16 – La sconfitta del Nero

 

 

Bart Summerscale e Edward Becker sono seduti in salotto, vicino al camino dove arde un fuoco. Bart ormai sta bene: la ferita si è rimarginata, lasciando solo una cicatrice, e camminare non gli costa più nessuna fatica. In giornata hanno passeggiato a lungo, girando per Regent’s Park.

Come ha già fatto alcune volte, Bart dice:

- È ora che me ne vada. Adesso sono guarito.

Ernest sorride.

- Sembra che stare qui ti pesi.

Il problema è esattamente opposto: Bart sta troppo bene accanto a Ernest Becker, gli fa piacere vederlo, parlargli, ascoltarlo.

- Non posso mica rimanere per sempre.

- No, però credo che sia un po’ presto per riprendere i combattimenti, sempre che sia quello che intendi fare. E in ogni caso, come ha detto Wheelsand, dopo che hanno cercato di ucciderti, il locale in cui lottavi è stato chiuso, ovviamente: è arrivata la polizia e nessuno ci sarebbe più andato. Non so se chi gestiva il giro riaprirà un locale da un’altra parte: io non ne ho avuto notizia. Credo che per il momento gli organizzatori preferiscano evitare di correre rischi.

Bart non sa come rispondere. La situazione in effetti è quella descritta da Becker.

Ernest chiede:

- Che progetti hai, se non sono indiscreto?

Bart scrolla le spalle. Non sa che cosa può fare.

- Vedremo.

- Non ti conviene cercare un lavoro, prima di andartene?

Le parole di Ernest irritano Bart. Gli dà fastidio avvertire il suo interesse, che sente reale.

- Qualche cosa troverò. Ho fatto di tutto nella mia vita. Non passo mica il mio tempo tra salotti e teatri.

Ernest sorride. E Bart diventa ancora più nervoso. Attacca:

- Ha un’idea di che cosa sia la vita di uno che non è nato nobile e ricco, di un pezzente?

- Forse. Ma se avessi voglia di dirmelo tu, di parlarmi della tua vita, magari capirei meglio.

Bart rimane spiazzato. Quest’uomo è davvero interessato a conoscere la sua vita, non parla solo per cortesia. Bart è a disagio e risponde a muso duro:

- Ma che cazzo gliene frega, della mia vita?

- È un mese che sei qui e ogni tanto riusciamo anche a parlare come due persone normali. Ci sono persino dei momenti in cui non ti comporti da stronzo. Alla fine, a forza di frequentarti, mi sono persino affezionato a te. E mi piacerebbe conoscerti meglio.

“Mi sono persino affezionato a te”: la naturalezza con cui Ernest Becker l’ha detto è sconcertante. Anche lui si è affezionato a Ernest Becker. Qualche cosa di più di affezionarsi, molto di più, anche se Bart rifiuta di dirselo.

Bart non sa bene che dire.

- Vuole davvero sapere?

- Sì. Se non ti spiace raccontarmelo.

- La vita di uno stronzo, un attaccabrighe sempre pronto a litigare con tutti, uno che prima mena poi, qualche volta, ragiona. Una testa di cazzo, signor conte.

Ernest sorride. È abbagliante il suo sorriso.

- La tua vita, Bart. Qualunque essa sia stata. E potresti chiamarmi Ernest, come ti ho già detto.

Bart scuote la testa, ma incomincia a raccontare della sua giovinezza in campagna, del lavoro con suo padre in una tenuta signorile.

- Era stalliere e io ho imparato da lui. Avrei dovuto affiancarlo e prendere poi il suo posto: già mio nonno era stalliere. Ma io sono uno stronzo, lei ha ragione, e litigavo facilmente. Litigavo con altri servitori e facevo a botte. Litigai persino con il figlio del padrone, che mi mandò via a calci in culo.

- E allora, che cosa facesti?

- Riuscii a trovare lavoro in un’altra tenuta, da un conte.

Sul viso di Bart compare una smorfia. Riprende:

- Un figlio di puttana, lui e la sua compagnia. Le feste che quel bastardo organizzava a casa sua, con le ragazze costrette a soddisfare quei porci degli amici del conte, figlie di contadini, che magari non volevano, ma non potevano fare niente… È lì che ho imparato a odiare i nobili, che sono tutti figli di puttana.

È una frase assurda, Bart lo sa benissimo. Non lo pensa davvero. Un mese fa lo pensava, è vero. Ma adesso se qualcuno dicesse che Ernest Becker è un figlio di puttana, Bart gli spaccherebbe la faccia: non lo potrebbe tollerare. Ma Bart sta cercando di difendersi, anche se intuisce vagamente che la sua è una battaglia perduta, che è troppo tardi per alzare muri e steccati e che l’unica salvezza ormai sarebbe la fuga. E a tratti Bart si rende conto che da quello che prova non potrebbe scappare.

Bart rincara la dose:

- Luridi figli di puttana, per cui gli altri sono solo merde. Me ne andai, non li reggevo più, avrei finito per spaccare la faccia a quel bastardo del conte e mi avrebbero impiccato.

Ernest non commenta. Segue con attenzione, è davvero interessato a ciò che Bart sta raccontando e questo mette Bart sempre più a disagio.

Ernest chiede:

- E allora?

- Andai in città, ero forte, per qualche mese feci un po’ di tutto, i giri di lotta, lavori a giornata, poi entrai in fabbrica.

Bart scuote la testa.

- Ha detto bene, sono uno stronzo. Riesco a litigare con tutti. In fabbrica mi hanno sbattuto fuori. Presi le difese di un operaio che il sorvegliante stava picchiando. Rischiai di finire in galera. Dovetti andarmene via in fretta. Lavorai di nuovo in campagna, ma nel Surrey. Lì mi andò bene. La carrozza di lord Parry ebbe un incidente e io diedi una mano. Il conte capì che me ne intendevo di cavalli. Aveva bisogno di uno stalliere e mi prese. Ci lavorai due anni. Parry non faceva tante porcate. Poi non c’era spesso. Con gli altri mi trovavo bene. Credo che sia stato il periodo più tranquillo della mia vita. Mio padre sarebbe stato contento di me, di sapere che avevo messo la testa a posto.

