5. The Mermaid

 

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Thomas ha preso alloggio in una locanda ai margini di Kingston: il posto è squallido, ma è quello che gli ha indicato il Guercio. Sa che sarà contattato da un uomo di nome Hotwell.

Thomas sta mangiando nella locanda. È solo: ormai è molto tardi e gli altri ospiti hanno già cenato, ma la nave è entrata in porto solo nel tardo pomeriggio.

Thomas è immerso nei suoi pensieri, quando un uomo entra e viene a sedersi al suo tavolo. È molto giovane: tra i venti e i venticinque anni, non di più. Thomas lo guarda. Ha un viso dai lineamenti regolari, capelli e barba neri, occhi scuri.

Thomas non dice nulla. È l’uomo a parlare:

- Buongiorno. Il tenente Hardy?

- Thomas Hardy, buongiorno. Lasci perdere il grado, mi sono congedato.

- Mi chiamo Daniel Hotwell.

Thomas annuisce. Questo giovane è il contatto che gli ha dato il Guercio.

- Piacere della conoscenza, signor Hotwell.

- Chiamami pure Daniel. Non usiamo molte formalità, tra di noi.

- Come preferisci, Daniel.

- Devi andare a New Orleans, Thomas.

- A New Orleans?

Thomas è sorpreso. È appena arrivato e già lo mandano da un’altra parte.

- Per il prossimo affare servono diverse cose.

“Il prossimo affare” è ovviamente la spedizione per catturare un po’ di neri a Haiti. Thomas si limita a un generico:

- Certo.

- In primo luogo le armi. Potremmo anche comprarle legalmente: qui tutti i piantatori comprano fucili e pistole. Ma, a parte il fatto che di contrabbando le armi costano di meno, l’acquisto di un grande quantitativo potrebbe destare qualche sospetto, in un periodo in cui un sacco di figli di puttana vogliono ficcare il naso nei nostri affari.

Thomas annuisce. La cattura della Sirius ha comportato non solo la perdita della nave e di tutto l’equipaggio, ma anche quella delle armi.

- Mi sembra saggio. Ma perché andare a New Orleans e non rivolgersi ai contrabbandieri che certamente ci sono?

- Una buona domanda. Si vede che sei intelligente. Vediamo se lo sei tanto da darti anche la risposta.

Thomas riflette un momento.

- Forse per evitare che qualche contrabbandiere, magari catturato, per scampare alla forca spiattelli tutto sull’ultimo carico di armi che ha venduto alla Giamaica. Credo che dopo la morte di quel fottuto giornalista, ci sia un sacco di gente che non vede l’ora di mettere le mani sui trafficanti di schiavi.

Daniel annuisce.

- Bene, la prima risposta è giusta. C’è ancora un pezzo.

Thomas ha il suo mezzo sorriso.

- Credevo che servisse un uomo d’azione, ma vedo che sono venuto qui per risolvere indovinelli.

Daniel sorride.

- Diciamo che saremmo contenti di avere a che fare con qualcuno dotato di cervello. Jacques Lapierre era coraggioso e deciso, i coglioni li aveva, ma era una testa di cazzo. Ha commesso diversi errori, non ha saputo controllare i suoi uomini ed è finito come è finito. Non vorremmo che tu finissi allo stesso modo.

- Grazie per l’interessamento, anche se sospetto che vogliate evitare soprattutto di perdere un’altra nave, con armi ed equipaggio.

- Buono, direi proprio che il cervello ce l’hai. Prova a farlo funzionare per quanto riguarda la risposta in sospeso.

- Vediamo, a New Orleans magari c’è da procurarsi anche altro, hai detto qualche cosa del genere, no? E poi magari c’è da prendere contatto con qualcuno: è il più grosso mercato per la merce che trattiamo, no?

- La prima risposta è esatta. Sei davvero intelligente, Thomas. Di che cosa si tratta? Di che cos’altro abbiamo bisogno, secondo te?

- Potrebbero essere una nave e un equipaggio.

Daniel ride.

- Sì, serve una nave, perché la Sirius ha arricchito il capitano Swan. Servono anche alcuni uomini, perché quelli che avevo reclutato hanno fatto una brutta fine. Altri li troveremo alla Giamaica, ma un po’ di gente di fuori ci serve, per portare la nave a Kingston e poi perché alla Giamaica non so quante persone fidate posso ancora trovare. Qualcuno potrebbe denunciarmi.

Daniel sorride e conclude:

- Hai indovinato, Thomas. Forse sei troppo intelligente per questo lavoro.

- Mi sembra di capire che un po’ di intelligenza serva per non finire appeso.

- Non è detto che basti. Ma può servire, sì, è vero.

Daniel ghigna, poi ritorna serio e dice:

- Allora domani io e te andiamo a New Orleans.

Thomas registra che viaggerà con Daniel. È abbastanza naturale: vogliono vederlo in azione, conoscerlo meglio, capire se possono fidarsi. Non possono mandarlo allo sbaraglio senza averlo messo alla prova.

- Domani? Cazzo! Manco il tempo di riabituarmi ad avere la terra sotto i piedi.

- Non sei venuto qui per visitare la Giamaica.

Thomas annuisce. Daniel continua:

- A New Orleans sbrighiamo i nostri affari. Poi tu torni con la nave e l’equipaggio e io mi imbarco su un altro battello.

