Roccanera

 

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La strada scende verso Roccanera, che ormai è ben visibile sull’altro versante della valle: una cascata di case aggrappate al fianco della collina, dominata dalla mole scura del castello. Gli edifici hanno il colore bruno della roccia di questa regione, che dà al paesaggio un tono cupo, nonostante il sole estivo.

Nicola ferma il cavallo e guarda il borgo, in cui passerà i prossimi anni, forse tutta la vita. Vorrebbe tornare indietro, ma non può farlo: deve ubbidire all’ordine ricevuto. Lo hanno mandato in questo paese sperduto, in una terra infestata da lupi e briganti di ogni specie, e qui dovrà rimanere. Di colpo, il pensiero gli appare insopportabile e la mano corre alle redini. Per un attimo Nicola pensa davvero di allontanarsi, ma non c’è un posto in cui possa tornare: se si rifugiasse dai suoi genitori, creerebbe loro molti problemi e con ogni probabilità sarebbero loro stessi a scacciarlo; a Napoli non può certo rientrare, sfidando il vescovo che lo ha mandato in questa terra; cercare l’uomo che dev’essere il suo vero padre è impossibile, Nicola non sa chi sia. E allora, che cosa può fare? Liberarsi di questo abito che gli è stato imposto e unirsi ai briganti, per poi finire impiccato?

Nicola si scuote, scaccia un tafano che gli si è posato sulla mano e con le ginocchia sprona il cavallo a riprendere la discesa. In pochi minuti arriva al torrente. Ci sono diversi ragazzi che sguazzano nell’acqua, nudi e allegri. Uno di loro lo vede e grida:

- Il parroco! Il nuovo parroco!

Tutti i ragazzi cercano di coprirsi. Qualcuno si nasconde nei cespugli o scivola dove l’acqua è più profonda, altri mettono le mani a nascondere i genitali. Nicola distoglie lo sguardo. Non vuole metterli in imbarazzo e poi la vista di quei giovani corpi nudi risveglia ricordi dolorosi. Aveva l’età di alcuni di loro quando il parroco del paese convinse i suoi genitori a metterlo in seminario, dicendo che c’era qualcuno disposto a pagare tutte le spese. Nicola sospetta che lo sconosciuto benefattore fosse il suo vero padre. Don Pasquale era convinto di fare il bene di Nicola: non poteva prevedere nulla di ciò che sarebbe successo.

Nicola attraversa il ponte, senza più guardare verso il torrente. Ora il paese lo sovrasta: dal basso pare incombere su di lui. La sua attenzione è attirata da ciò che vede davanti all’arco della porta d’ingresso: una forca è stata montata e due uomini penzolano. Davanti ai cadaveri degli impiccati stazionano due guardie, probabilmente uomini del conte, e qualche ragazzino.

Nicola prosegue la salita fino ad arrivare davanti all’arco. Le due guardie, che portano i colori del conte, lo hanno visto arrivare e si tolgono il cappello, deferenti. Dopo aver salutato il nuovo parroco, uno dei due ghigna e dice:

- Se arrivava ieri, faceva in tempo a dargli l’estrema unzione, a questi due fottuti bastardi. Ma con tutti i peccati che avevano sull’anima, finivano dritti all’inferno anche con i sacramenti.

Nicola annuisce. Ha fatto un po’ fatica a capire quello che l’uomo gli diceva, perché il dialetto è un po’ diverso da quello a cui è abituato, ma per fortuna non tanto da essere incomprensibile. Non sa che cosa dire. Guarda i due cadaveri, su cui si sono posati moltissimi insetti. Uno, più giovane e magro, appare composto nella morte, il viso piegato in avanti e gli occhi socchiusi. L’altro, un uomo sui quaranta, alto e robusto, deve avere lottato a lungo prima di morire e i movimenti convulsi hanno spostato il corpo, che ora è posto di profilo; il nodo scorsoio gli ha rovesciato il viso all’indietro e Nicola può vedere gli occhi spalancati e la lingua che sporge. Le mani sono imbrattate di sangue: cercando di liberarle dalla corda si è lacerato la pelle ai polsi. I pantaloni si sono abbassati un po’, scoprendo parte del ventre, coperto da una peluria scura. Lo sguardo di Nicola si ferma un attimo sulla protuberanza all’altezza del cavallo: l’uomo ha avuto un’erezione. Nicola gira il viso, cercando di nascondere il turbamento che prova. Chiede ai due uomini del conte:

- Erano banditi?

La guardia che ha parlato prima risponde:

- Due fottuti banditi, che il diavolo si è di certo portato all’inferno.

Nicola saluta e passa sotto l’arco. Le strade sembrano semideserte. Alcune donne gli danno il benvenuto, due uomini lo ignorano. Nicola segue la strada principale fino alla chiesa, davanti a cui si apre un piccolo spiazzo in pendenza. La casa parrocchiale è addossata al fianco destro dell’edificio. Nicola scende dal cavallo. Su un lato della piazzetta si trova una locanda e Nicola lega le redini a uno degli anelli fissati al muro. Poi si avvicina alla porta. In quel momento un uomo esce dalla locanda e lo raggiunge:

- Don Ranieri, l’aspettavamo. Ho io la chiave. Sono Salvatore Belli, è mia sorella Lucia che vi farà da domestica… sempre che siate d’accordo, s’intende, lo faceva già per il vecchio parroco, negli ultimi anni. È una grande lavoratrice e ha l’età prescritta.

Nicola osserva l’uomo, che deve avere una sessantina d’anni e appare cordiale, quasi servile.

- Per me va bene.

Nicola non conosce nessuno. Che senso avrebbe essere scortese con quest’uomo rifiutandosi di prendere la sorella come domestica, se la donna ha già lavorato nella parrocchia?

L’uomo apre la porta della casa e porge la chiave a Nicola.

- Mi occupo io del cavallo, sempre che siate d’accordo, s’intende.

- Grazie.

- Scarico i bagagli.

Nicola non ha molto bagaglio con sé. Potrebbe fare da solo, ma è un po’ frastornato.

- Vi ringrazio.

Nicola entra, ma si ferma nel piccolo ingresso, immerso nel buio. Gli sembra di non riuscire ad andare avanti. Belli arriva subito, con le due bisacce di Nicola, e gli dice, cordiale:

- Vi faccio strada.

Passa in una stanza a destra e apre la finestra. La luce entra nel locale, ma non riesce a dissipare in Nicola la sensazione di smarrimento.

Belli posa le bisacce sul tavolo.

- La camera da letto è di là. Volete che vi mandi mia sorella per sistemare i bagagli?

Nicola lo guarda, senza rispondere. Poi si riscuote.

- Mi scusi, sono stanco. No, le dica di passare più tardi, tra un’oretta. Adesso vorrei riposare un momento.

- Certo, certo. Il viaggio è lungo. Qui siamo ben lontano dalla capitale. Dirò a Lucia di passare tra un’ora. Vi preparerà la cena. È brava a cucinare, vedrà.

- Va bene. Grazie.

Belli esce e Nicola rimane solo, immobile in mezzo alla stanza. Con lentezza si guarda intorno, poi china il capo. Gli sembra di sentire un peso che lo schiaccia. Si chiede che cosa fa qui, in questo paese dimenticato da Dio.

 

*

 

- Eccellenza, c’è qui il nuovo parroco.

Il conte di Roccanera alza la testa.

- Ah, sì, quel… come si chiama?

- Don Nicola Ranieri.

- Sì, ecco. Va bene, fallo entrare, Giuseppe.

Giuseppe, il capo delle guardie del conte, si inchina e si dirige alla porta, poi però si volta e aggiunge:

- Dimenticavo. I due briganti puzzano tanto che gli uomini non riescono più a stargli vicino. Chiedono se possono tirarli giù.

- Di già? Li abbiamo impiccati solo ieri mattina.

- L’altro ieri, eccellenza. Fa molto caldo. E poi quelli puzzavano anche da vivi.

Filippo di Roccanera sorride.

- Hai ragione, Giuseppe. Fa’ come al solito.