Bart parla, racconta ciò che non ha mai raccontato a nessuno. Ma nessuno lo ha mai ascoltato con l’attenzione di Ernest Becker, nessuno si è mai dimostrato davvero interessato a ciò che lui aveva da dire.

- Poi c’è stato quel porco di Shaffield, non mi spiace per niente che lo abbiano ammazzato, quasi quasi mi spiace non averlo fatto io. Ho perso il lavoro, sbattuto fuori a calci in culo per un bastardo di nobile in calore. Il resto lo sa. Appena arrivato a Londra sono entrato nel giro delle lotte, era l’unica cosa che sapevo fare, e il gestore del bordello dell’Irlandese mi ha proposto di partecipare a quegli incontri, di lottare nudo per una manica di riccastri schifosi.

Bart si difende, cercando di colpire. Ma Bart è un buon lottatore e si rende benissimo conto che sta menando colpi a casaccio. Non sa se qualche colpo va a segno, non sa nemmeno se lo vorrebbe. Non gli sfugge che la battaglia è perduta e che Ernest Becker lo ha sconfitto, ma Bart non riesce ad accettarlo.

Conclude:

- Questa è la vita che ho fatto. Colpa mia, che sono uno stronzo, lo so. Mi arrabbio facilmente, non mi controllo, litigo con tutti.

- Forse sei soltanto sensibile alle ingiustizie e nella nostra società ce ne sono davvero troppe.

Bart scuote la testa. Non può accettare che Ernest Becker lo capisca e sia d’accordo con lui. Gli sembra di essere stato messo in un angolo.

Dice:

- Adesso posso tornare nella merda, sperando di non aver dato troppo fastidio.

Ernest lo guarda. Sorride appena, ma non è un sorriso allegro.

- Mi ha fatto piacere averti qui, Bart, davvero, e vorrei poter fare qualche cosa per te. Mi sono affezionato a te, te l’ho detto ed è la verità.

- Mi lasci perdere. Io torno alla mia vita: ci sono abituato. Non ho sempre vissuto nel lusso e nelle comodità, io.

Ernest sorride di nuovo, un sorriso che è quasi un ghigno.

- Già, la vita tranquilla dei nobili, no? Mai un problema, solo comodità.

Bart si rende conto che farebbe meglio a tacere, che ormai ha perso la partita, ma non vuole riconoscerlo e rilancia:

- Non è così?

Ernest si protende in avanti. Non c’è più traccia di sorriso, di allegria.

- Che ne sai, Bart? Che cazzo ne sai, tu, di quella che è stata la mia vita? Perché parli quando non sai un cazzo? Perché?

Bart sa che dovrebbe riconoscere di aver parlato a vanvera: non sa davvero un cazzo di lord Ernest Becker. Ma riconoscere i propri torti a Bart costa fatica. Nei confronti dei nobili prova un astio feroce, che lo rende ancora più ostinato. E ottuso. Questo nobile bello e generoso suscita in lui emozioni che Bart non riesce ad accettare. Troppe cose insieme per uno che, come ha riconosciuto, prima mena, poi a volte ragiona. E allora Bart colpisce, senza sapere che sarà lui a essere colpito e definitivamente messo a terra. Replica, ostile:

- Che cazzo c’è da sapere? Che ne sa lei della miseria?

Ernest scuote la testa e parla. È una voce incolore, piatta. Le parole non sono scagliate fuori, escono tranquille, una dopo l’altra, come se Ernest stesse raccontando di una gita in campagna. Ma ogni parola è un macigno che precipita su Bart e lo travolge.

- Che ne sai tu di che cosa significa avere dieci anni quando tuo fratello annega in un laghetto e tu sai che non è stato un incidente, ma si è ucciso? E tuo padre ti chiama nel suo studio la sera, come faceva fino alla sera prima con tuo fratello, ti dice che devi essere un bravo bambino e si apre i pantaloni e ti infila il cazzo in bocca, a forza, perché tu non vorresti e cerchi di scappare, ma lui ti ferma, ti molla due ceffoni e ti costringe ad aprire la bocca e ti fotte, finché viene e tu devi ingoiare lo sborro di tuo padre, tutto, perché se non lo fai e ti macchi, ti prende a schiaffi.

Bart è rimasto senza parole. Guarda Ernest sbalordito e tace. Ernest sorride. Sembra quasi ridere mentre dice:

- Tua madre ti vede piangere e ti dice che devi essere un bravo bambino e non dire niente. Non bisogna dir niente. Nessuno deve sapere che tuo padre si fa succhiare il cazzo tutte le sere.

Il sorriso scompare.

- E poi una sera tuo padre te lo mette in culo. E tu sanguini. E tua madre dice che passerà, che non devi dirlo in giro, perché non si deve sapere. Non bisogna dire niente. Tutte le sere tuo padre ti incula, anche se tu sanguini e ti viene la febbre e lui viene in camera tua anche se sei febbricitante e ti incula. E tua madre la notte fa fatica a dormire e una di quelle sere prende troppo sonnifero e non è un errore e muore nel sonno.

Ernest chiude gli occhi. Bart ha l’impressione che i macigni che lo hanno colpito ora gli pesino tutti sul petto. Vorrebbe fermare Ernest, perché quello che sta dicendo gli fa male e il dolore è tanto forte che Bart non lo regge. Ma Ernest continua e Bart affonda.

- Tuo padre ti consola, facendoti dormire con lui, nel suo letto. Un tetto sulla testa, al caldo, no? Che cosa puoi volere di più? Lui ti incula ogni notte e quando ha voglia di pisciare, ti costringe a prendere in bocca il suo cazzo e bere, così non deve alzarsi. E tu il mattino hai un’abbondante colazione davanti, non manca mai da mangiare nella casa di un nobile, certo, ma ti viene da vomitare pensando a quello che hai fatto la notte. E tutti dicono che sei un ragazzino malato nella mente, che perdere tuo fratello e tua madre ti ha sconvolto, ma quello che ti sconvolge è che tuo padre è ancora vivo e tu non sai come sottrarti.