I motivi per cui Daniel tornerà su un’altra nave sono abbastanza evidenti a Thomas: la nave verrà controllata al suo arrivo a Kingston, per sincerarsi che non ci siano merci di contrabbando. O se invece la nave non approdasse nel capoluogo, ma cercasse di avvicinarsi alla costa di nascosto, potrebbe essere intercettata dalla Royal Navy e anche in questo caso ci sarebbero controlli. Se le armi verranno scoperte, nei guai finirà Thomas. Fa parte dei rischi che Thomas si è assunto.

- Va bene. Ho capito che è inutile che apra i bagagli. Ma come sapevate che l’Argus sarebbe arrivata oggi? Poteva impiegare qualche giorno in più.

- Nel qual caso avremmo dovuto aspettare la prossima nave per New Orleans. Ma sei arrivato giusto in tempo.

- Va bene, diciamo che non avrò modo di annoiarmi alla Giamaica.

- Esatto, Thomas. E adesso parlami di te.

Thomas non si aspettava la domanda, ma sa di dover rispondere. Racconta brevemente della sua carriera militare, del suicidio del padre, della necessità di procurarsi i soldi per ripagare i debiti.

Daniel ascolta con attenzione.

- Thomas, so che ti è già stato detto, ma preferisco ripeterlo. Per il governo inglese siamo pirati: se veniamo catturati con il carico, ci impiccano subito. Se scoprono chi siamo, ci impiccano dopo averci processato. Non possiamo permetterci errori, di nessun tipo.

- Conto di non farne.

- E niente chiacchiere.

Thomas ha un sorriso che è appena una piega delle labbra.

- Non sono molto loquace. E di sicuro non andrò in giro a raccontare quello che faccio. Non desidero finire con una corda al collo.

Daniel ghigna:

- Dicono che se ti impiccano, ti viene duro. Magari vieni anche.

- Può darsi, ma preferisco non provare.

Daniel sorride.

- La nave parte domani mattina. È la Mermaid. Trovati alle sei al porto.

- Alle sei? Va bene.

È mezzanotte e Thomas non avrà molto tempo per dormire. Ma sa che non è il caso di fare obiezioni.

- A domani, Thomas.

Thomas finisce di mangiare. Rimane seduto un momento. Pensa ai suoi fratelli, a suo padre, al lavoro di merda che ha accettato di fare. Cerca di non pensare ad Adam, perché soffre già abbastanza.

 

L’indomani mattina Thomas si trova al porto un po’ prima delle sei. Cerca la Mermaid e la osserva. È una nave mercantile, più piccola dell’Argus: d’altronde non deve attraversare le acque dell’oceano, ma solo il Golfo del Messico. La nave non sembra in ottime condizioni.

Daniel arriva puntuale.

Sulla nave li accoglie il comandante, un uomo sui cinquanta, magro, con un viso scavato dal vento marino e scurito dal sole dei Caraibi. È un tipo scorbutico, che evidentemente farebbe volentieri a meno di avere passeggeri tra i coglioni. Ma dato che Daniel e Thomas hanno una cabina doppia, che è un lusso, li tratta in modo rispettoso, anche se brusco. Thomas ha l’impressione che l’uomo sia stato un militare.

Il comandante li informa che dovranno rimanere negli spazi destinati ai passeggeri, che sono la cabina e un’area molto ristretta del ponte: non possono girare per la nave, per non intralciare le manovre, e sul ponte possono salire solo di giorno. Ricorda anche che ai passeggeri viene fornito un solo pasto al giorno e che quindi devono arrangiarsi con le proprie provviste.

Un marinaio li accompagna nella loro cabina: uno spazio angusto con due cuccette, una sopra l’altra. Sulla nave c’è una seconda cabina doppia e una camera comune per gli altri dodici passeggeri, tutti uomini. Sedici persone in tutto.

Appena il marinaio è uscito, Thomas osserva:

- Non sapevo che bisognasse portare delle provviste, Daniel.

Anche se avesse saputo, Thomas non avrebbe potuto procurarsi molto nella notte, ma qualche cosa alla locanda avrebbe potuto comprare.

Daniel sorride:

- Non ti preoccupare. Le ho portate io per tutti e due: non ho nessuna intenzione di fare la fame. E non posso lasciarti a digiuno: potresti rubarmi le provviste. O mordermi mentre dormo.

Thomas annuisce:

- Sì, potrebbe essere un’idea.

Daniel osserva:

- La sistemazione non è il massimo, Thomas, ma da qui a New Orleans non c’è molto. Più o meno una settimana.

- Va benissimo, Daniel. Nell’esercito mi è capitato di viaggiare in condizioni ben peggiori, soprattutto in India.

Daniel si stende sulla cuccetta inferiore: la cabina è molto stretta e non ci sono posti per sedersi.

- Raccontami un po’ delle tue esperienze nell’esercito.

Thomas è un po’ stupito. Forse Daniel vuole verificare che lui sia davvero stato un tenente e non si sia spacciato per militare solo per avere il lavoro.

Thomas sale sulla sua cuccetta e si stende. Chiede:

- Che cosa vuoi sapere?

- Un po’ di tutto. Passeremo diversi giorni qui o in uno spazio molto ridotto sul ponte. Parlami delle tue promozioni, di come le hai ottenute.

