El Peñón de Alhmansur

 

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È ora di partire. Enrique ha preparato tutto. Lasciando il Peñón de Alhmansur adesso, potrebbe arrivare a San Pedro verso le sei. Suo padre aveva chiesto a José di andare al paese: sa che cavalca molto volentieri, più di Enrique. Ma Enrique si è offerto al posto del fratellastro, con la scusa che José era appena arrivato da Madrid: era l'occasione che aspettava da tempo.

Enrique esce dalla fortezza e prende la strada che porta a San Pedro. Dopo averla seguita per un tratto, quel tanto che basta perché nessuno possa più vederlo dal Peñón, la lascia e prende un sentiero nascosto che attraversa un'area stepposa e si avvicina nuovamente al castello. Ferma il cavallo dietro uno spuntone roccioso e si siede in un punto da cui, coperto tra gli arbusti, può vedere la mole imponente della rocca.

Sa che José uscirà a cavallo tra non molto: lo fa ogni pomeriggio.

Enrique guarda il Peñón de Alhmansur, questa possente fortezza legata alla fortuna della sua famiglia. Una doppia cinta di mura e la posizione, sopra uno sperone roccioso proteso sul Mediterraneo, rendono il Peñón quasi inespugnabile. Fu il condottiero arabo Suleyman ibn Yusuf, detto al Mansur, il vincitore, a far costruire questo castello: secondo la tradizione fu edificato da seicento schiavi cristiani e al termine dei lavori Suleyman li fece uccidere tutti perché non potessero rivelare a nessuno i segreti del castello. Il Peñón fu uno degli ultimi territori arabi di Spagna a essere riconquistato, dopo un assedio di ben tre anni. Il conte Olivares riuscì nell'impresa in cui molti prima di lui avevano fallito e il re gli assegnò la fortezza, che da allora è proprietà della famiglia.

Al Peñón Enrique ha trascorso tantissimo tempo, quando era bambino e poi da ragazzo. Da molti anni però non ci viene più volentieri: preferisce la vita di corte a Madrid o il lusso degli altri palazzi di proprietà della famiglia. Il Peñón è una residenza adatta a un guerriero, come suo padre è stato fino a pochi anni fa. Adesso Enrique ha scelto di tornarvi perché in questo periodo c'è anche José. Il fratellastro risiede da tempo a Napoli e gira spesso per l'Europa. Adesso però che il loro padre, ormai molto anziano, è rimasto vedovo, José è venuto per stare con lui due mesi. La morte della seconda moglie è stato un duro colpo per Ruy de Olivares. Lo è stato anche per Enrique, che in sua madre ha sempre trovato un'alleata e un sostegno. 

Enrique ripensa alla sua infanzia felice e alle cure di sua madre, che lo ha sempre fatto sentire il centro del mondo. Ruy de Olivares è duca, anche se preferisce usare il titolo di conte, da molto tempo appannaggio di questo ramo della famiglia. Ma dalla morte del cugino è un grande di Spagna. Non vivrà più a lungo e il suo erede prenderà a sua volta posto tra i grandi del regno.

L'erede è il figlio maggiore, José.

 

*

 

Juan ha appena finito il suo turno di guardia. Lungo questo tratto di costa, non lontano dal Marocco, non sono rare le incursioni dei corsari musulmani e le guardie di stanza al Peñón de Alhmansur si alternano sulle mura. La sicurezza richiede che vi siano sempre sentinelle sulle torri, anche se è ben difficile che la fortezza venga attaccata: i corsari assalgono i villaggi indifesi lungo la costa, per procurarsi schiavi, ma il Peñón ha mura potenti e una piccola guarnigione è in grado di respingere un nemico anche molto più numeroso

Juan incrocia José de Olivares, il figlio del conte Ruy. Lui e José si sono frequentati molto quando erano bambini, prima che il conte prendesse il figlio con sé nelle spedizioni militari. Il conte era spesso assente: Ruy de Olivares ha sempre ricoperto incarichi militari importanti. Quando il marito era impegnato nelle campagne, la contessa Juana rimaneva da sola con i due bambini, suo figlio Enrique e il figlio di primo letto del conte, José. Juana alternava periodi a Madrid o nel castello di Serraverde a soggiorni nel Peñón. Enrique stava quasi sempre con la madre, ma José era tenuto a distanza. Così, quando non era a lezione dal precettore o con il maestro di scherma, José passava molto tempo con i figli dei servitori. A differenza del fratellastro, José non trattava la servitù con alterigia ed era ben voluto da tutti, tanto quanto Enrique era detestato.

Poi José era partito con il padre: a dodici anni seguiva l'esercito e partecipava alle campagne militari, sia pure senza combattere. A Juan e a molti altri era sembrata una follia, ma Ruy de Olivares voleva imporre una severa disciplina a questo figlio ribelle, di cui la matrigna si lamentava spesso. Il conte non poteva sospettare che le accuse rivolte a José non avevano nessun fondamento, ma la servitù lo sapeva benissimo.

Juan non aveva più visto José fino all'estate in cui entrambi avevano compiuto sedici anni.

 

José sorride a Juan, che non vede da un anno.

- Juan, sono contento di vederti. Stai bene?

- Sì, grazie, eccellenza. Sapevo che eravate arrivato, ma non vi avevo ancora visto.

- Il braccio è guarito bene?

Juan ha avuto un incidente l’anno scorso: in un giorno di pioggia è scivolato scendendo lungo le scale e si è fratturato un braccio. A Juan fa piacere che il conte se ne ricordi. Certamente Enrique non gli ha mai chiesto del braccio, anche se vive in Spagna e perciò trascorre molto più tempo al Peñón: ma per Enrique i servitori valgono quanto le pecore allevate nella sierra e certamente molto meno dei suoi cani da caccia.

- Sì, grazie, eccellenza. È guarito perfettamente.

- Tutto a posto, per il resto? Nessun guaio?

- No, tutto a posto.

- Quello che ti ho detto, è sempre valido. Se per qualche motivo non volessi rimanere qui, ti posso prendere con me.

- Grazie, eccellenza.

Juan sa a che cosa allude il conte. Sono stati amanti, da ragazzi: hanno scoperto il piacere insieme, a sedici anni. Un piacere proibito che Juan ricerca ancora oggi e che potrebbe costargli il rogo, se gli altri servitori scoprissero i suoi gusti e lo denunciassero. José non corre rischi, José appartiene a una di quelle famiglie che sono al di sopra della legge e i cui membri rischiano una condanna esclusivamente in caso di tradimento: solo il re può ordinare l’arresto di uno dei grandi di Spagna.

Juan si muove con prudenza e non ha nessuna intenzione di lasciare il Peñón, perché qui ha trovato Miguel. Ma sa che José de Olivares lo aiuterebbe se si trovasse nei guai.

Juan chiede:

- Uscite a cavalcare?

- Sì, qualche ora a cavallo è sempre un piacere. Adesso vado. Sono contento di averti visto, Juan. Se posso fare qualche cosa per te, dimmelo.