Ernest si tocca la cicatrice che ha sulla fronte.

- E tu cerchi di tirarti un colpo con la pistola di tuo padre, perché non vedi altra via di fuga, ma hai undici anni, non sai maneggiare le armi e ti ferisci solo alla fronte.

Bart si accorge di tremare al pensiero di quel colpo di pistola, di quel proiettile che avrebbe potuto spegnere la vita di Ernest. Un tremito come non gli è mai capitato nella vita, ma tutto ciò che prova ora è nuovo e lo schiaccia, trascinandolo in un abisso senza fondo, in cui a ogni minuto scopre di poter precipitare ancora.

Ernest guarda nel vuoto. La sua voce sembra venire da lontano.

- E ogni giorno è uguale. Ogni notte è uguale, anno dopo anno. E hai solo voglia di morire.

C’è un momento di pausa. Poi Ernest riprende:

- Quando hai quindici anni e partecipi a una caccia alla volpe, anche se non ne hai nessuna voglia, un porco che si chiama lord Anthony, marchese di Shaffield, capisce che tuo padre ti fotte e gli parla, così anche lui ti fotte, mentre tuo padre ti guarda. Tuo padre ti guarda mentre lui te lo mette in bocca e in culo.

Bart sente un brivido corrergli lungo la schiena.

- E il giorno in cui tuo padre muore, al ritorno da quella caccia alla volpe, e tu hai quindici anni, pensi che sarebbe stato meglio se fossi morto tu. E… e… e…

Ernest sta piangendo. Si alza.

- Non so perché ti ho raccontato questa cose. Scusami. Sono un idiota, hai ragione.

Ernest si volta e fa due passi verso la porta, ma Bart l’ha raggiunto e lo stringe tra le braccia. Bart sta malissimo. Non sa quali parole dire, ma non può lasciare che Ernest se ne vada così. Non è abituato a chiedere scusa, non sa come si consola. Si sente del tutto inadeguato di fronte a questa sofferenza, che lo schiaccia. Non è capace di leggere dentro di sé, ma non può più negare di essersi innamorato di quest’uomo e tenerlo tra le proprie braccia è bellissimo.

- Perdonami. Sono davvero uno stronzo, lo so.

- No Bart, lo stronzo sono io.

Bart scuote la testa con forza.

- Non so perché parlo. Ernest…

È la prima volta che lo chiama per nome. Ernest sorride tra le lacrime.

- Mi piace sentirti dire il mio nome.

- Ernest, io…

Bart non trova le parole. E allora Bart fa qualche cosa di assurdo, che forse è l’unica cosa sensata: fa girare Ernest su se stesso, senza staccarsi da lui, gli prende la testa tra le mani, lo guarda negli occhi e poi lo bacia sulla bocca.

Ernest ricambia il bacio. Bart chiude gli occhi, sopraffatto da ciò che prova.

Quando si stacca Bart dice:

- Andiamo in camera tua, Ernest?

Ernest china il capo. Poi lo rialza e guarda Bart.

- Io… non ho mai… Bart, dopo mio padre…

Per un momento Bart non capisce che cosa Ernest sta cercando di dirgli. La verità si fa strada di colpo nella sua mente.

- Vuoi dire che… non hai mai…

Bart non riesca a esprimere il pensiero che ha formulato, non sa quali parole usare.

Ernest annuisce.

- No, quando qualcuno mi si avvicinava, scappavo. Io…

- Io… io pensavo… da come parlavi… non avrei mai detto.

Ernest sorride. Un sorriso in cui si mescolano gioia e infelicità.

- Sei il primo uomo che mi ha baciato, Bart.

Ora, in questa stanza immersa nella penombra, dove le ultime fiamme del camino proiettano lunghe ombre sulla parete, Bart scopre che cos’è la paura, un’emozione che gli è sempre stata sconosciuta. E le parole che ora Ernest pronuncia sono lo specchio di ciò che prova:

- Ho paura, Bart, ho sempre avuto paura. Paura che mio padre ritorni, paura di…

Anche Bart ha paura, paura di far male a Ernest, nel corpo e nell’anima. Lo abbraccia, ma si sente perduto. Lo accarezza delicatamente, timoroso. Lo tiene tra le sue braccia e questo vale più di tutto quello che ha avuto nella sua vita.

Dopo un momento, Bart dice:

- Non vuoi che proviamo, Ernest? Non farò nulla che tu non voglia. Vorrei poterti stringere, solo quello.

Ernest annuisce.

- Bart, io…, io ti amo, Bart.

Bart scopre che tre parole, tre semplici parole, possono colpire come un pugno allo stomaco, togliere il fiato e nello stesso tempo riempire di gioia.

È tempo di riconoscere la propria totale sconfitta. Bart sussurra:

- Anch’io ti amo, Ernest.

Ernest china il viso nell’incavo della spalla di Bart. Bart ha l’impressione che Ernest tremi. Quando Ernest rialza il viso, negli occhi brillano di nuovo le lacrime.

- Andiamo, Bart.

Salgono nella camera di Ernest, due uomini spaventati e incerti.

Bart non andrà oltre le carezze, lo sa. Ma guardare Ernest, accarezzarlo, in questo momento gli sembra che non possa esistere niente di più bello al mondo.

Anche in camera il fuoco che arde nel camino si sta ormai spegnendo, ma la temperatura è gradevole.

- Posso spogliarti, Ernest?

Ernest annuisce.

Le mani di Bart si muovono lentamente. Quando giungono infine a toccare la pelle di Ernest, Bart avverte un leggero tremore. A questo punto, dunque? Sì, a questo punto.

Ora Ernest è a petto nudo e Bart lo accarezza, le sue mani scivolano sul torace, sulla schiena, risalgono al viso. Nuovamente si baciano. Poi le mani aprono i pantaloni e li calano. E infine Ernest rimane nudo davanti a Bart. È una visione abbagliante.

