Edirne Le locande
a Edirne sono quasi tutte piene. Il torneo attira molti lottatori e tutti
coloro che vogliono vederli. Il conte
però può permettersi di pagare molto e riesce a trovare una camera per due.
C'è un unico grande letto, in cui dormiranno entrambi, come è già accaduto
durante il viaggio fino a Costantinopoli. Ma dopo quanto è successo ai bagni,
a Giuseppe non piace l'idea di dormire accanto al conte. Prova a dire: - Il letto
non è abbastanza grande. Possiamo far mettere una stuoia qui, c'è posto. Io
posso dormire sulla stuoia. José de Olivares scoppia a ridere. - Non dire
sciocchezze, Giuseppe. Ma che ti salta in mente? Il letto a Beograd era ben più piccolo di questo, ma non ricordo di
averti spinto giù nel sonno. Giuseppe
non sa che cosa dire. Il conte dà
per conclusa la discussione e passa ad altro argomento: - Il torneo
incomincia dopodomani. Vedrai, è uno spettacolo affascinante. Pare che sia
una tradizione molto antica, risale a trecento anni fa, fu istituito per
celebrare una vittoria turca. - Dicevate
che ci sono tanti concorrenti, no? - Sì, è
molto popolare. Credo che sia il torneo di lotta più importante tra i turchi.
I lottatori si cospargono di olio e si affrontano. Vince chi riesce a
bloccare l’avversario a terra. - Perché si
ungono d’olio? - Nella
lotta lo sfregamento dei corpi può essere doloroso, la pelle si può lacerare.
E poi ungendosi d'olio diventa più difficile essere bloccati, perché la presa
è meno salda. - E si
affrontano a due per volta, in un torneo? - Sì, fino
a che uno, che non è mai stato sconfitto, ottiene la vittoria. Vincere è un
grande onore. - Che cosa
si vince? - In primo
luogo il titolo di campione. E poi un compenso, di solito in bestiame, per
quel che ne so. Il giorno
dopo il conte accompagna Giuseppe a visitare la città. Mete principali sono
le moschee e in particolare la grande moschea, dagli altissimi minareti. Nel
pomeriggio il conte e Giuseppe fanno un salto ai bagni. - Qui non
so se ci sia qualcuno che faccia anche un trattamento completo. A
Costantinopoli, nel bagno dove siamo andati, è diverso. Edirne è un centro
meno importante e non so come sia. Non è il caso di chiedere. * La presenza
di due stranieri al torneo suscita molta curiosità. José e Giuseppe attirano
l’attenzione assai più di Asuman, il governatore di
Smirne, che è la personalità più importante tra coloro che assistono ai
giochi e li segue ogni anno. José
ascolta le chiacchiere dei vicini e poi spiega a Giuseppe: - Al
governatore di Smirne piacciono i maschi vigorosi. Pare che non si perda un
torneo. A volte viene con i suoi campioni, che partecipano al Kirkipinar, ma difficilmente si piazzano bene. Al termine
della terza giornata del torneo, la penultima, un lottatore si avvicina a
loro e dice qualche cosa. Giuseppe ha imparato diverse parole turche e sa
formulare qualche frase, ma non è in grado di capire che cosa voglia l’uomo.
Il conte invece comprende e dialoga un momento, poi si rivolge a Giuseppe: - Vogliono
sfidarci, Giuseppe. Ci hanno visti seguire tutti i combattimenti in questi
tre giorni, sono convinti che siamo molto forti e vogliono vedere come combattiamo.