- Grazie, eccellenza.

José sale a cavallo e lascia il castello. Juan sale sulle mura e lo guarda allontanarsi. Il pensiero di essere stato un tempo l’amante del conte gli sembra incredibile. Avevano appena sedici anni, erano ragazzi. Ma di quell’estate Juan conserva un ricordo indelebile. E per il figlio del suo padrone un affetto e un rispetto immutati.

 

Juan ha detto a Miguel che lo avrebbe aspettato in uno dei magazzini. Il Peñón è molto grande e ha tanti locali dove incontrarsi di nascosto. Juan controlla che nessuno lo veda e raggiunge lo stanzone. Ha scelto con cura il posto, un vecchio magazzino che viene utilizzato solo ogni tanto. Juan entra. Lo stanzone è immerso nella penombra: prende luce solo da una finestrella posta in alto, che si affaccia sul cortile, a livello del suolo. Juan srotola un tappeto e si accovaccia. Miguel verrà? Il ragazzo, che lavora nelle cucine, ha solo diciott'anni, quindici in meno di lui, e Juan è sicuro che non ha mai avuto rapporti. Juan si è mosso con molta cautela: non sapeva come avrebbe reagito Miguel a una sua proposta e non voleva che nessuno potesse sospettare.

Miguel ha esitato a lungo, anche se era evidentemente tentato. Ieri gli ha detto che oggi sarebbe venuto. Manterrà la parola?

E se non venisse?

La porta si apre. Juan sussulta. Miguel si affaccia. Sorride vedendo Juan, ma è turbato. Juan si alza, Miguel entra e chiude la porta dietro di sé. Juan la blocca, poi spinge Miguel contro il muro, gli prende la testa tra le mani e lo bacia. Il ragazzo lo lascia fare, inerte. Juan si stacca: non vuole forzarlo, preferisce lasciargli il tempo di cui ha bisogno.

Miguel sorride, un sorriso incerto. Juan lo abbraccia e lo bacia di nuovo e questa volta Miguel risponde all'abbraccio e lo stringe. Quando la lingua di Juan si spinge tra i denti di Miguel, il ragazzo apre la bocca e l'accoglie.

Le mani di Juan si muovono lungo il corpo di Miguel, ne accarezzano la schiena, scendono al culo. Juan sente che il corpo di Miguel si accende. Si stacca e lo contempla, poi lo solleva e lo porta fino al tappeto. Miguel ride.

Juan appoggia Miguel sul tappeto e incomincia lentamente a spogliarlo. Il ragazzo è bello, di viso e di corpo. Ha i capelli scuri, che incorniciano un viso dai tratti molto regolari, grandi occhi anch'essi scuri e una bocca carnosa. Juan lo bacia, più volte. Miguel ricambia il bacio, appassionatamente.

Juan guarda il torace del ragazzo, snello e armonioso, poi gli cala i pantaloni e finisce di spogliarlo. È bello, Miguel, ed è bello accarezzare il suo corpo, passargli le dita sul viso, sul collo, sul petto, sul ventre, fino al cazzo che ora si tende.

Miguel sorride e dice:

- Spogliati anche tu.

Juan annuisce. Il suo corpo è molto diverso da quello di Miguel. È il corpo forte di un guerriero: spalle larghe, braccia possenti e gambe robuste, una cicatrice profonda alla spalla destra e un'altra al fianco sinistro. È il corpo di un uomo di trentatré anni, nel pieno delle forze, una peluria abbondante sul petto, sulle braccia e sulle gambe, ancora più fitta sul ventre, contro cui svetta un cazzo ormai teso.

Il sorriso di Miguel è scomparso. Ora il ragazzo deve avere paura.

- Non temere, non ti farò male.

Miguel annuisce. Poi torna a sorridere e dice:

- Fatti vedere, voltati.

Juan ride. Si volta.

- Ti piace il mio culo?

Anche Miguel ride: ora si sente più sicuro. Lo punzecchia:

- È troppo peloso.

Juan scuote la testa.

- Il tuo è bellissimo e adesso gusterà un bel cazzo.

Di nuovo il sorriso di Miguel si fa incerto.

- Io... non...

Juan si stende su Miguel e lo bacia sulla bocca, poi dice:

- Te l'ho già detto, non ti farò male.

- Non so... io...

Juan ride e la sua mano stringe il cazzo di Miguel.

- Non mi dire che non ne hai voglia.

Lo bacia di nuovo. Poi lo volta. Gli poggia le mani sul culo e stringe con forza. Passa la lingua tra le natiche. Miguel geme. Juan ripete l'operazione, poi si inumidisce la cappella e l'avvicina al buco. Si muove con molta cautela, attento a non fare male. Prima appoggia appena il cazzo e sente che Miguel si tende. Allora gli bacia la nuca, gli mordicchia un orecchio, gli accarezza i capelli e solo quando sente che è meno teso, avanza leggermente. È bellissimo forzare l'anello di carne, che per la prima volta cede e accoglie un ospite.

Miguel geme. Juan lo bacia e lo accarezza, poi spinge ancora un po'. Si ferma, lascia che Miguel si abitui a questo palo di carne che non ha mai gustato. Poi riprende ad avanzare. A Miguel sfugge un sospiro, Juan non saprebbe dire se di dolore o di piacere. Forse entrambi.

Juan si ferma e arretra un po'. Mordicchia un orecchio di Miguel e gli sussurra:

- Ti piace il mio cazzo, eh, Miguel?

Miguel si vergogna. Dice:

- Ma che razza di domande... Non lo so... fa un po' male.

- Fa un po' male, ma è bello. E ti piace. Ti piace avere un bel cazzo caldo in culo.

Miguel sorride, senza dire nulla.

Juan riprende il suo movimento. Procede con lentezza, ma senza fermarsi. Si spinge più avanti, quasi fino in fondo, poi torna indietro. Il movimento continuo fa vibrare il corpo di Miguel, che a ogni spinta emette un gemito. Juan è contento che anche il ragazzo provi piacere.

Juan continua a muoversi piano, finché il desiderio non è troppo forte. Le spinte  diventano più intense e infine il piacere lo travolge. Il seme si rovescia nelle viscere di Miguel, che ansima.

Juan rimane un momento fermo, poi si volta su un lato e la sua mano afferra il cazzo di Miguel. Il ragazzo ce l'ha duro.

Juan muove la mano stringendo il cazzo, finché il ragazzo emette un piccolo grido e il seme schizza fuori.

Juan ha ancora il cazzo nel culo di Miguel. È un po' meno rigido e voluminoso, ma ci vuole sempre un buon momento prima che abbassi davvero la testa.

- Ti è piaciuto, vero, Miguel?

Miguel non dice nulla. Si vergogna. Juan sorride e insiste:

- Non negare.

- No, è vero. Ma mi ha fatto male.

- È inevitabile, le prime volte. Ma poi passa.