Giuseppe si inchina di nuovo, raggiunge la porta ed esce.

Filippo è curioso di vedere il nuovo parroco. Gli hanno detto che è molto giovane e che è un bel ragazzo. Che cazzo ha combinato per farsi mandare in questa fottuta terra, in culo ai lupi?

Il prete entra. È davvero un gran bell’uomo, con lineamenti eleganti. Di certo non è di origine plebea. Difficile che sia di famiglia nobile, non l’avrebbero mandato a Roccanera, ma potrebbe essere il bastardo di qualche signorotto.

- Buongiorno, don Nicola, benvenuto nella nostra terra.

Nicola si inchina.

- Vi ringrazio, eccellenza.

I due uomini parlano un momento del viaggio di Nicola, poi della contea. Filippo osserva:

- Spero che vi troverete bene, don Nicola. Certo la contea non offre le comodità della capitale.

- Un sacerdote non dovrebbe ricercare le comodità.

- Ma anche i sacerdoti sono uomini...

Il conte Filippo ride e aggiunge:

- …anche troppo. Il parroco che c’era prima di voi non era proprio un esempio di santità…

Filippo osserva Nicola, che ora appare a disagio e china la testa.

- La santità non è alla portata di tutti…

- Don Pasquale si accontentava di ciò che era alla sua portata…

Filippo ride di nuovo e scuote la testa. Poi aggiunge:

- Verrete a cena da me sabato. Dopo qualche giorno della cucina di Lucia Belli ne avrete bisogno. Ma Lucia era più brava a fare altro… 

Don Nicola pare esitare.

- Vi ringrazio, eccellenza. Non vorrei disturbare…

- Nessun disturbo.

Don Nicola ringrazia, poi, dopo un attimo di pausa, dice:

- Ho una richiesta da farvi.

Filippo è un po’ stupito. Che cazzo può volere questo parroco appena arrivato?

- Ditemi.

- I due briganti che sono stati impiccati… mi dicono che quando li calano dalla forca le vostre guardie li decapitano e poi abbandonano i cadaveri agli animali selvatici.

- Sì, è un buon modo per dissuadere quelli che pensano di farsi briganti. Nessuno vuole finire così.

- Mi scuso se mi intrometto, ma sono stati battezzati, sono cristiani, anche se peccatori. Vi chiedo…

Filippo fa un movimento brusco con la mano, per fermare questo prete sfacciato.

- Ho sempre fatto così. I briganti sono un flagello, peggio della malaria delle paludi di Fossotosco. Non occupatevene, don Nicola.

- La madre di uno…

Nuovamente Filippo interrompe Nicola:

- La madre aveva solo da tirarlo su meglio, quel figlio.

Poi Filippo sorride, conciliante, e prosegue:

- Prendetelo come un consiglio da amico, un amico che conosce il mondo e questa terra: non ve ne occupate. Vi attendo sabato a cena. Mi parlerete della capitale.

Don Nicola si inchina ed esce.

Filippo lo guarda allontanarsi. Scuote la testa. Giovane, bello e animato da buoni propositi. Un pesce fuor d’acqua a Roccanera.

- Il nuovo parroco è già andato via?

Filippo si riscuote. Si volta verso il fratello, che è entrato nella stanza.

- Sì, se n’è andato or ora.

- E com’è?

- Giovane e inesperto, Carlo.

- Mi dicono che è un bell’uomo.

Filippo annuisce, ghignando.

- Con il prete, pure?

Carlo ride.

- Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. E io di peli ne ho persi tanti...

In effetti Carlo è alquanto stempiato.

- … ma di vizi nessuno.

- Un prete, un uomo del Signore…

- Sì, come don Pasquale che allungava le mani su qualunque donna gli venisse a tiro…

- Non credo che il nuovo parroco sia così.

- Meglio per me, se non gli piacciono le donne.

Filippo scuote la testa:

- Non ho detto questo. Ma non si può mai sapere.

- Comunque non mi hai detto se è bello come dicono.

- Lo è, Carlo.

Filippo fa una pausa, poi aggiunge:

- Che cosa avrà mai combinato per farsi mandare qui?

- Vatti a sapere. Magari gli piacciono gli uomini.

- Niente ti smuove dal tuo chiodo fisso, eh? Comunque sabato sera sarà a cena con noi. Potrai sondare il terreno, se ti interessa.

- Se è davvero bello come dici, puoi giurarci che sonderò il terreno.

 

*

 

Nicola guarda Giuseppe, il capo delle guardie del conte, che sta tagliando la corda del secondo impiccato. Il cadavere cade a terra con un tonfo, il cappio ancora stretto al collo.

- Sentite, questi due hanno pagato i loro delitti. Erano cristiani. Non potete lasciarli ai cani.

Giuseppe alza lo sguardo su di lui. Ha occhi di un azzurro intenso, non comune da queste parti, e uno sguardo diretto.

- Questo lo dovete dire al conte, don Ranieri. Qui comanda lui.

Giuseppe ha tirato fuori il coltellaccio che portava alla cintura. Con un gesto deciso lo immerge nel collo del bandito più giovane e incomincia a recidere il capo. Nicola volge lo sguardo dall’altra parte. Giuseppe prosegue:

- La testa su un palo, all’ingresso del paese, perché tutti si ricordino che fine fanno i banditi. E il corpo ai cani randagi. Una sepoltura questi non se la meritano.

- Erano cristiani anche loro.

Una smorfia appare sul viso di Giuseppe.

- Menico, quello lì – e con il dito indica l’uomo meno giovane – ha violentato due sorelle e poi le ha ammazzate, non le dico come, don Ranieri. Era una bestia, non un uomo. E questo non era meglio. I banditi di Goladilupo sono bestie feroci.

Giuseppe ha finito di tagliare la prima testa e la solleva per i capelli. C’è un grido di donna. Nicola si volta e vede la madre del morto, quella che è venuta a parlargli poche ore fa. La donna grida ancora e vicino a lei altre donne l’abbracciano e cercano di consolarla.

Giuseppe si è alzato, guarda la madre, poi Nicola. Senza dire nulla si china per tagliare l’altra testa.

Nicola rimane a capo chino. Si sente oppresso da un peso intollerabile. Vorrebbe dire una preghiera, ma sarebbe blasfemo: Nicola non crede.

Nicola guarda Giuseppe, che ha concluso il suo lavoro. Le guardie caricano i cadaveri decapitati su due muli, un altro uomo sta infilando dei pali acuminati in un terreno poco lontano. Quando ha finito, ci infila sopra le due teste.

Nicola sale verso la casa parrocchiale. Vorrebbe fuggire, il più lontano possibile. Forse potrebbe lasciare il regno, assumere una nuova identità e cercare lavoro come segretario presso qualche signorotto. Ma per farsi assumere avrebbe bisogno di una raccomandazione e nessuno tra coloro che Nicola conosce sarebbe disposto a proteggere un prete che ha abbandonato l’abito.

Forse basterebbe scendere fino al torrente, cercare un punto in cui l’acqua scorra impetuosa e abbandonarsi.

 

*

 

Carlo ritorna dalla battuta di caccia. Uno dei suoi uomini porta le due lepri che il fratello del conte ha appena ucciso. Salendo lungo la via vede una figura con l’abito sacerdotale. Carlo sorride, contento: finalmente vedrà il nuovo parroco, questo cherubino, come lo ha chiamato la cuoca Filomena.

- Don Ranieri!

Nicola si volta. Carlo rimane senza parole. È davvero bellissimo, un viso perfetto. Il parroco fa un cenno di saluto, ma non dice nulla. Evidentemente non sa chi sia l’uomo che ha di fronte.

Carlo scende dal cavallo e si presenta:

- Buongiorno, sono Carlo di Roccanera, il fratello del conte Filippo.

- Buongiorno, eccellenza.

- Vi ho visto per strada e, dato che non ci eravamo ancora incontrati, ho deciso di presentarmi.

- È un piacere conoscervi, eccellenza.

