1. 1791

 

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Paul Lablanc si è seduto a terra, a pochi passi dal palo, per guardare la fustigazione di Benoît. Allo schiavo hanno legato le mani, fissandole a un sostegno in alto e ora il nero attende che il sorvegliante incominci a frustarlo. Paul guarda scorrere sulla schiena dell’uomo i rivoli di sudore, che sotto il sole della tarda mattinata luccicano. Benoît è un magnifico nero, con spalle larghe e braccia vigorose. Anche il sorvegliante è forte, ma ha un braccio solo, l’altro termina poco sotto la spalla. Pare che gliel’abbia tagliato il precedente padrone, una ventina d’anni fa.

Paul guarda suo padre Louis dare il segnale con un cenno del capo. La frusta si abbatte sulla schiena del negro. Paul sussulta. Un secondo colpo, poi un terzo. Il corpo dello schiavo ha ogni volta un guizzo, ma l’uomo non grida. Suo padre dice che Benoît è una testa dura e ha bisogno di una bella lezione. Louis Lablanc vuole piegare questo schiavo ostinato. Non è il momento di mostrarsi deboli con questi fottuti negri: la ribellione già infuria in alcune province di Saint Domingue, intere piantagioni sono state distrutte dai rivoltosi e i proprietari massacrati. Alcuni schiavi hanno alzato la cresta, convinti che i padroni ormai abbiano paura, ma Louis Lablanc non ne ha. Intende difendere ciò che è suo. Sa che se la ribellione si estenderà, loro dovranno lasciare la piantagione e rifugiarsi al Cap, ma per il momento la regione è tranquilla.

La frusta si abbatte sulla schiena dello schiavo, lasciando segni rossi, finché la pelle non si spacca e il sangue si mescola al sudore. Paul è eccitato. La fustigazione di uno schiavo gli fa spesso questo effetto. Ha tredici anni e ha avuto rapporti con due giovani schiave: è stato suo padre a incoraggiarlo. Gli è piaciuto, molto, ed è tornato da loro più volte in questi mesi. Ma anche vedere i neri che si lavano al fiume accende il suo desiderio: alcuni sono maschi vigorosi e Paul a volte li spia e osserva i loro grandi cazzi. Paul è ben dotato, come suo padre, ma è ancora un ragazzino e in confronto a certi schiavi, gli sembra che il suo uccello sia minuscolo.

Vedere uno schiavo fustigato lo eccita ancora di più che spiare i neri che si lavano, soprattutto quando è un maschio forte, come Benoît.

La schiena dello schiavo è ormai piena di ferite. Benoît non è più in grado di reggere e si accascia in ginocchio. Solo la corda che gli lega le mani in alto sul palo gli impedisce di finire disteso a terra. Louis Lablanc fa un cenno al sorvegliante. Questi posa la frusta.

Louis Lablanc si allontana. Paul non si alza. Sa che cosa farà il sorvegliante: glielo ha già visto fare altre due volte. L’uomo si avvicina a Benoît, si abbassa i pantaloni e piscia sulla schiena dello schiavo. Paul guarda il getto che lava il sangue delle ferite aperte. Poi si alza e si allontana in direzione della casa padronale.

Louis Lablanc è già sulla soglia dell’abitazione, ma non è entrato, perché ha visto in lontananza un uomo bianco camminare in direzione della fattoria. Quando è più vicino, Louis lo riconosce: è Jorge Llera, un trafficante che sta nella parte spagnola dell’isola. Louis è stupito di vederlo procedere a piedi e si chiede se non gli sia successo qualche cosa. Nessun bianco percorre Saint Domingue a piedi, più che mai ora, che i neri ribelli hanno distrutto le piantagioni e ucciso molti bianchi.

Llera lo raggiunge. L’abito è sporco e impolverato e dalla fronte rivoli di sudore scorrono sul viso.

- Buongiorno, signor Llera.

- Buongiorno, signor Lablanc.

Llera fissa Lablanc negli occhi, mentre gli dice:

- Vengo dalla Fierté. I negri l’hanno attaccata e distrutta questa notte.