C'è un momento di silenzio. È bello rimanere così, il cazzo ancora in culo a Miguel, i loro corpo uniti. Juan accarezza Miguel, gli stuzzica un po’ i capezzoli, gli solletica le palle, gli sfiora le labbra.

Juan sorride:

- Vedrai, man mano che ti abitui, diventa sempre più bello. Ogni volta è meglio.

Miguel chiede:

- Ma a te...

Miguel non sa bene come formulare la domanda. Juan intuisce:

- Vuoi sapere se me l'hanno mai messo in culo?

Miguel non risponde, ma la domanda era quella. Juan ride, poi prosegue:

- Sì, quando avevo sedici anni, come te. Parecchie volte. Poi no, adesso non sono più un ragazzo, preferisco metterlo in culo io. Soprattutto a chi ha un culo bello come il tuo.

Juan ripensa a quell'estate di tanti anni fa, quando José de Olivares lo aveva posseduto. Era stato bellissimo. José gli aveva fatto male, parecchio, anche se si muoveva con molta cautela ed era attento a lui: José era un vero torello. Ma il piacere era sempre stato più forte del dolore.

 

*

 

José cavalca diverse ore. Questo tratto di costa non lontano da Almería ha per lui un fascino che si rinnova ogni volta che vi torna. Da molto tempo viene di rado al Peñón de Alhmansur: ormai risiede a Napoli e viaggia spesso per l’Europa. La fortezza è associata ai ricordi di un’infanzia infelice e alle angherie della matrigna.

Ma José ama molto queste terre brulle e soprattutto le scogliere a picco sul mare, contro cui si infrangono impetuose le onde. In passato sono state un balsamo per le sue sofferenze e ancora oggi José si trova a suo agio nella solitudine selvaggia di queste lande, più di quanto non lo sia nei salotti di Madrid, che ha sempre frequentato poco e quasi solo per obbligo sociale, o in quelli di Napoli.

José scende dal cavallo, lo lega e si inerpica fino al punto più alto della scogliera. Di là si affaccia a guardare il mare ai suoi piedi. Quante volte c’è venuto da ragazzino? Allora ci sono stati momenti in cui il richiamo dell’abisso è stato tanto forte che José è stato sul punto di saltare. Quella disperazione ormai appartiene al passato, ma qui al Peñón troppe cose sepolte riemergono: la persecuzione della matrigna, che è riuscita ad alienargli l’affetto del padre; i duri anni di vita militare, quando era poco più di un bambino; l’esilio in Francia. Oggi la vita di José è piena: le missioni in cui è impegnato lo assorbono completamente. Non ha legami affettivi, ma non li cerca e non ne sente la mancanza: è abituato a vivere senza essere amato. La sofferenza del passato è stata ricacciata indietro, ma non è completamente scomparsa e qui riaffiora prepotente.

 

José risale a cavallo e si dirige verso il Peñón. Avvicinandosi al castello, José vede il fratello, che viene verso di lui a cavallo. José è stupito: Enrique dovrebbe essere da un pezzo sulla strada per San Pedro, è partito prima che lui uscisse dalla fortezza. Che cosa lo ha spinto a ritornare sui suoi passi? Arriverà dopo il calar del sole.

Poco prima che le loro cavalcature si incrocino, Enrique si ferma. È evidente che si è fermato per aspettarlo. José si chiede che cosa voglia il fratello. Non hanno mai avuto confidenza e di solito si scambiano appena i saluti, quando si ritrovano in una delle residenze di famiglia. D'altronde hanno poche occasioni di vedersi. È stata la madre di Enrique a tenerli lontani uno dall'altro fin da piccoli e a trasmettere al figlio l'avversione che provava per il primogenito, figlio della prima moglie ed erede del titolo.

Quando giunge al punto in cui Enrique lo aspetta, José ferma il cavallo.

- Buongiorno fratello. Vi credevo già partito.

- Sono tornato al Peñón perché avevo dimenticato il mantello e nostro padre mi ha trattenuto. Adesso, vedendovi arrivare, ho deciso di approfittare dell'occasione per farvi vedere qualche cosa che forse non conoscete e che ho scoperto poco tempo fa.

José non capisce di che cosa possa trattarsi. Enrique sorride e spiega:

- Credo di aver trovato uno dei passaggi segreti del castello, due giorni fa, poco prima che voi arrivaste. Non ho fatto in tempo a esplorarlo, bisogna calarsi con corde, ma vorrei farvi vedere l'ingresso.

Alcuni passaggi sotterranei sono noti agli Olivares, ma non è strano che ce ne siano altri: i sotterranei del castello sono un vero labirinto.

- Non c'è fretta. Tornerete domani e io conto di fermarmi due mesi, lo sapete.

- È proprio qui sotto. Ve lo mostro e poi partirò per San Pedro.

Enrique smonta da cavallo e José lo imita. C'è qualche cosa che non lo convince nella faccenda, ma forse è solo la diffidenza istintiva che prova nei confronti di Enrique.

Legano i cavalli a uno dei pochi alberi di questa costa spoglia, un pinastro piegato dal vento. Enrique scende, aggrappandosi alle rocce. José lo segue. Enrique si ferma su una sporgenza, a strapiombo sul mare.

- Fate attenzione, fratello.

José annuisce. Enrique prosegue:

- Se vi sporgete un po', potete vedere l'ingresso.

José si sporge in avanti, ma rimane guardingo, un po' per diffidenza nei confronti del fratello, un po' per un'abitudine a essere sempre vigile. Non gli sembra probabile che il fratello cerchi di spingerlo in acqua: José è un nuotatore formidabile e potrebbe riuscire a vincere la corrente e ritornare a riva, purché nella caduta non abbia subito gravi danni. A ogni buon conto José con la coda dell'occhio tiene d'occhio Enrique. Vede il movimento del braccio del fratello e si scansa, ma la lama lacera la spalla: Enrique aveva un pugnale e l'ha colpito. Il dolore è violento e la ferita è un taglio profondo. Enrique si prepara a vibrare un nuovo colpo. José sa di non avere nessuna possibilità di sottrarsi: lo spazio è troppo ristretto, alle spalle ha solo il mare e le armi sono rimaste nella borsa legata alla sella del cavallo. Se non fosse ferito, non esiterebbe ad affrontare il fratello, pur essendo disarmato. Ma in queste condizioni sa di non poter reggere a lungo contro un avversario forte.

José è abituato a prendere decisioni molto in fretta. Prima che Enrique affondi per la seconda volta la lama nella sua carne, José salta nell'abisso.

 

*

 

Enrique guarda il corpo del fratello scomparire nell'acqua. Non è riuscito a finirlo, ma José annegherà senz'altro: non può nuotare con la spalla lacerata e la corrente è forte. Meglio così. Con ogni probabilità il mare porterà il cadavere lontano, ma se invece venisse ritrovato, la ferita del pugnale passerebbe inosservata tra le tante provocate dagli urti contro gli scogli.

