Il Serraglio

 

Immagine7b.jpg

 

Suleyman ha mandato un messaggio a Dilar, chiedendo di essere ricevuto per offrirgli un sontuoso regalo. Sa che Dilar è un uomo avido e certamente accetterà di incontrarlo rapidamente. In effetti gli viene concessa udienza per il pomeriggio stesso.

Suleyman arriva a palazzo con Giuseppe e quattro dei suoi uomini. Giuseppe sembra docile: non ha cercato di ribellarsi o di scappare. Non ci sarebbe riuscito in nessun caso, ma Suleyman è contento di trovarlo disponibile. Accontenterà Dilar e in questo modo Suleyman riuscirà a ottenere il suo appoggio.

Le guardie del corpo di Suleyman rimangono fuori e il corsaro entra con lo schiavo che intende regalare.

Nella sala delle udienze in cui Dilar riceve Suleyman ci sono quattro uomini armati. L’eunuco è prudente, anche se di certo Suleyman non potrebbe pensare di ucciderlo nel Serraglio: verrebbe impalato.

Suleyman si inchina. Disprezza l’uomo davanti a cui deve piegare la testa, ma ne conosce il potere e ha bisogno del suo appoggio.

- Dilar pascià, mi scuso se mi sono permesso di disturbarvi. Come vi ho scritto, desidero offrirvi un regalo.

Dilar sorride.

- È un piacere per me ricevervi, Suleyman effendi. Il vostro nome è conosciuto e onorato in tutto il territorio dell’impero.

Suleyman si inchina di nuovo, ringraziando, come se non sapessero entrambi che Dilar l’ha ricevuto solo per il dono promesso.

- Eccellenza, l’umile dono che ho il piacere di porgervi è certamente indegno di un uomo della vostra posizione, ma confido nella vostra bontà.

Dilar sorride. Di certo si sta chiedendo di che dono si tratta, visto che Suleyman non sembra avere tra le mani niente e anche lo schiavo che ha portato con sé è a mani vuote. Suleyman nota che ogni tanto Dilar lancia un’occhiata a Giuseppe. Deve avere l’acquolina in bocca.

Suleyman prosegue:

- Il mio umile dono, indegno del grande Dilar pascià, è uno schiavo, che ho scelto tra molti.

Suleyman fa un cenno a Giuseppe, che avanza e si inchina fino a terra, come Suleyman gli ha detto di fare.

- Yusuf viene dall’Italia e conosce poco il turco, ma è il maschio più forte e vigoroso che io abbia mai incontrato nella mia vita. Non ha rivali delle contese d’amore e, se vi degnate di accettarlo, è vostro. Per me sarebbe un grande onore se vi abbassaste a ricevere questo misero dono.

Gli occhi dell’eunuco brillano. Il dono è di certo gradito. Ma su questo Suleyman non aveva dubbi.

- Vi ringrazio della vostra cortesia. Davvero non avreste dovuto disturbarvi. Conosco il vostro valore.

 

*

 

Giuseppe sa che si sta parlando di lui. Non è in grado di seguire il discorso di Suleyman e Dilar, ma coglie alcune parole e talvolta il senso di una frase.

Senza farsi notare, Giuseppe osserva con attenzione Dilar. Si aspettava un eunuco vecchio e brutto come quello che ha visto per le strade, ma quest’uomo non sembra avere più di quarant’anni e ha lineamenti regolari. Non appare neppure effeminato e ha la barba, anche se corta e piuttosto rada. Giuseppe è perplesso: il conte gli ha detto che gli eunuchi non hanno peli. Dilar è davvero un eunuco? 

Giuseppe guarda la sala. Il mobilio è molto ridotto, ma il pavimento è coperto di lussuosi tappeti, su cui sono stati messi diversi cuscini, e le pareti sono ricoperte da piastrelle con motivi floreali.

Il dialogo tra Suleyman e Dilar volge al termine. Infine Suleyman se ne va. Dilar si alza e si rivolge a lui.

- Seguimi, Yusuf.

Giuseppe è in grado di capire un ordine semplice come questo.

- Sì, Dilar pascià.

Suleyman gli ha detto che deve rivolgersi a Dilar in questo modo. Giuseppe non intende irritare l’eunuco. Durante il viaggio da Edirne a Costantinopoli ha avuto un’idea e ha elaborato un piano. È un azzardo, un grosso azzardo, ma è l’unica possibilità che ha di salvare il conte e far morire Suleyman. Forse morirà anche lui, ma questo non ha nessuna importanza, se riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi.

Giuseppe segue Dilar lungo un corridoio e poi passa in una stanza ampia, anch’essa con diversi tappeti sul pavimento e le pareti decorate. In mezzo al locale c’è un letto.

Le guardie che hanno seguito Giuseppe e l’eunuco si fermano sulla soglia; Dilar accosta la porta, senza chiuderla completamente. Giuseppe sa che al primo sospetto Dilar chiamerebbe i suoi uomini. Ma Giuseppe intende mostrarsi docile.

Dilar rimane vicino alla porta.

- Spogliati, Yusuf.

Giuseppe incomincia a togliersi quello che ha addosso, fino a rimanere nudo davanti a Dilar. Tiene la testa un po’ china, per mostrarsi docile e sottomesso.

 

*

 

Spalle larghe, un torace possente, braccia e gambe forti, un cazzo da cavallo. Dilar non ha mai visto un simile maschio. Di certo tra i soldati e le guardie non mancano uomini magnifici, ma uno così…

Il regalo di Suleyman è davvero degno di un sultano. Forse al sultano Ibrahim non spiacerebbe provarlo: il giovane sovrano non rifugge da nessuno dei piaceri della carne. Ma Dilar non conta di farglielo vedere: Dilar sa che Ibrahim si è fatto cavalcare da qualche focoso stallone, ma coloro che hanno avuto questo onore, lo hanno pagato con la vita. E Dilar non intende certo rinunciare a questo maschio possente.

Dilar vorrebbe provare subito questo magnifico toro da monta, ma è troppo presto, il sultano potrebbe chiamarlo e Ibrahim non tollera ritardi. Il sultano può chiamarlo anche nel cuore della notte, ma questo avviene con minore frequenza.

- Puoi rivestirti, Yusuf.

Yusuf si riveste, in silenzio. Capisce gli ordini. Questa è una buona cosa.

- Questa notte ti farò chiamare, ma adesso i miei uomini ti condurranno nelle stanze destinate agli schiavi.

Yusuf lo guarda e annuisce, incerto. Probabilmente non è sicuro di aver capito.

Dilar chiama due guardie e dà le istruzioni necessarie. Yusuf dormirà con gli altri schiavi maschi, in una camera non lontano da quella dell’eunuco, ma, come tutti, potrà raggiungere la stanza in cui dorme Dilar solo quando questi lo chiamerà.

Yusuf segue le guardie. È docile: questa è un’ottima cosa. A volte questi uomini molto forti sono propensi a ribellarsi.

 

È ormai notte quando Dilar fa chiamare il suo nuovo schiavo. Dilar si è già spogliato e coricato. Una lampada a olio arde vicino al letto.

Yusuf arriva. Dilar dice alle guardie di rimanere davanti alla porta. Non occorre avvisarle di essere pronte a intervenire: conoscono i loro compiti.

- Spogliati, Yusuf.

Come nel pomeriggio, Yusuf si spoglia. La luce della lampada mette in risalto il vigore dei muscoli. Quest’uomo è un prodigio, sembra una creatura divina, uno spirito di quelli che compaiono nelle fiabe.

Dilar si mette prono e dice:

- Prepara la strada e prendimi, Yusuf.

Yusuf incomincia ad accarezzargli il culo. Due volte passa il pollice della destra lungo il solco, indugiando un attimo sull’apertura. Poi le mani stringono con forza, facendo un po’ male. Yusuf avvicina la bocca e morde il culo di Dilar, piccoli morsi leggeri. Poi l’eunuco sente le dita di Yusuf accarezzare l’apertura e dilatarla. Le dita si infilano dentro, spargendo un po’ di saliva. Dilar sorride: questo maschio ci sa fare.

Le mani di Yusuf si posano sulla schiena di Dilar, scivolano di lato, scendono fino al petto. E intanto Dilar sente la poderosa mazza del cristiano premere contro l’apertura e con grande lentezza farsi strada dentro di lui.

Yusuf avanza piano, ma inesorabile, fino in fondo.

Le mani di Yusuf scorrono lungo la schiena, stringono il culo, ora carezze delicate, ora una morsa ferrea. E il cazzo superbo si muove avanti e indietro, implacabile, dilatando le viscere di Dilar come non gli era mai successo, regalandogli un piacere che cresce a ogni minuto.

Yusuf procede, instancabile, come se le sue forze fossero inesauribili. È davvero una creatura magica, questo cristiano che lo cavalca. Dilar sente ondate di piacere salire dal suo culo e diffondersi in tutto il corpo. E infine Yusuf viene, dentro di lui, con un’ultima serie di spinte vigorose.

È stato splendido. Dilar vuole provare ancora.

- Rimani dentro di me.

Yusuf obbedisce.