Louis rabbrividisce. La Fierté è a poche ore di cammino dalla sua piantagione. Fino a ora non c’erano stati disordini nella regione, ma adesso la ribellione è giunta anche qui.

Louis chiede dettagli. Llera non ha molto da raccontare. È sfuggito al massacro perché era uscito a fare una passeggiata serale, ma non ha potuto fare niente per gli altri, tranne sparare un colpo per avvertirli. Ha visto la casa padronale bruciare.

- E di sicuro sono morti tutti, a parte forse il figlio minore dei Grossetête e un dottore, che erano usciti prima di me, ma non so dove possano essere. Non eravamo insieme.

Louis annuisce. Questo significa una cosa sola: devono partire, al più presto.

- Credevo che avremmo avuto ancora un po’ di tempo, ma evidentemente mi sbagliavo.

- Credevamo tutti che non ci fossero ancora pericoli, qui. Altrimenti i Grossetête avrebbero organizzato turni di sorveglianza: erano in parecchi e potevano pensare di difendersi.

Louis riflette un momento, poi dice:

- Partiremo domani mattina stessa per il Cap. In città saremo al sicuro.

- Almeno per un po’, sì. Non so quanto nei prossimi mesi qualcuno potrà considerarsi sicuro a Saint Domingue. Ma credo che sarebbe meglio se partiste oggi stesso. La Fierté non è lontana.

- È già mezzogiorno.

- A cavallo fate ancora in tempo a raggiungere Fort Dauphin. Lì potrete aspettare di unirvi a un convoglio per il Cap e viaggiare in sicurezza. Anche da altre piantagioni della zona si dirigeranno al forte.

Fort Dauphin è l’unica fortificazione della regione con una guarnigione abbastanza consistente: di certo i neri non l’attaccheranno, almeno per il momento.

Louis esita. Poi scuote la testa.

- No, partiremo domani mattina presto, cercando di portare con noi quello che possiamo. Partire adesso, a cavallo, significa non poter prendere niente.

- Come vuole, signor Lablanc. Io me ne vado. Se ha un cavallo da vendermi, glielo compro volentieri.

- Sì, possiamo parlarne a tavola: si fermerà almeno a mangiare con noi.

- La ringrazio. Accetto volentieri: un buon pasto non mi dispiace. Ma partirò subito dopo pranzo. E le consiglierei di fare altrettanto.

Paul ha seguito solo l’ultima parte della conversazione. Sapeva della rivolta, ma suo padre sembrava tranquillo. Ora invece dovranno partire.

Paul non è contento di lasciare la piantagione, dove ha trascorso gran parte della sua vita. Al Cap conosce solo qualche lontano parente, che li tratta con una certa sufficienza: suo padre non è mai riuscito a fare fortuna e la piantagione è piccola e poco redditizia.

La sorella di suo padre ha sposato un piantatore della Giamaica e negli ultimi tempi Paul ha spesso sentito i suoi genitori discutere della possibilità di trasferirsi nella colonia inglese. Ma vendere ora la piantagione è impossibile: non troverebbero mai un compratore mentre dilaga la rivolta. E suo padre non vuole vivere della carità della sorella e del cognato.

Dopo la partenza di Llera, Louis Lablanc organizza tutto per il viaggio. Marie, sua moglie, vorrebbe lasciare subito la piantagione, ma Louis preferisce portare con sé ciò che è trasportabile: a differenza di altre famiglie, i Lablanc non hanno una casa al Cap e tutte le loro proprietà sono qui. Venderanno le poche cose che hanno e raggiungeranno la Giamaica.

 

*

 

Edward dorme quando la moglie lo scuote. Edward si sveglia a fatica: ha sempre avuto il sonno pesante e ora gli ci vuole un momento per mettere a fuoco la realtà. Guardando il viso di Nora chinato su di lui e rischiarato dalla candela, intuisce. Con un movimento brusco si mette a sedere sul letto.

- È ora?

- Sì, credo di sì.

Nora sorride, ma poi il viso le si contrae in una smorfia di dolore. Edward chiede:

- Stai male?

Nora sorride di nuovo.

- No, no. È stata solo una fitta. Ma credo che sia meglio chiamare la levatrice.