- Ora posso spogliarti io, Bart?

Bart annuisce. Non desidera di meglio. Le mani di Ernest che gli tolgono la giacca e la camicia, che scorrono sulla sue pelle, che lo accarezzano. E poi, tremanti, che finiscono di spogliarlo.

- Sei bellissimo, Bart.

Bart scoppia a ridere.

- Io? Io? Ernest, ma ti sei mai guardato allo specchio?

Bart è abituato a essere desiderato, sa che il suo corpo attira lo sguardo di donne e uomini, ma gli sembra che Ernest sia su un altro pianeta.

Bart abbraccia Ernest, lo bacia ancora e lascia che le sue mani scivolino lungo la schiena di Ernest, stringano il culo, scendano sulle cosce, per poi risalire. E dopo altri baci, Bart scivola in ginocchio davanti a Ernest. Ora il cazzo di Ernest, che già si tende, e a una spanna dalla sua bocca.

- Posso, Ernest?

Ernest sorride, un sorriso spaventato. Annuisce.

Bart avvolge con le labbra il cazzo di Ernest e incomincia a succhiare. Lo sente crescere ancora, irrigidirsi. Poi lo guarda, forte, duro, grande.

Si alza, afferra Ernest e lo solleva. Lo porta sul letto e lo posa con delicatezza. Lo contempla. Le sue mani accarezzano il corpo di Ernest, dal viso scendono sul collo, sul torace, stringono i capezzoli, scivolano sul ventre, afferrano il cazzo e i coglioni, passano sulle cosce, fino ai piedi, poi risalgono. Nuovamente la bocca di Bart avvolge la cappella e la lavora, poi le sue mani ritornano a scorrere sul corpo. Quando la destra afferra il cazzo, Ernest si tende e geme. Il seme schizza in alto, inondando il ventre e il torace, arrivando fino alla barba. Ernest chiude gli occhi.

Bart prende un fazzoletto e pulisce con cura. Ernest lo guarda e sorride, ma negli occhi ci sono le lacrime.

- Qualche cosa non va, Ernest?

- No, è stato bellissimo. Sei il primo uomo che mi ha fatto venire, Bart.

Bart bacia Ernest sulla bocca.

- Stenditi di fianco a me, Bart.

Bart obbedisce.

Ernest, steso su un fianco, passa una mano sul suo corpo, accarezzandolo. Il viso, il collo, il petto, il ventre, le cosce e poi risale. Per due volte la mano scende e sale. Solo la terza sfiora il grosso cazzo di Bart, teso.

Bart sorride e dice, malgrado il desiderio violento che gli stringe i coglioni in una morsa:

- Non è necessario, Ernest. Se non lo vuoi, non lo devi fare.

Ernest annuisce.

- Lo voglio, Bart, ho paura, ma lo desidero.

La mano di Ernest sfiora il cazzo, lo accarezza, poi lo stringe. Non ci vuole molto perché il movimento della mano porti Bart a godere.

Ernest pulisce il seme. Poi entrambi si infilano sotto le coperte. Ernest appoggia la testa sul petto di Bart.

- Posso stare un po’ così?

- Per tutta la notte, Ernest.

Bart vorrebbe dire: “Per tutta la vita.”

- Grazie, Bart.

- Grazie a te, Ernest.

Ernest scivola nel sonno.

Bart rimane disteso sul letto, nel buio. Con la sinistra accarezza leggermente il viso di Ernest. La destra si appoggia sui fianchi di Ernest, scivola fino al solco, ma si ferma.

Bart non dorme. Nell’oscurità completa della stanza i pensieri di Bart vagano in un labirinto. Ama quest’uomo, di un amore che non ha mai provato. Il Bart di qualche ora fa non esiste più. Bart ha scoperto la paura, ha ceduto all’amore come non gli era mai successo, ha accettato di non essere più padrone di se stesso. E gli sembra di non essere mai stato in pace con il mondo come ora, con la testa di Ernest appoggiata sul suo petto.

 

Due giorni dopo Harry e Greg passano per il solito incontro.

Nella stanza è seduto anche Bart. Ernest Becker, sorridente, dice:

- Oggi partecipa anche Bart. Ha deciso di riprendere ad allenarsi.

Bart aggiunge:

- Voglio muovermi un po’: sono stufo di stare sempre a non fare niente.

Greg e Harry sono contenti di sapere che il loro amico ormai è in grado di fare un po’ di pugilato.

Harry ed Ernest si affrontano, sotto la supervisione di Greg. In una pausa Bart dice che vuole tirare due pugni con Harry. I due si mettono in posizione ed Ernest suggerisce, sorridendo:

- O’Brian, lo colpisca dove lo hanno ferito, così lo mette fuori combattimento subito.

Bart si volta verso di lui e dice, guardandolo in cagnesco:

- Brutto… è meglio che non dica quello che penso di te.

Ridono tutti.

Bart tira qualche pugno: è piacevole riprendere un po’ di attività fisica più intensa. Ma dopo un momento, Ernest dice:

- Bart, non è meglio che ti fermi, per oggi? Un po’ per volta.

Bart annuisce. Continuerebbe volentieri, ma si rende conto di aver bisogno di fermarsi.

- Sì, hai ragione. Harry, te lo lascio. Menalo, ti prego. Te lo chiedo come un favore personale.

Nuovamente la battuta di Bart suscita una risata generale.

Quando escono, Harry dice a Greg:

- Greg, hai notato anche tu...?

- Che Bart sembrava un'altra persona, oggi? Sì, impossibile non notarlo. Non l'avevo mai visto così sorridente e allegro.

- Che cosa è successo, secondo te?

Greg ha un'idea, ma formularla direttamente gli sembrerebbe poco rispettoso nei confronti di lord Becker. Osserva:

- Anche lord Becker sembrava... diverso.

Harry sorride.