Enrique risale sulla scogliera. Sale sul proprio cavallo e prende quello di José per la briglia. Galoppa fino a un punto in cui un sentiero permette di scendere a una piccola baia. Smonta e lega il cavallo di José lì vicino. Non vedendo tornare il fratello, lo cercheranno lungo la costa e, trovando il cavallo legato lì, tutti crederanno che José sia sceso a bagnarsi e sia affogato.

Enrique risale a cavallo e si dirige verso San Pedro. Arriverà di notte, ma non ha importanza.

Ha raggiunto il suo scopo: ora è l'unico erede degli Olivares, alla morte di suo padre diventerà un grande di Spagna. José è morto. Enrique scoppia a ridere. È stato tutto facile, incredibilmente facile. Enrique temeva che José non acconsentisse a scendere o diffidasse di lui, ma quel coglione si è lasciato ammazzare come un pollo.

Enrique scuote la testa, ancora ridendo. Ripete ad alta voce:

- Come un pollo… José de Olivares. Come un pollo.

La risata diventa fragorosa. Enrique deve fermare il cavallo. Dopo essersi calmato, lo sprona.

 

Il giorno dopo Enrique arriva al Peñón de Alhmansur vero sera. È pronto a fingersi stupito e angosciato per la scomparsa del fratello. Si offrirà di partire a cercarlo subito, anche se sta calando la notte, anche se sono diverse ore che cavalca. Dirà al padre che non deve disperare, che lo cercheranno ancora domani mattina, che lo ritroveranno.

Ma nessuno fa cenno alla scomparsa di José. Enrique si stupisce. Il servitore che lo accoglie si limita a dirgli che suo padre lo attende in una delle stanze.

Ruy de Olivares è pallido e sembra non aver dormito.

- Che avete, padre? È successo qualche cosa?

Il conte annuisce, senza dire nulla. Enrique si mostra preoccupato.

- Ditemi, perché non parlate?

- A che ora siete partito per San Pedro ieri?

Enrique non si aspettava questa domanda.

- Ma come, cosa... lo sapete benissimo, padre, nel primo pomeriggio. Vi ho salutato prima di avviarmi.

- E come mai siete arrivato a notte fonda?

Enrique è completamente spiazzato. Come fa suo padre a saperlo? Ha mandato qualcuno a cercarlo questa mattina? Potrebbe averlo fatto, potrebbe aver inviato un servitore per informarlo della scomparsa di José e dirgli di tornare. Ci vogliono quattro ore per arrivare a San Pedro. Un servitore potrebbe esserci andato in mattinata ed essere ritornato prima di lui, ma nessuno lo ha cercato… E perché qualcuno del castello sarebbe dovuto andare a San Pedro, se non per avvisarlo?

Enrique deve rispondere alla domanda di suo padre. Improvvisa:

- Mi sono fermato per la strada. A un certo punto il cavallo ha incominciato a zoppicare, non so come mai. Mi sono fermato a lungo per lasciarlo riposare. Poi per fortuna quando sono risalito ha ripreso ad andare. Chissà che cosa aveva…

- E perché avete portato il cavallo di José alla baia dei tre scogli?

- Che dite? Il cavallo di José? Io... io non ho visto José.

- Siete stato visto con lui a un'ora in cui sareste dovuto essere da tempo sulla strada per San Pedro.

Enrique non sa che cosa dire. Non si aspettava nulla di ciò che suo padre gli sta dicendo. Il conte prosegue.

- E le tracce non lasciano dubbi, Enrique. Voi avete condotto il cavallo di José fino alla baia e lo avete legato, prima di dirigervi a San Pedro.

- Ma... non capisco... che cosa dite? Non ho visto José, chi lo sostiene mente. Se non mi credete, chiedete a lui.

José ormai non è in grado di smentire nessuno e se si tratta della sua parola contro quella di qualche servitore o pastore che ha visto lui e José parlare, Enrique si sente sicuro del fatto suo: suo padre crederà a lui, non potrebbe essere altrimenti. Però la faccenda delle tracce e l'ora di arrivo a San Pedro... perché suo padre ha fatto fare tutte queste indagini?

Il conte ha una smorfia di scherno.

- Non occorre chiedere. La ferita alla schiena non lascia dubbi.

Enrique deglutisce. Quindi il corpo di José è stato ritrovato. Per quello suo padre ha indagato. E sospetta di lui.

- Ferita? Non vi capisco. Potete spiegarvi?

- Non fingete. So che siete stato voi.

- A fare che cosa? Di che cosa mi accusate?

- Di aver cercato di uccidere José a tradimento. Iddio lo ha protetto, non ha voluto che un nuovo Caino spargesse il sangue del fratello.

Enrique arretra di un passo. Ha la sensazione che un masso lo schiacci al suolo. Non può essere. Non può essere.

- È vivo?

- Sì. Iddio lo ha salvato e vi ha impedito di diventare un assassino.

Enrique china la testa. Se José è vivo, non c'è nessuna via d'uscita. È inutile che cerchi di discolparsi. Vivo! Vivo!

C'è un lungo silenzio, poi il conte dice:

- Rimarrete nella vostra camera fino a mio nuovo ordine. Vi manderò il confessore.

Enrique non dice nulla: sa che ormai tutto è perduto.

 

*

 

Ruy de Olivares dà a due guardie l’ordine di mettersi davanti alla porta della camera di Enrique e di impedirgli di uscire per qualsiasi motivo. Poi passa nella stanza di José.

José dorme, la spalla fasciata. La ferita è profonda e José ha perso molto sangue. Come sia riuscito a raggiungere la scogliera ai piedi del castello in quelle condizioni, Ruy non lo sa. José è molto forte e ha una volontà di ferro. José ha cercato di risalire lungo il sentiero, ma è crollato a terra, perdendo i sensi. Per fortuna dal castello Pablo, che era di sentinella, lo ha visto cadere mentre saliva.

Quando ha ripreso i sensi, José non ha rivelato chi lo ha colpito: ha detto che lo avevano preso di sorpresa, che non aveva fatto in tempo a vedere l'assalitore. Ruy ha capito subito che José mentiva e non ha fatto fatica a capire il perché. Le indagini che ha subito avviato hanno confermato i suoi sospetti.

Ruy si siede accanto al letto. Il pensiero che Enrique abbia cercato di uccidere il fratello è un coltello piantato nella carne. Ruy sa bene che i rapporti tra i suoi due figli non sono mai stati buoni e ha capito, troppo tardi, che è stata Juana, la sua seconda moglie, a scavare un fossato tra di loro. Juana ha anche cercato di allontanare Ruy da José e in parte ci è riuscita.

Ruy scuote la testa: trent'anni fa il motivo principale che lo spinse a risposarsi fu proprio quello di dare a José una madre, poiché la sua era morta poche ore dopo il parto. Per José sarebbe stato molto meglio se Ruy fosse rimasto vedovo.

Ruy rimane al capezzale del figlio. José si risveglia solo quando ormai è notte fonda:

Ruy lo guarda e dice:

- Perché mi avete mentito, José? Perché non mi avete detto che è stato Enrique?