Io ritengo opportuno accettare, per non suscitare malumori. Ti va bene,
Giuseppe? -
Certamente. Se il conte
pensa che debbano accettare la sfida, Giuseppe non ha nessuna intenzione di
tirarsi indietro. L’idea di misurarsi con questi lottatori lo diverte. Tutti e due
si spogliano, rimanendo solo con i pantaloni. I lottatori discutono tra di
loro e poi uno si allontana. Ritorna dopo un momento con due paia di brache
di pelle, di quelle usate per la lotta: se usassero i pantaloni che hanno
indosso, Giuseppe e il conte li rovinerebbero. Giuseppe e
il conte si spogliano completamente e indossano i pantaloni che vengono loro
offerti. Giuseppe fa in modo di non guardare il conte quando si spoglia. I
lottatori invece non nascondono la loro curiosità e, anche se capisce solo in
parte i loro commenti, Giuseppe si rende conto che stanno facendo molti
apprezzamenti sulla sua dotazione e anche su quella del conte. Giuseppe si
dice che, pur stando a servizio del conte da un anno, non ha mai visto il suo
uccello, mentre questi che non lo conoscono stanno facendo commenti. Giuseppe e
il conte non hanno mai praticato questo tipo di lotta, ma hanno assistito a
diversi incontri e hanno capito le tecniche usate. Giuseppe ha
facilmente ragione del suo primo avversario. Nell’incontro successivo è il
conte ad affrontare un lottatore turco, che viene sconfitto. Anche nel
secondo scontro Giuseppe ha facilmente la meglio. Subito dopo è il turno del
conte, che solo con grande fatica riesce ad avere il sopravvento. La sfida seguente è alquanto più difficile: è evidente che gli sfidanti successivi sono scelti tra lottatori sempre più forti. La lotta
tra il conte e il suo terzo avversario, un colosso, è impari. Il conte riesce
a difendersi e a tenere a bada il suo rivale a lungo, ma infine il colosso lo
blocca al suolo, schiacciandolo e impedendogli di liberarsi. I lottatori
turchi si congratulano con il conte, ma sono evidentemente contenti che il
loro compagno abbia vinto. Giuseppe ha
ancora la meglio sul terzo e sul quarto sfidante. Con il quinto la lotta è
alquanto impegnativa, ma Giuseppe alla fine trionfa. I lottatori turchi
sembrano preoccupati: l’uomo che Giuseppe ha sconfitto dev’essere
uno dei lottatori più forti. Il sesto
avversario si rivela subito formidabile. Se Giuseppe fosse abituato a questo
tipo di lotta, forse grazie alla sua forza erculea riuscirebbe a sopraffare
anche questo avversario, ma non avendo esperienza, alla fine Giuseppe si
trova bloccato a terra sotto il suo rivale e deve arrendersi. I lottatori
sono entusiasti dello scontro. Fanno le loro congratulazioni al conte e
soprattutto a Giuseppe. Ci sono alcuni tentativi di dialogo, alquanto
difficoltosi. Poi uno chiede qualche cosa e anche gli altri sembrano
sostenerlo. Il conte si
volta verso Giuseppe e gli sorride, dicendo: - Ci
terrebbero moltissimo a vederci lottare uno contro l’altro. Ti va bene,
Giuseppe? - Per me va
bene quello che decidete voi. - Allora lo
facciamo, Giuseppe. Non c’è motivo per deluderli. Ma dimenticati che sono il
padrone. Se ti sconfiggessi, i giocatori che tu hai battuto si sentirebbero
umiliati. - Mi
batterò lealmente. Il conte
non è un avversario da sottovalutare, Giuseppe lo sa benissimo. Non possiede
la sua forza, ma è agile e robusto. Lo scontro si rivela difficile e più
equilibrato di quanto Giuseppe stesso non pensasse. E c’è un fattore
imprevisto che turba Giuseppe: quando cerca di afferrare il conte e le sue
mani scivolano sulla pelle unta di olio, Giuseppe sente la tensione di un
desiderio che va crescendo e lo rende meno sicuro di sé. La lotta procede a
lungo, ma a un certo punto Giuseppe si dice che deve concludere. Riesce ad
afferrare il conte da dietro e fa forza per costringerlo a cedere, ma questa
pressione desta in lui un desiderio violento: il cazzo si gonfia di sangue,
mentre Giuseppe lo spinge contro il culo del conte. Giuseppe non può cambiare
posizione, perché perderebbe la sua presa: non ha altra possibilità che
continuare a fare forza, sperando che il conte non avverta la violenta
erezione. Infine il
conte non riesce più a resistere e Giuseppe lo schiaccia a terra. Rimangono
immobili un momento. Giuseppe non riesce a tenere a freno il desiderio.
Mentre le sue mani stringono la carne del conte, lo sfregamento provocato da
un lieve movimento del culo lo porta all’orgasmo. Giuseppe viene, in
un’ondata di piacere. Chiude gli occhi, poi, con enorme fatica, si stacca.