Il parroco è cortese, ma sembra non sapere bene che dire. Carlo spera che non sia un idiota, uno di quelli che non sono in grado di spiccicare due parole.

- Ci vedremo domani sera. Mio fratello mi ha detto che vi ha invitato a cena. Ci racconterete le novità della capitale: qui siamo davvero fuori dal mondo, tra banditi e lupi, che non si sa quali siano peggio. Sono ormai quattro anni che non andiamo a Napoli. Ogni volta che vorremmo partire, nasce qualche nuovo problema.

In realtà il problema è uno solo: mancano i mezzi per mantenere nella capitale il tenore di vita confacente a una famiglia nobile. A Napoli anche respirare costa. Per due nobili non è pensabile vivere da pezzenti ed essere guardati con disprezzo dagli altri. Ma questo non è certo il caso di spiegarlo al nuovo parroco.

- Anche se sono rimasto a Napoli due anni, non posso dire di conoscere molto la città e temo di non poter raccontare nulla di interessante.

Carlo sorride. Anche se il parroco non avrà nulla da raccontare, vederlo sarà comunque un piacere. E intanto avrà modo di sondare il terreno. Il bel parroco finirà nel suo letto. In un modo o nell’altro.

 

*

 

A Nicola non spiace andare a cena dal conte. Non prova grande simpatia per Filippo di Roccanera, il fratello l’ha appena visto, ma almeno potrà scambiare due parole. Spera di non fare brutta figura: non è abituato a essere ricevuto nei palazzi signorili e, per quanto istruito, non sa certo sostenere una conversazione elegante. Ma il conte e il fratello vivono in questo borgo sperduto, non a Napoli.

Non ci sono altri commensali. Dopo uno scambio di convenevoli, Nicola chiede informazioni sul paese. Dalle parole del conte emerge un quadro fosco: molta povertà, un abisso di ignoranza, inverni gelidi in cui il paese rimane isolato. E soprattutto i briganti di Goladilupo, spietati e odiati da tutti. Il conte conclude:

- Diciamo che peggio di così non potevate capitare, don Nicola. Siete fortunato che l’estate è appena iniziata e prima dell’inverno ci vuole tempo.

Carlo di Roccanera ride e dice:

- Dovete averla combinata proprio grossa per farvi mandare qui, don Nicola. Questione di gonnelle?

Nicola si sente a disagio. Sa benissimo che cosa ha combinato.

- No, no, non ho fatto niente.

Carlo sorride ancora:

- Non ce lo volete raccontare, avete paura di fare brutta figura, ma siamo uomini di mondo, don Nicola.

- No, vi assicuro.

- Non sapete perché vi hanno mandato qui? È una punizione, non c’è dubbio.

Nicola non intende raccontare la verità. Si limita a dire qualche cosa che non è menzogna:

- Mi sono rifiutato di fare qualche cosa che mi chiedevano, che non ritenevo giusto fare.

Nicola non intende dire altro, ma il ricordo di quanto è successo è nitidissimo. Filippo interviene a sostegno di Nicola, deviando la conversazione.

Dopo cena Carlo chiede, sorridendo ironico:

- E che raccontate della cucina della Belli?

- Non ho grandi pretese, mi accontento.

- I lavori di casa li fa almeno bene?

Nicola non capisce dove voglia arrivare Carlo, ma risponde:

- Pulisce e tiene in ordine. Non è che ci voglia molto.

Carlo ride:

- E il letto, lo sistema per bene?

Nicola guarda Carlo. Non capisce il senso di questa domanda. È Carlo stesso a fornire una mezza spiegazione ironica:

- È sempre stata molto brava a rifare il letto.

Nicola guarda Carlo. Di colpo si rende conto di provare antipatia per quest’uomo che gli appare arrogante e volgare. E sente, ancora più forte, lo scoraggiamento di trovarsi in questo paese sperduto. Si limita a rispondere:

- Le chiedo di fare i lavori di casa, non altro.

Nicola si rende conto di aver lasciato trasparire nel tono della voce un po’ dell’irritazione che prova.

Il conte interviene:

- Deve scusare mio fratello. Si diverte sempre a stuzzicare e della Belli si è parlato molto in paese. Ma è chiaro che voi non siete come il vostro predecessore. Diteci piuttosto di Napoli: quali sono le ultime novità?

- Purtroppo, come ebbi modo di dire a vostro fratello ieri, non posso dire di conoscere molto la città e la vita sociale, pur avendo trascorso due anni a Napoli.

Filippo di Roccanera pone qualche domanda sul vescovo, sul re e poi su alcuni scandali di cui gli è giunta notizia. Nicola dice quel poco che sa. Sui teatri e sugli spettacoli Nicola non ha informazioni, se non per sentito dire. La conversazione passa poi all’eruzione del Vesuvio.

- Ci avete detto che siete stato a Napoli per due anni. Quindi eravate nella capitale quando ci fu la grande eruzione del Vesuvio.

- Sì, ero arrivato da due mesi.

- Dicono che la terra abbia tremato già prima che il vulcano eruttasse.

- Sì, ci furono piccoli terremoti, ma nulla lasciava presagire la violenza che seguì.

- Raccontateci.

Nicola racconta il terrore di quei giorni, l’immensa colonna di fumo, la gente in fuga dai villaggi vicini che si riversava in città, la processione e l’esposizione delle reliquie di san Gennaro. 

Filippo fa diverse domande, Carlo invece sembra poco interessato. A un certo punto devia la conversazione, chiedendo del viceré e di alcuni nobili, ma Nicola dice di non sapere quasi nulla della nobiltà napoletana.

- Neppure del marchese di Pontaverso? Di lui parlava tutta la città l’ultima volta che fummo a Napoli. Un gran sostenitore del libero amore.

Carlo ride, poi aggiunge:

- E lei che ne pensa del libero amore, don Nicola?

Nicola non sa bene che dire. Crede che tutti gli esseri umani dovrebbero essere liberi di amare chi vogliono, ma non gli sembra opportuno dirlo. E poi quello che lui ha in mente è senza dubbio molto lontano da ciò a cui pensa Carlo di Roccanera.

La conversazione procede a fatica. Nicola è istruito, ma non è abituato a frequentare salotti e a partecipare alla vita mondana. Carlo lo mette a disagio e la cortesia di Filippo di Roccanera è puramente di facciata, senza nessun calore umano. Nicola non si aspettava altro, questa serata è un obbligo sociale a cui si è sottoposto. Ce ne saranno altre probabilmente, non perché i due fratelli tengano alla sua conversazione, ma perché vogliono sfuggire alla noia di questa vita da reclusi. Gli faranno conoscere i notabili del luogo.

 

*

 

Nicola ritorna a casa immerso nei propri pensieri. Si sta chiedendo che cosa voglia Carlo da lui. Un altro forse non ci avrebbe badato, ma Nicola ha imparato a leggere in certi sorrisi, nelle battutine, nelle mezze domande, negli ammiccamenti. Con ogni probabilità a Carlo piacerebbe portarselo a letto.

Nicola è abituato a essere desiderato. La sua bellezza è stata la sua condanna. Ci sono stati momenti in cui è stato tentato di sfregiarsi perché nessuno potesse più desiderarlo, ma non ha mai trovato il coraggio di farlo.

Nicola cerca di scacciare il pensiero di Carlo. Deve preoccuparsi della messa di domani. Fino a ora in chiesa ha visto poche persone, tutte donne, ma domani è domenica e ci sarà più gente. A preoccupare Nicola non è il rito della messa, che conosce perfettamente e può eseguire senza incertezze, anche se ormai gli appare estraneo. Lo inquieta la predica, il momento in cui dovrà parlare. Gli sembra di non sapere che cosa dire a questa gente che non conosce. Parlare davanti a tante persone non gli piace, si sente inadeguato: che cosa può dire un prete senza fede a coloro che dovrebbe guidare a Dio? Nelle confessioni si sente più a suo agio, la sofferenza degli altri desta in lui una solidarietà profonda. Ma predicare gli costa fatica. Bisogna avere una fede forte per farlo. Altrimenti sono solo parole vuote, come quelle che dirà domani. Si presenterà, dirà che spera di poter conoscere tutti i suoi parrocchiani: questa è la verità. E poi? Parlerà dell’amore di Cristo, di sofferenza e di consolazione nella vita ultraterrena, lui che non ci crede?