Dopo un po’ il cazzo riprende consistenza. È bellissimo sentirlo crescere dentro il culo, sempre più grande e più duro. La nuova cavalcata dura ancora più a lungo della prima. A Dilar a tratti sembra di svenire, mentre il piacere cresce e lo travolge.

Quando infine Dilar si addormenta, è esausto. Non manda Yusuf nella camera degli schiavi. Domani mattina vuole sentire ancora lo sperone di questo maschio vigoroso.

 

*

 

Giuseppe sente la voce di Dilar che lo chiama. Il suo padrone vuole di nuovo essere cavalcato. Giuseppe intende soddisfarlo. Ha cercato di dare il meglio di sé ieri sera e questa mattina non vuole essere da meno. Ara con cura il campo che gli si offre, assicurandosi che il suo padrone sia del tutto soddisfatto. E i gemiti di Dilar non lasciano nessun dubbio sul risultato ottenuto da Giuseppe.

Quando hanno concluso, Dilar gli dice:

- Rivestiti e raggiungi gli altri schiavi. Ti daranno la colazione.

Parla lentamente, per farsi capire. Giuseppe ha compreso, ma ha altre intenzioni. Ha scelto di giocare la sua carta e sa che è meglio non aspettare troppo: il conte potrebbe decidere di agire e rischiare la vita. E il piano che ha architettato non potrebbe in ogni caso essere rinviato a lungo. Il problema è la lingua. Se la cava, ma non è in grado di fare un discorso articolato e molti termini gli mancano.

Dice:

- Eccellenza, devo parlare voi.

Dilar aggrotta la fronte.

Giuseppe si alza, prende la giacca e sfila la boccetta di veleno: lo hanno perquisito alla ricerca di armi, ma la boccetta era minuscola ed è sfuggita.

Giuseppe la porge a Dilar, che la guarda, senza capire. Giuseppe dice:

- Veleno.

- Veleno?

L’eunuco incomincia a chiedere, ma Giuseppe non capisce, a parte due parole che vengono ripetute:

- Chi? Perché?

- Suleyman.

- Suleyman?

Giuseppe annuisce. Riprende la fiala, fa il gesto di versarla in uno dei bicchieri che sono sul vassoio accanto al letto. Porge il bicchiere a Dilar con un sorriso e un inchino.

- Eccellenza bere, eccellenza morto. Suleyman volere eccellenza morto.

Dilar appare impassibile, ma c’è una tensione nella mascella che non lascia dubbi. Dilar pensa che quello che Giuseppe racconta sia vero. E perché non dovrebbe credergli? Anche se sospettasse che Giuseppe vuole vendicarsi di Suleyman per qualche motivo, che spiegazione potrebbe dare della boccetta di veleno? 

Dilar dice:

- Aspetta qui. Rivestiti.

Dilar si riveste in fretta, senza lavarsi. Esce.

Ritorna venti minuti dopo con un uomo, che si rivolge a Giuseppe in italiano:

- Tu parli italiano?

- Sì, sono di Napoli. Parlo italiano.

Evidentemente Dilar si è procurato qualcuno in grado di tradurre. Dilar pone domande all’uomo, che traduce prima le domande di Dilar e poi le risposte di Giuseppe.

Giuseppe ha riflettuto nei giorni scorsi su tutti i dettagli e risponde senza esitare.

- Tu dici che Suleyman vuole uccidere Dilar pascià.

- Sì. Suleyman mi ha catturato e reso schiavo. Poi mi ha detto che potevo scegliere tra una morte tremenda, con il palo in culo, e ricchezza e libertà.

Dopo aver tradotto, l’uomo gli dice di proseguire:

- Mi ha anche avvisato che non avrei potuto tirarmi indietro. Io non avevo molta scelta e gli ho detto che preferivo la ricchezza e la libertà a una morte orribile. Allora lui mi ha spiegato che mi avrebbe regalato a Dilar pascià. Avrei dovuto conquistare la sua fiducia e poi, senza farmi scoprire, scegliendo il momento giusto, versare il veleno nel suo bicchiere. In questo modo Dilar pascià sarebbe morto. Suleyman era sicuro che nessuno avrebbe capito che ad avvelenarlo ero stato io, diceva che Dilar pascià ha tanti nemici qui a palazzo. Suleyman assicurava che mi avrebbe riscattato e ricompensato generosamente. Ha detto di avere degli amici a corte, che l’avrebbero aiutato in questo.

L’uomo traduce e l’eunuco pone alcune domande.

- Dilar pascià vuole sapere se Suleyman ti ha detto perché voleva ucciderlo?

- No, ha solo detto che Dilar pascià era troppo potente e che gli impediva di ottenere ciò che voleva, ma non so che cosa fosse.

- Perché hai deciso di non fare quello che ti è stato chiesto?

- Non ho mai ammazzato nessuno e non intendo farlo ora. Perché dovrei ammazzare Dilar pascià, che non mi ha mai fatto niente? E poi non mi fido di Suleyman: è un uomo sleale.

L’uomo traduce, Dilar annuisce.

Giuseppe sa benissimo che il suo piano ha diversi punti deboli. Se davvero Suleyman avesse inviato Giuseppe per uccidere Dilar, avrebbe corso un rischio gravissimo: facilmente avrebbero sospettato di Giuseppe, che sarebbe stato torturato e avrebbe finito per rivelare il nome di Suleyman. Ma Giuseppe conta sul fatto che a palazzo un semplice sospetto è sufficiente per provocare la morte di un uomo. Forse anche lui verrà messo a morte, Giuseppe lo sa. Ma gli preme soltanto far morire Suleyman, in modo che il suo padrone non corra rischi.

Dilar pone ancora una domanda, di cui Giuseppe coglie il senso:

- Quando avresti dovuto uccidermi?

- Suleyman mi ha detto di lasciar passare qualche giorno, quattro o cinque, in modo da conquistare la vostra fiducia e riuscire a cogliere il momento giusto per avvelenarvi senza che voi ve ne accorgeste.

Il traduttore riferisce la risposta a Dilar.

Dilar fissa Giuseppe, che non abbassa lo sguardo.

- Raggiungi gli altri servitori, Giuseppe, ma non dire una parola a nessuno. Ne va della tua vita.

 

*

 

Yusuf potrebbe essersi inventato tutta la storia per vendicarsi di Suleyman, per qualche torto subito, magari anche solo per essere stato catturato. Ma come spiegare la boccetta del veleno? Uno schiavo non va in giro con una fiala di veleno cucita nella giacca. Cucita tanto bene che neppure le guardie se ne sono accorte. No, Yusuf non mente. Suleyman ha capito che Dilar non intende appoggiarlo e ha giocato la sua carta: eliminarlo, in modo da ingraziarsi i suoi nemici e ottenere attraverso di loro ciò a cui mira.

Dilar potrebbe denunciare al sultano il corsaro, ma Ibrahim non ama essere disturbato per faccende di questo genere. La madre del sultano, che di fatto comanda al posto suo, non può vedere Dilar, le dà fastidio l’ascendente che l’eunuco si è conquistato su Ibrahim. E Yusuf rischierebbe di venire torturato, per capire se dice la verità. A Dilar questo non va bene. Preferisce ricorrere a un’altra soluzione.

 

L’invito per Suleyman giunge a mezzogiorno. Il corsaro deve presentarsi tre ore dopo a colloquio da Dilar.

Suleyman arriva puntuale. Dopo i saluti, Suleyman chiede:

- Mi avete fatto chiamare, Dilar pascià?

- Sì, Suleyman effendi. Volevo ringraziarvi per il vostro splendido regalo, che ho avuto modo di apprezzare.

- Sono molto onorato di sapere che avete gradito il mio umile dono.

- Un dono davvero regale.

Suleyman si inchina. Probabilmente si chiede se Dilar lo ha fatto chiamare solo per ringraziarlo.

Dopo aver detto ai servitori di servire da bere, Dilar aggiunge:

- Credo che il sultano accetterà la vostra richiesta di un colloquio. Tra due giorni, nel pomeriggio. Vi comunicherò l’ora precisa.

Il volto di Suleyman si illumina, mentre beve.

- Vi ringrazio, Dilar pascià. 

C’è ancora uno scambio di cortesie, poi Suleyman capisce che è ora di congedarsi. Si inchina, ringraziando ancora, e si allontana.

 

*

 

Suleyman si sveglia prima dell’alba. Ha sete, una sete terribile. Vorrebbe mettersi a sedere, ma quando prova a farlo, la testa gli gira ed è costretto a stendersi nuovamente. Chiama:

- Otman!

Il servitore accorre.

- Dammi da bere, Otman.

Otman porta un bicchiere d’acqua e Suleyman prova di nuovo a mettersi a sedere, senza riuscirci.

- Non sto bene, Otman. Aiutami a mettermi seduto.

Otman gli passa un braccio dietro le spalle e lo sostiene, mentre gli porge il bicchiere. Suleyman cerca di prenderlo, ma gli cade di mano.

- Scusate, effendi, vado a prenderne un altro.

Suleyman chiude gli occhi: gli sembra che il mondo intorno a lui giri vorticosamente.

Otman ritorna con un altro bicchiere, aiuta Suleyman a mettersi a sedere e gli avvicina il bicchiere alle labbra.

Suleyman riesce a inghiottire un po’ d’acqua, ma la vomita subito.