Spera che non si veda che è venuto. * José ha
capito che Giuseppe è sconvolto. Un altro forse non se ne accorgerebbe
neanche, ma a José nulla sfugge di ciò che riguarda Giuseppe. José si dice
che vedrà di parlargli, ma preferisce non farlo subito: non vuole forzarlo. - Giuseppe,
ti va bene se passiamo ai bagni? Anche se ci siamo lavati, mi sento ancora
l'olio addosso - Come
volete. José prende
una stanzetta in cui possono rimanere tranquilli e si fa portare un po' di
cibo. - Direi che
è ora di cena, Giuseppe. Assaggia questa focaccia al formaggio, è deliziosa. - Grazie,
signor conte, non ho fame. José posa
la focaccia che ha tagliato. - Che
cos'hai, Giuseppe? Che cosa ti è successo? Giuseppe lo
guarda. In quegli occhi azzurri José legge una disperazione senza fondo. José
non capisce. A Costantinopoli Giuseppe era felice. Poi a un certo punto gli è
apparso turbato, ma non angosciato come ora. Giuseppe
non risponde. - Giuseppe,
non hai fiducia in me? - Come
potete dire questo, padrone? - Ti ho
detto di non chiamarmi “padrone”. Giuseppe, dimmi che cosa è successo. Perché
sei così? -
Scusatemi, signor conte. Io... Giuseppe
chiude gli occhi, come se volesse cancellare José e tutto il mondo. José posa
una mano su quella di Giuseppe. Un gesto di conforto, nient’altro. Giuseppe
ritira la mano di scatto, come se José vi avesse appoggiato sopra una lastra
rovente, e si copre il volto. A José
sembra di aver ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Giuseppe
dice: -
Scusatemi. Io… José è
disorientato. Non sa che cosa dire, come comportarsi. Sceglie di tacere e di
rispettare il silenzio di Giuseppe. Non riesce a darsi una spiegazione di ciò
che è successo. Giuseppe è rimasto turbato dalla lotta. Ma perché? Sembrava
contento di partecipare, la sfida gli piaceva. Che cosa può essere successo? Lentamente
Giuseppe si calma. Prima di lasciare il bagno, dice ancora una volta: -
Scusatemi. - Non c’è
nulla di cui tu debba scusarti, Giuseppe. * Nella
locanda arriva un uomo che si guarda intorno come se cercasse un tavolo. Don
José non sembra neppure notarlo e guarda da un’altra parte, ma Giuseppe è
sicuro che ne sta spiando i movimenti. E infatti, quando l’uomo si è seduto
non lontano, don José si rivolge a Giuseppe e gli dice: - Giuseppe,
attacca briga con quel tizio che è entrato. Giuseppe
non attende una spiegazione, che certamente il conte gli darà più tardi. Si
alza e si dirige verso la porta in fondo, come se volesse andare al cesso.
Passando urta con violenza l’uomo che gli ha indicato il conte. Questi si
alza di scatto, come se fosse furibondo e gli urla qualche cosa in turco.
Giuseppe capisce solo due parole, che sono insulti. Si volta, minaccioso.
L’uomo arretra di un passo, ora sembrerebbe avere paura, anche se continua a
inveire. José si è alzato e si avvicina, come se volesse mettere pace. José si
rivolge a Giuseppe, in napoletano: - Scusati,
non troppo convinto. Giuseppe
dice in turco due parole che si usano per chiedere scusa, mantenendo un
atteggiamento piuttosto ostile. José parla
all’uomo, in turco, mescolando anche qualche parola italiana, come se non
sapesse esprimersi meglio. La rissa è
sfumata e gli avventori curiosi che li stavano osservando perdono ogni
interesse. L’uomo sussurra, in italiano: - Suleyman al Mansur arriverà qui
domani per assistere all’ultima giornata del Kirkipinar.
Alloggia a Havsa. Don José
annuisce. L’uomo ritorna a sedere. Giuseppe va al cesso, poi raggiunge José.
Gli sembra che sia pallido. José gli sorride, ma è un sorriso triste. Finiscono
la cena e salgono in camera. Giuseppe non dice nulla. Aspetta una spiegazione
che di certo il conte gli darà. Ma José non dice nulla. Pare assorto nei suoi
pensieri. Solo dopo una lunga meditazione, José dice: - Facciamo
quattro passi, Giuseppe. Escono e
camminano per le strade fino alla riva del fiume. Scelgono un posto privo di
vegetazione. Il conte si siede, dando le spalle alla corrente. Giuseppe si
siede al suo fianco, ma con il viso nella direzione del fiume. Lo hanno già
fatto altre volte: in questo modo possono controllare che non arrivi nessuno
ad ascoltare quello che dicono o a minacciare le loro vite. Chi passasse
sulla riva penserebbe che sono soltanto due amici che chiacchierano insieme. Il conte
parla, senza guardare Giuseppe: fissa i campi e la strada da cui sono venuti. - Suleyman al Mansur arriverà a
Edirne domani. Suleyman al Mansur
è l’uomo che deve morire, se vogliamo evitare che Malta cada in mano ai
Turchi. Ma c’è anche un altro motivo per cui voglio ucciderlo. Giuseppe
attende che il conte continui, ma José de Olivares
rimane nuovamente silenzioso. È evidente che gli pesa parlare. Dopo un
lungo silenzio, Giuseppe osserva: - Qui a
Edirne sarà forse più facile ucciderlo. Probabilmente non si aspetta di
essere attaccato. - No, ma
non abbiamo il tempo di organizzarci. Non possiamo rischiare di fallire. E
per essere sicuri che il piano riesca, bisogna spiarlo, studiare i suoi
percorsi, capire chi frequenta, come si protegge. È un lavoro lungo e qui non
c’è il tempo. E c’è anche un altro problema. Il conte si
ferma. Giuseppe sa che questo problema è legato alla difficoltà che il conte
prova a parlare. Giuseppe non vuole forzarlo e si limita a tacere, in attesa.
