Smirne

 

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È notte. Jean-Joseph è nella sua cella, le mani legate dietro la schiena. Per tre giorni è stato torturato. Non aveva molto da raccontare: i complici nel contrabbando del mastice sono stati tutti catturati per il tradimento di Andrea e hanno fatto i nomi di coloro che collaboravano.

Il governatore voleva sapere del suo tesoro. Hulot ha mentito, raccontando che si trova in una grotta lungo la costa del Salento. Ha continuato a sostenere questa versione, tanto non possono cercarlo ora e prima che il governatore organizzi una spedizione, Hulot sa che sarà morto.

La porta si apre. Entrano diversi soldati, sono almeno una dozzina. Riempiono la cella. Hulot sa benissimo che cosa lo attende: capita spesso ai prigionieri più odiati.

Hulot è nudo: gli hanno tolti gli abiti già a Chio. I soldati lo afferrano e lo costringono a piegarsi in avanti. La posizione non è quella giusta. Due dei soldati escono e rientrano ognuno con un sacco. Li posano a terra e forzano Hulot ad appoggiare il petto sui sacchi. Ora il suo culo è sollevato, pronto ad essere infilzato. Hulot sa che è inutile opporre resistenza.

Uno dei soldati gli passa uno straccio umido tra le natiche: Hulot ha sempre le mani legate e non può pulirsi. I soldati non vogliono sporcarsi troppo. Il soldato poi gli sfrega lo straccio in faccia. Hulot digrigna i denti, ma non può sottrarsi a questa ulteriore umiliazione.

Il primo è l’ufficiale. Lo incula con una spinta decisa, che fa sussultare il pirata. Hulot chiude gli occhi. L’uomo spinge con furia. Il dolore è violento: Hulot non è mai stato posseduto e gli sembra che sia un bastone quello che affonda nelle sue viscere.

Hulot sa che è solo l’inizio. Dopo l’ufficiale lo prendono tutti gli altri soldati.

Lo lasciano nella cella, sui sacchi. Hulot non ha la forza di alzarsi. Dal culo colano sborro e sangue.

 

*

 

Il sacco in cui si trova Giuseppe ricade oltre la fiancata della barca, ma Giuseppe non sente l’acqua: scivola su una superficie dura. Eppure gli è parso che lo facessero cadere fuori dalla barca su cui viaggiava.

Qualcuno sta aprendo il sacco. Una lanterna cieca proietta una debole luce, illuminandogli il viso. Giuseppe non può vedere chi è l’uomo che lo sta guardando.

Il sacco non viene richiuso, ma la lanterna viene oscurata.

La luna illumina il mare poco oltre, ma la barca è in un’area di ombra. Vicino a loro c’è un’altra barca che si allontana rapidamente. Due uomini si mettono ai remi e la barca su cui sono si sposta, rimanendo sempre nella zona d’ombra.

Un uomo lo sta liberando del sacco. Taglia la corda che gli lega le mani e poi quella che stringe i piedi. Giuseppe può muoversi, dopo ore di forzata immobilità. Si massaggia i polsi. Tutto si è svolto in silenzio e Giuseppe non dice nulla. Non sa chi l’abbia liberato e perché, ma è chiaro che non è il momento di spiegazioni, questo.

L’uomo gli porge dei vestiti. Sussurra pianissimo:

- Mettiti questi.

Giuseppe fa con le mani un rapido inventario degli abiti. C’è tutto l’occorrente, compreso un paio di scarpe. Il tutto gli va benissimo e Giuseppe ha il sospetto di stare indossando i propri vestiti, quelli rimasti nella casa in cui viveva a Costantinopoli con il conte.

Giuseppe tace, ma il silenzio gli costa moltissimo. Questo salvataggio all’ultimo minuto è opera di José de Olivares, Giuseppe ne è sicuro. Il conte non lo ha dimenticato, ha fatto in modo che qualcuno lo salvasse, pagando quelli che avrebbero dovuto affogarlo. Come? Glielo diranno. Rivedrà il conte? Certamente, dev’essere così. José de Olivares lo riprenderà con sé. Non può essere altrimenti.

Mentre Giuseppe si interroga, l’uomo che lo ha liberato infila nel sacco le corde che ha tagliato, lo lega di nuovo e lo getta in acqua. Il sacco, appesantito dalla pietra, affonda in fretta.

La barca si avvicina a riva. Giuseppe e due dei passeggeri sbarcano. Il terzo rimane sulla barca, che subito si allontana.

- Ce l’abbiamo fatta, Giuseppe! Sei in salvo!

Questa volta Giuseppe riconosce la voce.

- Alonso?!

- Sì, sono io e questo è Juan. Ma non parliamo qui. Raggiungiamo la casa dove stiamo. Non è lontana.

Giuseppe si chiede se il conte è nella casa. No, di certo no. Ha i suoi affari, sicuramente non è rimasto mesi ad attenderlo. Ma ha inviato Alonso e Juan a salvarlo. Giuseppe è felice.

La casa non è quella dove Giuseppe ha abitato con il conte. È molto più piccola.

 

- Come avete fatto?

- Abbiamo corrotto quelli che dovevano ucciderti. Sei costato al conte più di un quadro del Caravaggio, Giuseppe.

Giuseppe non riesce a trattenere la domanda che preme:

- Il conte dov’è?

Alonso si rabbuia.

- Non lo sappiamo, Giuseppe. È stato catturato dallo Sparviero, un pirata. Non sappiamo nemmeno se è ancora vivo. Temiamo che sia stato ucciso dai Turchi.

Giuseppe barcolla. Mormora:

- Potevate lasciarmi affogare. Era meglio.

Alonso lo guarda, senza dire nulla. Poi si riscuote e riprende:

- È appena giunta notizia che lo Sparviero è stato catturato a Chio. Tutti i suoi uomini sono stati impalati. Lo Sparviero verrà giustiziato nei prossimi giorni a Smirne. Io partirò per Smirne non appena riuscirò a trovare un passaggio. Voglio cercare di avere notizie, anche se probabilmente è inutile. Voi rimarrete qui alcuni giorni. Tu non ti farai vedere in giro, Giuseppe: se qualcuno ti riconoscesse, se si sapesse che un uomo condannato dal sultano è vivo, sarebbe una morte atroce per tutti. Tra qualche giorno partirete per l’Italia.

Giuseppe fissa Alonso.

- Vengo con te a Smirne.

Giuseppe si accorge che Juan è scoppiato a ridere. Alonso replica secco:

- Il conte ha ordinato di riportarti immediatamente in Italia, se fossimo riusciti a liberarti.

- Vengo con te a Smirne.

- Cazzo, Giuseppe!

Interviene Juan, ancora ghignando:

- Alonso, perché mai dovresti essere l’unico a disubbidire agli ordini del conte?

Alonso guarda Juan, esasperato.

- Se il conte sapesse che invece di riportare Giuseppe in Italia gli facciamo correre dei rischi inutili…

- Sì, il conte sarebbe furibondo, hai ragione. Ma se lo ritroviamo vivo, per me va bene anche se mi taglia la testa, può farlo, se vuole.

Poi Juan si rivolge a Giuseppe:

- Il conte ha ordinato a noi due di tornare in Italia con te, se fossimo riusciti a liberarti, ma adesso che sappiamo che lo Sparviero è stato catturato a Chio, vorremmo tutti e due andarci per capire se il conte era con gli uomini giustiziati. Portarti in Italia è il compito che ci è stato assegnato e lo faremo, ma anche tu la pensi come noi e vuoi sapere che ne è del conte. 

Giuseppe annuisce. Guarda Alonso:

- Ho bisogno di sapere anch’io, Alonso. Non posso rimanere con questo dubbio.

 

*

 

José ha preso possesso della casa in cui intende fermarsi per qualche giorno. Non ha rivelato a nessuno il suo vero nome. Attende da Costantinopoli una risposta. Se Giuseppe è ancora al Serraglio, Alonso e Juan sono in città e gli esporranno la situazione, per cui José agirà di conseguenza, cercando di prendere contatto con il governatore. Può fargli doni sontuosi e cercare di convincerlo ad agire presso Dilar: magari l’eunuco si è stufato di Giuseppe e sarà possibile, con la mediazione di Asuman, ottenerne la liberazione.

Se Giuseppe invece è già stato liberato e sono partiti tutti e tre per Napoli, glielo comunicherà l’ambasciatore attraverso uno dei suoi uomini.

C’è un’altra ipotesi, che José non vuole prendere in considerazione. Giuseppe potrebbe essere morto. Il solo pensiero gli procura una tale angoscia, che José lo ricaccia. Attende una risposta alla lettera che ha mandato.

 

*

 

Alonso ha trovato un passaggio su una nave che partirà domani pomeriggio. Juan e Alonso hanno aiutato Giuseppe a radersi la barba, per renderlo meno riconoscibile. Il bagaglio è pronto: ci sono i loro effetti personali, che non sono molti, e alcune cose che il conte aveva lasciato a Costantinopoli. 

Giuseppe racconta a Juan e Alonso quanto è successo da quando si è separato dal conte fino al momento della sua liberazione. I due uomini sono già a conoscenza di diversi elementi: grazie alla grande quantità di denaro a loro disposizione, hanno potuto corrompere alcuni servitori e ricevere regolarmente informazioni sulla situazione a palazzo.

Quando Giuseppe deve spiegare perché il conte ha lasciato Edirne senza di lui, prima della fine del torneo, non sa bene che cosa dire, ma Juan intuisce e gli dice:

- Credo di sapere perché il conte se n’è andato, Giuseppe, anche se è solo un’ipotesi. Alonso non ne sa nulla, ma non ha importanza. Non sono affari né miei, né suoi. Prosegui.

Giuseppe prosegue, narrando come ha cercato di ingannare Suleyman e ne è stato invece ingannato, riuscendo però alla fine a provocarne la morte.

- Il conte aveva capito che dovevi essere stato tu a farlo morire. Sei stato proprio in gamba, Giuseppe. Un’idea geniale, davvero.

- Volevo ammazzarlo, quel figlio di puttana, in un modo o nell’altro. Non volevo che il conte corresse rischi. E invece… per cercare di tirarmi fuori… Dio!

- Non sappiamo che cosa è successo, Giuseppe. Lo scopriremo.

Ma tutti e tre hanno paura di scoprirlo.

Giuseppe ha finito da poco di narrare, quando qualcuno bussa alla porta.

Giuseppe sale al piano di sopra: è bene che nessuno lo veda. Alonso va ad aprire la porta. Un uomo dell’ambasciatore spagnolo, con cui Alonso ha già avuto diversi contatti, gli consegna una lettera. Alonso chiude la porta e apre la busta, dentro cui ce n’è un’altra. Riconosce la scrittura del conte. Grida:

- Juan! Giuseppe! Una lettera del conte!

Giuseppe e Juan si precipitano nella stanza. Giuseppe ha l’impressione di non riuscire a stare in piedi.

Alonso apre la lettera. Giuseppe barcolla. Deve appoggiarsi alla parete. Chiude gli occhi.

- È vivo, è a Smirne. Chiede di te, Giuseppe.

Giuseppe rimane con gli occhi chiusi. Le gambe non lo reggono.

Alonso legge ad alta voce la lettera. Solo quando Alonso ha finito, Giuseppe riapre gli occhi, ma non si stacca dal muro: ha paura di cadere a terra.

Si guardano tutti e tre, increduli e felici.

- Sei pallido come un morto, Giuseppe.

Giuseppe annuisce. Non è in grado di parlare.

Alonso dice:

- Mando subito una risposta. Con ogni probabilità arriveremo insieme alla lettera, ma…

Alonso si ferma, esitando. Juan capisce il suo dubbio e dice:

- Credo che anche il conte preferisca averci accanto e non saperci in viaggio verso l’Italia senza di lui.

Alonso annuisce, sorridendo.

- Tanto ho capito che non mi lascereste andare da solo. E almeno, se decide di farci fustigare, ci dividiamo le frustate in tre.

Ridono tutti e tre. Sanno benissimo che il conte non li farà fustigare. E anche se lo facesse, in questo momento la loro gioia è tale che non gli importerebbe.

 

Sono sulla nave. Giuseppe pensa che presto rivedrà il conte. Juan è di fianco a Giuseppe. Guardano entrambi Costantinopoli allontanarsi. Giuseppe ricorda quando l’ha vista per la prima volta arrivandovi. Era stato José de Olivares a scegliere di arrivare dal mare, perché lui la vedesse per la prima volta così.

Juan lo sta fissando. A bruciapelo gli chiede:

- Lo ami, vero?

Giuseppe volta la testa di scatto e lo fissa, poi china il capo, incapace di rispondere. Non vuole confessare il suo amore. Non vuole nemmeno negarlo. Tace.

Juan aggiunge:

- Lo sospettavo, da tempo. Credo che tutti i servitori del conte gli siano affezionati, è il migliore dei padroni, ma nel tuo attaccamento c’è qualche cosa di più.

Giuseppe guarda lontano. Non dice nulla.

- Non devi vergognarti, Giuseppe. Io amavo Miguel, il cuoco.

Giuseppe volta di nuovo la testa verso di lui.

- Miguel? Tu?

