svolgere in cambio di un po’ di cibo e di un riparo per la notte.

 

È ancora buio quando il contadino ritorna. Accompagna Harry fino alla strada, dove è fermo un carro.

- Questo è Niall, Seamus.

- Ti ho preparato uno spazio. Non starai comodo. Oisin mi aveva detto che eri ben piantato, ma non immaginavo tanto.

Seamus ride. Ha una risata allegra.

Oisin dà a Harry un po’ di cibo.

- Mi spiace non poterti dare altro, ma abbiamo poco.

- Mi hai già dato da mangiare ieri, mi hai aiutato a scappare. Grazie.

Harry mette il cibo nella sacca. Seamus interviene:

- La sacca dammela qui, la metto davanti. Sta’ tranquillo, non ti mangio io le provviste.

Seamus ride. Oisin li saluta. Abbraccia Harry e gli dice:

- Buona fortuna, Niall.

Harry si infila in uno spazio che il carrettiere ha preparato tra alcune assi. Poca luce filtra. Harry rimane disteso, immobile.

Dopo due ore, qualcuno intima al carrettiere di fermarsi.

Harry si tende. Ascolta le voci. Sa chi è l’uomo che parla: uno dei guardacaccia di lord Tumblestone, quello che chiamano il Mastino. Non hanno rinunciato a cercarlo, anche se sono passati un giorno e due notti dalla sua fuga.

- Hai visto un giovane, molto alto, robusto, con i capelli e la barba rossi? Lord Tumblestone lo cerca. È uno dei suoi servitori. Ha rubato nella sua casa. Gli stiamo dando la caccia e se lo becchiamo, fa la fine della volpe.

Il Mastino ride. Harry freme. Tumblestone lo accusa di furto ingiustamente, per evitare che Bentham venga sputtanato. Se lo beccano, lo impiccano. Merda! E se il carrettiere crede che lui abbia davvero rubato? Se decide di consegnarlo? Harry sente che il fiato gli manca.

Seamus risponde:

- Ben piantato e con il pelo rosso, sì. Aveva un mantello e una bisaccia?

- Sì, sì, dev’essere lui.

- Ho visto un uomo così, ma questa mattina presto, lungo la strada. Andava in direzione di Maryborough, ma quando mi ha visto arrivare si è allontanato in fretta, era chiaro che non voleva farsi vedere. Mi chiedevo perché si nascondesse. Adesso lo so. Figlio di puttana!

L’uomo ha indicato la direzione opposta a quella in cui stanno andando. Harry riprende a respirare.

- Grazie per l’informazione. Quel ladro lo becchiamo e finirà a scalciare appeso per il collo.

Harry sente gli uomini allontanarsi a cavallo, poi l’uomo esclama:

- Andate, cani! Pronti a tradire il vostro sangue per il padrone che vi getta un osso, quando scodinzolate per lui! Possiate finire impiccati voi.

Nel pomeriggio Seamus ferma il carro e fa scendere Harry.

- Ora non è più necessario nascondersi. Siamo quasi a Dublino.

Harry si siede di fianco al carrettiere e parlano. L’uomo è curioso di sapere perché lo cercano e Harry espone brevemente la sua situazione. Non racconta la verità: si limita a dire che Bentham voleva baciarlo e che quando è arrivato Tumblestone lo ha accusato di volerlo prendere con la forza. Sa benissimo che quello che stava facendo con Bentham potrebbe provocare la disapprovazione dell’uomo e non vuole rischiare di essere abbandonato lungo la strada. Infatti il carrettiere inveisce contro gli inglesi depravati, che finiranno tutti all’inferno per sodomia. Harry non dice più nulla. Guarda i campi coltivati, i prati su cui pascolano le pecore, le abitazioni sparse, sotto un cielo cupo come i suoi pensieri. Pensa che dovrà lasciare l’Irlanda, che si troverà del tutto solo in una città sconosciuta. La tristezza lo invade. Abbassa il capo.

Quando sono entrati a Dublino, l’uomo chiede:

- Hai un posto dove andare, ragazzo?

- No, non conosco nessuno.

Harry è sempre vissuto in campagna. A Dublino è venuto solo due volte e non ha amici o parenti a cui rivolgersi. Non è in grado di orientarsi per la città, la cui animazione lo disorienta.

- Allora ti porto da un amico che ti può aiutare. Ma prima devo consegnare il carico. Mi dai una mano?

- Certamente.

Seamus raggiunge il porto e, con l’aiuto di Harry, scarica le travi. Poi si dirige verso uno dei magazzini. Scendono ed entrano. Ci sono due garzoni che stanno spostando delle casse.

- C’è Liam?

- È giù in fondo.

Il carrettiere avanza nel magazzino. Al fondo c’è un uomo alto e magro, che sta dando le istruzioni a due garzoni. Quando vede Seamus, lo saluta con un cenno, finisce di spiegare ai due che cosa devono fare e si avvicina al carrettiere.

- Sono contento di vederti, Seamus. Posso offrirti un goccio?

- Volentieri. Lui è Niall. Quel bastardo del suo padrone, un fottuto conte inglese, lo cerca. Lo vuole morto. Ha bisogno di andarsene.