Thomas è perplesso. Non ama raccontare di sé e con Daniel preferisce non scoprirsi troppo. Daniel chiede:

- Incomincia a dirmi quando ti sei arruolato e perché.

Thomas prende a raccontare, Daniel pone altre domande e Thomas risponde.

Quando la nave parte, Thomas e Daniel salgono sul ponte, ma lo spazio a disposizione dei passeggeri è troppo piccolo e gli altri lo hanno già riempito. Un marinaio impreca contro due uomini che si sono messi dove non potevano. Thomas e Daniel rimangono un momento sul ponte, poi ridiscendono. In giornata risalgono alcune volte. Non potendo muoversi liberamente, hanno poche occasioni di parlare con gli altri passeggeri. C’è un commerciante di New Orleans, un certo Strout, che occupa la seconda cabina doppia con il suo servitore Douglas, ma che non sembra intenzionato a fare conoscenza. E ci sono i dodici occupanti della cabina comune, le cui facce non ispirano molta fiducia.

La sera Thomas e Daniel scendono definitivamente nella loro cabina.

È ancora presto per mettersi a dormire, per cui Daniel invita Thomas a sedersi accanto a lui sulla cuccetta inferiore, dove dorme: l’unico posto in cui è possibile stare seduti. La cuccetta superiore è troppo vicina al soffitto della cabina per permettere di sedersi.

Daniel dice:

- So che nell’esercito in India molti uomini scopano tra di loro.

Thomas non si aspettava un’osservazione di questo genere, così diretta. Si chiede dove voglia andare a parare Daniel, ma sa che lo scoprirà presto.

- No, non molti. Di solito i soldati vanno a puttane, qualche ufficiale ha una donna, un’indigena che tiene come serva e con cui scopa. Qualcuno è sposato.

- Ma alcuni vanno con altri uomini. Anche tra quelli che vanno a puttane o hanno una donna.

- Sì, certo. Succede. Ma con molta prudenza. Essere scoperti significa un processo.

- Certo, nell’esercito bisogna stare attenti.

Daniel si alza e incomincia a spogliarsi, dando le spalle a Thomas. Ha un bel corpo, piuttosto irsuto, ma questo a Thomas non spiace: non è mai stato attratto dai ragazzi o dai maschi imberbi. Gli piace avere un rapporto con un altro uomo, che sia davvero tale. Gli piace Patrick O’Brian, perché è un maschio. Gli piace Adam, ma ormai è bene che se lo tolga dalla testa.

Quando è nudo, Daniel si volta verso Thomas e gli chiede:

- Ti piaccio, Thomas Hardy?

Thomas guarda negli occhi Daniel. La domanda è stata molto diretta. Dopo il discorso di prima, non lo sorprende. D’altronde Daniel sa di non rischiare molto. Di certo Thomas non andrà a denunciarlo per sodomia. Al massimo potrebbe dirgli che non gli interessa.

Daniel prosegue, senza attendere una risposta:

- Perché tu mi piaci, Thomas Hardy.

Thomas annuisce. Si alza e incomincia a spogliarsi.

Fisicamente Daniel gli piace davvero, ma in un’altra situazione, Thomas non penserebbe a scopare con lui: in questo momento c’è un unico uomo che desidera, anche se sa che le loro vite si sono separate per sempre. Ritiene però più saggio non rifiutare la proposta: Daniel non è esattamente il suo datore di lavoro, ma ne fa le veci. Meglio guadagnarne la fiducia e non contrariarlo.

In questo modo Thomas ha l’impressione di prostituirsi, ma ha accettato di svolgere questo lavoro e lo farà fino in fondo. Ogni altra considerazione è superflua, per non dire dannosa.

Quando Thomas si è spogliato, Daniel si inginocchia davanti a lui, gli mette le mani sulle cosce e prende in bocca il cazzo. È lo stesso gesto che ha fatto Adam, la seconda volta che si sono amati, ma in Thomas non suscita nessuna emozione. Daniel ci sa fare, questo è evidente. Deve avere una buona esperienza. Succhia, poi si stacca e passa la lingua, poi ritorna ad avvolgere con le labbra. È bravo, davvero bravo. E il cazzo di Thomas reagisce in fretta, si irrigidisce e cresce di volume. Ora che è teso verso l’alto, Daniel lo percorre con la lingua più e più volte, scendendo fino ai coglioni, poi passa le dita dietro lo scroto e stuzzica la pelle.

Daniel guarda Thomas, sorride e si stende sulla cuccetta, a gambe larghe.

Thomas sputa sulle dita e inumidisce l’apertura. La sente cedere senza sforzo: Daniel dev’essere abituato a prenderselo in culo. Anche Adam lo era, ma assai meno. Perché gli viene in mente Adam, ora? Thomas sa che deve dimenticarlo.

Thomas si stende su Daniel e spinge il cazzo contro l’apertura, la forza e poi lo fa penetrare a fondo. Daniel emette un piccolo gemito.

Thomas si ferma un attimo, poi si ritrae ed esce, per rientrare subito dopo, con un’unica spinta decisa che fa sussultare Daniel.

- Cazzo, Thomas!