- Sì. Credevo che Miguel mi amasse, ma non era così. O forse era così, un tempo, quando eravamo in Spagna e temevamo tutti e due di essere scoperti. Poi Miguel si è allontanato. A Venezia si è dato a molti. Anche a te, Giuseppe, lo so.

- Mi spiace, Juan, io non sapevo.

- No, certo. E in ogni caso è stato lui a offrirsi. Non è stato facile accettarlo per me, Giuseppe. Accettare di contare assai poco per lui. Siamo stati insieme per cinque anni. E pensavo che sarebbe stato per sempre. Cazzate, vero? Quando saremmo dovuti tornare tutti a Napoli, Miguel se n’è andato.

C’è un lungo silenzio. Poi Juan dice:

- Giuseppe, credo che anche lui… che anche lui ti ami.

Giuseppe guarda Juan, allibito. Scuote la testa.

- Non dire cazzate, Juan.

- Il conte ha ordinato di fare di tutto per salvarti. Lo avrebbe fatto per chiunque di noi si fosse trovato nei guai per aiutarlo. Con te però… Giuseppe, è solo una sensazione, ma non credo di sbagliarmi.

- Il conte… no, non è possibile.

- Credo che sia così. E allora sei davvero un uomo fortunato, Giuseppe, perché un altro come lui non credo che ci sia al mondo.

Giuseppe si rifiuta di credere a ciò che ha detto Juan. È impossibile. Juan si sbaglia.

 

*

 

José torna dal porto. Si è informato su quando potrebbe partire per Costantinopoli o per l’Italia. In base alla risposta che attende da Costantinopoli, vedrà come agire.

Quando José arriva a casa, il servitore che ha assunto, un genovese, gli dice:

- Signor conte, si è presentato un uomo con una lettera per voi. Dice di essere arrivato da Costantinopoli oggi.

José prende la lettera che l’uomo gli porge. Le mani gli tremano leggermente. Dal contenuto della lettera dipende la sua vita. José passa nella stanza a fianco e apre la lettera. Ne scorre in fretta il contenuto. Mormora:

- Dio sia lodato!

Poi rilegge la lettera con calma. La nave potrebbe arrivare oggi pomeriggio o domani.

 

*

 

È quasi sera quando la nave su cui viaggiano Giuseppe, Juan e Alonso raggiunge Smirne. Il viaggio si è svolto senza problemi.

Quando la nave sta per attraccare, vedono il conte che li attende. Di nuovo Giuseppe ha la sensazione di non riuscire a stare in piedi. Il conte non lo ama, non è possibile, ma lui sa di amare quest’uomo con tutto se stesso.

José de Olivares li abbraccia tutti e tre. È visibilmente commosso. Poi dice:

- Andiamo a casa. Mi racconterete tutto e io vi racconterò la mia parte.

La casa che Juan ha affittato non è molto grande, ma lo spazio è sufficiente per ospitarli tutti.

La serata trascorre nel racconto delle diverse peripezie, soprattutto di quelle di Giuseppe e di José de Olivares. Anche Alonso e Juan hanno alcuni episodi da raccontare relativi al loro soggiorno a Costantinopoli dopo la partenza del conte, ma si tratta di aneddoti privi di importanza.

José conclude:

- Credo che abbiamo tutti voglia di tornare in Italia il più in fretta possibile.

- Su questo non c’è dubbio.

Alonso chiede;

- Non pensate di attendere l’esecuzione dello Sparviero?

- No, Smirne è in subbuglio, come anche Costantinopoli, da quel che ho sentito dire. Non è vero?

Alonso annuisce:

- Sì, c’è molto malcontento nei confronti del sultano e del visir Ahmed pascià. Da quel che ho capito, è possibile che Ibrahim venga deposto.

Giuseppe chiede:

- Deposto? Lo metteranno in prigione e faranno un nuovo sultano?

- Probabilmente sì. Sarà uno dei suoi figli, anche se sono ancora bambini, ma qualcun altro governerà per loro. Se questo avverrà, non credo che Ibrahim rimanga a lungo in vita. Non ci possono essere due sultani, è troppo pericoloso per la stabilità dell’impero.

- Lo uccideranno?

- Sì, credo che poco dopo la nomina del nuovo sultano Ibrahim verrà strangolato. Se questo dovesse avvenire mentre siamo qui, potrebbero scoppiare gravi disordini. Il governatore è odiato e non mi stupirei se avvenissero sommosse.

Alonso chiede:

- Quando contate di partire? Per noi va bene anche domani: non disfiamo nemmeno i bagagli.

- Partirei volentieri domani, ma mi sento responsabile dei confronti di Masino, il ragazzo di cui vi ho parlato, anche lui catturato dallo Sparviero. Vorrei riportarlo in Italia.

- Avete detto che è rimasto a Chio, no?

- Sì. Non è consigliabile che ci vada io, visto che ci sono arrivato come contrabbandiere e pirata. Nessuno dovrebbe essere in grado di riconoscermi, ma non si può mai sapere. Juan, puoi occuparti tu di andare a prendere il ragazzo? Mi sono già fatto preparare una lettera del nobile Giustiniani, nella cui proprietà è rimasto Masino. Appena sarai di ritorno, partiremo tutti insieme.

Juan annuisce, ma dopo un momento di riflessione dice:

- Se la situazione è quella che voi descrivete, e di certo lo è, a Costantinopoli c’era molta tensione, sarebbe meglio se partiste per l’Italia al più presto. Io e Masino vi raggiungeremo.

- No, Juan. Non è opportuno che ci separiamo. Chio è vicina, non ci vorrà molto. Se partissimo e a voi dovesse succedere qualche cosa, non verremmo neanche a saperlo e non potremmo fare nulla. Attenderemo il vostro ritorno.

 

*

 

Masino guarda l’uomo che è venuto a prenderlo. Quando gliel’hanno detto, ha pensato che si trattasse di José, ma non è lui. È un uomo forte, dell’età di José.

- Tu sei Masino, vero?

Masino annuisce. Quest’uomo lo intimidisce.

- Io sono Juan. Mi manda il conte. Ti accompagnerò a Smirne e di lì ce ne torneremo tutti in Italia.

- Il conte?

Masino non sa chi possa essere questo conte. Juan gli spiega:

- José de Olivares.

- José? José è un conte?

Juan annuisce.

- José de Olivares è uno dei grandi di Spagna. Sai che cosa vuole dire?

Masino scuote la testa. Juan spiega:

- Sono i nobili più importanti, gente davanti a cui io e te possiamo solo inchinarci fino a terra. Ma certo questo allo Sparviero il conte non l’ha raccontato. Era stato catturato poco prima che prendessero anche te.

Masino è rimasto senza parole. Ecco perché José era così diverso dagli altri pirati! Mormora:

- Non mi ha detto niente…

Juan gli sorride.

- Certo, non poteva correre il rischio che qualcuno lo scoprisse.

Masino abbassa il capo, confuso. In questi giorni ha pensato spesso a José. Si augurava di ritrovarlo presto e di poter scopare ancora con lui, ma ora che conosce la sua identità, si rende conto che José appartiene a un altro mondo. Gli dispiace: Josè è stato molto dolce e gli ha regalato un piacere intenso.

Juan conclude:

- Adesso ce ne andiamo e lo raggiungiamo. Tornerai con noi in Italia.

Masino è contento di andarsene. Nella fattoria tutti lo hanno trattato bene, ma Masino si è sentito molto solo. C’è anche stato un altro problema: il desiderio lo ha spesso tormentato. Ora che ha scoperto il piacere, il suo corpo lo richiede. Ma Masino non poteva correre rischi. Se lo avessero scoperto e allontanato, la sua stessa vita sarebbe stata in pericolo.

 

Durante il viaggio verso Smirne Masino fa amicizia con Juan. Gli piace quest’uomo forte, che con lui è sempre gentile. Quando sono sulla nave, Masino gli chiede di parlargli del conte. Juan gli racconta degli Olivares e dei viaggi del suo padrone: non narra nulla che non sia noto a chi conosce il conte, ma per Masino è un mondo sconosciuto che si rivela. Juan gli riferisce anche del massacro al Peñon de Alhmansur, a cui il conte e lui stesso sono scampati casualmente.

- Il conte e suo padre si sono salvati perché non erano al Peñon, io e Miguel perché eravamo in una delle cantine.

Il massacro è avvenuto di notte. Perché loro due erano in cantina? Masino ha un’ipotesi in mente. Juan è disponibile, per cui Masino chiede, come se fosse una semplice curiosità:

- Ma come mai voi due eravate nelle cantine, di notte?

Juan sorride e dice:

- Avevamo da fare...

Masino ha l’impressione che l’idea che si è fatto sia giusta. Guarda Juan. Gli piace, non può negarlo. Non è un bell’uomo, ma è un maschio vigoroso.

Juan dice:

- Fino a ora ho parlato sempre io. Raccontami un po’ di te.

Masino parla di suo padre e della sua cattura nell’isola delle Sirene. Non dice che Hulot lo ha violentato, ma Juan deve averlo capito, perché dice:

- Non deve essere stato un bel momento, con quel bastardo dello Sparviero. Di sicuro non si è preoccupato di non farti male, quando ti ha preso.

Masino non si preoccupa di negare. Ha scopato anche con il conte e Juan probabilmente scopava con Miguel, per cui si sente abbastanza sicuro di poter parlare liberamente. Non gli spiace confidarsi: non ha potuto parlare con nessuno di quanto è successo.

- No. Mi ha fatto male. Eppure…

Ora Masino si vergogna. Juan conclude per lui:

- …eppure ti è piaciuto. Credo che valga per tanti.

C’è un momento di silenzio. Juan gli poggia una mano sulla spalla. Masino ha l’impressione che se non fossero su una nave, con tanta altra gente, Juan si dimostrerebbe disponibile.

Juan prosegue:

- Ti ha aiutato a capire qualche cosa di te. Forse non nel modo migliore, ma non sempre si può scegliere.

Cedendo a un impulso, Masino chiede:

- Che ne è di questo Miguel di cui parlavi?

Masino si pente subito della sua domanda. È una curiosità che gli è venuta, ma si rende conto di essere indiscreto.

Juan toglie la mano e guarda lontano, verso Chio che si sta allontanando. La voce è cupa.

- Se n’è andato.

Ora è Masino ad appoggiare una mano su quella di Juan.

C’è di nuovo un momento di silenzio, più lungo, poi Juan osserva:

- Hai passato dei brutti momenti, Masino, ma adesso è finita. Gli uomini dello Sparviero sono morti, Hulot verrà giustiziato tra poco. Il conte ti proteggerà. Nessuno ti costringerà a fare quello che non vuoi.

Masino annuisce. Tra loro è rimasto qualche cosa di non detto, ma avranno modo di parlarne.

 

*

 

Tra due giorni partiranno tutti e cinque su una nave diretta a Genova. La nave farà uno scalo a Palermo, dove loro scenderanno per raggiungere Napoli. José conta di parlare con Masino durante il viaggio, per capire che cosa intenda fare. Masino è un ragazzo, dovrebbe tornare a casa propria, ma José non è sicuro che voglia farlo, tanto più che gli sembra che Masino si stia affezionando molto a Juan. José si sente responsabile del giovane e vuole che sia al sicuro.

E c’è anche la faccenda del tesoro dello Sparviero, nascosto nell’isola dove Masino è stato catturato. José medita di cercare di recuperarlo, per poi dividerlo tra Juan, Masino, Alonso e Giuseppe.

Ma per tutto questo c’è tempo.

José ha insistito perché Giuseppe rimanga in casa il più possibile: i rischi che qualcuno lo riconosca sono ridotti, coloro che vivono al Serraglio non sono certo a Smirne, adesso. Ma José si sente più tranquillo se nessuno lo vede: se qualcuno sapesse che è un uomo condannato a morte dal sultano, la sua vita sarebbe finita.

I preparativi per la partenza sono quasi ultimati. José è andato a salutare Gabriele Giustiniani, portandogli in dono uno splendido gioiello, un capolavoro di oreficeria persiana che è costato a José metà della somma che gli era stata affidata dallo Sparviero.

Mentre sta arrivando a casa, vede davanti alla porta alcuni soldati. Si avvicina rapidamente.

Alonso è sulla porta e sta discutendo con il capo del drappello.

Il governatore della città, Asuman, sa che nella casa abita un italiano che ha visto lottare a Edirne e vuole che vada immediatamente al suo palazzo. È presentato come un invito, ma è un ordine a cui Giuseppe non può sottrarsi.

José parla un momento con il comandante, per capire la situazione. I soldati devono portare Giuseppe a palazzo, con le buone o con le cattive. Impossibile dire che Giuseppe non è a casa: entrerebbero e perquisirebbero tutta l’abitazione. È meglio accettare l’invito.

José decide di accompagnare Giuseppe al palazzo.

Mentre vanno, scortati dalle guardie, Giuseppe dice:

- Perché venite anche voi, padrone?

- Ti ricordo che sei mio cugino, Giuseppe. Il governatore ha visto tutti e due a Edirne, al Kirkipinar.

- Tornate a casa, non voglio che corriate rischi.

- Voglio capire le intenzioni del governatore.

- Per favore, tornate a casa.