Infine José de Olivares dice: - Io non
posso avvicinarmi a lui. Non mi deve vedere. Mi riconoscerebbe. - Lo avete
già incontrato, quindi? José fissa
un punto lontano e rimane di nuovo in silenzio. Giuseppe ha la sensazione di
essere sull’orlo di un abisso. Tace ancora, anche se non regge più questa
attesa. Infine il conte riprende: - Suleyman al Mansur non è il suo
vero nome. O forse dovrei dire che oggi lo è. Un tempo era Enrique de Olivares. Giuseppe
fissa il suo padrone, senza osare dire nulla. Gli sembra che anche i suoi
pensieri si siano fermati. José prosegue: - È mio
fratello, Giuseppe, anche se nessuno lo sa. Avevo giurato a mio padre di
fermarlo e avrei cercato comunque di farlo, ma non mi è stato possibile
provarci prima. - Mi
spiace, padrone. Il conte
annuisce. Poi incomincia a raccontare. Due fratelli nemici, strade che si
dividono, poi il tentativo di omicidio, la prigionia di Enrique, la fuga,
l’attacco al castello, la morte del padre e una rapida carriera come corsaro.
José conclude: - Di ciò
che ha fatto lungo le coste italiane ti ho già parlato. È un uomo crudele e
sleale ed è una minaccia terribile. Giuseppe si
rende conto di soffrire, una sofferenza terribile. C’è un
lungo momento di silenzio, poi Giuseppe dice: - Dobbiamo
andarcene. Domani, quando il torneo sarà iniziato e saremo sicuri che lui sia
lì ad assistere. Il conte
annuisce. - Io me ne andrò, non c’è altra soluzione. Non posso rimanere e non presentarmi al Kirkipinar, dopo che per tre giorni non mi sono perso un incontro. Ma tu domani devi andarci, Giuseppe. L’assenza di tutti e due proprio nel giorno della conclusione del torneo apparirebbe strana. Al torneo avrai modo di vederlo. Non mi somiglia per nulla, Giuseppe. È un uomo molto bello, ha i tratti eleganti di sua madre. Può darsi che tu abbia modo di parlare con lui. Se te lo dovesse chiedere, gli dirai ciò che abbiamo stabilito. Se qualcuno ti dovesse chiedere di me, racconterai che tuo cugino ha ricevuto una lettera che lo richiamava a Costantinopoli e che tu non volevi perdere l’ultima giornata del torneo. Giuseppe
non sa bene come se la potrebbe cavare con il suo limitato vocabolario turco,
ma hanno già scoperto che anche a Edirne ci sono alcuni commercianti greci o
italiani e servendosi di un intermediario, se sarà necessario, Giuseppe
spiegherà i motivi dell’assenza del conte. Giuseppe
riflette. Se davvero domani conoscesse Suleyman, se
avesse un’occasione di rimanere solo con lui, di ucciderlo…
Morirebbe a sua volta, se non riuscisse a uccidersi lo impalerebbero, ma il
conte non morirebbe. - Tornerete
a Costantinopoli? - Sì, è la
cosa migliore. Ti aspetterò là. Giuseppe
annuisce. Se sarà possibile, se potrà essere ragionevolmente sicuro di non fallire… - Giuseppe! Il tono del
conte è duro. Giuseppe ha la netta sensazione che José de Olivares
gli abbia letto in testa. - Che cosa
c’è, padrone? - Non fare
cazzate, Giuseppe. Lo uccideremo, sì, ma a Costantinopoli, dopo aver
organizzato bene il piano. Chiaro? - Sì,
padrone. - Eddai con questo “padrone”. Sono tuo cugino. Giuseppe
sorride. - Scusate,
cugino. Eseguirò i vostri ordini, cugino. * José de Olivares è inquieto. Non gli piace l’idea di partire e
lasciare solo Giuseppe. Giuseppe è intelligente ed è perfettamente in grado
di cavarsela. Ma potrebbe essere tentato di uccidere Enrique per evitare che