Thomas sorride e si ritrae. Lascia a Daniel il tempo di riprendersi e poi lo infilza nuovamente, con la stessa energia di prima. Ripete l’operazione ancora due volte, poi incomincia a spingere e a ritrarsi, con un movimento cadenzato. Thomas non ha fretta e vuole soddisfare Daniel: a parte il fatto che Thomas è sempre molto attento all’altro, sa che è un modo per legarlo a sé. E mentre lo pensa, Thomas ha di nuovo la sensazione di prostituirsi, ma si dice che sono cazzate. Non ha senso pensarci. Sta fottendo Daniel e deve farlo bene.

I gemiti di Daniel, che cerca di soffocarli per non farsi sentire, gli dicono che Daniel è soddisfatto. Thomas procede, cavalcando a lungo. Ogni tanto si ferma e lascia che Daniel riprenda fiato. A volte esce, per poi rientrare con forza. Daniel si mette in bocca un fazzoletto, perché fa fatica a soffocare i gemiti di piacere.

La cavalcata va avanti e a un certo punto Thomas si accorge che Daniel si sta tendendo. Il giovane geme e il suo corpo è scosso dall’ondata del piacere.

Allora Thomas accelera il ritmo e viene con una serie di spinte decise.

Thomas rimane disteso, in silenzio. Daniel ha chiuso gli occhi. Solo dopo un buon momento si toglie il fazzoletto dalla bocca e dice:

- Cazzo! Thomas, sei formidabile.

- Grazie.

Thomas esce e si pulisce.

Daniel lo osserva e dice:

- Spero che non ti facciano fuori tanto presto. Il tuo cazzo me lo voglio gustare a lungo.

Thomas sorride. Poi augura la buona notte e si stende sulla propria cuccetta. Non ha voglia di conversare. Ha fatto quanto doveva e adesso vuole riposare, dimenticare. Il pensiero va ad Adam. Ma uomini come Adam non sono per lui, Thomas lo sa benissimo. Per lui ci sono quelli come Daniel.

 

Il giorno seguente la traversata si svolge senza grandi problemi. Thomas si rende conto che quando sale sul ponte, il capitano Grandbreed lo osserva. Non si stupisce quando questi gli chiede:

- Lei era nell’esercito?

- Sì, ero tenente, ma mi sono congedato.

Il capitano annuisce. Non dice altro. Thomas chiede:

- Lei era in marina, vero?

Grandbreed lo guarda con aria di sfida:

- Sì, ma mi hanno sbattuto fuori a calci in culo.

Thomas non commenta. Il comandante era solo curioso di sapere se la sua impressione era giusta. Non ha nessuna intenzione di fare conversazione.

 

Il terzo giorno si alza un vento molto forte e il mare è agitato. La nave viene sbatacchiata dalle onde, che sembrano diventare sempre più alte e violente e spazzano il ponte. A fine mattinata il comandante dà ordine a tutti i passeggeri di rimanere in cabina: fino a nuovo ordine nessuno potrà uscire sul ponte, per non intralciare le manovre.

La situazione sembra continuare a peggiorare. La nave si inclina paurosamente. Tutti sono spaventati. Nella camera comune due ragazzi hanno una crisi di panico. Dalla loro cabina Thomas e Daniel possono sentire le loro urla, mentre gli altri passeggeri cercano di calmarli. Uno vorrebbe uscire sul ponte e devono trattenerlo a forza.

Thomas appare perfettamente tranquillo. Si è steso a terra, di fianco alla cuccetta di Daniel, per evitare che il continuo rollio lo faccia cadere dalla cuccetta superiore. Daniel lo guarda, scuote la testa, sorride e gli dice:

- Non sei uno che si spaventa facilmente, tu, eh?

- Ci possiamo fare qualche cosa?

- No, in effetti. Ma non hai paura di morire?

Thomas alza le spalle.

- Moriamo tutti. I vigliacchi muoiono molte volte prima della loro morte. L’uomo coraggioso non ha l’esperienza della morte che una volta sola.

- Questa dove l’hai trovata?

- Shakespeare, il Giulio Cesare.

- Shakespeare? Quello del teatro?!

Daniel scoppia a ridere e prosegue:

- Cazzo, Thomas! Non credo che ci sia mai stato un negriero in grado di citare Shakespeare.

Thomas alza le spalle. Daniel chiede:

- Ne conosci altre?

- Potrei passare il pomeriggio a recitarti Shakespeare.

- Dimmene un’altra, dai!

- Noi siamo per gli dei quel che sono le mosche per un ragazzo capriccioso: ci uccidono per divertirsi.

- E questa?

- È dal Re Lear, sempre Shakespeare.

Daniel scuote la testa. La nave ondeggia paurosamente, si solleva e si abbassa. Daniel chiude gli occhi. Poi dice:

- Fottimi, Thomas. Se devo crepare, voglio crepare con il tuo cazzo in culo. Voglio divertirmi con te, tanto non posso evitare che gli dei si divertano con me.

Entrambi sono già quasi nudi: in cabina fa caldo. Finiscono di spogliarsi, poi Thomas si alza. Daniel lo guarda. Il cazzo, magnifico, è già mezzo teso.

Daniel si mette a pancia in giù. Si aggrappa alle travi verticali, perché il rollio rischierebbe comunque di farlo cadere dalla cuccetta.