- Certo, certo. Tu stenditi.

Edward si infila la vestaglia, accende una seconda candela ed esce dalla stanza. Salendo le scale guarda fuori dalla finestra: è buio fitto. La strada in cui vivono è immersa nell’oscurità. Nessuna luce alle finestre, nessun chiarore nel cielo sopra Londra. Che ore saranno? Le due, le tre?

Edward raggiunge la camera del cocchiere. Bussa con forza. Poco dopo la porta si apre e appare il viso assonnato di George.

- George, va subito a chiamare la signora Lawrence.

- Certo, signore.

Mentre il cocchiere si veste, Edward ritorna nella camera da letto. Nora si è distesa e sorride. Edward le prende la mano.

- Come va?

- Bene, bene. Non ti preoccupare. Solo le fitte, ogni tanto. Forse avremmo dovuto aspettare per chiamare la signora Lawrence. Siamo nel cuore della notte.

- È il suo lavoro, è abituata a essere svegliata a qualsiasi ora. Ma io intanto mi vesto.

Edward si toglie la vestaglia e la camicia da notte e si veste. Guarda Nora che gli sorride. È il loro primo figlio. Se è un maschio si chiamerà Thomas, come il padre di Edward, se è una femmina Elisabeth, un nome che piace a Marie.

 

*

 

Michael siede ai piedi di un guaiaco, l’albero sacro della Giamaica. Già gli indiani che un tempo abitavano l’isola svolgevano i loro riti sotto le fronde di questa pianta e hanno trasmesso quest’usanza ai neri che i bianchi hanno portato come schiavi.

Michael non è uno schiavo: è un maroon, un nero libero. Suo padre Tacky, re africano catturato dagli inglesi e portato alla Giamaica, guidò una grande rivolta di schiavi, che fu soffocata nel sangue. Michael aveva dieci anni quando Tacky venne ucciso e decapitato. Gli uomini che avevano seguito suo padre nella rivolta trovarono la morte, ma la madre affidò Michael ad alcuni maroon, perché il figlio di colui che aveva osato ribellarsi ai padroni bianchi non dovesse vivere al servizio degli assassini di suo padre.

Michael è cresciuto con il più potente obeah dell’isola, Nzima, che gli ha insegnato tutti i riti segreti, riti di vita e riti di morte. Gli obeah sono temuti in tutta l’isola, perché essi possono rubare agli uomini la loro ombra e condurli oltre la soglia. Agli obeah si rivolgono coloro che vogliono uccidere un nemico, rendere sterile una donna o impotente un uomo.

Michael ha acceso un fuoco e vi ha gettato le erbe che ha raccolto personalmente, in luoghi che solo lui conosce. Michael ha vicino a sé, nella borsa di pelle, tutto l’occorrente per un grande rito. Nessuno assiste alla cerimonia: Michael non esegue il rituale per altri, ma per conoscere il futuro del figlio che gli nascerà questa notte e agire su di esso. Gli obeah più potenti sono in grado di aprire le porte che il destino ha chiuso, modificando il percorso che è stato tracciato per ogni essere umano. Il rito proteggerà dai nemici il bimbo che sta per nascere, lo farà crescere forte e potente, lo farà amare dalle donne, ne farà un maschio capace di ogni prodezza a letto.

Michael versa da una fiaschetta in una tazza di legno il liquido che ha preparato con il succo di tre piante, alcune gocce di sangue della donna che sta per partorire suo figlio e il proprio seme. Gli elementi della vita dell’uomo che questa notte nascerà ci sono tutti e Michael potrà vedere ciò che il destino riserva a suo figlio.

Michael tiene la tazza sopra il fuoco, indifferente al forte calore. Poi avvicina la tazza alla bocca e beve tre sorsi. Si versa ancora in bocca ciò che rimane del liquido, ma non lo inghiotte: lo sputa invece sul fuoco. La fiamma crepita, diviene più scura, violacea, e un fumo intenso avvolge Michael, facendogli bruciare gli occhi.