- Giuseppe, non puoi dirmi quello che devo fare.

- Perché no, cugino? Tra cugini ci si può dare consigli, no?

José sorride, anche se non ne avrebbe nessuna voglia.

- E allora, a proposito di consigli, ascoltami bene. Secondo te il governatore sa che sei partito da Edirne con Suleyman?

- Certamente. L’ultimo giorno del Kirkipinar si avvicinò e ci fu una discussione tra lui e Suleyman, piuttosto accesa.

- Probabilmente entrambi ti volevano, Suleyman per regalarti a Dilar, il governatore per portarti a letto.

- Può essere. Se è così, mi stupisce che Suleyman abbia avuto la meglio su Asuman: era solo un corsaro.

- Se ha detto al governatore che ti avrebbe regalato a Dilar, Asuman ha dovuto cedere per forza: Dilar era il suo principale alleato. Se Dilar avesse saputo che Asuman gli aveva sottratto un maschio vigoroso destinato a lui, Asuman avrebbe rischiato grosso.

Giuseppe annuisce, ma non demorde:

- Tornate indietro, padrone… cugino.

- Se il governatore sa che sei finito al Serraglio, allora gli diremo che alla morte di Dilar sei stato venduto al mercato, come tutti gli altri schiavi al servizio di Dilar, e che io ti ho comprato.

- Allora siete il mio padrone. Ma siete proprio ostinato, cugino-padrone.

- Senti chi parla. Non so se è più dura la tua testa o una colonna di marmo.

 

Il governatore è molto contento di ritrovare il grande lottatore che ha visto all’opera a Edirne. Nei confronti di José si mostra gentile, anche se evidentemente non si aspettava che accompagnasse Giuseppe. Nella conversazione José racconta di aver acquistato e riscattato Giuseppe dopo la morte dell’eunuco Dilar.

Il governatore sorride e dice:

- Ho molto ammirato la vostra bravura nella lotta. Questa sera mi farete assistere a un incontro, vero?

- Un incontro di lotta, qui? Come al Kirkipinar?

- Sì, certamente. Vi farò portare tutto l’occorrente. E poi il vincitore affronterà uno dei miei uomini più forti, Ferit.

José sa che non sarebbe saggio rifiutare.

- Come voi desiderate, Asuman pascià.

Il governatore sorride, contento di non incontrare resistenza.

- E per questa notte siete miei ospiti.

- Molto volentieri. Permettetemi solo di avvisare i nostri amici che ci fermiamo qui.

Fermarsi per una notte non è un problema. L’importante è che il governatore li lasci andare via domani. Asuman vuole Giuseppe, questo è chiaro. Gli basta averlo per una notte o lo vuole finché non gli passerà la voglia? José non può sopportare l’idea che Giuseppe sia di nuovo prigioniero, anche se nel palazzo del governatore la sorveglianza non è certo quella del Serraglio e si potrebbe tentare un colpo di mano, corrompendo qualche servitore.

Il colloquio viene interrotto da un ufficiale, che chiede di parlare subito con il governatore. Asuman appare preoccupato. Si scusa e dà ordine a due servitori di accompagnare José e Giuseppe nella loro stanza. Ne ha fatta preparare una sola, per la notte ne procurerà una seconda, naturalmente. Avranno a disposizione due servitori per qualsiasi esigenza. José sa benissimo che i due servitori sono due guardie che impediranno loro di andarsene. O almeno lo impediranno a Giuseppe: di José al governatore non importa nulla.

La stanza assegnata loro è ampia.

José e Giuseppe si siedono sui tappeti e si appoggiano ai cuscini.

- Padrone, perché vi ostinate a rimanere?

- Abbiamo promesso un bell’incontro di lotta, no? Non posso mica tirarmi indietro.

- Il governatore non aveva chiesto di voi. Contava di farmi lottare con il suo campione.

- E poi di portarti a letto. Come Dilar.

José de Olivares ha risposto in modo brusco. Non avrebbe dovuto, lo sa: finire a letto con Dilar non è stata una scelta di Giuseppe.

- Mi spiace, padrone. Ma se è necessario, non è un problema. Se è quello che vuole, la vostra presenza non gli impedirà di ottenerlo.

Giuseppe ha ragione. Se Asuman dovesse pensare che José de Olivares è un ostacolo tra lui e Giuseppe, lo farebbe eliminare, con qualche accusa falsa o semplicemente facendolo uccidere in segreto.

José sa quello che dovrebbe fare. Dovrebbe dire ad Asuman che deve partire, ma che se il governatore vuole, Giuseppe può rimanere a Smirne. A questo punto Asuman non avrebbe più motivo per farlo uccidere e José potrebbe tenere sotto controllo la situazione e intervenire all’occorrenza.

Ma José non sopporta l’idea di separarsi di nuovo da Giuseppe. Lo guarda e gli sembra di stare male. Tutto quello che ha passato è stato inutile?

 

Più tardi José e Giuseppe ricevono due paia di pantaloni di pelle per il combattimento. Devono indossarli per quando saranno convocati da Asuman, tra non molto.

José si cambia, senza guardare Giuseppe, che si è voltato verso la parete. Ma quando José va alla finestra per guardare fuori, Giuseppe gli vede la schiena. Ci sono ancora i segni delle frustate, là dove le ferite sono state più profonde. José non ha raccontato della fustigazione, per cui Giuseppe si stupisce.

- Padrone, che vi hanno fatto?

- Cugino, cazzo! Cugino! È un regalo di Hulot. Ho fatto scappare un ragazzo che aveva catturato. Mi è andata bene che non mi abbia fatto impiccare, invece di limitarsi a fustigarmi.

Giuseppe è furente. Stringe i pugni. José sorride:

- Hulot ha già pagato e pagherà ancora di più, lo sai, Giuseppe.

- Qualunque cosa gli facciano, non è abbastanza.

 

*

 

Nel tardo pomeriggio Asuman li convoca in una sala piuttosto ampia. Il governatore e alcuni suoi uomini sono seduti sui tappeti. Contro una parete vi sono le guardie.

Asuman sta discutendo con uno degli uomini al suo fianco e appare piuttosto preoccupato. José sospetta che abbia ricevuto notizie allarmanti da Costantinopoli. Della morte di Dilar, sicuramente era già informato. Si deve trattare di qualche cos’altro, che lo inquieta, tanto più ora, che il suo protettore al Serraglio è morto: qualche rivolta? Ibrahim è stato deposto?

Quando li vede arrivare, Asuman interrompe la discussione. È intenzionato a divertirsi.

- Facciamo gli incontri di lotta. Ho scelto due dei miei campioni, poi i vincitori dei due incontri si sfideranno tra di loro.

Evidentemente Asuman ha organizzato la serata in modo diverso da come ha detto loro quando sono arrivati. Giuseppe è contento di non dover affrontare il conte.

I due sfidanti si chiamano Ferit e Okan. Ferit è un uomo massiccio come Giuseppe, anche se più basso, con un viso duro, quasi bestiale. Okan è piccolo e più snello, ma dev’essere anche lui molto forte; a differenza di Ferit, ha un’espressione intelligente.

Giuseppe dovrà affrontare Ferit, che è evidentemente il campione; Okan sarà l’avversario del conte.

I servitori aiutano i quattro contendenti a ungersi il corpo d’olio.

La prima sfida è tra José e Okan.

José si è chiesto se sia più opportuno cercare di vincere o lasciarsi sconfiggere. Che cosa si aspetta Asuman? Sicuramente vuole vedere una bella lotta, ma altro José non può sapere. Combatterà nel modo migliore.

Okan è piccolo, ma è molto forte e non è facile bloccarlo. Il turco si è reso conto di avere davanti un avversario potente ed è alquanto guardingo nel muoversi. José studia l’avversario per capirne i punti deboli.

Si attaccano e cercano di bloccarsi a vicenda più volte, senza riuscirci. Infine, mentre sono avvinghiati, José colpisce una gamba di Okan, squilibrandolo e facendolo cadere. Lo blocca a terra.

Quando si rialzano, gli dice:

- Sei molto bravo.

Okan sorride. Ha un sorriso simpatico.

- Grazie. Tu sei stato più bravo.

 

*

 

Giuseppe avrebbe preferito che il conte perdesse l’incontro. Se Giuseppe vincerà, dovrà affrontare il conte e questo non gli piace: non vuole che si ripeta ciò che è successo a Edirne. Ma se Giuseppe dovesse perdere, il conte si troverà ad affrontare questo colosso e anche questo non gli piace. Okan gli sembra un uomo cordiale e corretto, Ferit invece sembra un bestione violento e cattivo.

La lotta tra Giuseppe e Ferit è lunga e molto impegnativa: i due avversari hanno trovato pane per i loro denti. L’esperienza fatta da Giuseppe a Edirne gli è di grande aiuto: ha capito alcune delle mosse e dei piccoli trucchi che possono aiutare a vincere. Ferit è senza dubbio più esperto, ma meno intelligente: punta solo sulla sua forza.

I due avversari non risparmiano i colpi e più volte la lotta sembra sul punto di concludersi con la vittoria di uno dei due, ma poi riprende. Ferit riesce infine a bloccare Giuseppe a terra, ma con uno sforzo e un brusco movimento, Giuseppe riesce a liberarsi e rovesciare la situazione: ora è Ferit ad essere inchiodato al suolo. Giuseppe lo tiene ben fermo: l’incontro si è concluso.

Giuseppe guarda Asuman, che non sembra dispiaciuto della sconfitta dei suoi due campioni. Ma, a giudicare dalla sua espressione, in questo momento quello che gli interessa è altro. E infatti il governatore dice:

- Siete stati bravissimi. L’incontro tra voi due lo faremo domani sera.

Giuseppe è contento che l’incontro venga rimandato: ha paura della reazione del suo corpo. Ma la frase del governatore non lascia dubbi sulle sue intenzioni: non intende lasciarli liberi.

Asuman sorride e dice:

- Ora avrete il premio.

Con un gesto congeda i suoi uomini. Poi fa cenno a José e Giuseppe di seguirlo e passa in un’altra stanza, più piccola.

 

- Spogliatevi.

Giuseppe guarda che cosa fa José de Olivares. Il conte obbedisce senza esitare. Giuseppe lo imita. Ora sono tutti e due nudi davanti ad Asuman. Giuseppe non guarda dalla parte del conte, che è di fianco a lui, ma ne avverte la presenza e la percezione di questo corpo nudo vicino al suo ha un effetto immediato.

Asuman osserva ammirato.

- Davvero due campioni. E sono sicuro che sapete combattere bene anche in un altro genere di battaglie.

Ride. Poi ordina:

- Spogliatemi.

José de Olivares incomincia a togliergli i vestiti e Giuseppe lo aiuta. Ora non può non vedere il conte e il desiderio cresce ancora. Quando infine Asuman è nudo, Giuseppe ha il cazzo in tiro. Anche il conte è eccitato.

Asuman gli dà la schiena e si appoggia a lui. Asuman tende le braccia verso il conte, che si avvicina. Ora sono stretti tutti e tre, Giuseppe dietro Asuman e il conte davanti. Le braccia del conte avvolgono Asuman e le mani si poggiano sul corpo di Giuseppe. È una sensazione intensissima. Con cautela Giuseppe passa le sue braccia intorno ai due corpi che ha davanti a sé e le sue mani poggiano sui fianchi del conte. Vorrebbe accarezzare e stringere, ma non osa.

La tensione che avverte nel suo corpo è fortissima. Asuman struscia il culo contro il cazzo di Giuseppe, emettendo un mugolio di apprezzamento. Poi fa cenno al conte di arretrare e si piega in avanti, offrendo il culo a Giuseppe. Poggia le mani sui fianchi del conte e ne guarda ammaliato il cazzo. Anche Giuseppe lo fissa, incapace di distogliere lo sguardo. È forte, rigido, percorso da una vena in rilievo e con una grossa cappella purpurea. Giuseppe non saprebbe definire che cosa prova. Non ha mai preso un cazzo in bocca o in culo: ha sempre posseduto i corpi che gli si offrivano. Ma adesso, per la prima volta, gli sembra di desiderarlo.

Asuman gli dice:

- Datti da fare, Giuseppe. Ma muoviti con cautela: hai un cannone tra le gambe.

Asuman prende in bocca il cazzo del conte e incomincia a succhiarlo avidamente. Giuseppe si sputa sulle dita e lubrifica bene l’apertura. Il buco del culo del governatore ha di sicuro sperimentato parecchi cazzi, ma Giuseppe sa bene che la sua arma è formidabile e che deve fare attenzione a non far troppo male ad Asuman. 

Giuseppe avvicina la cappella all’apertura e la spinge un po’ in avanti. Asuman lascia andare il boccone di carne che sta lavorando e geme, ma è un gemito di piacere. Giuseppe avanza ancora un po’, Asuman geme nuovamente, poi riprende in bocca il cazzo del conte e si rimette a succhiarlo con gusto.

Giuseppe avanza piano, dando ad Asuman il tempo di abituarsi. A ogni spinta il corpo di Asuman sussulta. Giuseppe è sicuro che il governatore stia godendo profondamente.