Ruy non vuole una spiegazione, di cui non ha bisogno: sa benissimo che José gli ha mentito per non dargli un colpo mortale. Vuole soltanto avere una conferma, l'ultima, di ciò che già sa perfettamente. José mormora solo:

- Perdonatemi.

Ruy vede svanire l'ultima illusione che Enrique possa essere innocente. Annuisce. Stringe la mano di José in un gesto di affetto, un affetto che non gli ha mai dimostrato prima. Sa di essere stato spesso ingiusto nei confronti di José, quando era bambino: ascoltava ciò che gli diceva Juana sul comportamento poco rispettoso di José, senza sospettare che fossero menzogne. Quante volte lo ha punito per colpe non commesse?

 

*

 

- Mi spiace eccellenza.

Il prete è a testa bassa. Il suo fallimento gli brucia, davanti a Ruy de Olivares ha fatto la figura di un incapace.

- Ha rifiutato di confessarsi? Non ha voluto ascoltarvi?

Il prete china la testa. L’ha appena detto. Ma a Ruy sembra incredibile. Juana era molto religiosa ed Enrique si è sempre dimostrato un buon cristiano, assiduo alle funzioni religiose e nemico implacabile di ebrei, musulmani e di tutti coloro che offendono la Chiesa.

- E vi ha cacciato a male parole?

Il prete allarga le braccia.

- Purtroppo è così.

Il prete non ripete le parole di Enrique, non vuole ferire ulteriormente il conte. Le sente ancora come una sferzata sulla faccia.

 

Ruy de Olivares sale dal figlio.

- Perché avete rifiutato di confessarvi, Enrique? Per la salvezza della vostra anima, dovete mondarla da questo peccato mortale.

Enrique lo guarda senza dire nulla.

- Rispondete, figlio.

Enrique si alza e va a guardare dalla finestra. Ruy sente una rabbia feroce invaderlo. Vorrebbe afferrare Enrique, costringerlo a rispondergli.

Si controlla a fatica e dice:

- Questa camera è una prigione di lusso. Per voi sarebbe più adatta una delle celle sotterranee.

La minaccia è chiara, ma Enrique non dice nulla. Continua a guardare fuori.

- Se vi consegnassi al re, per quello che avete fatto c’è la morte.

Ruy non intende farlo, non vuole certo che si sappia quanto è successo: sarebbe una macchia sul buon nome della famiglia.

- Parlate, Enrique. Non avete niente da dire?

Enrique si volta. Ha una smorfia di disprezzo.

- Sì: lasciami in pace, vecchio rincoglionito.

Ruy fa un passo avanti, stringendo i pugni, poi si volta ed esce.

 

Ruy non va subito nella camera di José: è troppo sconvolto. Quando vi si reca, due ore dopo, José coglie subito che è successo qualche cosa.

- Mi sembrate preoccupato, padre. Che cosa avete?

Ruy chiude gli occhi. Non aveva intenzione di dire nulla, ma non vuole mentire a José. E poi è necessario che anche lui conosca la situazione.

- Enrique ha rifiutato di confessarsi. Ha offeso il prete. E quando ho cercato di parlargli, mi si è rivolto…

José ha una smorfia di sofferenza.

- Mi spiace, padre.

- Ho sempre creduto che fosse un uomo integro.

José non dice nulla. Ruy aggiunge:

- Voi sapevate, vero, José? Voglio dire, conoscevate la sua vera natura.

José respira a fondo e risponde:

- Ho avuto modo di conoscerla molto presto.

Ruy annuisce. Le parole di José risvegliano ricordi che Ruy preferirebbe cancellare.

- Quando potrò alzarmi, cercherò di parlargli, ma temo che non serva. Conosco la sua ostinazione.

- No, credo anch’io che non serva a nulla. Ha gettato la maschera, ormai.

- Enrique ne ha molte, di maschere.

 

*

 

José sta per partire. Si è rimesso a sufficienza e può affrontare il viaggio. Non può rimanere più a lungo in Spagna: affari importanti lo richiamano a Napoli e poi in altre città italiane, a Londra e forse anche a Parigi. José viaggia spesso in Europa.

José ha cercato di parlare con il fratello, quando è stato in grado di alzarsi dal letto, ma non ha ottenuto nulla, come d’altronde si aspettava: Enrique si è chiuso in un mutismo ostinato. A José poco importa di Enrique: ha imparato a conoscerlo molto presto. Ma suo padre soffre moltissimo.

José non è contento di partire in questa situazione, ma non ci sono alternative: il suo ritorno a Napoli è stato rimandato troppo a lungo.

- Allora avete deciso che lascerete Enrique al Peñón, padre.

- Sì, José. Non voglio consegnarlo alla giustizia. Per la nostra famiglia sarebbe un’onta. Se fosse un uomo d’onore…

José sa benissimo quello che vuole dire suo padre: se Enrique fosse un uomo d’onore metterebbe fine ai suoi giorni. Ma Enrique non lo farà, su questo José non ha dubbi.

- Padre, vi chiedo solo di fare attenzione. Enrique non accetterà a lungo questa prigionia. Prima o poi cercherà di fuggire.

Ruy de Olivares annuisce.

- L’ho pensato anch’io. Darò istruzioni precise.

José non è tranquillo. Sa benissimo che quando anche il conte sarà partito per la corte, Enrique riuscirà a trovare qualche falla nella sorveglianza.

- Che facciano attenzione. Enrique sa dissimulare. Ed è astuto.

- Ho avuto modo di scoprirlo, figlio.

José sa che è inutile aggiungere altro. Parlerà anche con Barroso, il capo delle guardie, e con Juan. Ma teme che non basti. Con il passare dei giorni, un’occasione si creerà. Suo padre non intende rinchiudere Enrique in una cella. Dalla camera Enrique riuscirà a fuggire.

 

*

 

Enrique è a letto. Incomincia a emettere gemiti, sempre più forti. Poi grida:

- Aiuto! Aiuto! Mi hanno avvelenato.

I due soldati di guardia alla sua porta entrano. Sono Pedro e Cristobal: Enrique ha scelto questa sera perché sa che non sono diffidenti come altri.

- Che vi succede, eccellenza?

Enrique si contorce sul letto, nudo, afferrando le lenzuola come in uno spasimo.

- Muoio! Muoio. Maledetti! Mi avete avvelenato.

Enrique solleva la testa e un braccio, poi crolla disteso, si agita ancora, maledicendo.

- Maledetti! Il veleno… il veleno…

I soldati non sanno che dire.

- Va a chiamare Barroso, Cristobal.

Enrique pare scosso da singhiozzi, si agita. Sbarra gli occhi, grida.

- No, no, maledetti!

Pedro si avvicina.

- Signor conte, nessuno vi ha avvelenato. State tranquillo. Adesso arriva Barroso.

Enrique gli afferra un braccio e incomincia a tremare. Sembra non riuscire più a respirare.

- Eccellenza, calmatevi, adesso…

Pedro non completa la frase: Enrique gli pianta nel cuore il pugnale che gli ha sfilato senza che lui se ne accorgesse.