Michael vede nel fumo forme confuse, che lentamente si definiscono. Vede suo figlio, un maschio forte e virile, suo degno erede, che avrà nome Elijah. Ma altre ombre si avvicinano, cinque uomini bianchi, che si dispongono intorno a Elijah. Michael è stupito. Perché Elijah è tra questi bianchi? Un maroon vive libero, lontano da coloro che hanno reso schiavi i suoi antenati. Michael cerca di fissare queste ombre, per leggere in loro ciò che essi porteranno a suo figlio.

Ora Elijah è ritto in mezzo ai cinque uomini, in tutta la sua potenza, il grande membro teso allo spasimo, ma Michael vede con orrore che intorno al collo ha un cappio, che si stringe inesorabile. Michael digrigna i denti. Chi sono questi uomini? Chi di loro provocherà la morte di Elijah? Michael prende dalla borsa la radice della conoscenza e la getta nel fuoco, ai piedi dell’immagine di Elijah.

Due lingue di fiamma guizzano a destra e a sinistra, verso le due figure che sono più in avanti, ai lati di Elijah. Sono loro? Michael prende due frutti velenosi, scelti per il rito di Balaam. Ne getta uno ai piedi dell’immagine che appare alla destra di Elijah. Una fiammata verdognola si innalza e per un momento Michael può vedere la figura di un militare, un tenente. Michael lo vede fustigare Elijah e poi violarlo. E infine dirigerne l’impiccagione. Michael digrigna i denti, in un impeto di furia: quest’uomo che osa stuprare suo figlio, che vuole farlo morire, questo scellerato, pagherà con la vita. La sua mente vaga, percorre i monti e i fiumi della Giamaica, si spinge oltre oceano, ma l’infame non è ancora nato: non per questo sfuggirà alla maledizione. Michael prende la pelle del boa che ha nella borsa e l’infila nella canna di bambù, la getta nel fuoco ai piedi dell’immagine del militare, che si contorce e apre la bocca in un urlo, per poi crollare a terra.

Michael scruta le altre quattro figure. Ognuno di loro contribuirà a portare Elijah alla morte, ma come? Michael versa tre gocce di veleno su un lembo di stoffa e lo getta nel fuoco, ai piedi dell’ombra che sta alla sinistra di Elijah. È un uomo che già cammina sulla terra, anche se è ancora giovane. Non vive qui alla Giamaica, ma in un’isola non lontana, dove il fuoco divampa e molto sangue viene versato. Quest’uomo verrà alla Giamaica, presto, e le sue azioni provocheranno la morte di Elijah. No! Che muoia, questa notte stessa. Michael prende le piume dell’ani becco liscio, il nero uccello della morte, e le getta ai piedi dell’ombra. Un foro appare sulla fronte di quest’uomo e l’ombra svanisce.

Michael annuisce. Coloro che ha condannato troveranno la morte. Ma l’immagine di Elijah ha ancora la corda intorno al collo e il seme che ora sgorga abbondante dal membro eretto è rosso come il sangue e infine diventa nero come la notte: è quello di un morto. Michael scruta le immagini. L’uomo che sta alla sinistra di Elijah, un passo indietro, non è davvero una minaccia, ma anche lui contribuirà a perdere Elijah. Nella borsa ci sono le bacche nere, il cui succo è velenoso. Michael le spezza con i denti e poi le getta tra le fiamme. Sputa tre volte la saliva e il veleno e ora può vedere chiaramente Elijah uccidere quest’uomo, che non potrà più fargli del male.

Ma il pericolo non è scongiurato. Il corpo di Elijah sta decomponendosi, la morte lo ha ghermito.

Ma chi, chi è il responsabile? L’uomo alle spalle di Elijah! È lui! L’uomo sta per nascere, nascerà in questa stessa notte, insieme a Elijah, ma in una terra lontana, molto lontana, oltre quel grande mare che il padre di Michael ha attraversato. No! Quell’uomo deve morire, ora, prima di vedere il giorno, prima di emettere un vagito, prima che i suoi polmoni si riempiano d’aria. Ma Michael si rende conto di aver già usato gli strumenti di morte più potenti che aveva a disposizione e la cerimonia deve concludersi prima che sorga la luna. Michael raccoglie rapidamente dalla borsa la scolopendra, le tre punte di lancia e le piume del todi verde, l’uccello della vita: la scolopendra ucciderà l’uomo, ma se questo non dovesse succedere, le punte lo terranno lontano da Elijah e le piume verdi del todi gli impediranno di nuocere. Michael sa che i tre ingredienti non sono sufficienti a garantire il risultato: l’incantesimo potrebbe non essere abbastanza potente. Serve qualche cosa che renda la miscela più forte.