Giuseppe alza gli occhi e il suo sguardo incontra quello di José de Olivares, che gli sorride e annuisce. Per un momento Giuseppe si perde. Il desiderio di tendere le braccia verso il corpo che ha davanti a sé è fortissimo. Giuseppe abbassa lo sguardo.

È la prima volta che scopa in tre, la prima volta che scopa davanti a un altro uomo. Ma quest’altro uomo non è uno qualsiasi, è José de Olivares, l’uomo che Giuseppe ama.

Giuseppe affonda ancora il suo cazzo nel culo del governatore. Questi sussulta. Deve avergli fatto male. Giuseppe si ritrae un po’.

Giuseppe ara il campo con movimenti continui, evitando di spingersi troppo a fondo per non provocare dolore. Ma il suo sguardo è fisso sul corpo del conte, sul cazzo che ogni tanto Asuman lascia per poi riprenderlo. E infine Giuseppe si accorge che il conte è ormai prossimo a venire.

Per un attimo il conte chiude gli occhi. Giuseppe pensa che vorrebbe averlo fatto godere lui. Giuseppe imprime un ritmo più intenso alle sue spinte. Si china in avanti e la sua mano afferra il cazzo di Asuman. Lo stringe con forza e con una serie di movimenti lo porta al piacere, mentre anche il suo seme si spande nel culo di Asuman.

Asuman grida, un breve grido acuto, poi scivola in avanti e si affloscia sui cuscini. Giuseppe e il conte rimangono in piedi a guardarsi. Hanno tutti e due il cazzo ancora gonfio di sangue, ma non più rigido. Giuseppe pensa che non esiste un altro uomo come quello che ha davanti. Gli sembra di essere ubriaco. Volta la testa, costringendosi a fissare Asuman, che si sta lentamente riprendendo. Il governatore sorride.

- Due magnifici stalloni.

Asuman si alza e incomincia a rivestirsi. Il conte e Giuseppe lo imitano.

Quando sono pronti, Asuman si rivolge a Giuseppe e gli dice:

- Giuseppe, domani il pirata che abbiamo catturato sarà giustiziato. Ma oggi voglio vederti incularlo. Il tuo cazzo sarà una buona preparazione per il palo.

Poi Asuman si rivolge al conte:

- Anche il tuo è una bell’arma. Vuoi preparare anche tu la strada al palo?

Il conte sorride e risponde, come se fosse una battuta:

- Lascio che vada Giuseppe. Per quell’uso il suo è meglio.

Giuseppe sa benissimo che il conte preferisce non farsi vedere da Hulot: verrebbe riconosciuto e una parola dello Sparviero sarebbe sufficiente per provocare la morte di José de Olivares. Giuseppe non sa se Hulot denuncerebbe il conte, non ha elementi per stabilirlo, ma non avrebbe senso correre rischi.

 

La porta della cella viene aperta. Il tanfo di piscio e sudore prende Giuseppe alla gola.

Ci sono diversi uomini, che ridono forte, ma all’ingresso del governatore si inchinano. Lo Sparviero è appoggiato su due sacchi. Un uomo gli sta pisciando sulla testa. Un altro lo sta inculando. Questo è l’uomo che ha rapito José de Olivares e lo ha fatto fustigare. Giuseppe sente di odiarlo, con un’intensità che lo sorprende: non ha mai odiato nessuno in questo modo.

Quando il soldato che sta fottendo lo Sparviero ha concluso e si ritira, Giuseppe può vedere il sangue mescolato a sborro che cola dal buco del culo dilatato. Non prova nessuna pietà per quest’uomo, di cui conosce le gesta. Si avvicina, si abbassa i pantaloni e spinge il cazzo a fondo, con una pressione decisa. Hulot solleva la testa ed emette un grido strozzato. Giuseppe è contento di avergli fatto male. Lo fotte con furia, mentre pensa ai segni sulla schiena di José de Olivares. Cerca di fargli male il più possibile, per vendicare il suo padrone, rapito e fustigato da questo figlio di puttana.

 

*

 

Giuseppe ha raggiunto José de Olivares in camera. Gli racconta brevemente la situazione del prigioniero.

- Non mi fa nessuna pietà, devo dire.

- Lo giustizieranno domani, sullo spiazzo di fianco al palazzo.

Il conte annuisce.

- Certo, la morte dello Sparviero sarà uno spettacolo per tutti gli uomini della città. Probabilmente il governatore spera in questo modo di distrarre un po’ la folla. Ma non credo che sarà sufficiente a riportare la calma in città. C’è troppa tensione.

- No, avete senz’altro ragione.

C’è un momento di silenzio. Giuseppe non vuole pensare a quello che è successo, al corpo di José de Olivares nudo davanti a lui, mentre scopavano Asuman. Chiede, come se non lo sapesse già benissimo:

- Mi sembra di capire, padrone, no, cugino, che non partiremo domani sera, vero?

- No, cugino. Il governatore vuole trattenerci.

- Non esiste nessuna possibilità di convincerlo, vero?

- Non credo. Ci considera più o meno dei servitori, per non dire degli schiavi. Dobbiamo fare ciò che vuole e noi lo faremo. Ma prima o poi riusciremo a uscire anche di qui, cugino.

Il conte sorride e quando pronuncia la parola “cugino” c’è una chiara ironia. Ma Giuseppe ha ben altre preoccupazioni.

- Voi potreste uscire anche domani mattina.

Il conte sorride.

- No di certo, il governatore ha detto che vuole vederci combattere. Io non posso partire.

- Potreste dirgli che andate a trovare i vostri amici e che tornerete più tardi. Una volta partito, nessuno potrà riprendervi.

- Non so se mi farebbe uscire. Ora che il governatore ha visto e sperimentato anche la mia attrezzatura, non sarà più disponibile a lasciarmi andare tanto facilmente. Non ti sopravvalutare, cugino. Non posso competere con te, ma me la cavo anch’io.

Giuseppe scuote la testa.

- Non dico di no, cugino, ma, se mi permettete, cugino, siete stato una testa di cazzo. Tra cugini si può dire, no?

Il conte scoppia a ridere.

 

*

 

Masino guarda Juan andare avanti e indietro nella stanza. Vorrebbe dirgli di fermarsi. Gli spiace vederlo così turbato.

Juan non riesce a darsi pace.

- Se non fossimo venuti qui a Smirne, gli uomini del governatore non avrebbero riconosciuto Giuseppe. Perché non abbiamo eseguito il suo ordine? Abbiamo fatto una cazzata e ora anche il conte è in pericolo.

Alonso scuote la testa.

- Juan, è inutile arrovellarci. È successo e adesso dobbiamo cercare di capire che cosa si può fare. Domani ci sarà l’esecuzione dello Sparviero. Andrò a vedere, è un modo per avvicinarsi al palazzo senza dare nell’occhio.

Masino interviene:

- Giustizieranno lo Sparviero?

- Sì, lo impaleranno domani in tarda mattinata.

- Dove?

- In uno spiazzo ai piedi delle mura, vicino al palazzo del governatore. Il governatore vuole vedere, ma preferisce non uscire dal palazzo. La situazione è talmente tesa, che teme che la sua apparizione possa scatenare la rivolta che è nell’aria. Dobbiamo fare molta attenzione. Non c’entriamo niente, ma quando si scatena la tempesta nessuno è al sicuro.

Alonso aggiunge:

- Hanno già preparato tutto.

Masino vorrebbe assistere. Non ha mai visto impalare un uomo. E nei confronti di Hulot, il primo maschio che lo ha posseduto, prova qualche cosa che non saprebbe definire, in cui si mescolano una forte attrazione fisica e un’avversione profonda.

Juan deve aver intuito, perché gli chiede:

- Ti piacerebbe assistere, Masino?

- Sì.

- Non è uno spettacolo divertente, ma se ci tieni, andiamo.

 

L’indomani mattina Juan e Masino raggiungono presto il luogo dell’esecuzione. Lo spiazzo è molto affollato e sul palco c’è il palo, già appuntito, ma non ancora collocato in posizione. Anche se mancano ancora alcune ore, c’è già una grande folla, che ride, chiacchiera, grida, pregustando il divertimento. Una massa compatta di uomini: alle donne non è permesso accedere. Il cielo è una pesante coperta nera, opprimente, non c'è un soffio d'aria e il calore è soffocante, anche se si è alla fine di settembre. Dalla folla sale un odore greve di sudore.

C’è una lunga attesa, finché la porta del palazzo si apre e compaiono i soldati. Un urlo prorompe dalla folla, che ondeggia percorsa da un tremito convulso. I soldati avanzano e tra di loro, nudo, le mani legate dietro la schiena, le gambe sporche del sangue che gli cola dal culo, Hulot. Tiene la testa alta, un mezzo sorriso sprezzante sulle labbra. Sale sul palco, mentre la folla urlante gli anticipa la sua agonia.

 

*

 

Hulot guarda il boia, un bestione a torso nudo, che lo fissa ghignando. Hulot intende mostrare indifferenza e sprezzo per la morte. Sa che invece il boia mira a strapparlo alla sua calma, vuole farlo urlare e gemere, contorcersi e mostrare tutta la sua sofferenza.

Il boia ora comincia a preparare il palo. Hulot lo guarda. Non tradisce quello che prova, ma l’idea che la punta di quel palo scaverà nelle sue viscere gli trasmette un brivido. L'operazione è lunga e il sudore scorre a rivoli sul viso barbuto, sul collo taurino e sul petto villoso del boia, scendendo ad inzuppargli i pantaloni. Anche Hulot suda abbondantemente.

Il boia termina infine il suo lavoro: il palo ha una punta aguzza e il boia lo inserisce nell'apertura già predisposta sul palco. Lo fissa, poi sposta l'alto scalino davanti al palo e si volta verso Hulot. Ride guardandolo. Anche la folla ride e urla contro il prigioniero.

Allora Hulot si muove: avanza tranquillo e con due passi raggiunge il bordo del palco, da cui sovrasta la folla. Le guardie e il boia lo fissano, più stupiti che preoccupati: nessuna fuga è possibile per lui attraverso quel muro umano. Hulot allarga le gambe, si inarca leggermente, e con indifferenza, come fosse contro un muro, comincia a pisciare sulla folla. Un mezzo sorriso gli appare sulle labbra, mentre un getto di piscio scuro irrora i primi spettatori, quelli che devono essersi piazzati ai piedi del palco già ieri sera, per avere un buon posto. Hulot li accontenta, con un supplemento di spettacolo del tutto gratuito. Le guardie sogghignano, lo raggiungono e lo prendono per le braccia, uno per parte, mentre lui continua tranquillo a pisciare sulla folla che inveisce. Lo fanno girare e lui non smette di pisciare, per cui lo schizzo raggiunge una delle guardie. Questa impreca e gli dà un violento strattone, che Hulot incassa barcollando appena. Ora ha finito di pisciare.

I due soldati lo spingono bruscamente, uno irritato, l'altro divertito, verso il palo ed egli avanza tranquillo, senza tradire la consapevolezza dell'agonia che lo attende. Sale senza esitare sullo scalino davanti al palo. Sulla piazza scende un silenzio carico d'attesa. Il boia ride mentre gli passa le braccia sotto le cosce, poi lo solleva e con le mani gli divarica le gambe. La folla esplode in un boato, poi tace nuovamente. Il boia solleva leggermente il corpo, lo sposta nella posizione giusta, lo fa scendere fino a toccare il palo. Hulot rimane del tutto impassibile. Il boia sposta le mani sulle sue natiche, le divarica. Hulot trasale appena mentre il palo comincia a penetrarlo. Poi, con un movimento rapido, il boia si china, gli afferra le caviglie e tira verso il basso. Il corpo di Hulot scende sul palo e l'urlo di gioia e di odio della folla riempie la piazza. Hulot si sforza di non gemere, di mantenere il viso impassibile. Il boia scende e toglie lo scalino. Hulot rimane sospeso sul palo. La folla ride e commenta, soddisfatta. L'agonia del condannato è incominciata. Hulot parla, con una voce chiara e forte, che non tradisce lo sforzo che ogni parola gli costa:

- In culo al sultano e al suo fottutissimo governatore. In culo.

La folla vacilla, il silenzio è totale, i visi stupefatti, le bocche spalancate di fronte alla sfida. Hulot sorride. Ha la sensazione di vincere, stravincere, ributta sui suoi aguzzini l'oltraggio subito. La voce di Hulot risuona ancora, trionfante: è la voce del vincitore, non quella dello sconfitto.

- In culo al sultano e a quel coglione rottinculo del governatore.

Un urlo esce da tutte le bocche e copre la voce di Hulot, un urlo di odio assoluto: la folla detesta il governatore, ma non può accettare che questo pirata non circonciso lo insulti. Si alzano mille voci che con parole diverse chiedono una sola cosa: far tacere l’infame. Il governatore ha già dato un ordine, il boia si avvicina, la sua mano sinistra stringe la gola di Hulot, costringendolo a spalancare la bocca, la destra muove rapida il pugnale. Un attimo dopo dalla bocca di Hulot sgorga sangue in abbondanza, nelle mani insanguinate il boia stringe qualche cosa di rosso. Il pirata non parlerà più. Una guardia porta un cane sul palco. Il boia gli getta la lingua del condannato.