Deve dire tre messe in chiesa, una a Roccanera e le altre nelle borgate di Civitella e Mondiano. E poi c’è la messa per il conte e la servitù, nella cappella del palazzo. E la sera i vespri.

 

*

 

Nicola viene invitato spesso a cena dal conte. Di solito vi sono alcuni altri ospiti: il farmacista con la moglie, il maestro, un barone e la consorte che vengono da un paese non lontano. Con loro Nicola non sa che cosa dire. Ascolta e si chiede che senso abbia la sua vita in questo paese. A che serve?

Quando si muove per le vie o nella campagna, a Nicola capita più volte di imbattersi in Carlo. Il paese è piccolo e non è strano incontrare qualcuno che si conosce, ma Nicola ha il sospetto che ci sia poco di casuale in questi incontri, che cerca di far durare il meno possibile, compatibilmente con la necessità di non dimostrarsi scortese. Carlo non gli piace, c’è qualche cosa in lui che lo respinge.

 

Luglio è afoso e Nicola decide di cercare un posto per bagnarsi. Di certo non intende andare vicino al ponte, dove sa che spesso i bambini sguazzano nel torrente. Ma conta di  trovare un posto isolato spingendosi un po’ più lontano.

Nicola segue il sentiero che porta verso Mondiano. Quando arriva al guado s’incammina lungo la riva del fiumiciattolo, fino a che trova un angolo perfettamente riparato. Controlla che non ci sia nessuno: non intende fare nulla di male, ma non vuole che qualcuno possa dire di averlo visto bagnarsi nudo. Si siede sulla riva e rimane un buon momento in silenzio, ascoltando i rumori della campagna. Poi si spoglia ed entra in acqua. Il freddo lo fa rabbrividire, ma è solo un attimo. Muoversi nell’acqua è un piacere intenso. Dopo un lungo bagno, Nicola esce e ritorna dove ha lasciato gli abiti. Aspetta di essersi asciugato, poi si riveste e se ne va. Si sente meglio, più leggero, come se l’acqua avesse portato via un po’ del peso che sente gravare su di sé.

Nicola torna altre volte nell’angolo che ha scoperto, badando sempre che nessuno lo veda. A metà agosto, però, mentre cammina lungo il torrente, sente un rumore di acqua smossa con forza. Qualcuno sta nuotando. È un uomo che ora si arrampica su una roccia sulla riva opposta e si stende. Nicola lo riconosce: è Giuseppe, il capo delle guardie del conte, un uomo che Nicola ha avuto modo di vedere spesso, ma che parla sempre pochissimo. Nicola distoglie lo sguardo: non vuole vederlo. Ma Giuseppe si è accorto di lui: si mette a sedere, raccogliendo le gambe davanti a sé, in modo da nascondere ciò che Nicola ha visto per un attimo.

- Buongiorno, don Nicola. Scusatemi, non viene mai nessuno da queste parti.

Nicola non può non guardarlo, ora.

Giuseppe è un uomo molto alto e possente, piuttosto villoso. Nicola sente il desiderio violento assalirlo: non ha rapporti da tempo e ha solo ventiquattro anni.

- Non dovete scusarvi. Mi spiace di avervi disturbato. Stavo passeggiando.

Nicola non sa bene che cosa dire. Aggiunge:

- Buongiorno.

- Buongiorno, don Nicola.

Nicola si allontana in fretta. Non si bagna al solito posto. Si spinge più avanti e solo quando è sicuro di essere molto lontano da Giuseppe si ferma, si spoglia e si immerge. Ma non prova le stesse sensazioni di pace che di solito il bagno gli trasmette. Il desiderio preme e la tensione che avverte dentro di sé desta ricordi dolorosi e umilianti, sofferenze del passato e del presente, angoscia per il futuro.

 

*

 

- Don Nicola è un cazzone.

Filippo di Roccanera sorride al commento del fratello.

- Non è interessato agli uomini, Carlo, tutto lì.

- Secondo me lo è.

- Allora non è interessato a te.

- E questo conferma che è un cazzone.

Filippo ride, scuotendo la testa. Carlo scherza, ma non si rende conto di non essere più l’affascinante nobile di trenta o anche solo vent’anni fa. Il tempo è passato sul suo viso e sul suo corpo, segnandoli pesantemente.

- Forse non ha capito che gli piaci.

- Se non lo ha capito, è proprio stupido.

- E allora lascialo perdere.

- Neanche per idea: non è il suo cervello quello che mi interessa, posto che ne abbia uno.

- Che cosa conti di fare?

- Paziento ancora fino alla fine di agosto, poi in un modo o nell’altro risolverò questa faccenda.

Filippo storce la bocca. “In un modo o nell’altro”: che cosa pensa di fare Carlo? Don Nicola non è mica uno dei tanti ragazzotti del paese, che si possono prendere anche con la forza: quelli con due minacce e un po’ di denaro si mettono a tacere e se non basta, si possono allontanare o far scomparire.

Filippo fa per parlare, ma poi ci rinuncia. Non servirebbe a niente: quando Carlo si mette in testa una cosa, è impossibile ricondurlo alla ragione.

 

*

 

Nicola cerca di evitare in tutti i modi Carlo. Ha anche rifiutato alcuni inviti a cena, accampando qualche scusa, ma non può inimicarsi il conte, l’unica autorità in queste terre lontane dalla capitale.

A confermare i sospetti che Nicola nutre su Carlo sono, in modo del tutto inatteso, le confessioni: Nicola sta conquistando la fiducia di alcune parrocchiane, soprattutto donne non più giovani. Qualcuno insinua che le donne si confessino volentieri con Nicola perché è un bell’uomo. Ma in realtà ad attirarle è soprattutto l’atteggiamento di Nicola, che dimostra rispetto e ha sempre una parola di conforto, non giudica e non condanna, ma consola. Il confronto con il predecessore non potrebbe essere più stridente.

E un giorno di metà agosto una donna si mette a piangere. È disperata per il figlio, che da quando è successa quella cosa non è più lo stesso e vuole unirsi ai briganti. Nicola cerca di capire, vincendo i timori della donna. “Quella cosa” è uno stupro, uno dei tanti. Carlo di Roccanera si prende i giovani che gli piacciono: quelli che ci stanno, ricevono un po’ di denaro o qualche favore, magari un piccolo appezzamento; quelli che non ci stanno sono costretti a subire e poi vengono messi a tacere. Uno è anche scomparso nel nulla: in paese dicono che se n’è andato lontano, a Napoli, ma qualcuno sussurra che lo hanno ammazzato.

Nicola non si stupisce di ciò che ascolta, ma questa violenza suscita in lui una rabbia feroce nei confronti di Carlo di Roccanera. Per quest’uomo che approfitta in modo infame della sua posizione prova solo un disgusto infinito.

 

La domenica la predica di Nicola è contro coloro che si servono del proprio potere per costringere gli altri a piegarsi, contro ogni diritto. È una predica veemente. Nicola, che parla più spesso di amore e di perdono, ora alza la voce per ricordare il castigo divino. I parrocchiani ascoltano stupiti: il tono della predica è molto diverso da quello a cui li ha abituati il nuovo parroco. Molti leggono nelle parole di Nicola un’accusa contro il fratello del conte. Nel pomeriggio qualcuno riferisce.

- Ti avevo detto che don Nicola è un cazzone.

- Ti sei scoperto troppo, Carlo. Lo vedono tutti che gli sbavi dietro.

- E allora? Questo sfizio me lo voglio togliere e lo farò.

- Bada a quello che fai. È un sacerdote.

- Mandato qui per punizione. A chi vuoi che importi di uno stronzo come lui? Se a qualcuno importasse qualche cosa di lui, don Nicola non sarebbe a Roccanera. E poi si sa, qui ci sono Goladilupo e i suoi uomini. Quelli non rispettano neanche i preti.