Nella borsa ha ancora i frutti del mahoe, i cui semi si usano per filtri d’amore, e quelli del pepe, che esaltano la virilità dei maschi: Michael pensava di usarli a favore di Elijah, perché nessuna donna potesse resistergli ed egli non avesse rivali nei piaceri del letto. Ora però se ne servirà per rafforzare il rito di morte. Michael sa che intrecciando l’amore e la morte, il sortilegio diverrà molto più potente, ma non è in grado di prevederne tutti gli effetti. Non importa, Michael sa che deve rischiare. Intreccia tutto insieme.

Le fiamme stanno diventando sempre più scure, si stanno caricando delle morti che porteranno. Il fumo acceca Michael, che recita una formula e getta nel fuoco l’ultima maledizione. C’è una donna che grida, un uomo che si lancia nell’acqua, un coltello che colpisce la carne, ma c’è l’altra ombra, l’ultima, che si frappone tra Michael e l’uomo che provocherà la morte di Elijah. C’è un ostacolo, una forza più grande dell’odio di Michael per colui che ucciderà suo figlio. E i frutti del mahoe e quelli del pepe hanno ridato alla fiamma un colore rosso acceso, prima di scurirsi di nuovo: anche intrecciati alla morte, hanno conservato il loro potere.

Michael vuole superare ogni ostacolo. Cerca ancora nella borsa le bacche nere e le penne del pappagallo, ma le fiamme svaniscono, il fumo si dilegua, le ombre scompaiono e la luce della luna illumina l’albero di guaiaco. Del fuoco che pochi istanti fa ardeva vigoroso è rimasto solo un po’ di cenere.

Il rito si è concluso, le porte si sono richiuse. I destini sono stati modificati, ma in quale misura, Michael stesso non può saperlo. Amore e morte si intrecceranno nelle vite di coloro che potrebbero uccidere Elijah. Come? Michael sa solo che ormai non c’è più nulla che possa fare. Il grande rito della nascita non può essere ripetuto.

Michael scruta la cenere. L’obeah sa leggere le tracce del destino degli uomini. Destino di morte, perché il rito è troppo potente perché qualcuno possa sottrarsi ai suoi effetti. Diverse vite si spegneranno questa notte. Sono quelle degli uomini le cui ombre sono apparse o sono altre vite, a esse intrecciate? I segni di morte sono molti, ma sono confusi.

La cenere forma un grande cerchio. Michael immerge un bastone ai margini del cerchio, nei punti dove si trovavano le ombre degli uomini bianchi. Poi unisce ogni punto non con il successivo, ma con quello che viene ancora dopo, tracciando delle linee nella cenere. I segni lasciati dal bastone formano una stella. Nella parte centrale c’è il destino di Elijah. C’è potenza, ma c’è anche morte. Michael digrigna i denti.

Intorno al centro ci sono cinque triangoli, uno per ognuno delle cinque ombre che sono comparse. Per tutti c’è la morte. Michael sorride. I frutti del mahoe sono intrecciati con le linee di morte: la morte attende chi ama. I granelli di pepe bruciacchiati si concentrano soprattutto nella parte centrale e in uno dei triangoli, dove sembrano convergere anche le linee che partono dai frutti del mahoe. In questa mescolanza dei diversi elementi non è facile capire gli effetti che avranno.

Michael rimane immobile a riflettere. Poi si riscuote.

Suo figlio diverrà il più grande degli obeah e prenderà il suo posto. Sarà lui stesso a scrivere il proprio destino e a riaprire le porte, quando sarà il momento.

Michael si alza. Si volta, dando le spalle alla cenere del rito, e con una pelle di hutia la disperde nel vento.