- Sto male, Otman, fa’ chiamare un medico.

Otman aiuta Suleyman ad appoggiarsi ai cuscini e sveglia un servo perché corra a chiamare un medico.

Suleyman ormai respira a fatica.

- Ot…man

Non riesce ad articolare bene le parole. Otman si avvicina e lo guarda, preoccupato. 

- Rimanete tranquillo, effendi. Ho mandato a chiamare il medico. Tra poco sarà qui.

Suleyman ansima. Dopo un po’ però il respiro diventa meno irregolare, ma Suleyman si rende conto di non riuscire più a vedere bene: scorge solo ombre. A tratti perde i sensi, poi si risveglia. Ogni volta gli sembra di essere rimasto incosciente a lungo, ma in realtà si tratti di periodi brevissimi.

Infine il medico arriva. Suleyman non riesce a distinguerne i lineamenti, vede soltanto una sagoma scura.

Il medico pone alcune domande. Con fatica Suleyman ne afferra il senso. Si sforza di parlare, ma non ci riesce. Gli sembra che la lingua si sia intorpidita. Fa di nuovo fatica a respirare, ora. Il medico si rivolge a Otman:

- Quando ha mangiato o bevuto per l’ultima volta?

- Ieri sera.

Il medico scuote la testa.

- Sono passate troppe ore perché abbia senso cercare di farlo vomitare. In queste condizioni potrebbe essere fatale.

Mangiato, bevuto… Suleyman pensa alla bevanda che gli ha offerto Dilar. Potrebbe… potrebbe averlo avvelenato? È questo che pensa il medico?

Suleyman perde i sensi. In mattinata alterna rari momenti di lucidità, in cui però non riesce più a parlare, e lunghi periodi di sonno letargico. Verso mezzogiorno perde definitivamente coscienza, ma muore solo nel pomeriggio.

 

*

 

Giuseppe è in uno dei locali destinati agli schiavi. Uno dei servitori di Dilar gli parla e Giuseppe cerca di capire che cosa gli sta dicendo, ma la sua mente è altrove.

Ieri mattina ha raccontato a Dilar del piano di Suleyman. Sa che nel pomeriggio Suleyman è stato ricevuto dall’eunuco, ma il corsaro non è stato arrestato. Dilar si è convinto che Suleyman è innocente e ha capito che Giuseppe ha mentito?

Ieri sera Dilar sembrava soddisfatto e per nulla diffidente nei confronti di Giuseppe. Si è fatto prendere due volte e una terza in mattinata, al risveglio.

Giuseppe ha preferito non chiedere nulla, ma è sui carboni ardenti. Se il suo piano non ha funzionato, il conte è in pericolo e lui non potrà più aiutarlo.

La sera Dilar lo fa chiamare. È sorridente. Giuseppe dice:

- Eccellenza contento.

- Sì, Yusuf. Sono contento. Allah è grande e colpisce i nemici dei giusti. Il corsaro Suleyman pensava di poter sfuggire alla giustizia, ma Allah lo ha punito.

Giuseppe ha capito solo una parte del discorso, ma ne ha intuito il senso.

- Suleyman morto?

- Sì, Suleyman morto. Non ti pentirai di aver rivelato il suo piano, Yusuf. Adesso prendimi, Yusuf.

Giuseppe si sente felice. È prigioniero, non rivedrà mai più il suo padrone, ma José de Olivares è salvo.

 

*

 

Nel Serraglio! Giuseppe nel Serraglio. Ed Enrique morto, probabilmente avvelenato.

A José pare di impazzire.

Non è stato facile ricostruire quello che è successo, ma infine José ci è riuscito. Giuseppe ha lasciato Edirne con Enrique, di certo pensando di poterlo uccidere. Enrique l’ha catturato e l’ha regalato, come uno schiavo, all’eunuco Dilar. E adesso Giuseppe è schiavo di un eunuco potente e feroce, in un luogo in cui neppure tutta la ricchezza di José de Olivares può permettergli di entrare.

José non sa come è morto Enrique, chi gli ha dato il veleno, se di veleno si tratta. Ma è sicuro che sia stato Giuseppe a provocare questa morte, per salvare lui. Ma adesso è lui che deve salvare Giuseppe, a ogni costo.

José non può agire da solo: ha bisogno di qualcuno di cui può fidarsi pienamente. Scrive ad Alonso di venire immediatamente a Costantinopoli, con un altro uomo di fiducia. Più persone sono probabilmente inutili: non possono certo pensare di entrare a forza nella residenza del Sultano.

 

*

 

Giuseppe si è svegliato un po’ prima di Dilar. Anche questa notte lo ha posseduto due volte. Dilar non lo rimanda a dormire con gli altri servitori, lo tiene tutta la notte accanto a sé. Solo di giorno Giuseppe rimane con il personale al servizio dell’eunuco, ma non ha nessun compito. Aiuta un po’ gli altri e intanto parla molto con loro, imparando il turco. Non ha altro da fare.

Due mesi sono passati da quando Giuseppe è entrato al Serraglio. Due mesi in cui non è mai uscito e non ha potuto ricevere notizie dall’esterno, né darne. Ma a chi potrebbe darne, ormai? José de Olivares è senz’altro tornato a Napoli. Giuseppe sa di averlo salvato dalla morte e questo lo aiuta a vivere, ma non è sufficiente.

A lungo ha sperato di riuscire a fuggire, ma non gli si è mai presentata un’occasione e i discorsi degli altri servitori gli hanno fatto capire che ogni tentativo di fuga sarebbe destinato a fallire e lo porterebbe a morte certa.

Giuseppe vorrebbe almeno poter far sapere al conte dove si trova, anche se non cambierebbe nulla, ma non gli è permesso uscire.

Giuseppe guarda Dilar che dorme. Scopare con quest’uomo, mangiare, bere, dormire, chiacchierare, vivere comodamente senza dover pensare a nulla. Per molti sarebbe una vita piacevole. Per Giuseppe è una sofferenza. Si rende conto di sprofondare in una tristezza che cerca di nascondere quando è con gli altri, ma che nei momenti di solitudine riaffiora prepotente.

Ora Giuseppe comprende lo stato d’animo di Nicola a Napoli. Non gli era mai capitato di sentirsi come in questi mesi. Nicola aveva molti motivi per essere triste e preoccupato. Anche Giuseppe sa di non poter vivere tranquillo: Dilar può stufarsi di lui o può essere ucciso in una delle innumerevoli congiure di palazzo e in questo caso anche la vita di Giuseppe è a rischio. Ma non è questo ad angosciarlo. È il pensiero, ossessivo, di José de Olivares, dell’uomo che ama e che non rivedrà mai più.

Dilar si sveglia e gli sorride:

- Yusuf.

Giuseppe si rende conto che per Dilar lui non è più solo uno strumento per raggiungere il piacere: l’eunuco non è certo innamorato di lui, ma gli è realmente affezionato. Ora che ama, Giuseppe ha imparato a riconoscere i sentimenti degli altri. Ma l’uomo che ama è lontano, oltre le mura, oltre il mare. Quando camminavano fianco a fianco esisteva tra loro un limite invalicabile, ma ora sono lontanissimi, senza speranza di rivedersi.

 

*

 

Alonso è arrivato a Costantinopoli insieme a Juan. Due uomini su cui José sa di poter contare pienamente.

José de Olivares è costantemente informato di ciò che avviene al Serraglio: pagando non è difficile ottenere qualche notizia. Giuseppe, che ormai viene chiamato Yusuf, è l’uomo dell’eunuco Dilar, che ormai dorme con lui tutte le notti.

José scopre turbato che perfino questo rapporto lo fa soffrire, anche se è sicuro che Giuseppe non l’ha scelto. José non pensava che sarebbe mai arrivato a tanto!

Di Dilar José de Olivares ormai sa tutto: in questo momento l’eunuco è l’uomo più potente del regno, perché ha il favore del sovrano. Ma il sultano Ibrahim è soggetto a bruschi cambiamenti d’umore e nessuno dei suoi consiglieri prediletti ha conservato a lungo la propria posizione. Dilar sta troppo in alto perché José possa trovare un mezzo per costringerlo a liberare Giuseppe: José dovrebbe poter raggiungere il sultano stesso, ma questo è impossibile.

Raccogliendo informazioni su Dilar, José ha scoperto che Asuman, il governatore di Smirne che hanno visto ai giochi di Edirne, è suo cugino e che i due sono molto legati. Asuman conduce una vita molto fastosa e spende grandi somme. Per questo ha anche aumentato le tasse nella città, provocando un forte malcontento. José si chiede se non sia possibile mettersi in contatto con Asuman, offrendogli una grande somma di denaro in cambio di un aiuto. Ma che aiuto può fornire Asuman? Se davvero Dilar è attaccato a Giuseppe come dicono, certamente non vorrà privarsene.

José vorrebbe almeno poter parlare con Giuseppe.

 

*

 

È bello svegliarsi accanto a Yusuf. È bello dormire accanto a Yusuf. Da molto tempo Dilar non dormiva regolarmente accanto a qualcuno. Preferiva non avere nessuno al suo fianco. Non si fidava. Di Yusuf Dilar si fida pienamente, sa che non lo ucciderebbe. Yusuf è un uomo semplice e leale, come è difficile trovarne a palazzo. Non è avido: non chiede mai nulla, né doni, né favori per sé, né punizioni per altri.