Carlo ghigna. Filippo non è convinto.

- Carlo, non mi sembra proprio il caso. Anche se lo hanno mandato qui per punizione, è pur sempre un prete.

- E che vuoi che succeda? Mal che vada mandano i soldati contro Goladilupo.

 

*

 

Goladilupo spinge con vigore finché non viene. La donna ha smesso di dimenarsi. Ora singhiozza. Goladilupo si alza, si tira su i pantaloni e si rassetta. Poi esce e si rivolge al suo braccio destro, Martino.

- Adesso potete prendervela.

Martino ghigna ed entra nella capanna, slacciandosi i pantaloni. Goladilupo si allontana. Poco dopo arriva il Guercio.

- Muoviti, Martino. Se non ti decidi, vengo nelle brache.

- Non rompere i coglioni, Guercio. Se non ti va di aspettare, fatti una sega.

Pietro entra mentre Martino sta rispondendo e rincara la dose:

- Datti da fare, che non abbiamo voglia di aspettare tutto il mattino.

Martino non dice nulla. Si limita a fottere la donna con energia, senza badare ai suoi compagni.

Goladilupo sta allontanandosi, quando lo raggiunge Antonio. Si avvicina e dice, piano:

- Capo, al capanno c’è l’uomo del contino.

Goladilupo annuisce e si dirige rapidamente verso il capanno dove si ferma abitualmente il messaggero. Che cosa vorrà Carlo di Roccanera da lui? Qualunque cosa sia, c’è da guadagnare e questo è quello che conta. Non è la prima volta che il fratello del conte si accorda con il bandito per ottenere quello che vuole. A Goladilupo va bene.

 

*

 

Qualcuno bussa alla porta. Nicola va all’uscio e apre.

- Don Nicola, vengo da Civitella, una donna che sta morendo chiede di voi per l’estrema unzione. Potete venire subito?

- Certamente.

Nicola mette in una sacca l’occorrente e segue l’uomo che lo guida. Non prende il cavallo: il sentiero per Civitella può essere percorso solo a piedi o con i muli. Per fortuna il paese non è molto distante.

L’uomo non dice niente fino a un bivio. Nicola seguirebbe il sentiero principale, che conosce, ma la sua guida osserva:

- Passiamo di qui, faremo più in fretta: Maria sta nella frazione di Collalto.

Prendono l’altro sentiero, che si inerpica attraverso il bosco di faggi. Nicola è perplesso: gli sembra che si stiano allontanando da Civitella e anche da Collalto, ma non conosce ancora abbastanza la zona per esserne sicuro. A un certo punto vedono due uomini, che scendono lungo il sentiero. Quando sono di fianco a Nicola, i due gli saltano addosso. Nicola è stato preso di sorpresa. Cerca di difendersi, ma anche l’uomo che è venuto a cercarlo dà man forte agli assalitori, che hanno buon gioco a immobilizzarlo.

- Che cosa fate? Che cosa volete?

Gli uomini non rispondono. Gli legano le mani dietro la schiena, mentre Nicola ancora chiede. Uno gli molla un pugno nello stomaco, che toglie il fiato a Nicola e lo fa piegare in due.

- Sta’ zitto, prete.

Altro non dicono. Lasciano il sentiero e lo costringono ad accompagnarli lungo una traccia appena visibile, fino a un capanno.

Dentro ci sono alcuni sacchi e sulle pareti dei ganci. Gli passano le corde alle caviglie e le bloccano a due ganci alle pareti opposte, forzando Nicola a divaricare le gambe. Nicola non capisce che cosa vogliano fare e di nuovo chiede, senza ottenere altra risposta che un secco:

- Ti ho detto di stare zitto, prete.

Lo costringono ad appoggiarsi ai sacchi, piegandosi in avanti, poi trafficano con la corda che gli stringe i polsi. Dopo un momento le due braccia vengono tirate in direzioni opposte e bloccate ad altri anelli. Adesso Nicola è in ginocchio, il torace appoggiato sui sacchi, il culo sollevato e braccia e gambe tenute ferme dalle corde. Nicola volta la testa, mentre chiede, ancora una volta:

- Che cosa…

Uno degli uomini ha in mano un coltello, Nicola rabbrividisce e tace. L’uomo si avvicina e incomincia a tagliare gli abiti di Nicola, fino a spogliarlo completamente. Ora Nicola è nudo e infine intuisce che cosa vogliono da lui. Il pensiero va a Carlo di Roccanera: li ha di certo mandati lui. Vuole vendicarsi per la predica di Nicola e per essere stato respinto. Ha dato ordine a questi uomini di violentarlo?

Uno degli uomini gli passa una benda intorno agli occhi.

Ora, ora verrà violentato. Nicola si tende. Vorrebbe urlare la sua rabbia, la sua disperazione. Ma gli uomini ridono. Uno dice:

- È pronto.

- Buon divertimento, prete.

- A qualcuno piace.

Sghignazzano, poi Nicola li sente uscire.

Le parole sono state una conferma dei timori di Nicola. Ma perché non lo violentano ora? Poi Nicola capisce: non saranno loro a prenderlo, sarà Carlo di Roccanera, perché solo lui può aver organizzato il suo rapimento per stuprarlo.

C’è silenzio. Non ci dev’essere nessuno. Nicola cerca di liberarsi, ma le corde sono ben fissate. Dopo alcuni sforzi inutili, Nicola rinuncia a ogni tentativo. Gli sembra che un peso enorme lo schiacci. Di nuovo. Ancora una volta la violenza. I ricordi riaffiorano vividi e questa volta Nicola non riesce a ricacciarli.

A quattordici anni fu il direttore del seminario a prenderlo: la prima volta Nicola non capì nemmeno bene che cosa quell’uomo stesse facendo. L’uomo lo tenne sotto la sua ala protettiva per diversi anni, abusando regolarmente di lui. Allora non poteva dire di no: era appena un ragazzo.

Dal seminario a Napoli, con una lettera di raccomandazione per il vescovo. Pensava che fosse la fine dell’incubo. Si illudeva di lasciarsi alle spalle i ricordi dolorosi e umilianti del seminario. Passò dal letto del direttore a quello del vescovo. Due anni con il vescovo. Anche a lui Nicola non sapeva come dire di no.   

Ma al marchese Gentiloni, a Napoli, disse di no, anche quando un altro sacerdote gli venne a dire che il vescovo non era contento che lui contrariasse un signore illustre e devoto come il marchese. Nicola ha perso la fede, ma il pensiero di un sacerdote che fa da ruffiano a un nobile ancora oggi lo disgusta. Il suo no gli è costato l’esilio in questo paese dimenticato da Dio, ma anche qui qualcuno lo vuole. Qualcuno tra poco lo prenderà, ancora una volta. E poi potrebbe ucciderlo. E Nicola si rende conto che in questo momento desidera la morte, l’unica che può liberarlo da una vita di sofferenza.

Ma nel buio in cui è immerso, sente un odio profondo contro l’uomo che presto lo stuprerà.

 

*

 

Carlo di Roccanera è giunto al capanno. Congeda i tre uomini che hanno svolto il lavoro richiesto: due se ne andranno, Martino aspetterà più sotto che lui abbia finito, per portare poi a termine il compito e ricevere il compenso.

Carlo entra nel capanno. Guarda il corpo del prete. È bello, bellissimo. E sarà suo. Lo prenderà tra poco. Vorrebbe poterlo prendere più volte, ma non è più in grado di farlo: non ha le forze di quando aveva trent’anni.

Carlo non dice nulla. Sa benissimo che Nicola deve aver capito che è stato lui a organizzare il tutto, ma non ha niente da dire a questo stronzo che credeva di potergli resistere.

Carlo si spoglia, mentre guarda il culo di Nicola. Bello e armonioso come tutto il resto. Sarà un piacere prenderlo. Il cazzo gli sta diventando duro in fretta, come non gli capitava da tempo: questo coglione lo ha fatto sudare, ma adesso è suo, suo.