 

*

 

Nella notte Louis affida ai sorveglianti i turni di guardia. Lo fa solo per assecondare Marie: le sentinelle non serviranno a nulla in caso di attacco, non ci sono abbastanza uomini fidati per difendere la piantagione. Gli unici su cui contare sono i sorveglianti, che sanno benissimo di rischiare anche loro la pelle: gli altri schiavi sarebbero ben felici di vendicarsi di loro. Al massimo le sentinelle potranno evitare una rivolta degli schiavi della piantagione, che se hanno saputo di quanto è successo alla Fierté potrebbero decidere di ribellarsi. Ma se arriverà una di quelle fottute bande di negri assassini, per tutti loro non ci sarà speranza. Louis si chiede se non ha sbagliato a non ascoltare il consiglio di Llera.

Tutto sembra tranquillo. Louis si corica, ma rimane a lungo vigile. Infine si addormenta.

Sono le tre di notte quando si sentono gli spari e poi le urla. Louis si sveglia, prende la pistola e si affaccia alla finestra. La piantagione sta bruciando e ora qualcuno sta cercando di sfondare la porta. Louis sa che è arrivata la fine. Marie corre a prendere Paul. Louis si chiede se non ucciderla: non vuole che cada viva nelle mani di quei bastardi. E Paul? Dio mio! Perché non sono partiti subito, come aveva consigliato Llera? Ma ormai è tardi. È finita. Meglio uccidere Marie e Paul e poi tirarsi un colpo. Marie rientra con Paul. Louis si volta verso di lei, che lancia un urlo. Louis capisce il senso di quel grido solo nel momento in cui due neri gli saltano addosso: gli uomini sono entrati dalla finestra a cui lui era affacciato poco fa. Marie prende Paul e lo trascina nel corridoio, ma non c’è un posto dove fuggire. La porta d’ingresso è stata sfondata e diversi neri si lanciano su di loro. Marie cerca di difendere Paul, che a sua volta vorrebbe proteggere la madre, ma è una lotta senza senso.

Louis Lablanc è sempre stato un padrone spietato, ma anche se fosse stato meno feroce con i suoi schiavi, poco cambierebbe: la furia dei neri in rivolta nasce da secoli di violenze, da quella originaria, la cattura in Africa, a tutti i soprusi subiti in schiavitù. E per i bianchi dell’isola non c’è pietà.

Louis e Paul vengono legati e costretti ad assistere mentre gli assalitori violentano Marie. Alcuni di loro vengono dalle piantagioni distrutte nei giorni scorsi, altri sono schiavi dei Lablanc e sono ben felici di fottere la padrona. Paul assiste con gli occhi sbarrati allo stupro della madre, che all’inizio cerca di resistere, poi si abbandona inerte. Louis maledice gli schiavi, che gli ridono in faccia e gli ricordano che per lui sarà molto peggio. Paul ha urlato quando ha visto il primo nero gettarsi sulla madre, ma ora piange in silenzio, incapace di parlare.

La violenza sulla donna prosegue, finché uno dice:

- Ma che cazzo! Questa troia è morta! Sto fottendo un cadavere.

L’uomo ride. Gli altri, che non hanno ancora avuto la loro parte, si lamentano:

- Merda! E noi?!

C’è anche Benoît, lo schiavo che è stato fustigato oggi. È lui a proporre:

- C’è il ragazzino.

 

*

 

La levatrice è preoccupata. Tutto stava andando bene, non sembrava esserci nessun problema particolare, anche se per Nora Hardy era il primo parto. Ormai il bambino stava uscendo, la testa era tutta già fuori. Improvvisamente la signora ha incominciato a urlare disperatamente. Che cosa è successo? La levatrice non sa spiegarselo. Si rende conto che la donna ora non spinge più, ma grida, grida sempre più forte.

Edward Hardy ha trascorso le ultime ore vegliando nella stanza accanto, in attesa che il parto si concludesse. I lamenti di Nora lo hanno turbato, ma l’urlo che ha sentito poco fa lo ha raggelato. Edward si è alzato in piedi, pallido. Vorrebbe entrare nella camera della moglie, ma non osa.