Thomas si stende su di lui. Con le dita umide prepara la strada, poi, con lentezza, lo infilza.

Ora, schiacciato sotto questo corpo forte, impalato da questo magnifico cazzo che gli scava il culo, Daniel ha l’impressione che il mondo scompaia. Lascia la presa: il corpo di Thomas lo inchioda alla cuccetta. Il rollio violento della nave fa tutt’uno con le spinte di Thomas, Daniel non saprebbe distinguere i due movimenti. Si lascia sprofondare nel piacere che gli trasmette Thomas, in questa ondata che lo trascina con sé, più forte dei marosi che scuotono la nave.

Come nei giorni precedenti, la cavalcata dura a lungo e Daniel sente il piacere invaderlo, schiacciarlo contro la cuccetta, annichilire ogni altra sensazione. Daniel geme e poi urla, un grido violento, che risuona alto, mentre il seme si sparge. Non gli importa se lo sentono: penseranno che abbia anche lui paura.

Thomas continua a cavalcarlo e infine Daniel lo sente venire dentro di sé. Daniel scuote la testa. Pensa che per una scopata così varrebbe anche la pena di affogare.

Rimangono distesi sulla cuccetta. Ora Daniel è di nuovo consapevole del movimento violento della nave. Contro di sé sente il cazzo di Thomas ridursi di dimensioni e perdere rigidità, fino a uscire, ma Thomas rimane steso su di lui. A un certo punto gli dice:

- Vuoi che mi tolga?

- Scherzi? Per me puoi rimanere fino a domani. E se dobbiamo affondare, vorrei che fosse mentre mi prendi di nuovo.

Rimangono così, Daniel steso prono sotto Thomas. Nonostante il movimento della nave, Daniel si sente bene.

La tempesta non si placa, il movimento della nave prosegue, selvaggio. A un certo punto si sente un forte rumore e la nave trema tutta. Dalla cabina a fianco si sentono urla.

- Che cosa è stato?

- Temo che uno degli alberi si sia spezzato. Una manovra sbagliata, probabilmente.

- Merda! Credi che affonderemo, Thomas?

- Può darsi. Per il momento la nave galleggia, non si è ancora rovesciata. Se si ribalta cercheremo di uscire di qui: preferisco affogare in mare piuttosto che chiuso in una cabina.

- Non fa una grande differenza, ma comunque…

Si sentono urla, un rumore di passi, poi nuove urla.

Daniel fa per dire qualche cosa, ma Thomas lo zittisce. C’è un litigio, vicino a loro. Grida, bestemmie. Poi le voci si smorzano. Nella cabina a fianco qualcuno prega. Si sente ancora qualche imprecazione.

Thomas dice:

- Hanno cercato di salire sul ponte, ma i marinai li hanno respinti.

- Stiamo affondando, Thomas?

- No, Daniel. Per il momento la nave regge. Non so quanto riescano a governarla, tra l’albero rotto e la tempesta. Ma se non si sfascia contro qualche scoglio, possiamo cavarcela.

- Spero che tu abbia ragione.

Rimangono un momento in silenzio. Daniel sente contro il suo culo il cazzo di Thomas riacquistare consistenza e volume. Sorride.

- Thomas…

- Sì?

- Uno come te non l’ho mai visto.

- Che vuoi dire?

- Tutti stanno cagandosi addosso perché hanno paura di crepare e a te viene duro. E sei venuto forse un’ora fa.

- In questa posizione, sarebbe strano se non mi venisse duro. Ma se ti dà fastidio, passo sulla mia cuccetta o mi stendo di nuovo sul pavimento.

Il tono è ironico. Daniel ride e risponde:

- Mi dà molto fastidio se non fai il bis.

Thomas annuisce.

 

Solo nella notte la tempesta si placa. Il mare è ancora molto mosso, ma la nave non è più sballottata come prima.

Nella mattinata il vento soffia ancora deciso, ma ormai è solo una giornata ventosa, non una burrasca.

Daniel e Thomas salgono sul ponte. Basta un’occhiata per vedere che uno degli alberi si è spezzato, danneggiando la nave.

Il capitano guarda Daniel e Thomas. È chiaramente irritato dalla loro presenza e se fossero due passeggeri della cabina comune, probabilmente griderebbe loro di ritornare sottocoperta. Ma sono due uomini benestanti e non sono in preda al panico.

Thomas chiede:

- Qual è la situazione, capitano?

- Non lo vede? Andiamo a gonfie vele.

Thomas ignora l’ironia.

- Siamo in grado di raggiungere la nostra meta?

- No. Non possiamo proseguire per New Orleans. La tempesta ci ha anche spostato verso il Messico. Cercheremo di raggiungere la costa dell’Honduras. Belize non è lontana. Ma il timone è danneggiato e non so che cosa riusciremo a fare.

Daniel sibila:

- Merda!

Thomas annuisce. Non ne sa abbastanza di navigazione, ma non si stupisce che la nave non possa proseguire in queste condizioni.

Thomas e Daniel rimangono sul ponte, mentre il capitano dà istruzioni ai marinai.

Daniel non nasconde la sua irritazione.

- È un casino, Thomas.

- Qual è il problema? La perdita di tempo?

- Quello è il meno. Se riusciamo a raggiungere Belize Town, non avranno problemi a sistemare la nave in qualche giorno.