lui, José, venga coinvolto. José non vuole a nessun costo che Giuseppe muoia
al suo posto. Soffrirebbe se Giuseppe venisse ucciso insieme a lui, ma non
può accettare l’idea di sopravvivergli dopo averne provocato la morte. José parte
il mattino molto presto. Ieri sera si è fatto recapitare un biglietto in cui
gli veniva richiesto di tornare subito a Costantinopoli. Ha pagato la locanda
e lasciato a Giuseppe una quantità di denaro di gran lunga superiore a quella
che può spendere per un’altra notte alla locanda e il viaggio fino a
Costantinopoli. José sa che lungo la strada tra Edirne e Havsa potrebbe incontrare il fratello, per cui ha scelto un altro percorso, più lungo. Il viaggio si svolge senza problemi, ma José si sente inquieto. Si dice che ha fatto male a lasciare Giuseppe da solo a Edirne, che avrebbe fatto meglio a portarlo con sé. Anche se al torneo si fossero stupiti nel non vederli, che cosa sarebbe cambiato? Ben difficile che qualcuno parlasse al corsaro Suleyman di due europei che nei giorni precedenti avevano assistito al torneo e proprio il giorno conclusivo se ne sono andati. E anche se qualcuno ne avesse parlato, che motivo avrebbe avuto Enrique per sospettare? Uomini sempre pronti al tradimento come Enrique sono diffidenti per natura, ma anche se gli fosse venuto qualche sospetto, non sarebbe riuscito a risalire al loro indirizzo a Costantinopoli. No, José è sicuro di aver fatto male a lasciare Giuseppe a Edirne. Per un momento pensa di mandargli un biglietto per dirgli di partire subito anche lui, ma prima che un messaggero ritorni a Edirne, il torneo sarà alla conclusione. No, non ha senso. Ma non avrebbe dovuto lasciare Giuseppe a Edirne. * Giuseppe si
presenta al torneo come i giorni precedenti. I lottatori gli chiedono di suo
cugino e Giuseppe spiega, come riesce, che è partito per Costantinopoli. Ha
ricevuto un biglietto ed è dovuto partire. Giuseppe è
arrivato presto, per trovare un buon posto, anche se ormai non è necessario.
I lottatori si sono affezionati ai due europei con cui si sono battuti e hanno
tenuto due posti per loro. In attesa
che il torneo abbia inizio, Giuseppe si guarda intorno, come gli altri
giorni. Nota che ci sono alcuni ottimi posti che sono stati tenuti liberi.
Giuseppe si dice che senz’altro saranno occupati dal corsaro Suleyman e dai suoi uomini. In effetti
poco prima che il torneo abbia inizio, fa il suo ingresso un uomo vestito
lussuosamente. È alto e slanciato, con un corpo forte ed elegante e un viso
di notevole bellezza. Dev’essere lui, José de Olivares non ha mentito quando ha detto che era un
bell’uomo. Ma Giuseppe darebbe mille uomini come Suleyman
per il suo padrone. Giuseppe
guarda un momento Suleyman, come fanno tutti gli
altri spettatori, curiosi di vedere chi è questa personalità per cui sono
stati riservati diversi posti, poi ritorna a guardare i lottatori che si
stanno preparando, come se del nuovo arrivato non gli importasse niente. Non
vuole dare il benché minimo motivo di sospetto. Ma anche se
guarda la cerimonia di apertura che sta iniziando ora, Giuseppe è altrove con
la mente. L’idea di riuscire a uccidere Suleyman
qui a Edirne, in modo da salvare José de Olivares è
assurda. Anche contando sul fattore sorpresa, sarebbe difficilissimo riuscire
a uccidere un uomo che ha quattro guardie del corpo. Se però si presentasse