- Ho avuto anch'io la stessa idea. Se è così, mi fa piacere per tutti e due.

 

È sera quando Thomas passa un momento alla sede della polizia. L’usciere gli dice che il commissario Rowan lo aspetta nel suo ufficio. Thomas annuisce. Gli basta guardare la faccia del suo superiore per capire che tira aria di tempesta.

- Mi spiace, Hardy, ma devo affiancarle un altro ispettore. La motivazione ufficiale è che di fronte a due omicidi di questo genere, è meglio rafforzare l’unità investigativa. Lei sa benissimo che cosa significa questo e io non cercherò di ingannarla: vogliono un colpevole, a ogni costo, per mettere a tacere i giornali. Qualcuno da dare in pasto all’opinione pubblica.

- Non mi stupisce. Ma io posso fare solo la mia parte. Io considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare la sua parte.

- Il Mercante di Venezia, vero?

Thomas annuisce.

- Hardy, io spero che lei troverà il colpevole e che un innocente non verrà mandato sulla forca per soddisfare un’opinione pubblica affamata di sangue. Adesso chiamo Wilfer.

Thomas non nasconde il suo stupore:

- Wilfer?

- Sì, è lui che ha seguito il caso Bellisle, senza nessun risultato peraltro. Da quel che lei mi dice, Hardy, questi casi potrebbero essere collegati e non è una cattiva idea che lavoriate insieme.

Thomas ha l’impressione che ci sia una sfumatura di ironia nella voce di Rowan. Ha scelto Wilfer perché sa che troverà un colpevole, questo è chiaro. Ma l’incapacità di Wilfer è nota e Thomas sospetta che il suo capo voglia lasciargli uno spazio di manovra, che probabilmente con un ispettore più competente Thomas non avrebbe.

Rowan conclude:

- Gli ho detto di aspettare il suo arrivo, così potete parlarvi questa sera stessa. Adesso lo mando a chiamare.

 

Al collega Hardy racconta quello che ha scoperto. Omette i dettagli che potrebbero portare alcuni a essere incriminati per altri reati: ad esempio dice che Bartholomew Summerscale è stato licenziato per colpa del marchese di Shaffield, ma non fa riferimento al probabile stupro. Dei disegni di Higgins e dei rapporti di Humphrey Handel con il marchese non dice nulla.

Wilfer ascolta con attenzione, poi conclude:

- Summerscale… direi che è lui il colpevole.

Thomas si sente scoraggiato: sa che Wilfer è intenzionato a trovare un assassino a tutti i costi, ma non sospettava che fosse pronto a gettarsi sul primo nome che gli viene offerto, senza nessuna indagine, senza aver nemmeno visto il sospettato. D’altronde, perché no? Prima si trova un assassino, poi si cercano le prove per incastrarlo.

Thomas risponde, anche se sa che è del tutto inutile:

- Non sembra, per diversi motivi. In primo luogo lord Becker si ricorda di essere rimasto con lui il pomeriggio in cui Shaffield venne ucciso. Si tratta di un lord, una testimonianza al di sopra di ogni sospetto. Non bisogna neanche dimenticare che difficilmente lord Shaffield si sarebbe lasciato avvicinare da un uomo di cui aveva provocato il licenziamento: sarebbe stata un’ingenuità imperdonabile. E infine Summerscale non aveva nessun motivo per uccidere Kellington: dai suoi diari non risulta che lo conoscesse, non è nemmeno citato.

Wilfer liquida facilmente le obiezioni di Thomas.

- Si tratta di delitti maturati in un ambiente di sodomiti. Dopo il licenziamento senza dubbio Summerscale si vendeva e così ebbe modo di incontrare Kellington. Lord Shaffield lo conosceva, non gli fu difficile inventare qualche scusa, attirarlo in una trappola. E lord Becker… probabilmente ricorda male. Lei lo sa, certamente, ma le sue attività politiche… si è esposto in modo indecente. No, direi che Summerscale è con ogni probabilità l’assassino. Domani lo cercheremo. Ha un’idea di dove si trovi?

- Assolutamente no. Lord Becker lo aveva ospitato quando era stato ferito, ma non credo che si trovi ancora da lui.

In realtà Thomas è convinto del contrario, ma preferisce non dirlo. 

- Quando era stato ferito?! Era stato ferito? Come?

- Gli fu teso un agguato. Cercarono di ucciderlo in quattro. È un caso di cui si è parlato molto, ma non me ne sono occupato io. Gli aggressori sono stati individuati, ma il mandante non è stato scoperto: con ogni probabilità gli assassini non lo conoscono.

- Questo conferma che si tratta di un poco di buono.

- E perché mai?

- Hanno cercato di ucciderlo, no? Il giro della malavita.

A Thomas verrebbe da dire che hanno cercato di uccidere anche lord Shaffield e Kellington – e ci sono riusciti: non per questo i due sono da considerare poco di buono. Ma con Wilfer non c’è da discutere. Vuole un colpevole e lo ha trovato, con tanto di movente e passato torbido. In qualche modo riuscirà ad accollargli anche l’omicidio di Kellington.

È ormai molto tardi quando Thomas esce dalla sede della polizia, ma fa un giro lungo prima di tornare a casa. Ha un’idea in testa, ma la decisione gli pesa e vuole rifletterci.

 

Adam lo aspetta. Appena lo vede, chiede:

- Qualche problema, Thomas?

Thomas sorride: Adam è in grado di cogliere i mutamenti del suo umore.

- Sì, relativo all’inchiesta. Sto per fare qualche cosa che un ispettore non dovrebbe mai fare.

- E che cosa?

- Rivelare a un giornalista qualche cosa che invece dovrebbe rimanere segreto. E anche il giornalista farà qualche cosa che non dovrebbe.

Adam sorride, divertito.

- E che cosa?

- Avviserà un uomo che la polizia sta per arrestarlo per omicidio, affinché il sospetto assassino possa nascondersi.

- Questa, poi! Mi sembra proprio grave. Il giornalista secondo me preferirebbe scrivere un bell’articolo.