Yusuf si alza per pisciare. Dilar ne ammira il corpo, forte e intatto. Il pensiero di Dilar va a un tempo ormai lontano, in cui anche il suo corpo era integro.

Yusuf torna a stendersi accanto a lui.

- Non sono diventato eunuco da bambino. Avevo vent’anni. Sono di sangue reale, il sultano Ibrahim è un mio lontano cugino. Quando suo fratello, il sultano Murad IV, salì al trono, fece strangolare i parenti che avrebbero potuto volere la sua morte per prendere il suo posto: ordinò di uccidere quattro dei suoi fratelli e risparmiò Ibrahim solo per le suppliche di sua madre, Kosem, che era anche madre di Ibrahim.

Yusuf ascolta con attenzione. Dilar non sa perché gli racconta queste cose.

- Io ero solo un cugino e mi fu data la possibilità di scegliere: la castrazione o il laccio. Scelsi di vivere. Nei lunghi anni di regno di Murad rimasi nell’ombra: sapevo benissimo che sarebbe bastato un semplice sospetto per finire come i fratelli del sultano, anche se come eunuco non potevo aspirare a salire sul trono. Mi capisci, Yusuf?

- Sì, Dilar pascià.

- Ibrahim salì al trono alla morte di Murad. Nei primi anni si occupò attivamente del governo dell’Impero, facendosi guidare dal visir Kara Mustafa. Ma poi Ibrahim incominciò a scoprire i piaceri della carne, si lasciò influenzare da altri per cui Kara Mustafa era solo un ostacolo ai loro piani. Il visir finì per essere giustiziato, ma anche coloro che avevano conquistato il suo favore finirono per perderlo e subirono la stessa sorte. Ho approfittato della loro rovina per farmi avanti. Adesso è il mio turno, la mia parola decide della vita e della morte di molti. Ma so bene che, proprio perché sono in alto, il momento in cui precipiterò è vicino.

 

*

 

Giuseppe è stupito della confidenza di Dilar. Ormai capisce bene il turco e ha colto il senso del discorso: solo alcuni dettagli gli sono sfuggiti. Dilar gli ha parlato perché sa che lui non riferirà mai a nessuno ciò che ha detto.

Giuseppe sa che Dilar si trova bene con lui, con cui non deve stare sempre in guardia. L’eunuco non è innamorato di lui, di questo Giuseppe è sicuro, ma gli è affezionato.

A Giuseppe di Dilar non importa nulla. È un padrone migliore di Luca del Cerreto, certo. Non lo umilia in continuazione e nei suoi confronti si rivela generoso. Ma nel cuore di Giuseppe c'è posto per un solo uomo.

Giuseppe si dice che non rivedrà mai José de Olivares. E quando lo pensa, l'angoscia lo inghiotte.

 

*

 

José ha deciso di partire per Smirne. Forse non otterrà nulla da Asuman, ma sono passati quasi tre mesi, tre mesi a Costantinopoli senza poter fare nulla. José ha l’impressione che impazzirà, se non riuscirà a fare qualche cosa.

Alonso e Juan rimarranno a Costantinopoli, con molto denaro e la possibilità di avere un credito illimitato dai banchieri genovesi presenti a Galata: se riusciranno a liberare Giuseppe, avviseranno José e ripartiranno immediatamente per Napoli. José li raggiungerà. In Alonso José ha piena fiducia: non solo gli è fedele, come anche Juan, ma ha un’ampia esperienza e ha dimostrato di riuscire a cavarsela in tante situazioni estreme.

 

José si imbarca su una nave diretta a Smirne. Sulla nave viaggia un notabile turco, che gli altri passeggeri chiamano Ikmet pascià e nei cui confronti tutti si dimostrano molto ossequiosi. José è l’unico cristiano. Ha detto di essere il conte Mendoza, un nobile spagnolo privo di grandi mezzi: non vuole farsi passare per mercante, perché rischierebbe di essere smentito quando si presenterà ad Asuman come un conte spagnolo; ma non vuole neppure che gli altri lo sappiano molto ricco. Con sé ha un solo servitore, Mahmut, un giovane turco che ha assunto a Costantinopoli, e poco denaro: dai banchieri genovesi, greci ed ebrei di Smirne potrà ritirarne quanto ne vuole, ha già predisposto tutto.

José ha modo di chiacchierare con alcuni dei passeggeri, che sono curiosi di conoscere questo spagnolo. Dai loro discorsi apprende che Ikmet pascià è favolosamente ricco e che viaggia con un vero tesoro: a Smirne intende organizzare una spedizione, sulla cui natura e destinazione nessuno sembra intenzionato a fornire chiarimenti. José non si stupisce: se si tratta di una spedizione contro territori cristiani, non ne parleranno certo a lui.

Ikmet pascià conosce Asuman, il governatore di Smirne. José cerca di capire quali possano essere i loro rapporti: potrebbe in qualche modo trovare in Ikmet un appoggio per i suoi piani? Non gli sembra facile, tanto più che Ikmet non gli si avvicina: è curioso, ma a porre le domande sono gli uomini del suo seguito. Né lui, né il figlio Umur, rivolgono mai la parola al cristiano.

Il viaggio procede senza problemi: il tempo si mantiene sereno e i venti favorevoli. Quando la nave ha appena superato Lesbo, dalla costa meridionale dell’isola sbuca un altro battello, che si avvicina rapidamente. I passeggeri lo guardano, stupiti. José intuisce: è una nave di corsari o pirati. Anche se non sono lontano da Costantinopoli e l’Egeo è ormai un mare turco, neppure quest’area è immune dalla pirateria che infesta il Mediterraneo. Possono essere corsari genovesi, veneziani o spagnoli: in questo caso forse José potrebbe ottenere più facilmente di essere liberato. Possono invece essere pirati che mirano solo al bottino e uccidono indiscriminatamente tutti coloro che catturano.

José ha l’impressione che il mondo gli crolli addosso. Non è possibile, non ora che deve salvare Giuseppe. Ha rischiato la vita tante volte, senza paura, ma non ora: non può morire o ritrovarsi prigioniero e dover rinunciare a salvare l’uomo che ama.

La nave non è attrezzata per sostenere una battaglia e una fuga è impossibile: il battello pirata è più veloce e sta riducendo la distanza che li separa.

Le guardie di Ikmet pascià vorrebbero provare a combattere, ma il comandante della nave si oppone: non hanno nessuna possibilità di avere la meglio e rischierebbero di venire massacrati senza ottenere nulla. Ikmet gli dà ragione.

Sono tutti sul ponte e stanno seguendo i rapidi progressi della nave che si avvicina, quando uno degli uomini di Ikmet mette la mano sull’impugnatura della scimitarra e si rivolge al suo padrone:

- Questo cane cristiano è di sicuro complice dei pirati. Mi permettete di tagliargli la gola, Ikmet pascià?

José arretra ed esclama:

- Non sono complice dei pirati. Non c’entro nulla.

Ikmet lo guarda, poi annuisce:

- Uccidilo: in ogni caso sarà un infedele in meno.

José tira fuori la spada e arretra rapidamente: sa di poter tenere a bada la guardia, ma se altri si uniranno a lui, non ha nessuna possibilità di salvezza.

L’uomo si lancia su José, convinto di riuscire a ucciderlo rapidamente, ma scopre di avere di fronte un avversario formidabile. José lo incalza, senza però perdere di vista gli altri, e alla fine lo ferisce al braccio, facendogli cadere la scimitarra.

José gli punta la spada alla gola e ripete:

- Non sono complice dei pirati!

Ikmet è chiaramente irritato. Dà un ordine secco:

- Uccidetelo e gettate il cadavere in mare.

José arretra rapidamente, poi si arrampica sulle sartie. Qui non può essere assalito da molti avversari insieme e ha più possibilità di tenerli a bada. Non sa quanto potrà reggere, ma la nave pirata sta per affiancare il vascello. Le guardie di Ikmet cercano di arrampicarsi per colpirlo, ma José li tiene facilmente a distanza e ne ferisce due. Per sua fortuna nessuno di loro pensa di andare a prendere una pistola, che sicuramente devono avere nelle cabine: sono ancora convinti di poter avere ragione di lui rapidamente.

Intanto i pirati hanno gettato le corde, unendo le due navi, e si lanciano sul ponte. Il comandante del vascello mercantile si rivolge a quello che sembra essere il capo dei pirati, un uomo sui cinquanta, alto e robusto, con una lunga barba e capelli corti, più bianchi che neri:

- Ci arrendiamo.

L’uomo annuisce e intima:

- Deponete tutti le armi.

Intanto guarda il combattimento, in cui José tiene a bada quattro uomini, impedendo loro di arrampicarsi sulle sartie.

- Anche voi!

Gli uomini esitano e guardano il loro padrone: aspettano da lui un ordine.

Ikmet pascià intima:

- Obbedite.

Gli uomini lasciano le armi, che vengono tutte raccolte dai pirati. Poi a tutti gli uomini vengono legate le mani dietro la schiena.