una buona occasione… L’ultimo giorno è diverso dai precedenti. Il torneo è alla conclusione e ci sono meno incontri, ma tutti tra lottatori molto forti. Tra un incontro e un altro ci sono più pause. Durante un’interruzione due lottatori si avvicinano a Giuseppe e gli dicono che alla fine dovrà affrontare due dei lottatori migliori. Giuseppe non è sicuro di aver capito bene, ma i due ripetono e alla fine sembra proprio che sia così. Giuseppe dice che lo farà. Per tutta
la giornata non guarda mai nella direzione di Suleyman,
anche se ogni tanto con la coda dell’occhio controlla che ci sia ancora. * Suleyman è contento
di essere venuto al torneo. Lo ha già visto una volta e lo trova
affascinante. Gli piace vedere questi maschi vigorosi che lottano. È bello
vedere i due lottatori stringersi, cadere a terra avvinghiati, cercare di
bloccarsi a vicenda. Non sarebbe
venuto, se avesse potuto ottenere udienza dal sultano. Da Murad,
il predecessore di Ibrahim, Suleyman avrebbe già
ottenuto la flotta, ma Ibrahim è giovane e inesperto e poco attratto dalle
imprese militari. Dicono che passi il suo tempo in orge sfrenate e a palazzo
si sono scatenate lotte intestine per impadronirsi del potere, visto che il
sultano sembra poco interessato a esercitarlo personalmente. Suleyman può
contare sull’appoggio di alcuni tra i consiglieri, ma l’eunuco Dilar non prova simpatia per lui e attualmente Dilar è l’uomo più potente a corte. Suleyman
ha potuto ottenere un appuntamento con il consigliere militare del sultano solo
tra una settimana e nulla garantisce che il colloquio non venga rimandato
ancora, se quel finocchio di Dilar decide di
mettersi di mezzo. Bisognerebbe ingraziarselo, ma non è facile. Suleyman è
abbastanza sicuro di ottenere ciò che vuole, se riesce a parlare con il
consigliere militare e nessuno lo ostacola. Se il sultano gli darà il comando
di una flotta per partire alla conquista di Malta, unendo le navi imperiali a
quelle dei corsari, Suleyman strapperà l’isola ai
cavalieri di San Giovanni. Il torneo
si sta concludendo con l’ultimo incontro, che tiene a lungo gli spettatori
con il fiato in sospeso: Mehmet e Osman, i due contendenti, sono entrambi fortissimi e
l’esito della lotta rimane a lungo incerto. Solo dopo molti sforzi Mehmet riesce ad abbattere Osman
e a bloccarlo al suolo. Il Kirkipinar si conclude, come sempre, con una cerimonia a
cui partecipano tutti i lottatori. Poi la
folla si disperde. Suleyman decide di scendere per
andare a parlare con il vincitore. C’è un
gruppetto di lottatori vicino a un europeo, che adesso si alza e li segue. Suleyman chiede che cosa sta succedendo e viene informato
che Iusepé, il cristiano che viene da Napoli,
affronterà due dei lottatori più forti, Hasan e lo
stesso Osman. - Ma come
mai? - Iusepé è sempre venuto ad assistere agli incontri. Ieri
gli abbiamo chiesto se voleva misurarsi con noi. Si è battuto con sei
avversari. Ha vinto cinque incontri e solo Serhan è
riuscito a sconfiggerlo. - Dev’essere davvero forte. - Come un
toro. Non conosce le tecniche di lotta, ma è ben difficile abbatterlo. Suleyman è curioso
di vedere questo prodigio, per cui raggiunge lo spazio dove si svolgeranno i
due incontri. Questo Iusepé, che probabilmente si chiama Giuseppe, si sta
spogliando. Suleyman entra proprio mentre Iusepé sta per infilarsi le brache per il combattimento.