- E invece non potrà dire nulla a nessuno.

- E va bene. Il giornalista finirà in galera per aver intralciato le indagini e impedito l’arresto di un assassino. Però almeno l’ispettore sarà tanto gentile da spiegargli di che cosa si tratta?

Thomas sorride, ironico.

- Pensavo che bastassero nome e indirizzo.

Adam scuote la testa, poi sorride e annuisce, tornando serio:

- Sì, Thomas, bastano nome e indirizzo.

Thomas guarda Adam e sorride. Si avvicina e lo bacia sulla bocca. Poi dice:

- Mi hanno affiancato un altro ispettore, Wilfer. Non è particolarmente brillante ma farà quello per cui ha ricevuto l’incarico: scovare un assassino per i casi Kellington e Shaffield.

- Anche se l’assassino è innocente.

Thomas annuisce.

- Questo è irrilevante. Domani Wilfer cercherà Bartholomew Summerscale per arrestarlo, con l’accusa di aver ucciso lord Shaffield. I motivi li aveva, visto che era stato licenziato per colpa del marchese. Ma escludo che lo abbia ucciso.

- E perché avrebbe ucciso anche Kellington?

- Un motivo si troverà, sta’ tranquillo. Summerscale non ha certo un passato da santo e una volta finito nel meccanismo, ne verrà stritolato.

Adam ghigna.

- Certo che dalla polizia mi sarei aspettato qualche cosa di meglio.

Thomas china la testa.

- Anch’io, ma su questo caso la pressione è troppo forte. Due omicidi, avvenuti in questo modo…

- Sai dove si trova Summerscale?

- Io credo che sia ancora da lord Becker. Ho detto a Wilfer che era stato là: non intendevo mentirgli. Ma non gli ho detto che probabilmente lo è ancora.

Adam sorride e dice:

- Allora vado a trovare il mio vecchio amico lord Ernest Becker, con cui ho collaborato quando venne scritta la Carta del Popolo.

Quando Adam è pronto per uscire, Thomas lo guarda e dice:

- Adam…

Adam legge negli occhi di Thomas che il suo uomo è a disagio.

- Che cosa c’è, Thomas?

- Non mi piace usarti.

Adam guarda Thomas, serio.

- Thomas, ti ringrazio perché mi dai la possibilità di far qualche cosa di utile, salvando un innocente. Mi conosci e sai che sono contento di farlo. Capisco benissimo i motivi per cui non puoi farlo tu.

Adam si avvicina a Thomas, lo bacia e se ne va.

Quando si presenta alla porta del palazzo di Becker, il domestico avvisa Ernest, che viene direttamente alla porta.

- Buonasera, Woolwich. Che piacere vederla!

- Buonasera, Becker. Ho bisogno di parlarle di una faccenda seria. A tu per tu.

- Venga in salotto.

In salotto è seduto Bartholomew Summerscale, che all’ingresso di Adam si alza.

Ernest fa le presentazioni:

- Il mio amico Bartholomew Summerscale, il giornalista Adam Woolwich.

Ernest dice, rivolto a Bartholomew:

- Woolwich ha piacere di parlarmi a quattr’occhi. Noi passiamo in biblioteca.

Bart dice:

- Non occorre, me ne vado io.

Adam interviene:

- No, aspetti Summerscale. Ciò che devo dire riguarda anche lei. Nessun altro deve saperlo, ma si tratta proprio di lei.

Bart ed Ernest si scambiano un’occhiata, alquanto perplessi. Adam chiede:

- Nessuno può sentirci, Becker?

Ernest controlla che le due porte della stanza siano chiuse.

- No.

Fa segno a Bart e Adam di sedersi. Poi chiede:

- Che cos’è successo, Woolwich?

- Prima di parlare, ho bisogno di un impegno da parte di entrambi. Vi chiedo di non riferire a nessuno ciò che sto per dirvi. Io sono passato di qui questa sera per salutare un vecchio amico e abbiamo parlato del più e del meno. D’accordo? Dato che c’era anche lei, Summerscale, io ho tolto il disturbo presto, ma io e lei, Becker, ci siamo detti che ci vedremo in un altro momento.

Ernest fissa Adam.

- Da quello che mi dice, Woolwich, mi sembra che si tratti di qualche cosa di molto grave.

- Lo è.

- Va bene, da parte mia le garantisco che mi impegno a tacere su tutto ciò che ci dirà.

Bart annuisce.

- Anch’io, naturalmente.

- Quello che ho da dire è presto detto. Domani mattina la polizia verrà ad arrestarla, Summerscale, per l’assassinio di lord Shaffield. Hanno bisogno di un colpevole e lei è l’ideale, visto che aveva un buon motivo per odiare il marchese e ha un passato non proprio cristallino. Sanno che lei è stato qui, non sanno se ci sta ancora, ma la cercheranno qui.

Ernest e Bart sono rimasti senza parole.

Bart dice:

- Io non ho ucciso Shaffield.

- No, ne sono sicuro ed è per questo che sono qui. Se pensassi che lei l’avesse ucciso, non sarei certo venuto ad avvisarla. Non posso dire altro.

Adam sorride e aggiunge:

- Ho già detto troppo.

Adam si alza.

Bart gli dice:

- Non so perché l’ha fatto, ma la ringrazio. Non ho ucciso Shaffield. Non ho mai ucciso nessuno.

- Le credo, Summerscale.

Adam stringe la mano a Bart ed esce dalla stanza, accompagnato da Ernest.

Sulla porta di casa, che un servitore ha aperto, Adam dice ancora:

- Buona serata, Becker. Allora ci vediamo presto. È stato un piacere.

Lord Becker sorride e dice:

- Anche per me. A presto.

Ernest rientra in salotto. Sta ragionando, in fretta. È stato a lungo militare ed è abituato a prendere decisioni rapidamente.

Bart dice:

- Me ne vado questa sera stessa. In qualche modo riuscirò a nascondermi. A Londra. O da qualche altra parte.

- Dobbiamo organizzare tutto senza fare errori.