- E allora?

- Non mi piace questa tappa. Se non riusciamo ad arrivare a Belize Town, rischiamo di rimanere bloccati a lungo nella regione: è un territorio selvaggio, coperto di foreste. Ci sono i coloni che abbattono gli alberi, ma ci sono anche banditi. Qui si rifugiarono alcuni pirati in fuga dalla Giamaica. E una nave è una bella preda.

Daniel non aggiunge altro, ma Thomas ha capito anche ciò che non è stato detto. È chiaro che Daniel deve avere con sé parecchio denaro, per pagare la nave e le armi e dare un anticipo all’equipaggio. Fermarsi alcuni giorni in porto richiederà di fare molta attenzione al bagaglio, che non potrà essere lasciato incustodito in nessuna occasione. E se invece di arrivare in porto dovranno fermarsi lungo la costa, di sicuro vale quanto dice Daniel: una nave è un obiettivo per qualunque banda. E i passeggeri delle due cabine doppie sono i più interessanti. Con quel che ha Thomas, i banditi ricaverebbero al massimo una cena – e solo se la banda non è numerosa - ma la borsa di Daniel deve contenere ben altro.

Nel pomeriggio avvistano la costa: la tempesta deve averli spinti verso occidente. La nave si avvicina lentamente: senza un albero e con il timone danneggiato occorre procedere con grande prudenza.

La nave percorre un breve tratto in direzione sud: secondo i calcoli del capitano si trovano a nord di Belize Town, l’unica città in cui possono sperare di far riparare il veliero. La sera il capitano fa gettare l’ancora vicino alla costa. Non sembrano esserci tracce di insediamenti umani: la foresta ricopre interamente il territorio.

Il mattino seguente il capitano fa levare l’ancora e il battello si dirige verso sud. Il vento non è favorevole e i danni al timone rendono difficile manovrare, ma per fortuna c’è una corrente marina che spinge la nave nella direzione giusta.

Senza vele la navigazione procede molto lentamente. Dopo alcune ore viene avvistato un villaggio. Giunti in prossimità, il capitano fa lanciare l’ancora e invia una scialuppa con il secondo e due marinai, per raccogliere informazioni sulla loro posizione.

Thomas e Daniel sono sul ponte. Thomas osserva il piccolo insediamento, costituito da capanne. Sembrano esserci solo cinque o sei uomini, che stanno guardando la nave. Uno è un nero, gli altri sono bianchi.

- Taglialegna, probabilmente. Qui è l’attività principale. Magari potranno darci una mano a ritirare la nave.

Thomas scuote la testa, ma non dice nulla.

La barca raggiunge il pontile, su cui si sono radunati gli abitanti del villaggio. Il secondo scende. Dalla nave Thomas e gli altri possono vedere il secondo parlare con gli abitanti, che sembrano indicare qualche cosa oltre un promontorio.

Dopo qualche minuto il secondo risale sulla scialuppa, su cui prendono posto anche tre uomini del villaggio, e la barca ritorna in direzione della nave. Quando sono arrivati di fianco allo scafo, il secondo parla dalla scialuppa:

- Dietro il promontorio c’è una baia dove possiamo fermarci e aggiustare la nave, al riparo da tempeste. Gli uomini qui possono aiutarci: sono taglialegna, hanno tutto il necessario. Non chiedono molto.

Il capitano annuisce. Thomas però gli si avvicina, anche se questo significa entrare in uno spazio da cui i passeggeri devono tenersi lontani. Gli dice, piano:

- Capitano, potrebbe essere una trappola. Non credo che siano taglialegna, questi. I coloni di solito fanno lavorare gli schiavi e al villaggio c’è un solo negro.

Grandbreed guarda Thomas, irritato. Sa che questo passeggero potrebbe avere ragione, ma non c’è molta scelta.

- Di che cosa ha paura? Tra marinai e passeggeri, noi siamo molti di più: difficile che attacchino la nave.

- Non è detto che siano così pochi. E una volta che la nave si sia incagliata…

Il capitano non lo lascia finire.

- Basta. Torni al suo posto.

Poi si rivolge al secondo:

- Va bene.

- Allora ci guidano loro. Dice che bisogna fare attenzione solo all’ingresso della baia, poi non c’è problema.

Grandbreed annuisce.

Gli uomini sulla scialuppa si rimettono ai remi. Anche i tre del villaggio danno una mano. La nave segue la barca. Oltre il promontorio si apre davvero una piccola baia, quasi completamente chiusa. La nave entra senza problemi. La scialuppa si tiene sulla destra, molto vicino alla riva, e uno degli uomini fa segno al capitano di rimanere dalla stessa parte. Il veliero procede come indicato, ma quasi subito c’è un forte urto: la nave è finita contro uno scoglio sommerso. Immediatamente dopo si sentono tre spari.

Daniel ha perso l’equilibrio, come diversi marinai che erano sul ponte. Thomas invece è rimasto in piedi: in qualche modo era preparato all’urto. Ha già estratto la pistola e spara un colpo. Si sente un grido.

Quando Daniel si affaccia al parapetto, fa ancora in tempo a vedere due uomini saltare tra gli scogli, raggiungere la riva e dileguarsi tra la vegetazione. Nella scialuppa ci sono i cadaveri del secondo e dei due marinai. Un quarto corpo, quello dell’uomo ucciso da Thomas, galleggia nell’acqua vicino a uno scoglio: probabilmente Thomas l’ha colpito mentre era appena saltato dalla scialuppa sullo scoglio.