Carlo passa una mano sul culo. Sente che il corpo di Nicola si tende. Carlo ride.

La mano che gli tappa la bocca lo prende del tutto di sorpresa e prima di avere il tempo di capire che cosa sta succedendo, il dolore violento alla gola gli dice che la sua vita è arrivata alla fine. Il grido si spegne in un gorgoglio, mentre il corpo crolla a terra.

 

*

 

Nicola ha sentito dei rumori che non riesce a interpretare. Adesso è tornato il silenzio. C’è un lungo momento in cui non succede nulla, eppure Nicola è certo che c’è ancora qualcuno nella stanza. È sempre Carlo di Roccanera? E quel grido soffocato, il tonfo che ha sentito?

Ora c’è un movimento nella corda che gli tiene la destra, una tensione, che svanisce di colpo. Nicola si rende conto che la mano non è più legata. Ora stanno tagliando la corda che lega la mano sinistra. Nicola vorrebbe togliersi la benda, ma esita. Non vuole che l’uomo che lo sta liberando si interrompa prima di aver concluso.

Adesso anche la mano sinistra è libera. L’uomo taglia la corda che lega il piede destro, poi passa a quella che tiene fermo il sinistro.

- Potete alzarvi, siete libero.

La voce Nicola l’ha già sentita. Una voce profonda, da basso. Di chi è?

Nicola si alza e si toglie la benda. Davanti a lui può vedere Giuseppe, il capo delle guardie di Filippo di Roccanera, a torso nudo. A terra il cadavere di Carlo, sgozzato come una pecora, il cazzo ancora in tiro. Nicola guarda Giuseppe, senza capire.

- Vi ha mandato il conte?

Giuseppe ha una breve risata, aspra come la sua voce, ora:

- Siete pazzo, prete? Se mi troverà, il conte mi farà ammazzare dopo avermi fatto torturare e castrare.

- Ma come… perché…?

- Ho capito che cosa voleva farvi questo bastardo. L’ha fatto a diversi giovani del paese. Qualcuno ci è stato per avere la protezione del fratello del conte, qualcuno non ci è stato, ma questo porco l’ha preso lo stesso. Uno l’ha anche ammazzato. Questa volta non volevo che finisse così. Di male ne aveva già fatto più che abbastanza per finire in braccio a Satana, dove certo si trova adesso.

Nicola è frastornato.

- Grazie, mi avete salvato. Ma ora siete in pericolo.

- Me ne andrò. Non posso fare altro. Forse è meglio se ve ne andate anche voi. Il conte se la prenderà con voi, anche se non avete fatto niente. Ma non c’era altra via…

Giuseppe non completa la frase. Si china, raccoglie il cadavere di Carlo e se lo mette in spalla.

- Vado a disfarmi di questo maiale. Rivestitevi e aspettatemi.

Giuseppe esce. Nicola lo guarda scomparire, poi cerca il suo abito. È tutto tagliato. Inutilizzabile. E adesso? Ci sono gli abiti di Carlo, ma metterseli addosso significherebbe dichiararsi complice dell’omicidio. Nicola rimane fermo, incapace di decidersi.

Giuseppe rientra dopo pochi minuti.

- Ho gettato il cadavere nella caverna sotterranea, dove certo volevano gettare il vostro.

Nicola rabbrividisce. Nonostante le parole di Giuseppe, gli sembra incredibile che Carlo di Roccanera volesse davvero farlo uccidere:

- Mi avrebbero ucciso?

- Senz’altro. Se Carlo di Roccanera ha deciso di farvi portare qui, è per far scomparire il cadavere. C’è un buco nel terreno e sotto una caverna molto profonda; al fondo si sente scorrere un fiume sotterraneo, che finisce chissà dove. Il posto ideale per far scomparire un corpo. Nessuno troverà il cadavere del contino, come lo chiamavano, anche se aveva più di cinquant’anni. Ma il conte non ci metterà molto a capire che sono stato io a ucciderlo. Di sicuro a quest’ora si è già accorto della mia scomparsa, anche se non sospetta ancora la verità. Ma non vedendo tornare né il contino, né me, capirà.

Nicola non vuole che quest’uomo rischi per averlo salvato. Chiede:

- Non potete tornare a Roccanera, inventando qualche scusa per giustificare la vostra assenza?

- No, il rischio è troppo grosso. E poi ne ho abbastanza del conte.

Nicola annuisce. Dopo un attimo di silenzio, Giuseppe prosegue:

- Perché non vi siete rivestito?

- Per spogliarmi hanno tagliato e stracciato l’abito. Dovrei mettermi quelli del conte.

- Che cosa pensate di fare?

Nicola non si ferma a riflettere. Non sa che cosa ne sarà di lui, ma almeno su questo punto non ha dubbi.

- Non intendo rimanere qui.

- Venite via con me? Se vi trovano con me, vi ammazzano, ma abbiamo diverse ore di vantaggio: prima di domani mattina non ci cercheranno. Possiamo separarci quando saremo abbastanza lontano da qui.

- Credo che sia la cosa migliore.

- Allora mettetevi pure gli abiti del contino. Se riusciremo ad allontanarci, chi non ci conosce mi crederà il vostro servitore. Se invece ci raggiungeranno, direte che vi ho costretto a seguirmi dopo aver ucciso il contino. Se volete potete dire che vi ho violentato: vi crederanno e tanto per me non cambierà nulla.

Nicola scuote la testa. Accusare quest’uomo che ha rischiato la pelle per salvarlo? Mai.

Nicola si riveste in fretta. Tra gli abiti di Carlo ci sono anche una pistola e una borsa con alcune monete. Nicola non le vorrebbe prendere, ma Giuseppe gli dice:

- Prendete la borsa, le monete ci serviranno. La pistola la prendo io, altrimenti non potete dire che vi ho costretto a seguirmi.

Fuori dal capanno Giuseppe gli porge una sacca che ha nascosto tra gli alberi.

- Portatela voi questa, finché non saremo lontano da qui: se ci sorprendono voglio poter combattere senza impacci. E se vi ho forzato a seguirmi, allora vi faccio anche portare i pesi, no?

Nicola ha un mezzo sorriso, mentre si mette la borsa sulle spalle.

- Non è un gran peso e comunque non intendo dire che mi avete costretto a seguirvi, dopo che mi avete salvato.

- Meglio se lo dite.

 

*

 

Giuseppe si guarda intorno. Procede cauto: sa bene i rischi che corrono. Prima che il conte Filippo incominci a chiedersi perché il fratello non torna, sarà notte e solo domani mattina partiranno alla sua ricerca. Ma Goladilupo tra non molto si chiederà perché l’uomo che doveva sbarazzarsi del cadavere del prete non torna con i soldi pattuiti. Giuseppe ha nascosto il corpo tra i cespugli: non c’era il tempo per farlo scomparire nella caverna. Potrebbe farlo adesso, ma è preferibile allontanarsi subito: Goladilupo dev’essere nelle vicinanze.

Non si sono allontanati di molto, quando si trovano di fronte Goladilupo e uno dei suoi uomini. Il bandito li guarda, stupefatto. È evidente che non sa ancora che cosa è successo, ma il vedere il prete con abiti da nobiluomo invece della tunica lo mette in sospetto.

Giuseppe ha già tirato fuori la pistola e gliela punta addosso. Goladilupo ride, ostentando una sicurezza che non ha:

- I miei uomini non sono lontano. Se spari, arriveranno in due minuti e tu sei fottuto, Cazzogrosso.

Goladilupo ha usato il soprannome per sfotterlo: non lo usa quasi mai nessuno, anche se tutti lo conoscono.

Giuseppe sa che gli uomini di Goladilupo non devono essere molto lontano. Goladilupo prosegue:

- Da qui non te ne vai, se non mi spieghi prima…

Giuseppe lo interrompe. Esiste un’unica soluzione.

- Non ho spiegazioni da darti, Goladilupo. Questa faccenda la risolviamo io e te.