- No, tu non c’entri. Non voglio coinvolgerti, Ernest.

Bart non vuole che Ernest si metta nei guai per lui: non deve correre nessun rischio, a nessun costo. Lo vuole tenere fuori perché lo ama, per proteggerlo, ma l’espressione del viso di Ernest cambia completamente. Quasi balbetta, mentre dice:

- Non vuoi coinvolgermi? Te ne vai per la tua strada… ci salutiamo così? Bart…

Ernest chiude gli occhi. Bart si chiede se riuscirà mai a trovare le parole giuste quando parla con l’uomo che ama, l’unico che abbia davvero amato. Riesce solo a ferirlo. Bart lo chiama:

- Ernest!

Ernest riapre gli occhi, le due lacrime che ha cercato di trattenere scorrono sulle sue guance. Bart ha l’impressione di ricevere un pugno in faccia, uno di quelli che ti intontiscono e che ti fanno capire che ormai hai perso.

- Ernest, ciò che vorrei di più al mondo è rimanere con te, ma non è possibile.

Ernest fissa Bart.

- Lo è, se lo vuoi. Ma forse non lo vuoi.

- Cazzo, Ernest, non capisci? Mi vogliono arrestare per omicidio. Finirò sulla forca. Che cazzo vuoi? Che ci impicchino insieme?

- Bart, non è quello che intendo proporti, ma per me andrebbe bene. Se riusciranno a trovarti e verrai condannato per l’assassinio di Shaffield, dirò che sono stato tuo complice. Preferirei finire impiccato insieme a te, piuttosto che vivere senza di te.

Bart fissa sgomento Ernest. Sa che ciò che Ernest sta dicendo è vero, non sono parole al vento. E l’intensità dell’amore di Ernest lo spaventa, anche se sa di non amarlo di meno.

- Ernest, hai una soluzione? Che cosa proponi?

Ernest sa che c’è un solo modo per evitare l’arresto di Bart, una detenzione prolungata e un processo che rischia di concludersi con una condanna a morte.

- Tu ti nasconderai per una settimana. Io completerò i miei preparativi per il viaggio in Egitto che avevo previsto, ma con un altro percorso. Non prenderemo una nave da Londra: troppo rischioso. Raggiungiamo Dover o qualche altro porto, ci imbarchiamo su un vascello per la Francia, in dieci ore attraversiamo il Canale e sbarchiamo a Calais. Di lì gireremo un po’ in Europa, dirigendoci poi in Egitto.

Bart annuisce.

- Ernest, non ti pesa lasciare Londra e diventare un fuggiasco?

Ernest scuote la testa:

- Girare il mondo con te è la cosa più bella che posso immaginare.

- Anche per me.

Si baciano, poi definiscono tutti i dettagli.

La sera stessa, Bartholomew Summerscale lascia la villa di lord Ernest Becker. Non ha molto bagaglio: le poche cose che possedeva e che Ernest ha fatto portare a casa propria, un po’ di biancheria e un abito che Ernest gli ha fatto fare in questi ultimi giorni.

Si baciano e si abbracciano, poi Ernest chiama un domestico e dice di preparare la carrozza per il signor Summerscale.

La carrozza di Ernest lascia Bart a Holborn, ma di lì Bart prende un’altra carrozza, per raggiungere Deptford: una precauzione per assicurarsi che la polizia non scopra dove si è trasferito Bart.

 

Bart prende una stanza in una locanda di Deptford. È tardi, ormai. Bart si spoglia. Guarda la cicatrice al torace. Pensa che dovrebbe ringraziare Shaffield per aver cercato di ammazzarlo, perché gli ha permesso di conoscere Ernest e la sua vita è cambiata completamente.

La separazione da Ernest gli pesa. Si sono lasciati due ore fa, ma già Bart sente la sua mancanza. Come è possibile? Eppure è così. Bart Summerscale, abituato a non dipendere da nessuno, ora si rende conto che la sua vita ha senso solo con un uomo che credeva di odiare. Bart scuote la testa e sorride.

Steso nel letto, Bart pensa a Ernest. Purché Ernest non abbia problemi, non si ficchi nei guai per salvare lui. Questa è l’unica cosa che conta.

 

L’indomani mattina lord Becker comunica che entro una settimana partirà per la Francia, con l’intenzione di raggiungere poi l’Egitto. La servitù di casa Becker non si stupisce della decisione del padrone: da tempo ne parlava e aveva rimandato la partenza solo per la presenza di Summerscale.

L’improvvisa partenza dell’ospite ha invece sorpreso tutti, ma in fondo era la sua permanenza anche dopo la guarigione a essere un po’ anomala.

 

L’ispettore Wilfer arriva a metà mattinata e chiede di parlare con lord Becker. Questi lo accoglie cordialmente e lo fa accomodare in salotto.

- Summerscale? Sì, certo, è stato qui fino a ieri sera. Ma ormai è guarito e io sono di partenza per l’Egitto, per cui se n’è andato.

- Ieri sera?! Maledizione! Ha il suo indirizzo?

- No, mi ha detto che contava di dormire da un amico, a Holborn, ma mi ha promesso che prima della mia partenza mi farà sapere dove si stabilirà, così potrò scrivergli dall’Egitto.

- Se glielo comunicherà, ce lo faccia sapere immediatamente.

- Certo, ma… come mai lo cercate? Avete scoperto chi ha ordinato di ucciderlo?

Ernest e Bart hanno discusso dell’atteggiamento che Ernest avrebbe dovuto tenere in occasione della visita. La scelta più opportuna è fingere di non sospettare nulla e collegare l’arrivo di un ispettore all’aggressione subita da Bart.

Wilfer esita un attimo, poi dice:

- Forse. Però abbiamo assolutamente bisogno di parlare con lui.

- Un’ottima notizia, se avete trovato il mandante. Non appena Summerscale mi comunicherà il suo indirizzo, lo informerò che voi lo cercate.

- No, no. Lo comunichi a noi e andremo direttamente da lui.