Daniel si avvicina a Thomas, che ha ricaricato la pistola e scruta la riva in silenzio.

- Tu avevi capito che era una trappola.

Non è una domanda. Thomas annuisce e continua a guardare la riva. Risponde:

- E adesso ci siamo dentro, in questa fottuta trappola. Incagliati, a poca distanza dalla riva, da cui possono impallinarci.

- Non sono in molti.

- Il villaggio ha parecchie capanne. Gli altri non sono lontano e puoi essere sicuro che sono già andati a chiamarli.

- Merda! E adesso?

- Adesso non abbiamo molte vie d’uscita. Dobbiamo lasciare la nave, ma non conosciamo il territorio e loro sì.

- Merda!

 

Il capitano fa mettere quattro marinai di vedetta, con i fucili. Una seconda scialuppa viene calata in acqua e raggiunge l’altra, ma per i tre uomini dell’equipaggio non c’è più niente da fare. La scialuppa viene recuperata e i corpi issati a bordo.

C’è una grande agitazione sulla nave. I passeggeri sono tutti sul ponte, nonostante gli ordini di Grandbreed.

Thomas si avvicina e dice, tranquillo ma deciso:

- Capitano, non credo che abbiamo tempo da perdere. Bisogna lasciare la nave prima che i banditi tornino con i loro compagni. Quando quelli saranno arrivati, sulle scialuppe faremo solo da bersaglio per un bel tiro a segno dalla riva.

Il capitano freme. Sa di aver fatto un errore a ignorare l’avvertimento di Thomas e questo lo irrita ancora di più.

- Chi cazzo pensi di essere, stronzo, per venirmi a dire che cosa devo fare?

Thomas rimane impassibile. Chiede:

- Che cosa pensa di fare?

- Togliti dai coglioni, stronzo, o ti faccio appendere a un albero!

Thomas annuisce: Grandbreed non potrebbe certo farlo impiccare, ma è inutile discutere con lui. Thomas raggiunge Daniel.

- Daniel, qui la situazione è brutta. In qualche modo dobbiamo riuscire a scendere a terra e ad allontanarci dalla nave.

- Ma se tutti rimangono qui, saremo in grado di difenderci…

- Fino a quando? Noi non possiamo andarcene con la nave e nessuno verrà in nostro soccorso, Daniel: nella baia non possiamo nemmeno sperare che ci veda qualche battello della Royal Navy che pattuglia la costa. Quei bastardi hanno scelto bene il posto. Dalla riva possono spararci addosso. Possono attaccare la nave di notte. Non è un fortino, questo. Prima o poi se ne impadroniranno e nessuno di quelli rimasti a bordo potrà andare a raccontare quello che è successo.

Thomas sta riflettendo. Daniel prova a dire:

- La riva è vicina, in pochi minuti ci arriviamo a nuoto.

- No. Noi dobbiamo andare dall’altra parte della baia, perché da questa c’è certamente qualcuno di guardia. A nuoto non possiamo andare. Se si bagnano le pistole, non abbiamo più nulla per difenderci. E sarebbe utile portare un po’ di provviste. E gli abiti.

- Che cosa possiamo fare?

- Convincere il capitano a lasciare che una scialuppa ci porti a riva e poi ritorni qui. Bisognerà pagarlo.

Daniel annuisce. In effetti gli sembra l’unica soluzione sensata.

Intanto diversi degli altri passeggeri, dopo aver parlottato a lungo, si avvicinano a Thomas. Qualcuno l’ha visto sparare, qualcun altro ha saputo che ha avuto un diverbio con il comandante. Uno dei marinai, di nome Ben, ha raccontato che Thomas aveva sospettato che fosse una trappola: appare l’unico in grado di valutare la situazione e tutti sperano che sappia che cosa fare.

Thomas riflette un attimo, poi decide di parlare. Espone le conclusioni a cui è giunto. Tra i passeggeri si accende una discussione. Alcuni vorrebbero cercare di sbarcare il più rapidamente possibile. Altri preferiscono rimanere sulla nave, convinti che i marinai potranno difenderli. Si formano due gruppi. Il mercante Strout, con il suo servitore, e altri otto passeggeri decidono di lasciare subito la nave.

Strout si incarica di parlare con il comandante.

Daniel osserva:

- Saremmo in dodici. È un buon numero. Potremo difenderci meglio.

Thomas lo guarda e Daniel capisce che non la pensa allo stesso modo, ma non è il momento per chiedere spiegazioni. Daniel è un uomo intelligente, ma si rende conto che Thomas è sempre qualche passo più avanti.

Thomas dice:

- Dovrebbe essere più facile scendere, anche se il capitano non sarà contento di avere meno uomini su cui contare. D’altronde con ogni probabilità ci considera più un impiccio che altro.

La discussione tra Strout e il comandante non sembra tranquilla, ma alla fine i passeggeri ottengono di partire su una scialuppa, che li lascerà all’altra estremità della baia. I marinai la ricondurranno indietro.

È chiaro a tutti che non possono portare con sé molto, ma solo Strout ha un bagaglio considerevole.