- Che cazzo vuoi dire?

- Ce li hai i coglioni per affrontarmi con il coltello, Goladilupo? O alzi la cresta solo quando hai tutti i tuoi uomini intorno?

Goladilupo digrigna i denti, ma non risponde subito. È chiaro che sta pensando al da farsi. Ha solo un altro uomo con sé e Giuseppe ha la pistola. Se non accetta la sfida, Antonio racconterà agli altri che lui si è tirato indietro. Giuseppe conta su quello.

Goladilupo ride, come se fosse sicuro di sé:

- Se vuoi finire sgozzato, ben volentieri.

- Allora il tuo amico rimane fermo, con le mani bene in vista. Tu togliti la giacca. Non cercare di fare scherzi, perché ti sparo.

Giuseppe sa che di Goladilupo non c’è da fidarsi, per cui rimane in guardia. Goladilupo si toglie la giacca e poi la camicia. Non ha con sé la pistola, non pensava di incontrare nessuno.

Giuseppe passa a Nicola la pistola, dicendogli:

- Tenete sotto tiro il compare. Se si muove, sparategli subito, senza esitare.

Giuseppe spera che Nicola sappia come si usa una pistola. O che almeno gli altri non si accorgano che non sa come fare. Ma Nicola impugna l’arma con decisione.

Poi Giuseppe si toglie giacca e camicia. Ora sono tutti e due a torso nudo.

 

*

 

- Che cazzo hai fatto, per essere qui con il prete, Cazzogrosso?

- La risposta te la darà il mio coltello, Goladilupo.

- Quando avrai due palmi di lama in pancia, ti si scioglierà la lingua.

- Vedremo.

Goladilupo non è contento di dover affrontare Giuseppe. Il capo delle guardie del conte è un avversario da non sottovalutare. Ma non può tirarsi indietro. Ostenta una sicurezza che non prova e insulta il suo avversario, anche se sa bene che non riuscirà a innervosirlo.

- Fatti sotto, cane da guardia, con il collare. Adesso hai trovato il lupo.

- Non sei un lupo, del lupo hai solo la gola, la fame. Non hai le zanne.

- L’assaggerai questa zanna.

Goladilupo si tiene a distanza. Balza in avanti vibrando una coltellata, che Giuseppe scansa, poi si ritrae sulla difensiva. Giuseppe sembra non avere fretta. Con la coda dell’occhio Goladilupo controlla il suo uomo, Antonio. Il prete lo tiene sotto tiro. Merda! Sperava che Antonio riuscisse a sorprenderlo. Se Antonio riuscisse a togliere la pistola al prete, Giuseppe sarebbe fottuto. Ma il prete è vigile e Goladilupo non può dire nulla ad Antonio, né fargli un gesto: Giuseppe non lo perde di vista un secondo.

Goladilupo si lancia altre due volte all’attacco, senza risultati. Provoca ancora Giuseppe

- Fatti sotto, vigliacco.

Ma Giuseppe si muove con cautela.

Goladilupo ha un’idea. Si sposta in modo da avvicinarsi ad Antonio. Se riuscirà a portare Giuseppe tra Antonio e il prete, Antonio sarà in grado di intervenire: il prete non potrà sparare, perché rischierebbe di colpire Giuseppe.

Goladilupo sorride. Attacca ancora e si ritrae, spostandosi verso Antonio. Giuseppe prende l’iniziativa e avanza, menando fendenti, Goladilupo arretra. Ora è vicino ad Antonio e per incalzarlo Giuseppe dovrebbe mettersi tra Antonio e il prete. Antonio ha capito. Goladilupo lo vede tendersi, pronto a lanciarsi. Goladilupo balza all’indietro. Giuseppe avanza ancora. Ora è tra Antonio e il prete. Antonio con un movimento fulmineo ssctta in avanti, mentre estrae il coltello e vibra un fendente al ventre di Giuseppe. Goladilupo ride, certo della vittoria.

Ma Giuseppe salta all’indietro e la lama lo colpisce appena. Antonio non si aspettava che Giuseppe riuscisse a schivare il colpo e non è pronto a parare il fendente che si infila nel suo corpo, subito sotto il cuore.

- Questo è per te, Antonio.

Antonio sgrana gli occhi, incredulo, e quando Giuseppe estrae il coltello, crolla a terra.

- Sei un traditore Goladilupo, ma da te non c’era niente di meglio da aspettarsi.

Giuseppe si lancia su di lui. Goladilupo è stato preso alla sprovvista. Scansa i colpi e arretra, ma si trova contro un albero. Giuseppe è su di lui, gli blocca con la sinistra la mano che stringe l’arma e affonda il coltello nel ventre di Goladilupo.

Il bandito sente la fitta acuta. La partita è finita.

- Merda!

Un secondo colpo. La lama penetra fino al manico. Il dolore esplode.

- Merda!

Un’altra coltellata. Goladilupo affonda in un gorgo di sofferenza che lo inghiotte. Cerca la voce per insultare l’uomo che l’uccide. Giuseppe è un bastardo, lo sanno tutti. Goladilupo riesce a dire:

- Bastardo… tu… tua madre…

Due colpi al basso ventre gli mozzano il fiato. L’offesa ha scatenato la rabbia di Giuseppe, che infierisce su di lui. Goladilupo si dice che è stato un coglione a provocarlo, ma ormai è tardi. Non c’è più spazio per insulti, recriminazioni. C’è solo la morte.

L’ultimo colpo gli spacca il cuore.

 

*

 

Nicola guarda Giuseppe chinarsi e immergere il coltello nella gola dell’uomo che ha ferito prima. Si accorge di tremare.

Giuseppe si volta verso di lui e Nicola vede che il ventre e i pantaloni sono macchiati di sangue.

- Siete ferito!

- Niente di grave.

Giuseppe toglie all’uomo che ha chiamato Antonio la camicia, la lacera e fa una benda che mette intorno alla vita.

Nicola si avvicina.

- Scusate, non ho potuto sparare, eravate in mezzo, avevo paura di colpirvi.

- Meglio così. Meglio non sparare, se davvero gli uomini di Goladilupo non sono lontani. Almeno abbiamo un po’ più di tempo per allontanarci.

Nicola è alquanto scosso, ma cerca di farsi forza. Giuseppe ha preso la camicia che Goladilupo si era tolto e la mette nella sacca. Poi si rimette la propria.

- Dobbiamo andare.

Nicola annuisce.

- Non… riuscite a camminare?

- Certo. È solo un taglietto.

Giuseppe si mette in marcia. Nicola lo segue.

 

*

 

Giuseppe guarda don Nicola dormire. Il prete era esausto: hanno camminato per ore e ore, fin ben oltre mezzanotte. Ormai sono fuori dalle terre del conte di Roccanera. Questo non significa che siano al sicuro: sia il conte Filippo, sia i compagni di Goladilupo possono raggiungerli.

Giuseppe riflette. Il conte non farà fatica a capire come sono andate le cose, la morte di Goladilupo non cambia nulla. Non vedendo tornare né il fratello, né il capo delle sue guardie, né il prete, si chiederà quale legame esiste tra queste scomparse. Giuseppe sa che il conte sospetterà subito di lui. Probabilmente cercando Carlo troveranno i cadaveri di Goladilupo, di Antonio e anche quello di Martino, che Giuseppe ha ucciso prima di raggiungere il capanno. Il conte potrebbe pensare che ci siano stati contrasti tra gli uomini di Goladilupo e che siano stati alcuni banditi ribelli al capo a uccidere Carlo e magari anche il prete e Giuseppe stesso. Ma in ogni caso li farà cercare. Ha salvato il prete, ma se lo ritengono suo complice lo ammazzeranno di certo.

Se riusciranno ad allontanarsi, rimane il problema di che cosa fare dopo. Non ne hanno parlato: adesso quello che conta è non farsi beccare dagli uomini del conte o da quelli di Goladilupo. Giuseppe spera che Nicola abbia qualche appoggio a Napoli, qualcuno che possa aiutarlo. Lui si cercherà lavoro come uomo di fatica. Napoli è grande ed è facile scomparire nella città.