Hulot chiude gli occhi, poi li riapre.

 

*

 

Masino avverte un vago senso di nausea. È abituato a vedere la violenza, ma non ha mai assistito al martirio di un uomo.

Il tempo passa. Nella piazza, dove sono tutti accalcati all'inverosimile, il caldo è sempre più forte, il respiro manca, l'odore di sudore è ormai un tanfo che mozza il fiato. Masino ha l’impressione di fare fatica a respirare e si chiede come facciano tutti a rimanersene lì, in attesa. Ma nessuno si muove, nessuno vuole perdere uno spettacolo che ancora non c'è, ma che non può mancare. Hulot non si contorce, mentre il suo corpo affonda molto lentamente. È bagnato di sudore, che gli incolla i lunghi capelli al viso e gli fa luccicare il corpo da guerriero. Corpo ben costruito, spalle possenti, torace largo su cui il sangue che cola dalla bocca disegna un ampio ventaglio sfrangiato, con strisce rosse che scendono fino al groviglio di peli del pube; braccia muscolose, strette in una morsa dalla corda; gambe potenti, sospese a lato del palo; cazzo grande e vigoroso, da vero maschio. Il primo cazzo che Masino ha accolto.

Quel cazzo non gli servirà più a nulla. Il suo corpo è cibo per i cani ormai, per i vermi. Dal culo il sangue cola sul palo. Ma nulla sembra vincere la sua impassibilità. La folla comincia a chiedere a gran voce la sua castrazione. Il boia guarda il governatore. Questi gli fa un cenno di assenso.

Il boia si piazza davanti a Hulot e gli afferra i genitali. Prima di tagliare comincia a stringere. La sua mano stritola e allora, per la prima volta, il viso di Hulot appare stravolto in una smorfia di dolore, in un urlo atroce che non può più emettere. La folla tace, per sentire i gorgoglii del pirata, assorta nell'osservare il boia, infine ripagata della lunga attesa. Poi il boia estrae dalla cintura il coltello e comincia a tagliare. E Hulot si contorce, in uno spasimo animale, senza più coscienza umana: ora urlerebbe senza ritegno se potesse farlo. La sua faccia stravolta dal dolore, la bocca spalancata nel grido muto, il corpo proteso verso l'alto, in un'impossibile fuga dal coltello e dal palo, le gambe che si agitano nel vuoto, finalmente Hulot regala agli spettatori lo spettacolo che attendevano. Al suo dolore risponde la gioia della folla. Il boia si sposta e si volta verso la piazza, alzando la mano con il suo trofeo, le braccia e il ventre rossi di sangue.

Masino ha seguito tutta la scena, ma ora chiude gli occhi. Non vuole più vedere il corpo che ancora palpita, la testa riversa all'indietro che ciondola lentamente, poi ricade in avanti sul petto. Hulot è piombato in un torpore da cui nulla sembra poterlo scuotere.

Ed ecco che le prime gocce di pioggia scendono sulla folla. Poche gocce, poi un tuono che sembra lacerare il cielo, un lampo che illumina la piazza e infine il diluvio: la pioggia si rovescia sulla terra con violenza, inondando la folla, Hulot e il boia, e regalando un po’ di frescura. Masino si sente meglio. Guarda di nuovo il corpo in agonia e di fianco a lui il boia.

L'acqua che scende lava il sangue sul corpo del boia e gli incolla i pantaloni addosso. Ora, magnifica sotto il drappo nero, appare evidente una maestosa erezione: castrare Hulot lo ha eccitato. Quanto al pirata, la pioggia sta lavando via il sangue sul torace e sul ventre; tra la massa di peli intorno alla ferita è ora visibile un moncherino, quanto resta della sua virilità. Il boia guarda il pezzettino di cazzo che è rimasto e ride, poi si mette di fianco a lui, quasi a suggerire il confronto. La sua trionfale erezione si intravede sotto i pantaloni bagnati, ultima beffa per il pirata: un cazzo taurino contro il ridicolo brandello di carne. La folla esplode in un boato, le risate e i lazzi osceni si intrecciano. Ora il boia si mette dietro a Hulot e si appoggia contro la sua schiena. Visto da davanti sembra che inculi Hulot. Il boia afferra Hulot per i fianchi e ne tira il corpo verso il basso. Hulot si riscuote e il suo viso si contrae in una smorfia di dolore mentre il palo affonda nel suo corpo. La folla grida la sua gioia.

Hulot sembrava ricaduto nel torpore che precede la morte, ma la pioggia che scende a rovesci ora pare scuoterlo. Muove un po' la testa, in una smorfia di sofferenza, poi comincia ad agitarsi. I suoi movimenti, tesi a sfuggire alla punta che lo penetra, fanno scivolare il suo corpo sul palo, che gli scava dentro sempre di più. Il nuovo dolore lo spinge ad agitarsi e quindi lo fa sprofondare ulteriormente, con una serie di smorfie, mentre altro sangue gli esce dalla bocca: vorrebbe urlare, ma non può. Si contorce ancora e sprofonda, sotto la pioggia che regala alla folla frescura e un supplemento di spettacolo. Poi Hulot ripiomba definitivamente nell'incoscienza, i piedi ormai toccano terra.

Altro tempo passa. La pioggia è cessata, il velo nero si squarcia e appare il sole. Un denso vapore si alza dalla piazza. Hulot è ancora vivo, ma ormai insensibile. La folla è sazia. Ad un nuovo cenno del governatore il boia avanza con il martello di legno e comincia a colpire Hulot alternativamente sulle due spalle. Il corpo sprofonda, le gambe si piegano. Ai primi due colpi c'è ancora una reazione di Hulot, che alza la testa, spalanca gli occhi e si irrigidisce. Poi il corpo si affloscia senza più resistere, accompagnato da un ultimo urlo della folla. L'aiutante del boia mantiene il corpo nella posizione corretta, in modo che il palo lo attraversi completamente. Ora il culo di Hulot tocca quasi terra. L'aiutante del boia gli raddrizza le gambe: Hulot sembra seduto con le gambe protese in avanti. Con gli ultimi colpi il palo esce dalla bocca di Hulot. Sulla punta il boia gli infila i genitali. La folla ride ed urla, inebriata dallo spettacolo.

Masino ha seguito l’ultima parte dell’esecuzione provando un disagio crescente, ma si vergognava di dirlo a Juan. Adesso però si sente male. Juan se ne accorge.

- Vieni, andiamo.

Si avviano. A un certo punto Masino si accorge che le gambe non lo reggono più. Juan lo fa entrare in una locanda, lo fa sedere sui cuscini e gli fa portare del tè e qualche dolce. Masino beve soltanto, ignorando i dolci. Ma dopo un po’, quando incomincia a sentirsi meglio, incomincia ad assaggiarne uno e finisce per divorarli tutti.

Juan gli passa una mano nei capelli, in una carezza ruvida.

- Affamato, eh?

Masino lo guarda. Si fissano negli occhi e ognuno dei due legge negli occhi dell’altro lo stesso desiderio.

Juan dice, piano:

- Chiedo se hanno una camera, Masino?

Masino annuisce.

 

*

 

Masino gli è piaciuto moltissimo, fin dal primo momento. Masino ha un bel viso e un bel corpo, un sorriso simpatico.

Juan chiede una camera per potersi riposare due ore. Il locandiere non fa storie. Gli fa vedere una stanza, che va benissimo. Juan paga, poi torna nella sala dove Masino aspetta e gli fa un cenno. Masino si alza e lo raggiunge.

Entrano nella camera. Juan chiude la porta alle sue spalle. Masino si è voltato e gli sorride. Juan si avvicina a lui, lo bacia sulla bocca, poi lo abbraccia. Il desiderio si accende rapidamente e guida i suoi gesti. Juan incomincia a spogliare Masino, che lo asseconda. Ora Masino è nudo davanti a lui e Juan lo guarda, incantato. È bello questo corpo armonioso.

- Spogliami, Masino.

Masino sorride, ma Juan gli legge in viso l’incertezza. Masino incomincia a spogliarlo. Quando le sue mani fanno calare l’ultimo indumento, Masino guarda affascinato il cazzo di Juan, turgido. Juan lo abbraccia e ora i loro corpi aderiscono completamente. È bello sentire il calore della pelle di Masino, stringere con forza il culo snello, cercare con un dito l’apertura segreta che tra poco Juan violerà.

 

*

 

Disteso sui cuscini, Masino sente le dita umide di Juan scivolare lungo il solco, poi introdursi, forzando l’anello di carne. Masino si abbandona a questa carezza, che lo stordisce. Mormora:

- Sì!

Masino sente la pressione del cazzo di Juan, che sta entrando dentro di lui. Fa un po’ male, ma è bello. Juan avanza con cautela. Ora si ferma. Masino sente un'ondata di piacere diffondersi in tutto il suo corpo.

- Sì, Juan, sì! Così!

È una sensazione fortissima. Juan non ha la tenerezza di José, ma a Masino piace la forza con cui quest’uomo lo soggioga.

Juan gli sussurra, ridendo:

- Sei una troietta.

Poi prende a muoversi avanti e indietro e ogni volta che Masino sente il cazzo affondare dentro di lui, il piacere diviene più forte. Senza accorgersene grida:

- Sì, sì!

Juan gli tappa la bocca.

- Non così forte, maialino.

Juan cavalca a lungo, con movimenti lenti, che solo verso la fine diventano più veloci.

Masino sente il fiotto che gli inonda le viscere. Juan si volta sulla schiena. Ora Masino è sopra di lui. La mano di Juan gli accarezza le palle, poi sale all’uccello. Masino sente il piacere travolgerlo, mentre viene.

 

*

 

Anche Giuseppe e il conte hanno assistito all’esecuzione, da una finestra del palazzo. Quando hanno deciso di averne abbastanza, si sono ritirati e sono stati riaccompagnati in camera.

Giuseppe pensa che anche il conte potrebbe finire come Hulot e l’idea gli è insopportabile.

- Perché mi avete accompagnato? Perché non ve ne siete andato quando era ancora possibile, padrone?

José lo guarda negli occhi. Poi parla, senza abbassare lo sguardo.

- Perché non posso separarmi da te, Giuseppe.

Giuseppe non si aspettava questa risposta. Ripensa alle parole di Juan, sulla nave che li portava a Smirne. Non è possibile, ha capito male, ha frainteso il senso delle parole del conte.

- Questa sera lotteremo, ma forse domani vi lascerà partire. Tornate in Italia. Io me la caverò. Mi lasciate un po’ di denaro in modo che io possa raggiungervi quando il governatore si sarà stufato di me.

José scuote la testa. Giuseppe insiste:

- Padrone, vorrei sapervi al sicuro.

- Giuseppe, tu non puoi capire. Tu non ami, per cui non ti rendi conto di che cosa significherebbe per me lasciarti qui.

Giuseppe è rimasto paralizzato. La frase del conte non lascia spazio a dubbi. Giuseppe riesce a dire, a fatica:

- Perché parlate di amore?

- Perché è così, Giuseppe. Mi sono innamorato di te, forse già a Napoli. E poi questo sentimento è andato crescendo mentre viaggiavamo insieme. Non avrei dovuto ascoltarti, non avrei dovuto portarti con me a Costantinopoli.

Giuseppe abbassa gli occhi, travolto da qualche cosa che è troppo grande, a cui non era preparato. Rimane muto, incapace di esprimere quello che prova.

José interpreta il suo silenzio nel modo sbagliato.

- Dovevo dirtelo, Giuseppe. Non aveva senso continuare così. Adesso lo sai. Vedremo che cosa riusciremo a fare per andarcene tutti e due di qui. Non ti preoccupare di quello che ti ho detto, non ti chiedo niente, non vorrei mai che tu ti sentissi in dovere di fare qualche cosa per farmi piacere o perché sono il tuo padrone. Non avrebbe senso, non è quello che voglio.

Giuseppe sa che tocca a lui spiegare. Si vergogna. Nonostante le parole di José, ha ancora la sensazione di aver osato guardare troppo in alto. Deve dire al conte quello che prova, ma d’improvviso anche la sua lingua natia gli sembra straniera, i termini gli sfuggono. Basterebbe dire le parole che ha sussurrato quando, chiuso nel sacco, era sicuro di stare per morire. Ma ciò che ha detto davanti alla morte, non può dirlo ora, di fronte a quest'uomo. Cerca altre parole per esprimere il proprio sentimento, ma la vergogna gli fa trovare quelle sbagliate:

- Lo farei volentieri, padrone, io…

José ride, una risata aspra. Anche la voce è aspra:

- Lascia perdere, Giuseppe. Sono il tuo padrone, è vero, me lo ricordi sempre. Ma non chiedo ai miei servitori di scopare con me.

José si alza e gli dà le spalle. Guarda fuori dalla finestra, verso il giardino.

Giuseppe chiude gli occhi. Deve riprovare. Troverà le parole giuste.

In quel momento la porta viene aperta. Asuman ha mandato a chiamare i due ospiti. Devono vestirsi per il combattimento, subito. Il governatore è impaziente e non tollera ritardi.

 

*

 

Asuman è eccitato. L’agonia di Hulot ha risvegliato il suo desiderio.