Liam annuisce. Non chiede perché il padrone di Harry vuole ammazzarlo: il padrone è un nobile inglese e Niall è irlandese, tanto gli basta per stare dalla parte di Niall.

- Vediamo in qualche modo di risolverla.

Liam li fa passare in uno stanzino, prende da uno scaffale una bottiglia e alcuni bicchieri e versa da bere.

Seamus e Liam chiacchierano un momento. Harry rimane in silenzio. Le probabilità che lo trovino si sono ridotte, ma che cosa sarà di lui?

- Niall, puoi lavorare qui nel magazzino per un po’ di tempo. Puoi anche dormirci. Io intanto vedo di trovarti un passaggio per Liverpool, senza fare troppe domande. Sei in grado di pagare?

Harry scuote la testa.

- Ho pochissimo denaro.

- Non c’è problema. Trovo qualcuno che ti faccia passare in cambio di qualche lavoro a bordo.

- Grazie.

 

Nella tenuta di lord Tumblestone, George Bentham è a colloquio con il padrone di casa.

- Ci è sfuggito, ma prima o poi lo troveremo, glielo garantisco, Bentham, e lo farò ammazzare dai miei uomini.

- Tumblestone, gliel’ho già detto: per quanto anch’io desideri avere giustizia, l’idea che si parli di questa faccenda mi spaventa. Per fortuna lei è arrivato in tempo e mi ha evitato una violenza. Ma se questo O’Brian venisse catturato e per giustificarsi inventasse qualche infamia… non avrebbe altro modo di difendersi, lo sa bene. Direbbe che ero consenziente, magari che gliel’avevo chiesto io.

Tumblestone alza le spalle.

- Darò ordine ai miei uomini di ammazzarlo subito, appena lo trovano.

- Cercherebbe comunque di giustificarsi con i suoi uomini.

- Nessuno di loro gli crederebbe.

- Forse no, ma di sicuro qualcuno lo racconterebbe in giro. Direbbero che non si è trattato di un furto, ma di una violenza nei miei confronti, qualcuno, se non loro qualcun altro, metterebbe in dubbio persino la violenza, direbbe che io... Non voglio nemmeno pensarci.

Bentham scuote vigorosamente la testa, poi prosegue:

- Dio mio, Tumblestone, lei vive qui in Irlanda da anni, ma credo che si ricordi di com’è la vita mondana a Londra. Pettegolezzi di ogni tipo, sempre e solo pettegolezzi. La storia circolerebbe e di sicuro non sarebbe raccontata rispettando la verità dei fatti. Non nego che avrei preferito vederlo catturare e ammazzare come abbiamo fatto oggi con la volpe, ma visto che ci è sfuggito, lasci perdere.

Tumblestone guarda Bentham. Può capire il suo punto di vista, ma gli brucia che uno dei suoi uomini si sia reso colpevole di un’azione così infame e non venga punito.

- Va bene, Bentham. Ma se dovessi scoprire dove si nasconde, quel maledetto sodomita avrà quello che si merita, glielo garantisco.

 

Harry incomincia a lavorare nel magazzino. Liam è soddisfatto di lui: è forte come un torello ed è un gran lavoratore; ha rapporti cordiali con gli altri, anche se non dà molta confidenza.

Liam lo assumerebbe volentieri, un uomo in più gli servirebbe, ma sa che Harry deve partire. Il giovane è molto inquieto e non è strano: il porto è proprio uno dei luoghi in cui potrebbero venire a cercarlo; è naturale che pensi a scappare in Inghilterra.

Liam cerca un passaggio a malincuore e infine lo trova, a metà ottobre, circa un mese dopo la fuga di Harry. Il comandante della nave è un amico e accetta di farlo salire nottetempo a bordo. Harry farà alcuni lavoretti sulla nave e sbarcherà di nascosto a Liverpool. Non dovrebbero esserci problemi, tanto più che ormai probabilmente nessuno lo cerca: penseranno che si sia nascosto in qualche paese o che si sia già imbarcato per l’Inghilterra o per gli Stati Uniti.

 

Harry rimane nascosto sottocoperta fino a quando la nave non ha lasciato il porto. Allora il comandante gli dice che può uscire. Harry guarda la città che lentamente si allontana. Rivedrà mai la sua terra? Forse no. Che cosa lo aspetta in Inghilterra? Suo zio sarà disposto ad aiutarlo?

Harry guarda la costa. Ha voglia di piangere.

Il capitano si avvicina. Gli mette una mano sulla spalla e gli dice, sorridendo:

- Va’ a dare una mano a James, là.

Con un movimento della testa il capitano indica un marinaio che sta trafficando con una gomena. Harry annuisce. Lancia ancora una rapida occhiata alla sua terra e raggiunge il marinaio.

- Il capitano mi ha detto di aiutarti. Io… che cosa?

Vorrebbe chiedere che cosa deve fare, ma la voce gli si spezza. Il marinaio intuisce che questo giovane salito a bordo nella notte, di nascosto, non lascia la sua terra per libera scelta. Gli sorride e gli dà le istruzioni.

 

 

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

19

20

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Area aperta

Storie

Gallerie

Indice