Il martirio di san Felipe Il conte-duca de Olivares è
tornato a Napoli, dopo un anno di assenza. Tutti si aspettavano che
festeggiasse il ritorno con uno dei suoi sontuosi ricevimenti, ma per il
momento conduce una vita molto appartata. Pare che abbia recuperato il tesoro
del pirata che chiamavano lo Sparviero, impalato dai turchi a Smirne qualche
tempo fa. Altra ricchezza per uno degli uomini più ricchi d’Europa. Ha speso
una grossa somma per acquistare il quadro del Martirio di san Felipe, che lo Spagnoletto dipinse due anni fa… La lettera
prosegue e Nicola continua a leggere ad alta voce. Sembrano solo chiacchiere
e forse lo sono davvero, ma ormai Nicola ha imparato che nella corrispondenza
di un ambasciatore i dettagli apparentemente insignificanti possono essere
l’informazione più importante. Nicola è stato messo alla prova, più volte,
come José de Olivares aveva previsto. Ha sempre
dimostrato la massima discrezione e l’ambasciatore di Spagna è contento di
lui. Quando il
nobile lo congeda, Nicola torna nella sua camera. La lettera che ha letto
oggi ha risvegliato i ricordi di un passato che gli appare ormai molto
lontano: il quadro del Martirio di san Felipe è quello per cui Giuseppe ha
posato quando loro due sono arrivati a Napoli. Nicola ha
ormai recuperato la serenità necessaria per fare i conti con il passato. E più
volte ha pensato che con Giuseppe non si è comportato come avrebbe dovuto.
Gli deve moltissimo, la vita stessa, ma lo ha evitato come se Giuseppe fosse
stata la causa di tutto ciò che ha subito. Nicola
prende carta e penna. Scrive moltissime lettere per il suo padrone, ma questa
volta la lettera che scrive è del tutto personale. Giuseppe sarà ancora con
il conte, almeno Nicola lo spera. Se così non fosse, il conte provvederà di
certo a far arrivare la lettera a Giuseppe. Nicola
scrive ciò che ha dentro. Non cerca giustificazioni. Chiede scusa a Giuseppe
per come ha agito e lo ringrazia di tutto quanto ha fatto per lui. Dopo aver
finito di scrivere, Nicola si sente più leggero. Esce dal
palazzo e si dirige verso la casa di Lazzaro Mocenigo, come fa quasi tutti i
giorni. * - Ha detto
di metterlo qui. Juan si fa
aiutare da Masino. Potrebbe rivolgersi a uno qualunque dei servitori, ma a
tutti e due fa piacere preparare questa sorpresa che il conte ha riservato a
Giuseppe. Dopo che il
quadro è stato sistemato, Masino lo osserva. Corruga la fronte e dice: - Ma… è senza barba… ma… non è Giuseppe? Juan
annuisce. - Sì, è
Giuseppe. Posò per questo quadro due anni fa, prima di conoscere il conte… - Come si
sono conosciuti? - Non lo
so, Masino. Un giorno il conte arrivò qui con Giuseppe, è tutto quello che so
dirti. Adesso però ce ne andiamo. Tra un po’ arriveranno. Masino sta
fissando il quadro. - Non
guardare tanto quell’uomo nudo, Masino. Potrei ingelosirmi. Masino ride
e lo stuzzica: - Però
Giuseppe è proprio un ercole. - Non te
n’eri accorto? Masino ha
un sorriso malizioso. - Chissà
com’è… voglio dire… sarà
ben dotato, no? Juan ride. - Il solito
maialino infoiato. Vieni con me, che ti calmo… Passano
nella camera che il conte ha destinato a Juan, di fianco a quella di Masino. Appena sono
entrati, Juan afferra Masino, lo bacia sulla bocca e poi incomincia a
spogliarlo. Masino ride, felice. Cerca di togliere gli abiti a Juan, che però
si muove troppo in fretta e non collabora. Masino si
ritrova in fretta nudo. Juan lo guarda e Masino gli legge negli occhi il
desiderio. Masino incomincia a spogliare Juan, che adesso lo lascia fare,
interrompendolo solo ogni tanto per un bacio o una carezza o una stretta
vigorosa. Quando sono
entrambi nudi, si stendono a letto. Masino accarezza il corpo di Juan. La sua
mano scende fino al cazzo, poi lo stringe con forza e Masino avvicina la
bocca. Incomincia a succhiare, come Juan gli ha insegnato a fare. Juan si
limita ad accarezzargli la testa, ma quando il desiderio cresce, Juan fa
stendere Masino a gambe divaricate e
si mette su di lui. Lo accarezza, lo mordicchia, lo stuzzica. Masino geme più
volte, finché non è più in grado di reggere l’attesa e dice: - Non ce la
faccio più. Prendimi. Juan ride.
Lo bacia sul collo, poi si inumidisce la cappella e preme contro l’apertura.
Il cazzo affonda nel culo di Masino, che geme senza ritegno. Juan dà inizio
alla cavalcata. Masino sente il piacere crescere, man mano che l’arma
vigorosa gli dilata le viscere. Viene poco prima di Juan. Ora sono
stesi tutti e due sul letto. Masino chiede: - Che
faremo, Juan? Juan sa
benissimo a che cosa si riferisce Masino. Il conte ha dato loro una parte del
tesoro dello Sparviero e ora sono entrambi ricchi. Per il momento sono suoi
ospiti nel palazzo di Napoli, ma devono decidere che cosa intendono fare
delle loro vite. Juan sarebbe tentato di rimanere con il conte, che ammira: è
la scelta che ha fatto Alonso, che ha ricevuto anche lui una parte del tesoro
e ha deciso di continuare a servire José de Olivares.