José è sceso dalle sartie e ha posato la spada e il pugnale: sa che anche lui deve obbedire all’ordine del capo dei pirati. Due pirati gli legano le mani, come hanno fatto con gli altri. La corda viene stretta con forza.

Il capo dei pirati si è avvicinato a Ikmet pascià.

- Tu sei Ikmet pascià, vero?

Ikmet non abbassa lo sguardo.

- Sì. E tu chi sei?

- Io sono lo Sparviero.

José ascolta il dialogo, senza darlo a vedere. Conosce lo Sparviero di fama e sa che ha a che fare con un pirata, un vero figlio di puttana, non meno feroce di Suleyman.

Ikmet pascià sembra essere impallidito. Anche lui conosce la fama dello Sparviero.

Mentre il dialogo prosegue, gli uomini dello Sparviero stanno legando le gambe di tutti i prigionieri. José intuisce che cosa intendono fare: non è la prima volta che succede. La sua vita è arrivata alla fine.

Lo Sparviero sorride, contento dell’effetto che il suo nome ha avuto sul notabile turco. Poi gli dice:

- So che viaggi con parecchio denaro.

Ikmet guarda José e dice:

- Te l’ha rivelato questo cane, vero?

José non ha avuto modo di parlare con nessuno, ma Ikmet crede davvero che lui sia una spia dello Sparviero e che gli abbia trasmesso informazioni.

Lo Sparviero guarda José, ghignando. Scrolla le spalle. Non gli importa nulla di lui.

Gli uomini dello Sparviero sono scesi sottocoperta e ora tornano con gli oggetti di valore, tra cui alcune casse piene d'oro. È un bottino davvero impressionante.

Lo Sparviero guarda le casse, sorridendo.

- Non c’è altro?

- No, è tutto.

Lo Sparviero si rivolge ai suoi uomini:

- Frugateli.

I pirati frugano addosso a ogni uomo, prendendo tutti gli oggetti di valore. Ikmet pascià e suo figlio hanno addosso una fortuna in gioielli.

Lo Sparviero si avvicina a José, che non è ancora stato perquisito, e lo fissa:

- Così pensavano che tu fossi uno dei miei uomini?!

José non abbassa lo sguardo. Conosce la fama dello Sparviero, sa che è noto per la sua ferocia e sa benissimo che tutti gli uomini catturati verranno uccisi. Ma non è certo mostrandosi pauroso che potrà salvarsi.

- Sì, perché sono l’unico cristiano.

Lo Sparviero lo guarda con attenzione. José gioca la sua unica carta. Non vale molto, lo sa benissimo: lo Sparviero non fa prigionieri, è un pirata che verrebbe giustiziato se venisse catturato dagli Spagnoli come dai Turchi. I prigionieri sono solo un impaccio.

- Posso riscattarmi. Sono un uomo di fiducia del conte-duca di Olivares. Mi ha mandato in missione a Smirne. Il mio padrone pagherà una bella somma per me.

Qualificarsi come il conte non è il caso. Ma suggerirgli che da questo prigioniero cristiano può ricavare denaro forse servirà.

- Non mi serve il suo denaro. Ma sei forte e deciso: tenevi testa a quattro di questi. Sei l’uomo che mi serve per sostituire quelli che sono morti nell’ultima impresa. Verrai con me.

José non ha scelta, nessuna.

- Va bene.

Lo Sparviero non ha nemmeno atteso la sua risposta. Si rivolge ai suoi uomini e grida, in francese:

- Gettateli tutti a mare. Tranne questo. Liberatelo.

Si guarda intorno e poi dice:

- E tranne il ragazzo.

Il ragazzo è Umur, il figlio di Ikmet.

Quasi nessuno dei turchi ha capito la frase dello Sparviero, ma quando i pirati sollevano i primi uomini e li scagliano oltre la fiancata, si alza un grido di orrore. Alcuni lanciano maledizioni, altri chiedono pietà, qualcuno si rivolge ad Allah. I pirati eseguono il loro compito senza preoccuparsi delle grida. Ikmet si lascia cadere in ginocchio:

- Posso pagare molto di più di quanto c’è nelle casse. Molto di più. No! No!

Ikmet urla ancora, mentre i pirati lo sollevano e lo lasciano ricadere in mare. Un uomo colpisce con una testata uno dei pirati. Lo mandano a terra e lo prendono a calci in faccia e ai coglioni, finché non perde i sensi. Poi lo sollevano e gettano anche lui in mare.

I prigionieri hanno tutti i polsi e le caviglie legati: nessuno di loro può salvarsi. Per quanto si dibattano, affogano in fretta. I loro corpi saranno divorati dai pesci.

José si impone una maschera di indifferenza. La manovra si svolge in fretta: i pirati l’hanno già fatto molte volte. In breve le urla si spengono. Dei passeggeri della nave sono rimasti in vita solo José e Umur. Umur sta piangendo.

José viene liberato. Raccoglie le sue armi e rimane in attesa.

 

*

 

Il ragazzo è bello. Prima di gettarlo a mare, Jean-Joseph Hulot, detto lo Sparviero, vuole assaggiare il suo culo. Gli piace il culo dei ragazzi sui sedici anni, come questo. Anche Andrea aveva quell’età quando lo ha preso per la prima volta. Adesso ne ha trenta. Andrea si sta avvicinando. Hulot gli legge in viso che è incazzato: ha capito benissimo che cosa intende fare con il ragazzo. Chiede, come se non sapesse già la risposta:

- Perché cazzo hai deciso di salvare il ragazzo?

- Perché questa notte ci divertiamo in tre. Non mi dire che non ne hai voglia.

- Ne hai voglia tu.

- Puoi dirlo.

Andrea scuote la testa. Hulot trova la sua gelosia ridicola. Andrea è il suo uomo, da ormai quindici anni. Ma Hulot non intende rinunciare a un po’ di carne fresca quando gli capita l’occasione.

Hulot solleva Umur da terra senza sforzo e se lo carica su una spalla. Indica il servitore del conte di Olivares e dice:

- Quest’uomo viene con noi. Tu, come ti chiami?

- José.

- José? Sei spagnolo, non francese?

Hulot è sorpreso. Quest’uomo parla benissimo francese. Ma in effetti, se è al servizio di un nobile spagnolo, è logico che sia spagnolo anche lui.

- Sono stato molto a lungo in Francia con il mio padrone.

 

Lo Sparviero e i suoi uomini sono ritornati sulla loro nave, dopo aver caricato le provviste del battello assalito e tutto quanto potesse servire. Sulla nave catturata sono rimasti solo due pirati, che con le torce accese stanno appiccando il fuoco alle sartie e sottocoperta. Poi i due uomini saltano sulla loro nave, che si allontana. La nave catturata sta bruciando e presto si trasforma in un unico immenso braciere. Se Hulot fosse un corsaro, avrebbe tenuto la nave catturata per poi rivenderla, ma Hulot è un pirata e non saprebbe a chi cederla. Se la sua nave entrasse in qualche porto cristiano, Hulot verrebbe catturato e impiccato; quanto ai turchi, gli danno la caccia da anni per impalarlo, perché ha catturato diverse navi e si dedica al contrabbando.

La nave fa vela verso sud-ovest, mentre dal battello incendiato si leva una colonna di fumo sempre più alta.

Hulot ha posato Umur in un angolo. Il ragazzo non piange più.

 

Quando arriva sera, Hulot lo fa slegare e lo porta nella sua cabina.

Hulot parla abbastanza turco. Ride e dice:

- Adesso ti facciamo imparare qualche cosa di nuovo. Spogliati.

Hulot e Andrea si stanno spogliando. Il ragazzo ha capito e arretra, scuotendo la testa.

- Non farci perdere tempo, che sarà peggio per te.

Il tono di Hulot non lascia dubbi, ma il ragazzo è troppo spaventato.

Andrea si avvicina al ragazzo, lo afferra e incomincia a strappargli i vestiti.

- Tanto questi non ti serviranno più, troia.

Umur cerca di difendersi, ma Andrea è forte e gli molla prima due sberle, poi, visto che il ragazzo non cede, gli assesta un pugno nello stomaco. Il ragazzo strabuzza gli occhi e crolla a terra. Hulot ride.

- Non ammazzarlo prima che lo fottiamo, Andrea.

Andrea non risponde. È chiaramente incazzato. Hulot scuote la testa. Scopare i ragazzi piace anche a lui, che senso ha che pretenda il suo cazzo in esclusiva?

Andrea afferra Umur per i capelli e lo costringe a sollevarsi.

Hulot si avvicina e gli intima:

- Chinati in avanti.

Umur scuote la testa. Ha le lacrime agli occhi. Hulot gli dà un violento ceffone: il ragazzo deve capire che non ha nessuna possibilità di scelta. Poi Hulot gli mette una mano sul collo e lo forza a piegarsi in avanti, in modo che la sua testa sia all'altezza del cazzo di Andrea.

- Succhia, stronzo.

Umur scuote ancora la testa. Hulot sta perdendo la pazienza. Fa un cenno ad Andrea, che blocca la testa di Umur, poi passa dietro di lui.

Umur ha un bel culo. Hulot sorride. Mette le mani sul culo, divarica le natiche e spinge il cazzo dentro. Umur sussulta.