Il corpo è quello di un Ercole, il cazzo quello di un toro. Che maschio! Sarà
un piacere vederlo battersi. Ad
assistere ci sono parecchi lottatori e pochi altri spettatori. A Suleyman cedono un posto in prima fila. Il primo
scontro, in cui Iusepé affronta Hasan,
rivela subito che si tratta di un avversario temibile. Anche se non ha
l’allenamento degli altri e non conosce le prese e i movimenti, ha dalla sua
una forza erculea. Mandarlo a terra è come abbattere una quercia. Il
combattimento dura a lungo ed è davvero uno spettacolo memorabile. Tre volte Hasan riesce a mandare a terra Iusepé,
ma questi si rialza prima che Hasan riesca a
bloccarlo. Due volte è Iusepé a far cadere Hasan, ma questi si sottrae alla stretta del rivale. La
terza volta però Hasan non è abbastanza rapido e Iusepé lo blocca a terra. Hasan
non riesce a liberarsi. Suleyman sorride. La lotta
tra Iusepé e Osman non è
meno spettacolare, ma è più breve. Malgrado la sua forza erculea, Iusepé non riesce a bloccare Osman,
che è un lottatore molto esperto, e a un certo punto il turco riesce a far
rotolare a terra il cristiano e a impedirgli di muoversi. I lottatori
portano in trionfo sia Iusepé, sia Osman. A Iusepé regalano le
brache con cui ha lottato. Osman vorrebbe anche
dargli uno dei montoni che ha vinto, ma Iusepé si
schermisce. Iusepé si spoglia
di nuovo e si lava. Suleyman è al suo fianco, ma
l’uomo non sembra accorgersi della sua presenza. * Giuseppe si
sta rivestendo. Suleyman è vicino a lui e non ha
smesso di guardarlo. Giuseppe ha fatto finta di non badarci, ma non lo ha
perso di vista un secondo. Spera che si presenti un’occasione. Un’occasione
di morire salvando il suo padrone. - Mi dicono
che ti chiami Iusepé. Sei italiano? La frase è mezza
in italiano e mezza in spagnolo. Giuseppe alza gli occhi su Suleyman, come se lo vedesse solo ora. Risponde in
italiano, senza nascondere il forte accento napoletano. - Sono del regno
di Napoli. Mi chiamo Giuseppe. Ma questi qui storpiano i nomi. - Come mai
sei qui? - Sono venuto con mio cugino, il conte di Roccanera. Abbiamo assistito a tutti gli incontri, ma oggi lui è dovuto rientrare con urgenza a Costantinopoli. - Vivete
là? - No,
viviamo a Roccanera, ma lui aveva voglia di vedere
Costantinopoli e mi ha chiesto di accompagnarlo. - Se tuo
cugino è un conte, sei nobile anche tu. Giuseppe
sorride. - Nobile
senza un tarì. Per fortuna mio cugino è ricco e io gli tengo compagnia, gli
faccio da guardia quando va in giro la notte, all’occorrenza da facchino per
trasportare i bagagli. Un po’ di tutto. Giuseppe si
rende conto che Suleyman a tratti non capisce
quello che lui sta dicendo, ma non se ne preoccupa. Suleyman
deve avere l’impressione che a lui non importi molto di questo sconosciuto
che lo ha avvicinato e si rivolge a lui con molta familiarità. - Un nobile
senza fortuna è come un carro senza cavalli. - Il
cavallo lo faccio io, quando occorre, ma il nobile lo fa lui. Suleyman ride. - E adesso
che farai? - Mi
fermerò qui questa notte e domani raggiungerò mio cugino a Costantinopoli. Se
tardo si arrabbia. È abituato ad avermi ai suoi ordini. - Mi sembra
che tu non ti trovi molto bene con tuo cugino. Giuseppe
alza le spalle. - Non è
cattivo. In fondo le spese le paga lui, no? - Che ne
diresti di lavorare per me? Giuseppe
guarda Suleyman come per capire con chi ha a che
fare. - Per voi?
E voi chi siete? - Un uomo
ricco e potente. - È un po’
poco per decidere di passare a lavorare con voi. E di che lavoro si tratta? Suleyman ride e non
risponde direttamente. - Conti di
tornare a Costantinopoli? - Sì,
domani mattina. Adesso è tardi per mettersi in viaggio. - Allora ti
faccio una proposta. Io ho affittato una villa a Havsa.
Vieni con me. Ceneremo insieme e avrai modo di conoscermi meglio. Ti
spiegherò in che cosa consiste il lavoro. Domani mattina partirò per
Costantinopoli. Se ti avrò convinto, rimarrai con me; altrimenti giunti in
città ognuno andrà per la sua strada. A Giuseppe
non sembra vero. A Havsa di certo si presenterà
un’occasione per uccidere Suleyman. E il conte non
morirà. Giuseppe
non vuole dimostrare troppo entusiasmo. Finge di essere incerto. Suleyman insiste: - La villa
è spaziosa, avrai un’ottima cena, te lo assicuro. E se la mia proposta non ti
piacerà, potrai andartene. - Va bene,
non prendo impegni, ma per una notte va bene. Qualcun
altro si avvicina. È Asuman, il governatore di
Smirne. Si rivolge a Suleyman. I due discutono,
piuttosto animatamente. Poi il governatore si allontana, visibilmente
irritato. * La cena
volge alla fine. Suleyman è soddisfatto. Giuseppe è
allegro, probabilmente un po’ alticcio. Non ha bevuto molto del vino che Suleyman gli ha offerto a più riprese, ma, come ha detto
subito, non è abituato a bere. Hanno
parlato di diversi argomenti: di Roccanera, di cui
Giuseppe ha fornito una descrizione molto vivida, di Napoli, dove Giuseppe è
vissuto per alcuni anni, del viaggio verso Costantinopoli, del cugino, che
gli fa fare da servitore. Suleyman lo ha fatto
parlare molto e, man mano che beveva, Giuseppe è diventato più loquace. Suleyman ha parlato poco di sé. A un certo
punto Giuseppe gli chiede: - E che
lavoro mi proponete, eccellenza? - Un ottimo
lavoro, in cui c’è poco da faticare. Suleyman ride. E
aggiunge: - Al
massimo da spaccarsi la schiena. Giuseppe
aggrotta la fronte. Non è più del tutto lucido, questo è evidente. - Se c’è da
spaccarsi la schiena, c’è da faticare. - Dipende.