In un attimo Enrique è in piedi. Prende anche la spada di Pedro, poi stende il corpo sul letto e lo copre con un lenzuolo. Con la spada in una mano e il pugnale nell’altra attende dietro la porta.

Quando Barroso e Cristobal entrano, Enrique trafigge Barroso alla schiena con la spada, spingendola con tanta forza da farla uscire dal petto. Cristobal si volta e cerca di afferrare il pugnale, ma prima che riesca a prenderlo, Enrique lo colpisce subito sotto lo sterno. Cristobal emette un grido strozzato. Enrique estrae il pugnale e lo colpisce al cuore.

Enrique chiude la porta della camera. Si veste in fretta, poi esce nel corridoio. Con sé porta solo un po’ di denaro e di gioielli. È notte, tutti dovrebbero dormire, a parte le sentinelle sulle mura. Ma Enrique non intende salire sulle mura, né uscire dalla porta.

Si dirige verso i sotterranei, tenendo una lanterna in una mano e il pugnale nell’altra. Scendendo le scale incontra Ines, una delle serve della casa: probabilmente ha sentito quando Cristobal ha chiamato Barroso e viene a vedere se c’è bisogno di lei. Enrique le punta il coltello alla gola.

- Una parola e sei morta.

Ines si ferma, senza dire una parola, gli occhi dilatati dal terrore.

Enrique sorride, tira indietro la mano e con un movimento rapido le recide la carotide.

Poi prosegue la sua discesa fino a raggiungere uno dei passaggi sotterranei, noti solo agli Olivares, e scomparire nella notte.

 

*

 

Juan ha finito il suo turno di guardia. Dopo l’assassinio di Barroso da parte di Enrique de Olivares, sei mesi fa, Juan è diventato il braccio destro del nuovo capo. Questo gli dà una maggiore libertà di azione.

Juan non raggiunge lo stanzone in cui dormono i soldati: questa sera ha appuntamento con Miguel. Controllando che nessuno lo spii, Juan scende nella cantina che lui e Miguel hanno scelto per i loro incontri clandestini. È un locale adibito a ripostiglio, dove non va quasi mai nessuno. Miguel è già arrivato. Ha acceso una candela, che illumina appena un angolo del locale, e ha srotolato il tappeto che serve loro da giaciglio.

Miguel gli sorride. È quasi un anno che si amano, ma sono sempre molto prudenti: nel castello qualcuno potrebbe tradirli e José de Olivares, che sarebbe disponibile a proteggerli, risiede a Napoli e solo da pochi giorni è tornato al Peñón per stare un po' con suo padre. Il vecchio conte sta declinando. Ha sempre avuto una fibra di ferro, ma ormai ha settant’anni e dopo la morte della seconda moglie e il tentativo di Enrique di uccidere José, le sue condizioni sono nettamente peggiorate.

Miguel e Juan si muovono con molta prudenza. Juan chiude la porta a chiave. Miguel si avvicina e lo stringe a sé. I loro corpi aderiscono. Miguel accarezza Juan. Le sue mani scivolano sulla schiena del suo uomo, stringono con forza le natiche robuste, poi risalgono fino al capo.

Juan ha avuto diversi uomini prima di Miguel, ma con Miguel tutto è diverso. Con gli altri era solo un desiderio del corpo, un bisogno da soddisfare. Miguel invece gli ha rubato l’anima.

Le mani di Juan percorrono il corpo di Miguel, poi, trascinate dal desiderio, incominciano a spogliarlo.

Alla luce tenue della candela Juan può vedere il petto di Miguel, la leggera peluria intorno ai capezzoli. Le sue mani, impazienti, abbassano le brache di Miguel. Juan lo contempla, poi lo stringe a sé, in un abbraccio irruente, lo bacia sulla bocca, sul collo, sul petto.

Miguel scivola in ginocchio davanti a lui, guarda il cazzo di Juan che già si sta irrigidendo. Lo prende in bocca.

Miguel ha imparato in fretta. All'inizio era insicuro, anche se ardeva di desiderio. Non aveva mai avuto rapporti. Juan gli ha insegnato tutto e Miguel è stato un ottimo allievo.

Miguel lavora con la lingua e con le labbra, leccando e succhiando, finché il cazzo di Juan è duro e teso. Allora si stacca, lo contempla sorridendo e si mette sul tappeto, a quattro zampe.

Juan si appoggia su di lui, lo bacia sul collo, gli accarezza il petto con le mani, poi avvicina il cazzo, ancora umido della saliva che Miguel ha profuso, e lentamente lo immerge nel culo di Miguel. Avverte che il corpo del suo uomo vibra di piacere ed è una sensazione intensissima.

Incomincia a ritrarre il culo e poi a muoverlo in avanti, facendo avanzare il cazzo fino in fondo, fino a che i coglioni battono contro le natiche di Miguel. E intanto le sue mani martoriano i capezzoli di Miguel, ne accarezzano il petto, scivolano al cazzo ormai teso e lo stuzzicano, avvolgono i coglioni. Miguel geme.

 

*

 

La piccola nave ha attraccato nella baia alla luce della luna. Gli uomini scendono a terra e seguono il loro capitano fino all'ingresso di un passaggio sotterraneo. Quando sono entrati, accendono le torce e si muovono rapidi, percorrendo il corridoio scavato nella pietra e poi i gradini che salgono verso il castello. In cima alla scala il passaggio è sbarrato da una porta, ma il capitano ha una chiave e l'apre.

Nei sotterranei del castello non ci sono sentinelle: nessuno si potrebbe aspettare un attacco dall’interno. Gli uomini irrompono nelle cantine della fortezza e da lì risalgono. Raggiungono rapidamente il piano terreno e si dividono: alcuni corrono alle mura per massacrare le sentinelle, altri agli appartamenti della servitù, altri ancora ai piani superiori. Quando i servitori che si sono svegliati per il rumore capiscono che cosa sta succedendo e danno l'allarme, è troppo tardi per una difesa. Chi cerca di resistere viene ucciso, gli altri vengono portati a forza nel cortile.

Tutti sono spaventati: non si aspettavano un'incursione dei corsari musulmani. Si chiedono sgomenti che cosa sarà di loro: li porteranno in Africa e li venderanno come schiavi ad Algeri? È una prospettiva terribile. Forse il conte li riscatterà: Ruy de Olivares è generoso e il figlio José lo è ancora di più, ma se davvero i corsari li porteranno via, molti di loro rischiano di morire prima che un riscatto venga pagato.

Il capitano conosce bene il castello e guida un drappello alle camere del signore e del figlio, ma sono entrambe vuote. I due letti non sono stati utilizzati: il conte e il figlio non  si sono coricati qui questa notte. Gli attaccanti fanno razzia di tutto ciò che può essere portato via, poi scendono in cortile, dove sono stati radunati i sopravvissuti.