Hulot avanza fino in fondo, poi passa una mano davanti al corpo di Umur e gli afferra i coglioni.

- Succhiagli il cazzo o te li spacco.

Umur non si muove, ma quando Hulot incomincia a stringere con forza, apre la bocca e accoglie il cazzo di Andrea.

- Ci voleva tanto, stronzo?

Hulot fotte con gusto. Gli piace questo culo, che sicuramente era vergine. Andrea fotte Umur in bocca. Il ragazzo non ci sa fare, non ha esperienza. Andrea muove avanti e indietro il culo. Andrea viene dopo pochi minuti. Quando sente la scarica, Umur cerca di liberarsi, ma Andrea gli blocca la testa, forzandolo a inghiottire.

Hulot ride e, con una serie di spinte decise, viene anche lui nel culo del ragazzo.

Esce e Andrea fa cadere a terra Umur con una spinta.

Il ragazzo batte la testa contro il pavimento. Incomincia a piangere.

Andrea si rivolge a lui:

- Non so proprio che cazzo ci trovi in questi ragazzini, non sanno fare niente.

Hulot ridacchia.

Andrea afferra Umur per i capelli, forzandolo nuovamente ad alzarsi.

- Adesso lo getto in mare.

- No, Andrea, lo faremo un altro giorno. Voglio assaggiare ancora qualche volta il suo culo.

Andrea ha un fremito di rabbia.

Hulot ride. Andrea è proprio una testa di cazzo. Come fa a essere geloso di un ragazzino?

 

*

 

La nave è giunta in vista di Chio, ma rimane a distanza: di certo i pirati preferiscono non avvicinarsi di giorno, per non rischiare di essere avvistati e intercettati.

Quando scende la notte, la nave si avvicina all'isola. Andrea e un altro marinaio salgono su una scialuppa che viene calata in mare e si dirige verso la costa.

Hulot ha chiamato Umur nella sua cabina. Il ragazzo è andato tremando. Ha un livido in volto e diversi altri sul corpo. È rimasto tutto il giorno nudo sul ponte. Non ha mangiato quasi niente.

Dopo due ore Hulot esce, spingendo il ragazzo che zoppica e si affloscia a terra poco distante. Hulot si rivolge a due dei pirati.

- Quando torna Andrea, gli dite che può fare quello che vuole di questo qui. Credo che lo affogherà.

José ha ascoltato. Il ragazzo si è messo seduto e rimane immobile, a testa china. È poco più di un'ombra. José si allontana. Il suo turno di guardia è più avanti nella notte.

Quando vengono a chiamarlo, José sale sul ponte. Insieme a lui c'è un altro uomo, che viene chiamato il Largo. In effetti è molto basso e grasso ed è uno degli uomini più brutti che José abbia mai visto. Si presenta come Pietro.

Pietro è curioso e gli chiede chi è e da dove viene. Altri pirati gli hanno posto le stesse domande. José ha raccontato a tutti la storia che si è preparato. Ha cercato di mostrarsi al loro livello: un uomo forte e deciso, al servizio di un conte, ma di estrazione popolare. Ha avuto cura di esprimersi con lo stesso linguaggio sboccato che quasi tutti i pirati usano.

Mentre rispondeva, poneva anche qualche domanda, per capire la situazione. Nell'equipaggio ci sono soprattutto francesi, ma anche parecchi italiani. José ha seguito la conversazione tra due marinai che si esprimevano in dialetto napoletano, certi che José non potesse capirli. C'è molto malcontento nei confronti di Hulot da parte di alcuni degli italiani: con il passare degli anni il comandante è diventato sempre più autoritario e molti sono convinti che la divisione del bottino non sia giusta. 

José risponde a Pietro, cercando di mostrarsi cordiale. Racconta anche a lui di essere al servizio del conte di Olivares e di aver ricevuto l'incarico di raggiungere Smirne e consegnare una lettera importante al governatore.

- Che cazzo c'è nella lettera?

- E che cazzo ne so? Mica il mio padrone mi raccontava i cazzi suoi.

Pietro annuisce.

- Adesso però puoi aprirla e leggertela.

José ride :

- La lettera è bruciata insieme alla nave. E poi, che cazzo me ne fotte di quella lettera? Se ci tiene tanto, il mio vecchio padrone può riscriverla. A me ormai poteva servire solo per pulirmi il culo.

Pietro ride.

- E a proposito, io vado al cesso.

Pietro si dirige a prua, dove ci sono le latrine.

José controlla che non ci sia nessun altro, poi decide di mettere in atto il piano che ha pensato. Sa che pagherà caro quello che sta per fare. Forse con la vita. Il pensiero va a Giuseppe. Se morirà, José non potrà più aiutare Giuseppe. Lo faranno Juan e Alonso, se ci riusciranno. Ma non può assistere all'assassinio di un ragazzo senza fare nulla.

Si avvicina a Umur e gli sussurra, in turco:

- Sai nuotare?

Il ragazzino non risponde subito. È diffidente. Poi dice:

- Sì.

- Vogliono ucciderti. Lo faranno questa notte stessa, quando torna l'altro. Se vuoi salvarti, tuffati in acqua subito. Quando torna Andrea ti uccideranno.

La riva non è vicina, ma se rimane sulla nave il ragazzo va incontro a morte certa.

Il ragazzino lo guarda, ostile.

- Non mi fido di te, traditore.

José scuote la testa.

- Muoviti, prima che arrivi l'altro.

Il ragazzo rimane fermo e tace.

José si chiede se non prenderlo e scagliarlo in acqua: forse nuoterebbe verso la riva. Ma se urlasse, invece?

Il Largo è di ritorno. Ormai non c'è più nulla da fare.

 

*

 

Mentre era al cesso, Pietro ha avuto un'idea. Tornando vede José che si stiracchia. Gli si avvicina e gli dice:

- Il ragazzo ha un bel culo. Ce lo facciamo anche noi, eh? Che ne dici, José?

- Dico che lo Sparviero lo fa a noi il culo.

- Ma tanto intende buttarlo ai pescecani.

- Sì, ma non mi sembra il tipo che permette ai suoi uomini di prendere iniziative. O mi sbaglio? Tu lo conosci meglio.

- No, in effetti se gli gira è capace di farti fustigare anche per una cosa del genere. Lo Sparviero è in gamba, ma...

Pietro non completa la frase. Non è saggio formulare critiche sul comandante davanti a José, che non conosce per niente: potrebbe riferirle allo Sparviero.

Pietro riflette un momento, poi dice:

- Io me lo faccio. Tu non dire niente.

José scuote la testa:

- Secondo me è un rischio.

- No, tanto lo ammazza Andrea.

Pietro si alza, si avvicina al ragazzo e gli dice:

- Mettiti a quattro zampe.

Umur lo guarda. Non deve aver capito, ma Pietro non conosce il turco.

Pietro il Largo solleva Umur di peso e lo appoggia sulla fiancata, in modo che gli offra il culo. Poi si abbassa i pantaloni.

Umur si volta. Ha intuito. Salta sul parapetto.

Pietro tira fuori la pistola. Spara mentre il ragazzo sta per lanciarsi in acqua, ma José devia il colpo urtandolo.

 

*

 

José ha trascorso le ultime ore della notte legato sottocoperta. Ora il giorno sta spuntando, probabilmente l'ultimo giorno della sua vita. La nave si allontana da Chio, dirigendosi verso occidente.

José non sa che cosa sia successo nella notte. Il ragazzo non è stato ripreso, ma non è detto che si sia salvato: potrebbe essere affogato. Non appena Andrea è tornato, la nave si è mossa, allontanandosi dall'isola.

Due uomini vengono a prenderlo. Gli slegano le corde e lo fanno salire.

Tutti i pirati sono sul ponte. Pregustano lo spettacolo.

Hulot ha in mano una frusta. Intima:

- Spogliati.

José obbedisce: sa che cercando di resistere rischierebbe di peggiorare la situazione, se può ancora essere peggiorata.

Quando lo vedono nudo, i marinai fanno parecchi commenti sulla sua attrezzatura. José pensa che la stessa cosa era successa a Edirne, con i lottatori. Allora era con Giuseppe. Avevano trascorso quattro mesi insieme, da soli, loro due, prima in viaggio e poi a Costantinopoli e Edirne. Avere Giuseppe vicino era una gioia. José sa che è stato il periodo più felice della sua vita.

Quei giorni a Edirne sono stati i loro ultimi giorni insieme. Sono passati neppure tre mesi da quando si sono separati, ma a José pare che sia passato un secolo. Probabilmente non si vedranno mai più. José sta per morire. Giuseppe... Dio solo sa.

- Mettiti contro l'albero.

José esegue. Non dà segno di paura.

Uno dei pirati gli lega le mani.

- Solleva le braccia.

José alza le mani, che vengono legate in alto, all’albero: anche se dovesse perdere i sensi o comunque non reggersi più in piedi per le frustate, José non cadrebbe a terra, ma rimarrebbe appeso per le braccia.

Quante frustate gli daranno? È solo una lezione o lo fustigheranno fino a ucciderlo? José ha detto che è intervenuto perché Hulot non aveva dato l’ordine di uccidere il ragazzo, ma ovviamente è una spiegazione risibile. L'unico motivo per cui potrebbero risparmiarlo è che non sono in molti e hanno bisogno di altri uomini. È più probabile che lo uccidano, o fustigandolo a morte o frustandolo prima, per poi gettarlo in mare.