Asuman li aspetta nella stessa sala della sera precedente, ma questa volta non c’è nessuno.

- Mettetevi l’olio. Voglio vedervi lottare.

Giuseppe e il conte si ungono. Giuseppe è ancora sconvolto dalle parole che gli ha detto José de Olivares. Non è contento all’idea di affrontare il conte, ha paura di avere nuovamente un’erezione, ma sa che non può sottrarsi.

Giuseppe è intenzionato a far durare il combattimento il meno possibile. Anche questa volta lo stringere il corpo del conte provoca un’erezione, ma Giuseppe è venuto due volte ieri sera: non c’è la stessa urgenza del desiderio insoddisfatto che c’era a Edirne.

Per quanto il conte sia abile e forte, Giuseppe riesce ad avere la meglio.

Quando Giuseppe lo blocca a terra, il conte gli dice:

- Cazzo, Giuseppe! Lottare con te è come competere con un elefante.

Giuseppe sorride. Si rialza. Adesso faranno come ieri sera?

- Spogliatevi.

Giuseppe deve obbedire e si abbassa i pantaloni. Il cazzo è in tiro. Asuman può pensare che Giuseppe sia impaziente di scopare con lui. E qualunque cosa pensi, a Giuseppe non gliene fotte un cazzo. Ma che cosa pensa il conte? Giuseppe preferisce non guardare dalla sua parte.

Asuman sorride guardando il cazzo di Giuseppe, poi guarda quello del conte. Giuseppe non riesce a impedirsi di dare un’occhiata. Anche il conte ce l’ha duro.

- Spogliatemi.

Tutto si svolge come la sera prima. Ora Asuman è nudo tra loro due. Giuseppe è dietro di lui e il suo cazzo appoggia contro il culo del governatore. Il conte è davanti. Ma quando Asuman si stacca, le sue parole sono diverse da quelle che Giuseppe si aspettava.

- Mi piacerebbe gustare di nuovo il tuo cazzo, Giuseppe, ma il culo mi fa ancora male. Perciò, Giuseppe, adesso tu prenderai José come hai preso me ieri.

Giuseppe rimane paralizzato. La sua mente si rifiuta di capire.

José risponde, in turco:

- Come voi volete.

Poi si rivolge a Giuseppe e gli dice, brusco:

- Ora mi prenderai, senza fare storie.

José si distende sui cuscini, allargando le gambe e offrendogli il culo.

Giuseppe lo guarda, guarda il culo, l’apertura che s’intravede appena. Giuseppe desidera questo corpo che ora gli si offre, come non ha mai desiderato nulla al mondo. Ma non può farlo, non può.

Il conte dice, quasi ringhiando:

- Muoviti, Giuseppe. Non ho voglia di finire con il palo in culo.

Giuseppe sa che deve fare ciò che desidera, ma non vorrebbe.

Si sputa sulle dita e incomincia a lubrificare l’apertura. Il contatto gli trasmette una vertigine. Si chiede se non verrà ora, mentre tocca appena con due dita questo corpo.

Giuseppe ripete l’operazione più volte. Con la coda dell’occhio controlla che Asuman non si innervosisca, ma il governatore guarda sorridendo.

Giuseppe avvicina la cappella al culo. Sta per inculare José de Olivares, grande di Spagna. Non è possibile. Ha inculato un sultano, può farlo con un grande di Spagna. Ma del sultano non gli importava niente, José de Olivares è l’uomo che ama e che lo ama, gliel’ha detto, anche se non è possibile.

Giuseppe chiude gli occhi e spinge. Sa che questa carne che oppone resistenza non è mai stata violata e il pensiero lo stordisce. Spera di non fare troppo male.

Giuseppe avanza, poi si ferma. Lascia che l’anello di carne si abitui a questa dilatazione. Poi avanza di nuovo lentamente. Sente la tensione nel corpo di José. Sa che gli sta procurando dolore e non vorrebbe. Non ci sono vie d’uscita. Il governatore potrebbe far impalare tutti e due per la disubbidienza di Giuseppe.

Giuseppe avanza ancora un po’, poi incomincia a muoversi. Le sue mani si appoggiano sulla schiena del conte, poi si muovono in una carezza, che dalla schiena scende fino al culo. E man mano che il desiderio cresce, travolgendo la resistenza di Giuseppe, le sue mani stringono con forza e la cavalcata assume un ritmo più deciso.

Giuseppe passa una mano sotto il ventre del conte. Trova il cazzo, grosso, duro, caldo. Lo stringe con forza. Gli sembra di essere sbatacchiato dalle onde, in preda a una tempesta che lo trascina con sé. Si rende conto di far male al conte, ma non riesce più a controllarsi. La sua mano lavora il cazzo con brutalità, scende ai coglioni, li stringe. E poi il piacere deflagra, mentre il suo seme si sparge nel culo del conte e quello del conte ricade sui cuscini.

Il governatore è entusiasta. Il conte risponde a tono. Giuseppe non capisce più nulla.

 

*

 

José e Giuseppe sono rientrati nella loro camera. Non hanno scambiato una parola. José zoppica: cerca di non darlo a vedere, ma Giuseppe se n’è accorto.

Si spogliano, si lavano e poi si coricano, senza dire nulla. José non si è rivestito. Fa ancora caldo.

Giuseppe ha chiuso gli occhi. Sa che dovrebbe parlare, ma non riesce. Gli pare di sprofondare in un abisso di vergogna e di dolore. Vorrebbe essere morto, vorrebbe essere affogato in mare chiuso nel sacco in cui lo aveva fatto mettere il sultano. Perché Alonso e Juan lo hanno salvato? Sarebbe stato mille volte meglio se fosse morto allora.

La mano di José si posa sulla sua e la stringe.

- Giuseppe, smettila di tormentarti. Da questo palazzo riusciremo a fuggire, in un modo o nell’altro. Non è il Serraglio. Con Alonso e Juan organizzeremo qualche cosa. Quello che è successo questa sera, non ha importanza, nessuna. Succederà altre volte, forse. Te l’ho già detto. Mi sono spesso servito del mio corpo come di uno strumento per portare a termine un compito.

Le parole del conte non calmano l’angoscia che Giuseppe sente dentro di sé.

- Perdonatemi, padrone.

- Basta! Non ho niente da perdonarti. Hai fatto quello che dovevi per evitare di finire tutti e due impalati.

- Io non volevo…

- Lo so, Giuseppe, ma credo che tu non volessi neanche con Dilar o con il sultano. L’hai fatto perché era necessario.

Giuseppe si rende conto che ancora una volta ha detto le parole sbagliate. La disperazione lo inghiotte. Trema, un tremito che non riesce a frenare. Il conte se ne accorge.

- Giuseppe! Che ti succede?

- Perdonatemi.

- Giuseppe! Basta! Era necessario farlo, l’hai fatto. Non è stato terribile. Mi ha fatto male, per me era la prima volta e tu sei un toro, ma sai quello che provo per te e non mi è dispiaciuto che tu mi prendessi una volta, anche se controvoglia, anche se davanti al governatore.

Giuseppe vorrebbe urlare, vorrebbe dire che non è stato controvoglia, vorrebbe trovare le parole per spiegare. Non riesce. Geme:

- Padrone, padrone.

José De Olivares si gira su un fianco.

- Calmati, Giuseppe.

Gli posa una mano sul viso e sussurra:

- Calmati, non è successo niente.

Giuseppe non regge più e di colpo le parole escono, confuse, troppo frettolose per disporsi in ordine, proiettate in avanti da un’esigenza insopprimibile, perché se quelle parole gli rimanessero dentro, gli roderebbero il cuore.

- Io… io lo volevo anch’io, l’ho sempre voluto… quel giorno, a Edirne… quando vi ho stretto… io vi amo… sono venuto anch’io… ai bagni… vedervi nudo… ma da prima, da molto prima… non sapevo… quando… non avevo capito, io vi amo… quando mi hanno detto che eravate stato catturato dai pirati… meglio morire… io… perdonatemi… non dovevo… quando mi stavano buttando in mare, nel sacco, ho detto che vi amavo…

Giuseppe è esausto. Non riesce più a parlare. Sta piangendo, come non gli capitava da quando era bambino.

 

*

 

Le parole di Giuseppe sono state confuse, ma il senso del suo discorso è chiarissimo.

José sente le lacrime che scorrono sul suo viso. Si china su Giuseppe e lo bacia sulla bocca. Giuseppe non reagisce, sembra paralizzato, ma a un secondo bacio José avverte che Giuseppe sta recuperando un po’ di calma.

José si stende su Giuseppe. Ora i loro corpi aderiscono. José lo bacia di nuovo. Spinge la sua lingua tra le labbra di Giuseppe, che schiude la bocca.

Il contatto dei loro corpi ha avuto un effetto immediato su tutti e due, ma José vuole soprattutto calmare Giuseppe, farlo uscire dalla disperazione in cui pare essere piombato.

- Va meglio, ora, Giuseppe?

- Sì.

José coglie l’incertezza nella voce di Giuseppe.

- Giuseppe, è così terribile che io ti ami e tu mi ami?

Giuseppe inghiotte un singhiozzo.

- No… credo di no… scusatemi.

- Se mi dai del voi, col cazzo che ti scuso.

- Io… non è facile, José.

- Che cos’è che rende tutto così difficile?

José lo sa, ma è necessario che Giuseppe lo dica, per parlarne insieme. Possono farlo, ora che Giuseppe ha recuperato la calma.

- Voi…

Giuseppe si blocca. José lo corregge:

- Tu.

- Tu… tu sei il conte di Olivares, uno dei grandi di Spagna. E io sono un bastardo ignorante.

- Tu sei un uomo intelligente, generoso, coraggioso, buono. Tutte ottime qualità. Ma soprattutto sei l’uomo che amo.

- Anch’io… anch’io ti amo, José. Credo di averti amato da sempre, ma l’ho capito solo a Costantinopoli.

- Va bene, allora tutto il resto non ha importanza.

- No, è vero.

José bacia di nuovo Giuseppe.

- Padrone…

José non lo lascia continuare:

- Se mi chiami ancora una volta padrone quando siamo soli io e te, ti strizzo i coglioni da farti urlare.

E per dimostrare che non sta scherzando, José afferra i coglioni di Giuseppe e dà una strizzata piuttosto energica.

- Va bene, va bene, pa… José. Hai buoni argomenti.

Giuseppe ride, una mezza risata, ma a José per il momento basta. Giuseppe si è rasserenato.

- Giuseppe, come ti ho detto prima, quello che è avvenuto non mi dispiace. Avrei preferito che potessimo amarci io e te senza nessuno spettatore e in piena libertà. Il governatore ci ha forzati, ma va bene così. Io sono stato contento di sentirti dentro di me, di appartenere un po’ a te, anche se pensavo che lo facessi solo perché eri obbligato.

Giuseppe ha mosso le mani e ora stringe José a sé. Una mano risale fino al capo e gli accarezza i capelli.

- Ti desideravo alla follia, ma farlo… prenderti… Ti ho fatto male, vero? Un male cane. Zoppicavi.

- Sì, Giuseppe, mi hai fatto male, davvero, ma a me andava bene. Desideravo essere tuo, lo desidero ancora, anche se non so… non l’avevo mai fatto… forse… il governatore mi ha fatto un favore, in fondo.

Anche per José non è facile spiegarsi.

- Pa… José… mi vuoi prendere?

José rimane senza fiato. Possedere Giuseppe, l’uomo che ama… Lo desidera con violenza.

- Giuseppe, non è che dobbiamo pareggiare i conti. Tu mi hai inculato, io ti inculo, allora siamo pari e non ti senti più in colpa.

Giuseppe ridacchia.

- José, credo che sia un po’ come per te. Ho voglia che tu mi prenda, anche se mi spaventa un po’ l’idea. Nessuno me l’ha mai messo in culo. Vorrei che lo facessi tu.

- Ti farò male, Giuseppe.

- Mi hai detto che a te andava bene. José, non so spiegarti, non sono tanto bravo con le parole, io. Ma lo desidero.

- Voltati, Giuseppe.

José si stacca. Giuseppe si volta. José gli accarezza la schiena, indugia sul culo. Possedere questo culo che nessuno ha mai avuto. Prendere possesso di Giuseppe, che ha preso possesso di lui. Perché José sa che loro due si appartengono.

José si stende su Giuseppe, lo abbraccia, lo bacia sul collo, poi le sue mani lo accarezzano. Gli mordicchia il culo, più volte, poi passa la lingua lungo il solco, spingendosi in avanti. Giuseppe mugola.

José inumidisce ancora con la lingua, poi si stende nuovamente su Giuseppe e lentamente affonda la sua arma dentro di lui. Ciò che prova va oltre tutto ciò che ha sperimentato in vita sua. L’uomo che sta possedendo è l’uomo che ama, l’uomo a cui appartiene e che ora gli appartiene.

José cavalca a lungo, con molta dolcezza, finché il desiderio non lo sprona ad accelerare e con una rapida successione di spinte vigorose, viene dentro Giuseppe. Pensa di farlo venire con le mani, ma poi cambia idea.

Gli chiede:

- Com’è stato Giuseppe? Ti ho fatto male, non negare.