Al momento di caricare sulla scialuppa, Thomas osserva:

- Signor Strout, pensa di riuscire a portarsi sulle spalle tutta quella roba?

Strout lo guarda irritato. Risponde:

- Gli uomini qui hanno tutti poco bagaglio. Per un compenso, ci sarà ben qualcuno disposto a prendere una parte del mio carico.

Dopo aver risposto, Strout si allontana. Thomas sibila, in modo che solo Daniel possa sentirlo.

- Non avrà problema a trovare qualcuno disposto a prendere il suo carico.

Daniel non chiede spiegazioni: non è il momento.

Thomas tiene sotto controllo la riva più vicina alla nave. Per il momento non si vede niente.

È ora di scendere. Quattro marinai accompagneranno i dodici passeggeri. Ma al momento di calarsi nella scialuppa diversi esitano. Grandbreed sbraita:

- Muovetevi, stronzi. Avevate tanta fretta di andarvene, no? Levatevi dai coglioni.

Le parole del capitano hanno un effetto contrario: quattro passeggeri rinunciano a scendere e decidono di rimanere sulla nave. Strout è contrariato: le possibilità di trovare qualcuno che porti il suo bagaglio si riducono. Ma non c’è tempo da perdere.

I marinai dirigono la scialuppa verso l’altra estremità della baia, badando nel primo tratto a rimanere protetti dalla nave. Al momento di scendere, uno dei quattro marinai dice agli altri:

- Voi tornate pure, se ci tenete. Io rimango qui. Portate i miei saluti al capitano.

- Cazzo fai, Ben? Il capitano…

Il marinaio si interrompe. Si rende conto che il capitano non potrà fare molto.

Ben riprende:

- Se arriviamo a Belize Town, dirò della nave, ma per allora… Se non ve la siete cavata da soli, non vi serve più una squadra di soccorso, ma il prete.

- Fanculo, Ben.

L’uomo ride. Thomas l’osserva. L’uomo deve avere forse trentacinque anni e ha un viso dai tratti molto irregolari.

La scialuppa con i tre marinai si allontana, dirigendosi verso la nave.

Thomas dice:

- Dobbiamo cercare di allontanarci il più in fretta possibile.

Nessuno ha obiezioni. Strout si offre di pagare chi è disponibile a portare un po’ del suo bagaglio. Tre uomini accettano. Daniel è stupito: che senso ha caricarsi e rischiare di rallentare la marcia per quattro soldi? Thomas invece non appare sorpreso. Annuisce come se l’avesse previsto. Daniel è impaziente di riuscire a parlare un momento da solo con lui.

In breve raggiungono la cima della collinetta che costituisce l’estremità meridionale della baia. Sono appena arrivati quando si sentono gli spari: i banditi devono aver deciso di non aspettare la notte per attaccare.

Sul ponte della nave ci sono alcuni marinai, che si nascondono dietro l’impavesata. I passeggeri stanno scomparendo sottocoperta.

Improvvisamente si sente un’esplosione e l’albero maestro crolla.

- Hanno un cannone! Cazzo!

Thomas non appare stupito:

- Non dev’essere la prima nave che catturano. Da una hanno preso il cannone e lo hanno sistemato sul promontorio per colpire altre navi. Magari ne hanno sistemato qualcuno anche vicino al villaggio, nel caso arrivi la Royal Navy. Sono un gruppo ben organizzato.

I banditi hanno approfittato del momento di confusione per lanciare le corde e salire sulla nave. Il combattimento non dura a lungo: sempre nuovi banditi salgono sul ponte e massacrano l’equipaggio. Il capitano e due marinai si lanciano in acqua e nuotano verso la riva. Uno viene colpito da un proiettile sparato dalla nave. L’altro marinaio e Grandbreed riescono ad allontanarsi, ma quando si mettono a camminare nell’acqua per raggiungere la riva vengono accolti da una scarica: ci sono altri banditi a terra. Il marinaio cade e rimane immobile, la testa immersa nell’acqua. Il capitano finisce in ginocchio. Cerca di rialzarsi, ma ricade. Un uomo molto alto e massiccio esce dalla macchia d’alberi sulla riva e si avvicina. Ha un grosso bastone in mano. Grandbreed lo guarda. Il gigante lo raggiunge, si mette di fianco a lui, solleva il randello e colpisce violentemente la testa di Grandbreed. L’urto è talmente forte, che la testa sembra esplodere in una nuvola di sangue.

Intanto sulla nave i pirati finiscono i marinai feriti. I passeggeri vengono fatti salire in coperta. Sono costretti a consegnare i loro averi, poi vengono tutti uccisi con un colpo alla nuca.

L’intera scena è durata appena dieci minuti, forse neanche. Tutti stanno ancora guardando le ultime esecuzioni, ma Daniel si è accorto che Thomas è scomparso. Per un momento si chiede se non si sia allontanato: un uomo così di sicuro corre meno rischi da solo che con altri. Ma Thomas ritorna dopo pochissimo.

- Ora di andare, subito.

Nessuno dice niente. Tutti riconoscono in Thomas il capo, l’unico che può guidarli verso la salvezza. Se non lo avessero seguito sarebbero già morti. Non è detto che sopravvivano: forse hanno soltanto rinviato la loro morte.

 

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