È Hulot in persona a colpire. Sono colpi violenti, menati con grande forza sulla schiena e sul culo. I pirati deridono José.

José stringe i denti. Non si lamenta, non grida, non geme. A ogni colpo sente la fitta acuta. Tra poco la pelle incomincerà a spaccarsi.

José non sa più quanti colpi ha ricevuto. Perde il controllo della vescica. Incomincia a pisciare, tra le risate dei marinai.

Nuove frustate. Solo l'albero lo sostiene. José è più volte sul punto di perdere i sensi. Pensa a Giuseppe. Mormora, pianissimo: - Addio.

È Hulot a intimare:

- Adesso basta.

José si rende conto che non era più il comandante a frustarlo, ma qualcun altro. José  guarda Hulot. La vista è annebbiata, ma José nota la protuberanza nei pantaloni: frustarlo lo ha eccitato.

Hulot si avvicina. Ora il suo viso è a una spanna da quello di José.

- Spero che tu abbia capito.

Se fosse sicuro di venire ucciso, José gli sputerebbe in faccia: se quest’uomo pensa di averlo davvero domato, è un coglione. Ma José sa dissimulare. Se esiste una possibilità su mille di sopravvivere, José non vuole giocarsela.

José annuisce.

José trascorre l'intera giornata attaccato all'albero. Uno dei pirati gli lava più volte le ferite. Un altro gli porta da bere, ma nulla da mangiare. Il sole gli brucia la pelle, ma José non può sottrarsi. Più tardi le ferite vengono nuovamente lavate e bendate. José si dice che probabilmente non lo uccideranno.

Quando scende la notte, José riceve ancora da bere, ma rimane legato all'albero.

 

È notte fonda, ormai. José sa che la trascorrerà così, appeso. Il dolore alla schiena è forte, ma va attenuandosi. Ogni tanto si addormenta, più un dormiveglia che un vero sonno.

José si risveglia: qualcuno si sta avvicinando. È Andrea, l’uomo di Hulot.

Andrea sussurra:

- Hai un bel cazzo, spagnolo.

Il senso della frase è chiara e già prima che la mano di Andrea gli prenda il cazzo e lo stringa, José ha capito che cosa lo aspetta. Se fosse uno qualunque dei marinai, José non si preoccuperebbe, ma si tratta di Andrea, dell’uomo di Hulot. Non sa quanto Hulot possa essere geloso, ma se Hulot li becca a scopare, potrebbe decidere di vendicarsi e di sicuro a subire le conseguenze sarebbe José, non Andrea. Hulot potrebbe benissimo farlo ammazzare. Ma José sa di non poter dire di no ad Andrea, perché in questo caso sarebbe lui a vendicarsi: non è uomo da accettare un rifiuto.

Andrea giocherella un po' con il cazzo e con i coglioni. Il sangue affluisce e l'uccello si tende.

Andrea osserva:

- Davvero notevole. Hulot ce l'ha molto grosso, ma tu lo batti.

Andrea si cala i pantaloni. Si sputa sulla mano e si inumidisce il buco del culo. Poi sputa di nuovo e inumidisce la cappella di José, facendo affluire altro sangue al cazzo.

- Che meraviglia!

Andrea si appoggia con un fianco all'albero e si china in avanti. Afferra il cazzo di José e lo guida a entrargli in culo. Quando José spinge, Andrea ha un piccolo sussulto.

José non scopa da molti mesi. In questo periodo è venuto qualche volta la notte e a Costantinopoli si è fatto fare qualche massaggio completo: ben poco per un uomo dai forti appetiti. Il desiderio preme, anche se ogni movimento gli provoca fitte alla schiena.

José fotte con energia, a lungo. Andrea emette leggeri gemiti. Infine José viene. Il piacere è intensissimo. Da quanto tempo non scopava un bel culo?

José si ritira. Andrea si alza.

- Avrò male al culo per un po' di giorni, ma ne valeva la pena.

Andrea se ne va, senza dire altro.

 

*

 

Dilar è stato convocato dal sultano.

Ibrahim è semidisteso sui cuscini. Indossa solo i pantaloni. Di fianco a lui è Zafirah, una delle donne dell’harem.. È completamente nuda, ma Dilar non farebbe fatica a distogliere lo sguardo, anche se gli piacessero le donne: come molte altre concubine di Ibrahim, Zafirah è grassa in modo inverosimile. Che un sultano mostri alle guardie e a un eunuco una delle sue donne nuda è una vergogna, ma Ibrahim segue esclusivamente i propri capricci.

Dilar si prostra.

- Dilar, mi dicono che hai uno splendido schiavo cristiano, da più di tre mesi.

Dilar si sente a disagio. Di certo il sultano non si aspetta che i suoi sottoposti lo informino di ogni schiavo che si procurano: se qualcuno lo facesse, il sultano lo farebbe cacciare a pedate. Ma se il sultano ha deciso che non avergli detto del nuovo schiavo è una colpa, allora è così. Dilar ha paura. Ha goduto del favore del sultano per quasi un anno e sa benissimo che coloro che lo hanno preceduto sono stati tutti assassinati, con i pretesti più futili. Il sultano non ha nemmeno bisogno di pretesti.

Risponde, ossequioso:

- Sì, altezza. È uno schiavo che mi regalò il corsaro Suleyman poco prima che Allah lo chiamasse a sé. Un uomo di fatica.

Il sultano ride.

- So come lo fai faticare.

Dilar sorride e si prostra.

Il sultano smette di ridere di colpo e chiede, furente:

- Perché non me l’hai presentato, cane?

- Perdonate, altezza. Non pensavo che poteste volerlo conoscere.

- Non pensavi? Tu non devi pensare. Tu devi fare quello che voglio.

Dilar è perfettamente cosciente che non c’è via di uscita. Si accorge di stare sudando, anche se non è caldo.

- Perdonate il vostro indegno servitore, altezza. Desiderate che ve lo presenti?

- Non ho bisogno che tu me lo presenti, cane.

Il sultano fa un gesto, appena percepibile. Dilar intuisce, ma non c’è più modo di salvarsi. Dilar sente il peso di un corpo che lo schiaccia a terra. Fa appena in tempo ad accorgersi del laccio che uno degli uomini gli ha passato intorno al collo e che ora gli sta togliendo il respiro. Dilar cerca di afferrare il laccio per allentarlo, anche se sa che è del tutto inutile. Si dibatte, ma nei polmoni arde un fuoco che lo divora. Il mondo vacilla e poi sprofonda nel buio.

Quando l’uomo che lo ha strangolato toglie il laccio, il corpo rimane inerte.

 

*

 

Ibrahim ride, poi guarda Zafirah.

- Questo maiale faceva finta di niente, ma ti guardava. L’ho visto che ti guardava. Un suddito rispettoso non deve guardare le donne del suo sultano. Ho fatto bene a farlo uccidere, vero, Zafirah?

A Ibrahim non importa ciò che può dire Zafirah. Sa che cercherà di non contrariarlo, come tutti. Tutti hanno paura di lui e gli danno sempre ragione. E infatti Zafirah risponde:

- Certo, mio signore, ti ha mancato di rispetto.

Ibrahim si rivolge a una delle guardie:

- Andate a prendere lo schiavo Yusuf. 

Ibrahim è curioso di vedere questo schiavo.

Lo schiavo arriva. Guarda il cadavere del suo padrone. Non dice nulla. Si inchina di fronte a lui.

- Prostrati a terra, schiavo.

L’uomo obbedisce.

- Ora alzati.

L’uomo esegue. Non sembra spaventato. Ibrahim lo fissa negli occhi. Yusuf ricambia lo sguardo.

- Spogliati, schiavo.

Yusuf incomincia a togliersi i diversi indumenti. Prima di togliersi i calzoni che indossa sulla pelle, attende un cenno di Ibrahim, poi si toglie anche quelli.

Le voci che gli sono state riferite sono vere. Questo cane, che non è neppure circonciso, è davvero un colosso con un cazzo da cavallo.

 

*

 

Giuseppe intuisce che la sua vita è arrivata alla fine. Non ha paura: da tempo la sua esistenza non è più davvero una vita. È vissuto pienamente per alcuni mesi, ha conosciuto la gioia di essere al fianco di colui che amava, l’ha salvato provocando la morte del suo nemico. La sua vita si è conclusa allora. Qui nel Serraglio Giuseppe si limita a sopravvivere.

Se soltanto la morte può liberarlo da questa esistenza senza senso, allora ben venga. Si mostra docile, perché sa che può essere messo a morte in modo terribile. Ma anche le sofferenze più atroci prima o poi hanno un termine.

Giuseppe rimane nudo, eretto, di fronte al sultano.

Ibrahim ride e si rivolge alla donna grassa che stringe a sé:

- Un bel cazzo davvero. Che ne dici, Zafirah, glielo faccio tagliare?

Anche Zafirah scoppia a ridere. Giuseppe si dice che avrà modo di desiderare la morte molte volte prima di morire.

Il sultano lo guarda. Ora appare irritato. Non ride più.