- Sì, José, mi hai fatto male. Ed è stata la cosa più bella della mia vita. Sentirti dentro di me, sapere che sono tuo. José, per me possono impalarmi domani…

- Io eviterei, se possibile.

Ridono entrambi. José è ancora dentro Giuseppe. Stringe tra le mani questo corpo magnifico.

- Mi piaci da impazzire, Giuseppe. Mi sei piaciuto sin dal primo momento che ti ho visto.

C’è un momento di pausa, poi José dice:

- Adesso mi prenderai tu.

- No! Ti ho fatto male prima, non voglio…

- Non vuoi? Non mi desideri? Se è così, mi preoccupo, Giuseppe.

- Sai che ti desidero.

- E allora prendimi.

José scivola di fianco a Giuseppe.

Giuseppe lo accarezza, lo bacia, lo stringe. Anche lui fa scorrere la lingua lungo il solco. Poi, con infinita cautela, entra dentro di lui.

Benché Giuseppe si muova con estrema attenzione, il dolore è molto forte. Ma a José non importa. Gli importa solo appartenere a Giuseppe.

 

*

 

José e Giuseppe sono stesi uno vicino all’altro. Giuseppe è sulla schiena, José su un fianco. La destra di José stringe la sinistra di Giuseppe. Con la sinistra José traccia ghirigori sul corpo di Giuseppe e ogni tanto si protende a baciargli la bocca, a mordergli un capezzolo, ad avvolgere la cappella.

È molto tardi, nel palazzo c’è silenzio, ma non è tempo di dormire, ora. Sono tutti e due stanchi, ma il bisogno di stringere i legacci che li uniscono è più forte di tutto.

José racconta, cose che non ha mai detto a nessuno. Non sa perché ha incominciato. Giuseppe ha chiesto qualche cosa e José si è reso conto che voleva aprirsi completamente a lui.

- I rapporti in famiglia non sono mai stati facili. La mia matrigna mi odiava e cercava di alienarmi l’affetto di mio padre. Raccontava episodi accaduti deformandoli, in modo da farmi apparire meschino e crudele, ne inventava altri. Mio padre era un uomo d’azione, un guerriero. Non era abituato a certi maneggi e rimaneva troppo poco con la famiglia per capire. Mi rimproverava spesso, duramente. Tra i dodici e i sedici anni mi prese con sé in alcune spedizioni militari. Per me fu durissima: ero poco più di un bambino e mio padre mi sottoponeva a una disciplina molto severa: voleva raddrizzarmi, correggere i miei difetti. E io volevo a ogni costo riuscire a fare tutto quello che mi chiedeva, cercavo di guadagnarmi il suo affetto. Fu allora che incominciò a sospettare: non mi comportavo come si sarebbe aspettato, né con lui, né con gli altri. A sedici anni trascorsi un’estate in uno dei castelli di famiglia. Quando mio padre ci raggiunse, la mia matrigna si lamentò ancora di me, ma lui ormai era diffidente. Cominciò a porre alcune domande alla servitù e si fece un quadro credo abbastanza esatto della situazione. Ne rimase sconvolto: era un uomo molto retto e rendersi conto di essere stato ingiusto nei miei confronti gli pesava moltissimo.

- Si scusò con te?

- Non direttamente, avrebbe dovuto accusare sua moglie e non voleva farlo, ma in un certo senso sì, si scusò. Poi mi mandò da un nostro lontano parente, che stava a Parigi: nelle famiglie nobili non è raro che un giovane trascorra qualche tempo presso qualche parente all’estero. È un buon modo per imparare una nuova lingua e soprattutto capire come muoversi nel mondo dell’aristocrazia. La nostra è una delle famiglie più importanti di Spagna, anche se allora il ramo principale era costituito da un cugino di mio padre e da suo figlio. Mio padre lo fece perché potessi completare la mia educazione lontano dalla mia matrigna e da Enrique, ma per me fu un esilio.

La mano di José si perde nella peluria che copre il petto di Giuseppe.

- Io non lo sapevo e credo che non lo sapesse neanche mio padre, ma a questo parente venivano affidati incarichi diplomatici molto delicati, come quello che io ho svolto a Venezia. Lui ebbe fiducia in me e mi utilizzò in diverse occasioni: la mia giovane età rendeva gli altri meno diffidenti. Seguendo i suoi consigli mi costruii l’immagine di uomo che pensa solo al piacere: quella di un gaudente è rimasta la mia immagine pubblica e mi è stata spesso d’aiuto per non destare sospetti. Ed è così che ti ho conosciuto.

Giuseppe pensa al loro primo incontro. L’umiliazione di quel giorno. Sorride a un pensiero. José se n’accorge:

- Che cosa ti fa sorridere, Giuseppe?

- Quel giorno, nel vostro palazzo…

José gli stringe i coglioni e Giuseppe si corregge:

- …nel tuo palazzo, tu mi hai chiesto di lavarmi e io mi sono chiesto che cosa avrei dovuto fare. Te l’avrei messo in culo, come con il conte del Cerreto, o tu volevi incularmi?

- Quel giorno non avevo in mente nulla del genere. Non potevo prevedere il futuro…

- Ero angosciato all’idea che tu volessi prendermi, di dovermi dare a te... Non pensavo che un giorno lo avrei desiderato con tutto me stesso.

Si baciano sulla bocca, poi José riprende:

- Mio padre non fu contento quando venne a sapere della mia fama e a un certo punto mi intimò di rientrare in Spagna. Questo parente mi accompagnò e parlò a lungo con mio padre, spiegandogli che cosa avveniva realmente: mio padre fu felice di quanto lui gli diceva. Era davvero orgoglioso di me. Poi ritornammo entrambi a Parigi.

Adesso è la mano di Giuseppe a percorrere il corpo di José.

- A ventiquattro anni mi trasferii a Napoli, perché c’era bisogno di qualcuno che agisse nella città. L’anno dopo, nostro cugino e suo figlio morirono in un naufragio. Il titolo di duca passò a mio padre, anche se lui continuò sempre a farsi chiamare conte e io ho conservato la stessa abitudine, per amor suo. Alla sua morte sono entrato a far parte dei grandi di Spagna, ma non mi interessa la vita di corte. Preferisco i rischi di un’attività che serve per il bene del mio paese. E questo è tutto.

 

*

 

A Giuseppe è sempre piaciuto ascoltare il conte quando questi racconta. Ma adesso, sentirlo aprirsi così con lui, è un’esperienza inebriante.

- E tu, Giuseppe? So così poco di te.

- C’è poco da sapere, José, ma quel poco te lo racconto volentieri.

José lo bacia sulla bocca, poi Giuseppe incomincia a narrare.

- Mio padre viveva vicino a Roccanera. Lo avevano battezzato Bastiano, ma tutti lo chiamavano il Grosso, perché era molto alto e massiccio. Io ho preso da lui.

José ride.

- Direi proprio di sì.

- Mise mia madre incinta. Voleva sposarla, così si diceva, almeno, ma fu coinvolto in una rissa, uccise un uomo che voleva accoltellarlo e fu condannato a morte. Riuscì a scappare, ma si unì ai banditi di Ditomozzo e qualche anno dopo scomparve: di lui non si seppe più niente. Un fratello di mia madre la prese con sé, a Napoli. Non aveva figli, si affezionò a me e mi fece studiare, anche se la scuola non era per me. Vivevamo abbastanza bene.

- Perché la scuola non era per te? Sei molto intelligente.

- Non mi interessava molto la scuola, ero un ragazzo irrequieto. Passavo il mio tempo a girare per la città, spesso mi azzuffavo, facendo disperare mia madre. Ma non ero cattivo: prendevo sempre le parti dei più deboli.

- Sì, non poteva che essere così.

- Non ci mancava nulla. Mio zio mi voleva davvero bene. Era mercante di granaglie, ma a un certo punto gli affari incominciarono ad andare male, ci furono forti perdite, mio zio accumulò debiti su debiti. Aveva sempre lavorato senza badare alla fatica e l’idea di perdere tutto quello che aveva costruito lo angosciava. Un mattino lo trovammo morto nel suo letto. A me e mia madre non rimase niente, i creditori presero tutto. Per alcuni anni  lavorai al servizio di un ricco mercante di panni, a Napoli. Poi lui morì di peste e noi tornammo al paese, per sfuggire all'epidemia. Il conte di Roccanera, quello che voi avete conosciuto, mi prese come guardia. Mia madre è morta tre anni fa. E questo è tutto.

- Sei rimasto parecchi anni al servizio del conte.

- Sì, non avrei saputo che altro fare. Una volta la carrozza su cui viaggiava fu attaccata dai briganti. Il capo delle guardie venne ucciso, un’altra guardia scappò, ma io riuscii ad ammazzare due briganti e a mettere in fuga il terzo. Il conte mi fece prendere il posto dell’uomo che era morto. Non posso dire che mi trovavo male dal conte, non era un cattivo padrone, ma non ne avevo molta stima e suo fratello era un figlio di puttana. E poi ci fu la faccenda del prete.

 

*

 

José e Giuseppe sono avvinghiati. I loro corpi aderiscono in una stretta che il sonno non ha sciolto. Prima di addormentarsi si sono amati ancora una volta e hanno sul ventre i loro semi mescolati.

Le grida che giungono dalla strada li svegliano. È un clamore lontano, che va crescendo. La finestra della stanza si affaccia su un giardino interno: non è possibile capire che cosa succede. Poi si sentono degli spari.

José si riveste in fretta: non c’è tempo per lavarsi: sta accadendo qualche cosa di grave. E poi a José non spiace avere un po’ del seme di Giuseppe sulla pelle, come ce l’ha in culo. Se le grida sono il segno di una rivolta popolare, entrambi rischiano la vita: in questo caso José pensa che è contento di morire con le tracce del loro amore su di sé. È un pensiero assurdo, José se ne rende conto, ma è così.

Anche Giuseppe si è rivestito.

José esce e Giuseppe lo segue. Solo uno dei due servitori è vicino alla porta. José gli si rivolge in turco:

- Che succede?

- Non so, Bayar è andato a vedere.

Rimangono ad attendere. La guardia di nome Bayar torna poco dopo. È sconvolto.

- Ieri pomeriggio è arrivata la notizia della morte del sultano Ibrahim. Lo hanno strangolato. La folla sta attaccando il palazzo. Vogliono fare il governatore a pezzi, come hanno fatto a Costantinopoli con il gran visir, Ahmed pascià. Sono migliaia. I nostri compagni non riusciranno a tenerli a freno a lungo.

José non si stupisce.

Le due guardie sono terrorizzate. Non sanno che fare. José chiede:

- Il palazzo verrà saccheggiato: nessuno può fermare gli assalitori. Voi soldati sarete tutti massacrati. Non c’è modo di uscire, magari qualche porta secondaria?

I due si guardano. Uno dice all’altro:

- Bayar… dalle scuderie. La porta che dà fuori dalle mura…

- Sì, se riusciamo a raggiungerle. Se ci vede qualche ufficiale…

José interviene:

- Direte che il governatore vi ha ordinato di portare i due ospiti nelle scuderie.

I due uomini sorridono all’idea di riuscire a scampare al pericolo.

- Venite con noi.

Incrociano diversi servitori, che sembrano terrorizzati e non fanno caso a loro. In cortile trovano anche un ufficiale, che si rivolge alle due guardie:

- Andate subito alla porta principale. Bisogna difendere l’ingresso.

- Il governatore ci ha ordinato di portare i due ospiti alle scuderie, per farli uscire. Li accompagniamo e torniamo immediatamente.

- Fate presto.

Alla porta di fianco alle scuderie, ci sono due soldati che sbarrano loro il passo.

- Il comandante ha dato ordine di non aprire questa porta per nessun motivo.

Bayar insiste:

- Il governatore in persona ha detto che dovevamo far uscire i due ospiti da questa porta.

Stanno discutendo quando si sente un boato, un urlo immane formato da tante grida: la folla deve aver sfondato il portone d’ingresso.

I due uomini di guardia rimangono incerti. Non sanno che fare. Bayar e l’altro soldato ne approfittano per aprire la porta e lanciarsi fuori. José e Giuseppe escono subito dopo di loro. Giuseppe si volta a vedere se qualcuno li segue. In effetti anche gli altri due soldati sono usciti, ma non stanno inseguendoli: stanno scappando anche loro.

La porta da cui sono usciti dà su terreni incolti, fuori città. Non c’è nessuno nelle vicinanze. José si dirige verso la porta della città più vicina. Le porte non sono chiuse: non c’è nessun motivo per bloccarle. La folla in rivolta è all’interno della città, il pericolo non proviene da fuori.

 

*

 

Asuman corre disperatamente, cercando un posto dove nascondersi. È salito all'ultimo piano, dove ci sono gli alloggiamenti della servitù, ma sa benissimo che lo cercheranno anche lì. I rivoltosi stanno riversandosi a fiotti nel palazzo. Asuman non vuole che lo facciano a pezzi come Ahmed pascià. Asuman non vuole morire. Ma la folla avanza, salendo le scale e a ogni piano disperdendosi tra le varie stanze, alla ricerca dell’odiato governatore.