- Come preferisce, ispettore.

- Mi raccomando. Parli direttamente con noi, senza dirgli niente.

Ernest guarda l’ispettore come se fosse un po’ perplesso, poi alza le spalle e sorride.

- Come vuole. Non c’è problema.

 

Il giorno seguente Greg e Harry si presentano a casa di Ernest.

- Oggi Bart non assiste?

- Bart se n’è andato. E anch'io sono di partenza.

Anche se Greg e Harry sono amici di Bart, Ernest sa che non può spiegare i veri motivi per cui Bart se n’è dovuto andare. La partenza improvvisa del loro amico li stupisce, ma è l’idea che lord Becker se ne vada ad angosciare Greg.

Greg chiede, con la voce che gli trema:

- Di partenza?

- Sì, la settimana prossima partirò per la Francia e di lì raggiungerò l’Egitto.

Greg non riesce a nascondere il suo turbamento. Ernest lo coglie: ha capito benissimo che Greg e Harry vivono in condizioni difficili ed è sua intenzione provvedere in qualche modo. Non ha ancora avuto tempo per pensarci, preso dai preparativi per il viaggio, ma conta di intervenire. Perciò dice:

- Venerdì ci parliamo con calma. Ho un’idea in testa che vi riguarda.

Greg intuisce che l’idea di Ernest Becker è un salvagente ed è quello di cui lui e Harry in questo periodo hanno disperatamente bisogno.

Al termine della lezione, Ernest dice:

- Ci vediamo ancora venerdì, poi io partirò. Ma prima di allora vediamo di sistemare due cose.

Ernest non sa bene che cosa proporre. Ha pensato di offrire una certa somma che permetterebbe a Greg e Harry di aprire una scuola di pugilato o qualche altra attività e di tirare avanti senza problemi. Ma deve perfezionare l’idea e capire come proporla per non umiliare Greg.

 

Due giorni dopo, Wilfer ritorna dal conte.

- Buongiorno, lord Becker. Mi scuso se la disturbo di nuovo, ma mi aveva promesso di informarmi quando avesse saputo il nuovo indirizzo di Summerscale.

- Sì, certo, lo ricordo bene, ma purtroppo non si è fatto vivo. Glielo avrei comunicato.

Wilfer ha un gesto di stizza.

- Non ha modo di rintracciarlo? Non ha un’idea di dove possa nascondersi?

- Nascondersi? Da chi vuole ucciderlo, lei intende. No, non so proprio, ma non capisco come mai non si sia fatto vivo con me per farmi sapere dove si trova.

- Lo sappiamo noi, come mai. È sospettato di aver ucciso lord Shaffield e sir Kellington.

- Cosa? Ma lei mi aveva detto… che lo cercavate per il tentativo di omicidio. Io non capisco.

Wilfer è spazientito, ma cela la sua irritazione: lord Ernest Becker è un nobile e va trattato con il dovuto rispetto.

- Ho preferito non dirle niente, per evitare che Summerscale potesse sospettare qualche cosa. C’era il rischio che senza volerlo lei si tradisse.

- Lei dice che io avrei ospitato un assassino? Non è possibile.

- Non poteva saperlo. Lo ha ospitato dopo che era stato ferito. Probabilmente quel tentativo di omicidio ha qualche legame con i due omicidi commessi da Summerscale.

- Questa poi! No, non so nulla del signor Kellington, non lo conoscevo, ma Shaffield… quel pomeriggio Summerscale rimase qui da me, ne sono sicuro.

- Probabilmente ricorda male. Di sicuro uscì senza farsi notare.

Ernest scuote la testa. Sa che è inutile cercare di far cambiare idea a questo ispettore che ha già deciso chi è il colpevole.

 

Greg deve lasciare la stanza in cui vive, perché il padrone ha venduto l’intera casa, ormai in pessime condizioni, a un imprenditore che la demolirà per costruirne una nuova, più alta e con alloggi più grandi. In questi giorni sta cercando una stanza in affitto che costi poco, possibilmente dalle parti di Putney, in modo da essere più vicino a Harry.

Quando Greg e Harry si presentano da Becker per l’ultima lezione, sono entrambi tesi. Le lezioni del conte sono la principale fonte di guadagno di Greg e forniscono a Harry una piccola cifra, di cui ha bisogno per tutto ciò che non è vitto e alloggio. Becker li aiuterà, di questo Greg è sicuro. Se non lo facesse, per loro tirare avanti sarebbe dura. Ronaldson non organizza più incontri di lotta e le lezioni che Greg dà a Harry ormai non hanno molto senso: prima o poi il gestore del bordello deciderà che non è più il caso di pagare per qualche cosa che non serve. Anche l’ospitalità che Harry riceve è a rischio, lo sanno entrambi.

Quando si presentano alla porta, un servitore li informa che Ernest Becker non c’è: la data della partenza è stata anticipata e il conte è dovuto uscire per sbrigare alcune formalità. Ha lasciato il pagamento della lezione mancata e una lettera, in cui prega Greg e Harry di fornire i loro indirizzi, perché ha una comunicazione importante per loro. Si tratta senza dubbio di qualche forma di aiuto, ma per il momento non possono sapere di che cosa si tratta. Poiché Greg è in procinto di trasferirsi, lasciano l’indirizzo di Harry, presso il bordello dell’Irlandese. Se ne vanno entrambi preoccupati, ma ognuno dei due cerca di evitare che l’altro se ne accorga. Greg dice:

- Lord Becker è generoso e sa che non ce la caviamo molto bene. Di sicuro ha pensato a qualche cosa, per darci una mano.

- Sì, certo. Su di lui si può sempre contare.

Harry aggiunge:

- Speriamo di sapere qualche cosa presto.

 

Pochi giorni dopo lord Ernest Becker parte per l’Europa: conta di raggiungere l’Egitto, dopo un viaggio in Francia, Italia e forse Grecia. A Dover nella carrozza di Ernst Becker, in procinto di attraversare la Manica, sale un passeggero.

 

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