C’è un mormorio di sgomento quando, alla luce delle torce, i servitori vedono che a guidare gli aggressori è il figlio minore del conte Ruy: come è possibile che il nobile Enrique de Olivares abbia guidato i corsari arabi alla conquista del castello della sua famiglia? Molti hanno paura, ora. Che cosa ne sarà di loro?

Enrique si rivolge a uno dei servitori, Manuel:

- Dove sono mio padre e mio fratello?

- Sono partiti per Madrid. Vostra zia è morta improvvisamente.

- Merda!

Enrique è furente: ancora una volta il caso ha intralciato i suoi piani. Manuel lo ha tenuto informato dei movimenti del conte e gli ha fatto sapere che era nel Peñón insieme al figlio José: Enrique era sicuro di trovarli e di potersi sbarazzare di loro una volta per tutte.

Manuel non avrebbe potuto avvisarlo in nessun modo: i loro contatti si sono svolti attraverso intermediari e l’avvertimento non sarebbe comunque arrivato in tempo, ma la rabbia di Enrique si scarica su di lui. Lo colpisce con un ceffone violento, che lo manda a terra, e gli grida:

- Perché non mi hai avvisato, stronzo?

Manuel si rialza. Il sangue gli cola dal naso sul labbro. Manuel si pulisce con la manica. Trema, mentre risponde:

- La notizia è arrivata solo oggi verso mezzogiorno. Sono partiti nel pomeriggio. Non c'era modo...

Enrique non lo lascia concludere:

- Idiota! Uccidetelo!

Il servitore si getta in ginocchio:

- Pietà, signore, non è colpa mia. Non vi ho tradito. No, no! Io vi ho…

Un uomo gli cala la spada sul collo, il sangue schizza in alto. Il corpo senza vita cade a terra.

Enrique guarda gli uomini, le donne e i bambini che sono stati radunati nel cortile. Non sono molti: parecchi servitori sono partiti insieme al conte. Questo ha facilitato la conquista del castello, ma le prede più ambite sono sfuggite.

Molti tengono gli occhi bassi. Hanno paura, sanno benissimo che Enrique de Olivares non vorrà lasciare testimoni. Se li porterà via come schiavi, non sarà permesso a nessuno di riscattarsi. E se invece... Le parole di Enrique fugano ogni dubbio e confermano i loro peggiori timori.

- Uccideteli tutti.

I servitori e le guardie gridano, chiedono pietà. Qualcuno supplica di risparmiare almeno i bambini,  ma i corsari si lanciano su di loro e incominciano a menare strage. Sapevano che avrebbero dovuto massacrarli: nessuno può sopravvivere dopo aver visto Enrique de Olivares guidare i corsari musulmani all’attacco del Peñón de Alhmasur. Solo la morte garantisce il loro silenzio: se venissero venduti come schiavi ad Algeri, qualcuno potrebbe essere liberato o comunicare ad altri prigionieri o a qualche mercante cristiano ciò che ha visto. Enrique non intende correre rischi.

I corsari menano grandi fendenti. Uomini e donne cercano di proteggere i bambini, facendo loro scudo con il proprio corpo, ma i corsari trafiggono gli adulti e poi i bambini. Due delle guardie riescono a bloccare un corsaro e a prendergli le armi, ma sono sopraffatti dagli altri: vengono uccisi dopo aver trafitto due assalitori.

La strage si compie in fretta: in pochi minuti il cortile è disseminato di corpi e il sangue si allarga, formando grandi pozze. Due corsari passano tra i morti, immergendo ancora le armi nei corpi, per essere sicuri che nessuno sia sopravvissuto. C'è ancora un urlo di un servitore che si era finto morto, poi cala il silenzio.

 

*

 

Miguel e Juan hanno assistito al massacro dalla finestrella che si affaccia sul cortile interno. I corsari hanno sfondato la porta della cantina, ma loro due avevano spento la candela e si erano già nascosti tra le cataste di oggetti ammucchiati. I corsari hanno dato appena un’occhiata e, capendo che non poteva esserci niente di valore, sono usciti subito.

Miguel trema: il massacro a cui ha assistito lo ha sconvolto. Juan lo abbraccia.

Entrambi rimangono in silenzio.

È ormai l’alba quando i corsari abbandonano il castello. Miguel e Juan rimangono a lungo nella cantina. Poi, quando sono sicuri che i corsari si siano allontanati, escono dal loro nascondiglio e raggiungono le mura. Spiando senza sporgersi vedono che la nave dei corsari si sta allontanando dalla costa con il bottino.

- Maledetti. E maledetto il conte Enrique.

I due sopravvissuti scendono nel cortile. Uomini, donne e bambini sono tutti morti: nessuno è scampato al massacro. Invano Miguel e Juan si aggirano tra i cadaveri sperando di trovare qualcuno ancora in vita.

- Dobbiamo seppellirli.

- Non dire sciocchezze, Miguel. In due non ce la faremmo mai. Dobbiamo dare l’allarme.

Miguel annuisce. Ha le lacrime agli occhi. Guarda un bambino, che ha la testa quasi completamente recisa.

- Anche il piccolo Enrique… lo avevano chiamato così in onore di quel figlio di puttana, in onore del suo assassino. Lo ha fatto ammazzare, Juan, lo ha fatto scannare come un maiale!

Juan abbraccia di nuovo Miguel, che scoppia a piangere.

- Dobbiamo raggiungere Almería. E informare il conte.

- Quando saprà che è stato suo figlio… Già quando Enrique è fuggito, uccidendo Barroso e gli altri… Poco mancò che morisse.

- Non possiamo non dirglielo.

Miguel annuisce. Si asciuga gli occhi con il dorso della mano. Ora è più tranquillo.

- Andiamo.

Miguel e Juan si avviano. I cavalli sono stati portati via, ma in alcune ore di marcia saranno al paese più vicino.

 

*

 

Tocca a Juan parlare: era il comandante in seconda delle guardie. Raccontare la verità al conte gli pesa, ma non può fare altrimenti. Il conte sa già che il Peñón de Alhmansur è stato attaccato e che c’è stata una strage: un messaggero inviato a corte gli ha dato la notizia. Ma non sa che è stato Enrique a guidare l’attacco. Juan e Miguel hanno deciso di parlarne soltanto a lui e a José de Olivares.

Alla notizia il conte si è subito diretto a Cordoba, dove Miguel e Juan lo aspettavano. Con lui c’è il figlio. Juan avrebbe voluto parlare a José da solo, in modo che preparasse il padre, ma non è più possibile.

Ruy de Olivares si rivolge ai due servitori:

- Il messaggero mi ha detto che il Peñón de Alhmansur è stato attaccato dai corsari e che sono stati uccisi tutti, uomini e donne.

- È così, eccellenza. Li hanno raccolti nel cortile e poi li hanno massacrati senza pietà, Manuel, che aveva tradito, e tutti gli altri.

- Manuel Silva? È stato lui ad aprire le porte del castello?

- No, eccellenza.

- E allora perché dici che ha tradito? E come sono potuti entrare i corsari?