Alcuni soldati cercano di fermare la folla, sparando, ma la morte di alcuni degli assalitori esaspera la furia degli altri: i militari vengono linciati e i loro cadaveri lanciati dalle finestre, mentre la folla prosegue nella sua corsa, un fiume in piena che travolge tutto. Gli altri soldati e i servi pensano solo a mettersi in salvo: sanno benissimo che Asuman ormai è un uomo morto e in ogni caso il governatore non è certo un padrone molto amato.

Tra gli attaccanti alcuni pensano soprattutto al saccheggio: a loro poco importa del governatore. Ma molti altri vogliono uccidere l’uomo che per anni li ha oppressi e sfruttati.

Asuman si rifugia nella camera di Ferit, il colosso che è il suo campione e che solo Giuseppe ha sconfitto. Ferit lo difenderà di certo.

Ferit lo guarda, stupito.

- Ferit, nascondimi.

L’uomo lo fissa, come se non capisse, poi annuisce.

- Mettetevi qui, vi coprirò con questi cuscini. Non vi vedranno.

Asuman si mette a terra contro la parete. Ferit prende un cuscino e si stende su di lui. Asuman non capisce, guarda negli occhi Ferit, ma prima che abbia potuto chiedere spiegazioni, Ferit gli preme il cuscino sulla faccia. Asuman cerca disperatamente di respirare, ma il cuscino lo soffoca. Liberarsi dal peso di Ferit che lo schiaccia è ugualmente impossibile.

Asuman capisce di aver sbagliato ad affidarsi a Ferit, ma sa che è il suo ultimo errore.

 

Quando è sicuro di aver ucciso Asuman, Ferit afferra il cadavere del governatore per i capelli e lo trascina, andando incontro alla folla che sta arrivando di corsa. Ride e grida.

- L’ho trovato! Eccolo, il bastardo!

Ferit apre la mano che stringeva i capelli di Asuman e colpisce con un violento calcio il cadavere. Gli uomini si scagliano sul corpo. Lo afferrano, lo trascinano verso la terrazza: vogliono mostrare il loro trofeo a tutti quelli che sono ancora nel cortile.

- Il governatore è morto, il governatore!

Dal cortile la folla risponde con urla di gioia. Alcuni chiedono che il corpo venga lanciato nel cortile, altri gridano di farlo a pezzi, come è stato fatto a Costantinopoli con Ahmed pascià. Uno degli assalitori estrae il coltello e si mette al lavoro: incomincia a tagliare le dita e le passa ad altri che le gettano nel cortile. Un uomo ha abbassato i pantaloni di Asuman.

- Anche qui c'è da tagliare.

Quelli intorno ridono e incoraggiano l'uomo con il coltello. Un altro si mette al lavoro accanto a lui.

Intanto gli assalitori più interessati al saccheggio hanno già fatto man bassa di tutti gli oggetti di valore al primo piano. A loro si è mescolato Ferit, che sa dove si trovano diversi gioielli e sta facendo razzia, cercando di tenere lontano altri che tendono le mani.

In quel momento un uomo arriva con una torcia accesa: ha deciso di incendiare il palazzo del governatore. Gli altri lo incoraggiano, ridendo. L'uomo avvicina la fiamma ai tendaggi, che prendono subito fuoco. Altri accendono torce a quel fuoco e contribuiscono a diffondere le fiamme, tra urla e risate.

L’incendio dilaga in fretta, molto più in fretta di quanto coloro che lo hanno appiccato si aspettassero. Nelle stanze dove mobili, cuscini e tappeti stanno prendendo fuoco, la folla si rende conto che bisognerebbe allontanarsi, ma altri stanno arrivando per impadronirsi delle proprietà del governatore e per contribuire allo scempio del cadavere. È difficile muoversi in direzione opposta alla moltitudine. Alcuni cercano di avvisare gli altri del pericolo, ma sono in tanti a gridare e nel caos l’avvertimento arriva tardi: sono le fiamme che avanzano a dare l’allarme.

Ora la folla cerca di riversarsi fuori, terrorizzata. Molti cadono a terra e vengono calpestati dagli altri in fuga. Alcuni muoiono stringendo ancora gli oggetti di cui si sono impadroniti, altri rimangono feriti e non sono più in grado di muoversi, per cui invocano un aiuto che non arriva, mentre il fuoco avanza, inesorabile. Ormai l’edificio principale è in fiamme e dai piani superiori coloro che sono rimasti intrappolati gridano disperatamente, ma nessuno è in grado di aiutarli. Coloro che stavano facendo a pezzi il corpo di Asuman scoprono che ogni via di uscita è bloccata dall'incendio e che ormai le fiamme stanno per raggiungerli. Alcuni si gettano nel vuoto, nonostante l’altezza. Gli altri vengono raggiunti dal fuoco e si trasformano in torce. Ciò che rimane del cadavere di Asuman, un tronco mutilato, arde.

Una delle guardie apre le porte della scuderia, per liberare i cavalli, prima che le fiamme raggiungano l’edificio. I cavalli, pazzi di terrore, si precipitano nel cortile, travolgendo alcuni di coloro che cercavano una via di scampo, e fuggono attraverso la porta da cui sono passati José e Giuseppe. La guardia sale su uno degli ultimi cavalli e si allontana.

Le fiamme si stanno avvicinando al deposito di munizioni, ma non c’è nessuno che cerchi di fermarle. Coloro che possono farlo, pensano solo a scappare. Per molti è troppo tardi.

 

*

 

José e Giuseppe hanno raggiunto la casa dove abitano. Per le strade di Smirne non hanno incontrato quasi nessuno. Gli abitanti della città che non hanno partecipato all’assalto al palazzo del governatore sono chiusi in casa o nelle botteghe, per difenderle dai saccheggiatori: sanno benissimo che nei periodi di disordine, c’è chi ne approfitta per fare man bassa di tutto ciò su cui può mettere le mani.

José e Giuseppe hanno raggiunto la casa, quando la porta si apre, senza che abbiano avuto il tempo di bussare: è Juan ad aprire, li ha visti arrivare dalla finestra.

- Siete qui, grazie a Dio.

- Voi siete tutti in casa al sicuro?

Juan scuote la testa.

- Masino è sopra, ma Alonso si è unito alla folla, nella speranza di trovarvi e aiutarvi a mettervi in salvo.

José corruga la fronte. Alonso sta correndo un pericolo mortale.

- Merda!

Di tornare al palazzo non si parla: anche se José e Giuseppe non sanno ancora dell’incendio, se cercassero di rientrare nel palazzo rischierebbero di morire senza avere nessuna possibilità di salvare Alonso.

- Aspettiamo qualche ora. Ma bisognerà cercare di lasciare la città al più presto. Purtroppo il nostro battello sarà salpato.

- No, eccellenza. La nave non è partita. Già ieri ci sono stati disordini. Il comandante del porto, su ordine del governatore, ha vietato la partenza delle navi. Il capitano sperava di riuscire a partire questa sera.

José ordina:

- Juan, tu e Masino raggiungete la nave. Io aspetterò Alonso. Quanto a te, Giuseppe, se non sei una testa di cazzo, ti unisci a Juan e Masino.

- Mi spiace, padrone – e Giuseppe calca sulla parola “padrone” – ma, come mi avete già detto più di una volta, sono una testa di cazzo.

José scuote la testa. Sapeva benissimo che Giuseppe non avrebbe accettato di separarsi da lui e sa che dividersi nuovamente non avrebbe nessun senso. Si salveranno o moriranno insieme.

Quel che non si aspetta è che sia Juan a intervenire:

- Signor conte, scusate: è più sensato se andate voi tre alla nave. Intendo voi, Giuseppe, che vi seguirà, e Masino. Io aspetto Alonso.

José mormora:

- Anche tu… ma c’è qualcuno qui che mi obbedisca?

Juan ignora la sua obiezione e insiste:

- È tutto pronto.

In quel momento si sente un’esplosione. La polvere da sparo accumulata nei depositi delle caserme, a fianco del palazzo, è stata raggiunta dalle fiamme ed è esplosa. La terra sembra tremare, i vetri vanno in frantumi.

José impallidisce.

- Dio mio, Alonso!

Corrono alla finestra sul retro, che si affaccia sulla parte alta della città: il cielo è coperto da una cappa di fumo nero e le case vicino al palazzo del governatore stanno bruciando.

In quel momento qualcuno bussa con forza alla porta. Juan raggiunge una delle finestre sulla strada:

- È Alonso, Dio sia lodato.

José ordina:

- Andiamo subito al porto.

Quando aprono la porta, Alonso vede Juan e Giuseppe:

- Grazie a Dio, padrone. Temevo che foste ancora nel palazzo.

- La stessa preoccupazione avevamo noi per te. Ma non è il caso di rimanere in questa casa. Scendiamo subito al porto. Se riusciamo a imbarcarci, potremo lasciare Smirne.

La casa non è molto lontana dal porto. Ora per le strade c’è una grande confusione: molti corrono verso il palazzo del governatore alla ricerca di familiari e amici, altri stanno invece tornando dal palazzo con qualche oggetto rubato, avvolto in uno straccio. Qualcuno si sta organizzando per combattere l’incendio, se dovesse raggiungere i quartieri vicino al porto.

Anche al porto regna una grande confusione. Per fortuna la nave su cui dovevano imbarcarsi è ancora ormeggiata. La raggiungono e il capitano li fa salire.

José e Alonso parlano un buon momento con lui. Alonso gli racconta della morte del governatore, di cui il capitano ha già avuto notizia. José gli consiglia di partire e gli promette una somma consistente.

- Sì, partiremo, anche se non abbiamo l’autorizzazione. Il governatore è morto, il palazzo è distrutto e non si sa bene chi sia in grado di dare ordini in città. Il comandante del porto non prenderà iniziative di cui potrebbe essere ritenuto responsabile.

- Non credo che in questa situazione blocchino le navi straniere.

Le diverse formalità sono già state espletate. Nessuno cerca di fermare la nave che salpa.

 

*

 

Di fianco a Juan, Masino sta guardando Smirne, da cui la nave si allontana. Masino si dice che ormai sono al sicuro. Il viaggio per mare presenta alcuni rischi, Masino ne è perfettamente consapevole, ma se la sfortuna non si accanirà su di loro, giungeranno senza problemi a Palermo.

Il conte si avvicina a loro e si rivolge a Juan:

- Juan, ho bisogno di parlare con Masino. Lasciaci soli.

Juan china la testa e si allontana immediatamente. Masino ha già notato che qualsiasi ordine del conte viene eseguito senza esitare da Juan, come da Giuseppe e da Alonso.

Il conte gli dice:

- Tra qualche giorno arriveremo a Palermo. Masino, tu sei ancora un ragazzo. Dovresti tornare a casa tua.

Masino china la testa. Sapeva che il conte gli avrebbe detto qualche cosa del genere.

- Eccellenza, io non vorrei tornare da mio padre.

José annuisce.

- Puoi spiegarmi perché, Masino? Scusa se te lo chiedo, non sono affari miei e tu non sei al mio servizio. Ma mi sento responsabile di te.

Il conte non ha nessuna responsabilità nei suoi confronti: non è stata colpa sua se Masino è stato catturato dallo Sparviero. Il conte lo ha protetto e gli ha salvato la vita almeno due volte. E adesso lo riporta in patria. Ma Masino ha capito, soprattutto dai discorsi di Juan, che tipo di uomo è José de Olivares e non si stupisce che si senta responsabile.

- Con mio padre non sono mai andato d’accordo. Da tempo mi parlava solo con la frusta. No, non voglio tornare da lui.

José annuisce.

- Anche se non fossi legato a Juan, sceglieresti di non tornare?

Masino è un po’ stupito dalla franchezza del conte. Annuisce.

- Penso di sì, eccellenza.

- Va bene, Masino. Io avviserò tuo padre: non voglio che continui a crederti morto. Gli farò sapere che sei vivo e libero. Poi tu deciderai se vuoi vederlo o meno.

 

*

 

Lo spazio a disposizione sulla nave è ridotto. È una nave mercantile, in cui non ci sono cabine. Dormiranno tutti in un unico spazio, insieme ad altri.

José sa benissimo che lui e Giuseppe non avranno occasione di rimanere da soli, come pure Juan e Masino, ma non è un grave problema, anche se gli basta guardare Giuseppe perché il desiderio si accenda. Possono aspettare. L’importante è essere riusciti a dirsi tutto ciò che avevano dentro. E poi di notte, nel buio assoluto sottocoperta, potranno abbracciarsi e baciarsi. E magari andare anche un po' oltre.

Dopo qualche ora di navigazione, Smirne scompare in lontananza. Rimane, ben visibile in cielo, una cappa di fumo.

Alonso dice:

- L’abbiamo scampata per un pelo. Perdonateci, conte, se noi tre non fossimo venuti a Smirne, non avreste corso rischi.

José sorride.

- Avete fatto molto bene a venire a Smirne.

Alonso è stupito delle parole del conte, ma Giuseppe sa che cosa intende dire José. Se non fossero andati a Smirne, forse lui e José non si sarebbero mai chiariti. Sono vissuti insieme diversi mesi, senza riuscire a dirsi ciò che provavano, e forse avrebbero continuato così, senza riuscire a parlarsi.

 

 

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