Ma non vuole forzare Masino. - Tu che
cosa vorresti fare, Masino? - Non lo
so, mi sembra tutto irreale. Non mi sembra vero di avere tutti quei soldi. - Il conte
ha detto che andrà in Spagna. Vuole far conoscere la sua terra a Giuseppe. E
poi probabilmente andrà a Parigi. Sai che ci ha invitati a viaggiare con lui,
se vogliamo. Possiamo accompagnarlo e poi decidere il da farsi. Che ne dici? - Mi
piacerebbe conoscere un po’ altri paesi. Fuori dalla Sicilia ho visto solo
Smirne e adesso Napoli. - E allora
accettiamo l’invito del conte. Poi decideremo. * José e
Giuseppe tornano al palazzo. Quando
arrivano, un servitore consegna alcune lettere al conte. Salgono al primo piano ed entrano nella sala di fianco alle loro
camere, dove spesso rimangono insieme quando sono al castello. Giuseppe si
ferma sulla soglia, a bocca aperta. Alla parete è appeso il quadro con il Martirio
di san Felipe, per cui lui ha posato a Napoli oltre due anni fa. - Ma… cosa… José? Giuseppe ha
imparato a chiamarlo per nome quando sono da soli. Non è stato facile, a
volte ancora si sbaglia, ma José si rabbuia subito e Giuseppe si corregge in
fretta. José sorride. - Questo quadro ci ha fatto incontrare. Se tu non avessi posato per lo Spagnoletto, il conte del Cerreto non ti avrebbe preso
con sé e io non avrei avuto modo di conoscerti. L’ho fatto comprare e portare
qui. Ho dato ordine di sistemarlo mentre noi eravamo fuori. Giuseppe scuote la testa. Si guarda nel quadro, senza barba. C’è anche
Luca del Cerreto, sulla destra. È vero, senza di lui, non avrebbe mai
incontrato José. Giuseppe lo detestava, ma è grazie a lui che adesso è al
fianco dell’uomo che ama. José gli si
è avvicinato e lo bacia su una guancia: ha spesso questi piccoli gesti di
tenerezza, che Giuseppe ricambia con gioia. Poi José si
stacca, guarda le buste e ne apre una. Scorre la lettera che ha finito di
leggere, alza la testa e gli sorride. - Buone
notizie, José? José gli
risponde: - Sì,
eccellenza, barone di Pontenegro. Giuseppe
aggrotta la fronte. - Mi prendi
in giro? - Non
oserei mai prendere in giro un barone. Giuseppe
non capisce. José spiega: - Ho
richiesto per te un titolo di nobiltà, perché sei riuscito a far uccidere il
corsaro Suleyman e a salvare Malta da un attacco
che avrebbe potuto farla cadere in mano ai Turchi. Ho anche chiesto che ti
venisse assegnato un territorio in Italia, non in Spagna, così il giorno in
cui ti stancherai di me potrai ritirarti nella tua baronia. Giuseppe
corruga la fronte. - Se vuoi liberarti di me, ti avviso subito che non ce la farai, a meno che tu non mi faccia uccidere. José
sorride, poi riprende: - Il barone
di Pontenegro è morto da sei mesi, senza nessun
erede. Il viceré ha proposto di nominarti barone e assegnare a te le terre
della sua baronia. Questa lettera mi comunica che il re ha accettato la
proposta. Sei barone, Giuseppe. Il titolo
di barone permetterà a José di avere sempre Giuseppe al suo fianco, anche
quando si muoverà tra i nobili. E la baronia è davvero un modo per rendere
Giuseppe del tutto indipendente, anche se la sua quota del tesoro dello
Sparviero è di per sé più che sufficiente. Giuseppe
non è ancora convinto. Passa dietro José, lo abbraccia forte e gli chiede: - Mi stai pigliando
per il culo, José? - No,
quello magari lo facciamo più tardi. La destra
di Giuseppe si infila nei pantaloni di José, davanti. José sente contro il
proprio culo l’arma di Giuseppe, che si sta tendendo. Sorride. - O anche
subito. Giuseppe lo
bacia sul collo, mentre la sua mano avvolge in una carezza ruvida il cazzo e
i coglioni di José. La sua voce è roca di desiderio, mentre risponde: - Sì,
subito. Intanto la
sinistra si fa strada nelle brache di José, da dietro. Scivola lungo il solco
e un dito si infila senza cerimonie nell’apertura. José
sussulta. Ride. - Ma che
modi, barone! - Te l’ho
sentito dire una volta, che i nuovi nobili non conoscono le buone maniere. - È proprio
vero. Giuseppe
gli sta calando i pantaloni e lo forza ad appoggiare il torace sul tavolo.
Poi si stacca e si spoglia in fretta, mentre si guarda nel quadro. José si
solleva e si libera anche lui degli abiti. Poi si rimette in posizione. Giuseppe
gli stringe con forza il culo. Il desiderio che il corpo di José suscita in
lui è violento, come sempre. A volte Giuseppe è tanto irruente da fargli
male, se ne rende conto, ma ha capito che a José anche la sua brutalità
piace. Ormai Giuseppe sa che nel piacere più intenso c’è spazio anche per il
dolore. Giuseppe
inumidisce l’apertura e poi preme con forza, entrando dentro di lui.
All’inizio era molto attento, adesso a volte si lascia trascinare dal
desiderio: José è ormai abituato a venire impalato da Giuseppe, come Giuseppe
da José. José
solleva la testa di scatto. Questa volta Giuseppe gli ha fatto davvero male.
Eppure non c’è niente di più bello che sentirlo dentro. José respira a fondo,
poi dice: - Sarai santo
e barone, ma sei una vera bestia… Giuseppe
ride. - Io sono
santo, ma il martirio tocca a te. |
||||||||||