Intanto la lavatrice prende con delicatezza il bimbo e lo tira, in modo da estrarlo completamente. Quando il bambino è uscito, la signora Hardy incomincia a perdere sangue: un rivolo che diviene un torrente e inonda letto.

La cameriera che assiste la levatrice esce dalla stanza e dice al signor Hardy che bisogna chiamare subito il dottore. Hardy annuisce. Non osa chiedere come sta la moglie. Gli sembra che le gambe non lo reggano. Suona il campanello e manda un servitore dal dottore, supplicandolo di fare in fretta. Poi si appoggia a una parete e rimane immobile. Cerca di non pensare, perché ha paura dei suoi pensieri.

Nella stanza la levatrice ha messo il bimbo nella culla che era stata preparata. Non sa che cosa fare con la signora Hardy. Il sangue ormai cola a terra, formando un’ampia pozza rossastra. La signora Hardy trema, mentre altro sangue ancora esce, la voce diventa più debole e infine si spegne. Ora Nora Hardy è immobile.

Quando il dottore arriva, è troppo tardi per intervenire. Il piccolo Hardy è orfano.

 

Edward entra nella stanza. Guarda il corpo di Nora, disteso sul letto, le lenzuola macchiate di sangue. Poi guarda il figlio che nascendo ha ucciso la madre. Scuote la testa. Amava Nora, profondamente, e gli sembra che il dolore che prova per la morte della moglie si trasformi in odio per questo bambino. Sa che è assurdo, che il piccolo non ha nessuna colpa. Lo desideravano entrambi, questo bimbo. Non potevano sapere che avrebbe distrutto le loro vite.

Edward Hardy si siede. Guarda davanti a sé, ma non vede nulla. Gli sembra che nella sua vita si sia creato un vuoto immenso.

Il bambino è silenzioso. Thomas Hardy non piange, non grida. Nessuno sembra badare a lui.

 

*

 

Il piccolo Elijah è nato. È un torello, che ha fatto patire la madre, ma adesso stanno entrambi bene. Michael lo guarda, sorridendo. Elijah sarà il suo erede, a lui Michael insegnerà le arti magiche. Elijah sarà il più grande degli obeah. E saprà difendersi da coloro che minacceranno la sua vita, se il rito di Michael non è stato sufficiente.

Elijah sarà un uomo libero, non conoscerà la schiavitù.

Michael prende il bimbo ed esce. Il sole sta per spuntare. Michael solleva Elijah nella direzione del sole nascente. Lascia che i primi raggi di luce illuminino questa vita che incomincia. Il piccolo si muove. Sembra quasi scalciare.

 

*

 

Paul Lablanc si risveglia. Per un momento spera che sia stato tutto un sogno, un terribile incubo. Ma non è a casa. È in una capanna. Il dolore violento al culo gli dice che è tutto vero. Si solleva sulle braccia.

Vicino a lui c’è una donna nera che non conosce. È anziana e ha i capelli raccolti in una specie di turbante.

- Dove sono i miei genitori?

La donna scuote la testa e gli accarezza il capo.

- Rimani disteso, piccolo. Per qualche giorno è meglio che tu non ti alzi. Qui sei al sicuro.

La voce di Paul è stridula, ora:

- Dove sono i miei genitori?

Paul non aspetta una risposta. Conosce benissimo la risposta. Li ha visti morire entrambi, la madre durante lo stupro, il padre scannato davanti a lui. Ricorda di aver perso i sensi e di essere stato risvegliato dal calore soffocante: la casa stava bruciando. In qualche modo si è trascinato fino a una finestra, l’ha scavalcata e ha percorso un breve tratto, prima di perdere ancora i sensi.

Qualcuno l’ha raccolto, qualcuno che ha avuto pietà di lui. Sarebbe stato meglio se l’avessero sgozzato, come hanno fatto con suo padre, dopo… Paul chiude gli occhi. Non vuole ricordare ciò che ha visto fare a sua madre e a suo padre, anche se sa che non lo dimenticherà mai più.

Perché non è morto anche lui?

Paul si accascia sulla stuoia. Piange, scosso da singhiozzi.

 

 

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