- Sono entrati dai sotterranei, credo. Non c’è stato un attacco al forte dall’esterno.

- Dai sotterranei? Tutti i passaggi sono bloccati e nessuno li conosce al di fuori di noi. Non è possibile…

José deve aver capito. Si avvicina al padre, pronto a sostenerlo.

Juan china la testa.

Ruy è irritato.

- E allora? Come hanno fatto a entrare da passaggi che sono chiusi e che nessun altro conosce?

Juan si morde il labbro. José è di fianco al padre. Si rivolge a Juan:

- Di’ quello che hai da dire, Juan.

Ruy fa un cenno d’assenso e aggiunge:

- Perché meni il can per l’aia? Come hanno fatto a entrare dai sotterranei?

Juan alza gli occhi. Vorrebbe poter morire e non dover dire quello che ora dice:

- Li guidava vostro figlio Enrique.

Ruy de Olivares ha l'impressione che il mondo gli crolli addosso. Barcolla. José lo sostiene.

Ruy si scuote, respinge il braccio del figlio. Guarda Juan e gli dice, travolto da una rabbia che è solo disperazione:

- Tu menti. Tu menti!

Juan scuote la testa. Interviene Miguel:

- No, eccellenza. Abbiamo visto tutto dalla cantina, dove ci eravamo rifugiati. Era vostro figlio. Per quello ha fatto uccidere tutti, perché non voleva lasciare testimoni. Anche Manuel, che lo aveva avvertito della vostra presenza. Vostro figlio credeva di trovarvi là.

José annuisce.

Ruy de Olivares chiude gli occhi e si affloscia. Crollerebbe a terra, se José non lo sostenesse.

 

*

 

José è al capezzale del padre. È passato un anno da quando era suo padre ad assisterlo, ma la ferita di José si è rimarginata e rimane solo una cicatrice. Il colpo inferto a Ruy de Olivares è stato troppo forte: il conte non si riprenderà.

Ruy de Olivares ha steso il testamento e si è confessato. Sa che la sua ora si avvicina. Stringe la mano di José. Gli fa bene averlo vicino, è contento di sentire il suo affetto. Ma deve dire qualche cosa.

- José, devi cancellare l'onta che pesa sulla nostra famiglia. Non ci possono essere traditori tra gli Olivares. Devi farlo tu.

José non dice nulla, ma Ruy de Olivares sa che suo figlio ha capito. Ripete:

- Devi occupartene tu.

José annuisce. Ruy prosegue:

- Mi spiace darti anche questo fardello, José. E mi spiace di non essere sempre stato giusto con te.

- Che dite, padre? Io…

Ruy lo interrompe.

- Ho confessato i miei peccati prima di presentarmi al Signore. Non ho saputo vedere, figlio. E di questo porto il peso. Perdonami.

- Padre, non devo perdonarvi nulla. Non…

Ruy lo blocca con un gesto. Poi dice ancora:

- Ti lascio un compito terribile, ma so che lo assolverai.

José stringe la mano del padre.

- Lo farò. In qualche modo ci riuscirò.

- Grazie.

 

*

 

Il conte Ruy de Olivares è morto nella notte. Juan si sente in colpa. Non poteva certo nascondere la verità, ma per il conte è stato un colpo mortale.

Juan e Miguel sono rimasti nel palazzo di Cordoba, la casa della madre di José, in attesa di ordini. José ha imposto loro di non parlare a nessuno del ruolo svolto da Enrique de Olivares.

José e Miguel attendono di sapere che cosa il conte deciderà di fare.

Dopo il funerale, José de Olivares li fa chiamare. 

- Miguel, Juan, sono sicuro che avete rispettato l’ordine che vi ho dato.

Miguel e Juan si inchinano.

- Ciò che abbiamo detto a vostro padre, Dio l’accolga tra i suoi martiri, e a voi, non l’abbiamo riferito a nessun altro. Nessuno sa.

- Nessuno deve sapere. E anche noi non ne parleremo più. Adesso tocca a voi decidere che cosa volete fare. Credo che abbiate piacere di rimanere insieme. O mi sbaglio?

Miguel ha chinato la testa, in imbarazzo. Juan parla per tutti e due:

- Sì, eccellenza. Vorremmo restare insieme.

- Come sapete io vivo a Napoli e viaggio molto. In Spagna non torno spesso e adesso che non c’è più mio padre i motivi per tornare sono ancora più scarsi. Se avete piacere di restare in Spagna, vi posso tenere presso una delle residenze della mia famiglia, non al Peñón de Alhmansur, dove non credo che abbiate nessuna voglia di tornare.

Miguel scuote la testa.

- No, eccellenza, ho ancora quella scena davanti agli occhi.

- C’è questo palazzo, quello di Madrid, quello di Serraverde e le residenze di Toledo e Siviglia. Non ci sono problemi. In ognuno rimarranno, come sempre, diversi servitori e voi potete essere tra questi. Se invece volete passare al servizio di qualcun altro, potrò aiutarvi a trovare un posto.

- No, signor conte, se non ci mandate via voi, non vorremmo cambiare padrone, vero, Miguel?

- No di certo.

- C’è un’ultima possibilità. Io torno a Napoli. Posso prendervi con me. Questo può servire a proteggervi, perché finché sarete con me non correte rischi.

Il conte non ha detto che tipo di rischi, ma Juan ha capito benissimo. Il conte aggiunge:

- Parlatene tra di voi e poi fatemi sapere. Io mi recherò al Peñón de Alhmansur: ci sono molti lavori da fare là, per evitare nuovi attacchi, anche se li ritengo poco probabili, ormai. E devo assicurare una forte guarnigione e alcuni servitori. Al mio ritorno mi direte la vostra decisione. Rimarrete qui. Dopo quanto è successo, avete diritto a un periodo di riposo.

Juan e Miguel ringraziano. Juan potrebbe dire subito che sarebbe ben felice di partire con il conte, ma vuole parlarne con Miguel. È sicuro che partiranno entrambi.

 

*

 

José si è occupato di tutto: reclutare una nuova guarnigione e alcuni servitori che rimarranno permanentemente nella fortezza; far bloccare tutte le gallerie sotterranee, in modo che più nessuno possa introdursi nel Peñón attraverso gli ingressi segreti; dare le istruzioni necessarie per la difesa.

Adesso cavalca lungo questa costa selvaggia, prima di dirigersi a Cordoba. Non sa se tornerà ancora al Peñón: questo luogo risveglia troppi ricordi dolorosi. L’incarico che gli ha dato suo padre gli grava addosso come un macigno, ma in qualche modo manterrà la sua promessa. Non subito: deve svolgere altri compiti, di importanza fondamentale per il suo paese. Ma quando li avrà svolti, in un modo o nell’altro farà ciò che suo padre gli ha chiesto.

José ferma il cavallo in cima alla scogliera. Guarda il mare. Oltre la grande distesa d’acqua, invisibile a questa distanza, c’è la costa africana. Là, da qualche parte, si nasconde suo fratello.

 

 

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