- Hai capito che cosa ho detto, cane?

- Sì, altezza.

- Potremmo davvero castrarti.

Giuseppe non dice nulla. Che cosa potrebbe dire? Sospetta che la sua tranquillità sia il principale motivo di irritazione del sultano, ma non intende fingersi impaurito.

Il sultano ridacchia di nuovo.

- Sì, sì. Se sopravvivi, ti regaliamo a nostro cugino Asuman, il governatore di Smirne, che apprezza tanto i maschi. Gli verrà l’acquolina in bocca, a vederti. Ti farebbe spogliare e poi… ti immagini la sua faccia, Zafirah, vedendolo senza cazzo?

Ibrahim scoppia a ridere, una risata che lo scuote tutto. Anche Zafirah ride.

- Che hai da dire, cane?

- Niente, altezza.

- Come, niente? Non ti diverte l’idea?

- No, altezza.

- E allora perché non mi chiedi di risparmiarti?

Giuseppe guarda il sultano. È stanco, ha voglia di finire.

- Perché in ogni caso farete quello che vorrete. Siete il sultano.

Ibrahim non ride più. Annuisce.

 

*

 

Ibrahim fa chiamare il suo tesoriere. Lo schiavo rimane in piedi, nudo, davanti a lui. Ibrahim lo ignora. Quando arriva il tesoriere, gli dice:

- Dilar è morto. I suoi beni sono sequestrati. Sorveglia che niente venga sottratto. Fai vendere tutti i servitori di Dilar al mercato degli schiavi.

Poi Ibrahim si rivolge a due guardie:

- Prendete il cadavere e gettatelo ai cani.

Ibrahim fissa lo schiavo, che non ha abbassato gli occhi.

- Tu, rivestiti.

Mentre Yusuf esegue l’ordine, Ibrahim dice alle guardie:

- Mettetelo in una cella. Lo farò impalare domani.

Lo schiavo si è rivestito e lo guarda, senza tradire la minima emozione. Eppure deve aver capito ciò che lui ha detto. Appare tranquillo.

 

*

 

José de Olivares lo aveva avvertito. La fine che lo attende è atroce. Un giorno, due, di agonia. E poi la morte a liberarlo da una sofferenza intollerabile.

In cella Giuseppe si chiede se non cercare di affrettare la morte, domani, aggredendo uno dei soldati: se riuscisse a prendergli un’arma, potrebbe cercare di uccidersi. O magari attaccare le guardie e farsi uccidere da loro.

Giuseppe viene chiamato il mattino seguente. Lo portano di nuovo dal sultano. È arrivata la sua ora? Lo scoprirà tra poco.

 

Ibrahim appare corrucciato.

- Sono solo. La bella Zafirah, l’egiziana, non c’è più. Una donna dell’harem non può guardare un uomo nudo. Lei ti guardava. Ho visto come ti guardava.

Di colpo Ibrahim scoppia a ridere, una risata che lo squassa tutto. Prosegue:

- Ieri notte l’ho fatta mettere in un sacco, ben zavorrato, e gettare in acqua. È andata a fondo in fretta. Le donne grasse affondano bene.

Ride di nuovo. Poi smette, di colpo, e guarda Giuseppe.

- Anche tu andresti a fondo in fretta, Yusuf. Sei pesante.

Giuseppe rimane muto. Non sa che cosa dire.

- Spogliati, Yusuf.

Giuseppe si spoglia. Il sultano lo farà castrare ora?

- Guardie, andate via.

Quando i soldati sono usciti, Ibrahim si stende sulla pancia e allarga le gambe. Poi volta la testa e si rivolge a Giuseppe:

- Fammi godere, Yusuf, o finirai come Zafirah. Non vuoi finire in un sacco, eh, Yusuf?

Giuseppe è stupito. Ibrahim ama molto le donne. Giuseppe ha sentito dire che ha ben otto mogli e tantissime concubine, con cui ricerca piaceri sempre nuovi. Tra la servitù vengono raccontate sottovoce molte storie sulle prodezze sessuali del sultano e sui suoi gusti particolari, come il suo debole per le donne molto grasse. Ma nessuno ha mai accennato a rapporti con uomini.

 

Giuseppe ha imparato come far godere un uomo. I mesi trascorsi con il conte del Cerreto sono stati una buona scuola, il periodo come schiavo di Dilar un’altra. I due uomini sono morti. Anche Ibrahim potrebbe morire presto: c’è molto malcontento nei suoi confronti e Giuseppe ha sentito le conversazioni di alcuni servitori. Molti non diffidano di lui, chi lo conosce sa che non va a raccontare ciò che ha sentito; chi non lo conosce spesso crede che non capisca ancora bene il turco. Tra il popolo molti protestano per le tasse sempre più alte. A corte gli sbalzi di umore e le stravaganze del sultano irritano e disorientano tutti e molti hanno paura, perché sanno che mostrarsi umili e ossequiosi non è sufficiente a evitare il rischio di morire per un semplice capriccio di Ibrahim. Una rivolta è possibile e Ibrahim potrebbe trovarvi la morte.

Ma Giuseppe sa che la propria morte arriverà prima di quella del sultano.

Giuseppe si inginocchia. Posa le mani sul culo di Ibrahim, lo accarezza con movimenti lenti, poi stringe la carne forte, affondando le dita.

Giuseppe passa la lingua sul solco, più volte, poi la destra avvolge con delicatezza i coglioni del sultano, mentre la sinistra giocherella con l’apertura. Giuseppe sparge un po’ di saliva, poi spinge dentro prima un dito, successivamente un secondo. Sente che la carne cede senza opporre resistenza: Ibrahim non è nuovo a questi giochi. Giuseppe però non ha mai sentito dire che il sultano avesse rapporti con uomini, mentre della sua passione per le donne molto grasse ha sentito parlare molte volte, come pure di altre sue abitudini a letto. Questo significa una sola cosa: coloro che hanno fatto sperimentare al sultano il loro cazzo, non hanno potuto raccontarlo. Giuseppe sa che farà la loro stessa fine. Ma Giuseppe non saprebbe dire se davvero vuole vivere ancora. Vorrebbe evitare la morte per impalamento, questo sì.

Dopo aver preparato con cura il terreno, Giuseppe avanza la sua arma e con lentezza infilza Ibrahim. Il sultano ha un guizzo, ma non si sottrae. Lascia che Giuseppe lo trafigga, immergendo la sua arma fino in fondo.

Giuseppe porta la destra più in alto, ad accarezzare il cazzo di Ibrahim, mentre prende a muoversi avanti e indietro, affondando il cazzo nel culo del sultano e poi ritraendolo.

Giuseppe cavalca a lungo e sente che il corpo di Ibrahim si abbandona completamente al piacere che questa cavalcata gli trasmette.

Con la destra Giuseppe continua a lavorare il cazzo e i coglioni di Ibrahim, fino a che sente che il sultano è ormai sul punto di venire. Allora spinge con più forza e mentre viene dentro il culo di Ibrahim, sente che il cazzo del sultano vibra dello stesso piacere e il seme si spande sui cuscini.

 

Che cosa lo aspetta ora? Il laccio, come Dilar? Il veleno, come Suleyman? Il palo? Il sacco?

La risposta arriva in fretta.

Ibrahim si copre e chiama le guardie.

- Legategli le mani e i piedi.

Giuseppe lascia che le guardie lo leghino.

- Prendetelo e riportatelo in cella. Questa notte lo infilerete in un sacco e lo getterete in mare.

Sarà una morte rapida. Va bene così. Molto meglio così.

Giuseppe non può camminare. Gli uomini lo sollevano. Si mettono in sei per portarlo fino alla cella. Ibrahim sorride divertito.

Giuseppe trascorre il pomeriggio legato, senza potersi muovere. Non gli portano da mangiare o da bere: che senso avrebbe? Giuseppe ha sete, ma sa che presto anche la sete passerà. Quando ha bisogno di pisciare, lo fa senza alzarsi. Osserva la pozza di piscio che si allarga a terra.

 

Lo vengono a prendere di notte. Lo sollevano in sei e lo portano all’imbarcadero. C’è un grosso sacco. Giuseppe rabbrividisce.

Gli uomini mettono una grossa pietra al fondo, poi prendono Giuseppe e lo infilano nel sacco. Giuseppe non oppone resistenza. Sarebbe inutile. E poi Giuseppe non ha voglia di vivere ancora. La vita che ha condotto in questi mesi non ha senso.

Il sacco viene chiuso con una corda. Precauzione inutile: anche se riuscisse a uscire dal sacco, con le mani e i piedi legati Giuseppe affogherebbe sicuramente.

Giuseppe sa che non c’è più salvezza, ma è rassegnato. Il pensiero va a José de Olivares. Giuseppe mormora, pianissimo:

- Vi amo, padrone.

L’imbarcazione si stacca dalla riva. Il mare è calmo e c’è appena un leggero rollio mentre i remi spingono al largo la barca con il suo carico di morte.

Quando sente che il sacco viene sollevato per essere spinto oltre la fiancata dell’imbarcazione, Giuseppe sussurra, ancora più piano:

- Ti amo, José.

 

 

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

 

 

 

 

Area aperta

Storie

Gallerie

Indice