Giuseppe sa che è meglio riposare un po’. Anche domani li aspetta una lunga marcia. Si avvicina a Nicola. Lo guarda dormire. Lo intravede appena. È bello, quest’uomo. Giuseppe capisce il desiderio di Carlo. Anche lui desidera il prete. Ma non intende violentare nessuno.

 

È ancora buio quando Giuseppe decide di svegliare Nicola. Il prete ha dormito poche ore, ma devono bastargli.

- Venite, è ora di partire.

Nicola annuisce, ancora assonnato. Si alza. Giuseppe prosegue:

- Ho pensato un po’ e vi chiedo un impegno.

- Ditemi.

- Se ci cattureranno dovete dire che vi ho violentato al capanno e poi costretto a seguirmi.

- Vi ho già detto di no.

- Ascoltatemi: ho rischiato la vita per salvarvi. Se ci prendono voglio pensare che almeno voi vi salverete. Non fatemi crepare con il pensiero che è stato tutto inutile.

Nicola respira a fondo.

- Io… mi avete salvato. Non posso accusarvi.

- La scelta è tra morire tutti e due e morire io solo. Se ci ammazzano tutti e due, tutto quello che ho fatto non è servito a niente.

- Non mi chiedete di accusarvi.

C’è una supplica nella voce di Nicola.

- Sentite, spero che riusciremo a scamparla. Ma non voglio pensare che crepo per niente. Me lo dovete.

Nicola non dice nulla. Si morde il labbro inferiore. Sembra quasi avere le lacrime agli occhi. Giuseppe aggiunge:

- Giuratelo e poi ce ne andiamo e magari la scampiamo tutti e due. Ma se invece ci prendono, se so che voi siete salvo, creperò contento.

Giuseppe sa benissimo che non creperà contento: la vendetta del conte Filippo sarà terribile. Ma l’aver salvato Nicola sarà una gioia.

Nicola adesso ha davvero le lacrime agli occhi mentre dice:

- Lo farò.

Giuseppe vorrebbe accarezzarlo, ma ha paura che il suo gesto venga frainteso, forse teme di tradire il proprio desiderio.

- Grazie.

Mangiano un boccone delle provviste che Giuseppe ha portato con sé e si mettono in cammino, cercando di evitare il più possibile di incontrare qualcuno.

 

*

 

Nei tre giorni successivi camminano in continuazione. Terminate le poche provviste, la guardia si avvicina a qualche villaggio per acquistare un po’ di cibo. Nicola rimane nascosto. Infine Giuseppe ritiene di essere abbastanza lontano da Roccanera.

Il quarto mattino, quando si svegliano, Giuseppe dice:

- Ora dobbiamo lavarci e sistemarci il meglio possibile. Non dobbiamo sembrare due fuggiaschi. Voi potete lavarvi qui. Io mi sposto più in là.

Nicola annuisce.

Nicola si spoglia e si immerge nell’acqua. Il pensiero che Giuseppe non è lontano lo turba un po’. Non è che lo stia spiando? No, non è possibile. Nicola si lava a fondo, poi riemerge.

Passa parecchio tempo prima che Giuseppe ritorni. È a torso nudo e per un attimo Nicola non lo riconosce: Giuseppe si è tagliato la barba e i suoi lineamenti appaiono del tutto diversi. Non ha un bel viso, Giuseppe. Con la barba stava meglio, ma adesso quello che conta è non essere identificabili. Nicola sorride.

- Così nessuno vi può riconoscere.

- Lo spero. Adesso però vi ritogliete quella camicia: mentre lavo la vostra, lavo anche la mia.

Nicola scuote la testa.

- Le lavo tutt’e due io. Sono in grado di farlo.

- No, se qualcuno arrivasse, che cosa penserebbe vedendo il nobile signore che lava la camicia del servitore? Da qui in poi voi siete un giovane nobile che ha dovuto allontanarsi dalla famiglia per qualche questione di donne e io il servitore che vi accompagna e ha il compito di proteggervi.

Nicola scuote la testa: Giuseppe fa da guida, va a comprare il cibo, adesso lava anche le camicie. Gli spiace che sia lui a fare tutto, ma sa che ha ragione.

Vedere Giuseppe a torso nudo turba Nicola. Quest’uomo possente lo attrae. Nicola cerca di non fissarlo troppo a lungo.

Quando Giuseppe ha finito, stende le camicie ad asciugare al sole e si siede vicino a Nicola.

- Ormai non ci raggiungeranno più, di certo non hanno trovato le nostre tracce. O le hanno perse.

Nicola non si stupisce: il giorno successivo alla morte di Carlo, Giuseppe ha fatto in modo di confondere le loro tracce e seminare eventuali inseguitori.

Nicola guarda Giuseppe:

- E adesso?

- E adesso dovete dirmi che cosa contate di fare. Chi vi può aiutare, in questa situazione? Se avete appoggi potenti da qualche parte, un luogo dove potete rifugiarvi, vedremo come raggiungerlo.

Nicola sorride, un sorriso amaro. Non sarebbe stato mandato a Roccanera, se avesse avuto appoggi potenti.

- Non ho nessuno, non so davvero a chi potrei rivolgermi.

Legge in viso a Giuseppe la preoccupazione. Forse la guardia sperava che lui fosse in grado di aiutarlo a nascondersi.

- Don Nicola, che cosa avete pensato di fare?

Nicola ha avuto tempo per riflettere in questi tre giorni: è vissuto immerso nei suoi pensieri, non hanno parlato quasi mai. Giuseppe sembra essere di poche parole e Nicola aveva paura di disturbarlo. Hanno scambiato appena qualche frase dettata dalle necessità del momento.

Nicola china il capo.

- Non lo so. Non lo so. Me lo sono chiesto anche prima, quando stavo viaggiando verso Roccanera. Mi sono chiesto dove sarei potuto andare se fossi fuggito.

- La Chiesa non vi può proteggere? Potreste rimanere in un monastero per un po’ di tempo, in attesa che la situazione cambi.

Nicola sorride di nuovo, lo stesso sorriso desolato.

- Ho solo nemici. Io…

Nicola vorrebbe raccontare, sgravarsi del peso che lo schiaccia. Ma che cosa può importare a quest’uomo della sua storia? Guarda Giuseppe negli occhi e dice:

- Giuseppe, sentitemi. Cercate di provvedere a voi stesso, mettetevi in salvo. Non vi preoccupate di me. In qualche modo… io…

Nicola ha un momento di scoramento. Perché quest’uomo lo ha salvato? Se non fosse intervenuto, ora sarebbe morto e la sua sofferenza sarebbe finita. Giuseppe ha rischiato la sua vita solo per prolungare la sua sofferenza.

Giuseppe alza le spalle.

- Io me la posso cavare, un uomo di fatica qualche lavoro lo trova. Ma voi?

Nicola scuote la testa.

- Non lo so, non lo so.

Di colpo Nicola ha voglia di mettersi a piangere. Forse Giuseppe intuisce, perché non insiste.

- Va bene se andiamo a Napoli? Qualcuno potrebbe riconoscervi, ma è più facile sparire in una grande città come Napoli che nei piccoli centri del regno. E poi, man mano che vi cresce la barba, la vostra faccia cambia.

Giuseppe scuote la testa e aggiunge, sorridendo:

- Ma rimane sempre troppo bella. La gente vi guarderà.

Nicola non sa che dire. Non risponde. Giuseppe prosegue:

- Ci presenteremo come un nobile impoverito e il suo servitore in cerca di fortuna a Napoli.

Nicola annuisce.

- Sì, va bene.

- Allora tra un’oretta ci muoviamo. Le camicie non saranno ancora asciutte, ma non è un problema, si asciugheranno a contatto con la pelle.

- Sì, va bene.

“Sì, va bene”. Nicola non riesce a dire altro. Si rende conto che deve reagire, affrontare la nuova situazione che si è creata, ma è disorientato e timoroso.

 

 

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