Che ne diresti di arare un campo con il tuo aratro? - Il mio
aratro? Eccellenza, non prendetevi gioco di me. Non posseggo un aratro e non
ho mai arato in vita mia. Sono povero, ma non sono un contadino. Suleyman ride. - Lo
possiedi, il più grosso aratro che io abbia mai visto. Lo porti tra le gambe.
Con quello puoi arare campi di ogni tipo. Giuseppe
ride, una risata sguaiata. Regge davvero poco il vino. - In questo
caso, è un’altra faccenda. E che campo dovrei arare? - Sei bravo
ad arare? - Credo di
sì. Chi ha provato si è sempre dichiarato soddisfatto. - Aravi
anche il campo di tuo cugino? Giuseppe
ride di nuovo. Non riesce a contenersi. - Mio
cugino? Questa è bella. Se lo sapesse! No, a lui non interessava farsi arare.
Ma quando ero a Napoli ho arato molti campi, di tutti i tipi. Mi piace arare.
È una bella attività, una per cui vale davvero la pena di spaccarsi la
schiena, no? - Bene, allora
facciamo un bel brindisi all’aratore. -
Eccellenza, voi volete farmi ubriacare. * Giuseppe
prende il bicchiere che Suleyman gli porge. Berrà
ancora questo e poi dirà che proprio non ce la fa più. Il lavoro che gli
propone Suleyman è quello che Giuseppe sperava.
Questa notte stessa Giuseppe strangolerà Suleyman
mentre scopano. Poi cercherà di fuggire, pronto a darsi la morte quando verrà
scoperto. Giuseppe sa benissimo che in un paese straniero di cui conosce poco
la lingua non ha nessuna possibilità di riuscire a salvarsi, ma non ha
importanza. L’unica cosa che conta è che José de Olivares
non muoia. Giuseppe
beve. Guarda Suleyman, che sorride, ma l’immagine
si sfoca e poi oscilla. Giuseppe barcolla. Non capisce: è perfettamente
sobrio, ha sempre retto benissimo il vino e ha solo finto di essere ubriaco.
Adesso non riesce a stare in piedi. Nel vino, nell’ultimo bicchiere…
un narcotico… perché? Che Suleyman
sappia? Il conte... No! Giuseppe cade in ginocchio, cerca disperatamente di
rialzarsi, anche se si rende conto che è del tutto inutile, che ormai è nelle
mani di Suleyman. Guarda ancora l’uomo che lo ha
narcotizzato, cerca di dire qualche cosa, poi si abbatte a terra. Quando si
risveglia, Giuseppe si accorge di avere le mani e i piedi legati. Suleyman è di fronte a lui. Un servitore lo sta
schiaffeggiando per fargli riprendere i sensi. Giuseppe si
rende conto di essere prigioniero di Suleyman.
Perché lo ha fatto catturare? Ha scoperto l’identità del suo padrone? In
questo caso José de Olivares è perduto. Suleyman vuole farsi dire dove sta José a Costantinopoli?
Giuseppe sa che non glielo dirà mai, neanche sotto tortura. Ma sa anche che Suleyman riuscirà a trovarlo lo stesso. - Giuseppe,
mi hai raccontato che tu e tuo cugino avete visto impalare un uomo. Non credo
che tu voglia finire in quel modo. Giuseppe
fissa Suleyman. Odia quest’uomo, ma decide di
fingere ancora. Se tutto è perduto, avrà tempo per gridargli in faccia il suo
disprezzo. - Mi avete
invitato a cena, mi avete dato un narcotico e mi risveglio legato. Che cosa
vuol dire? - Che sei
mio schiavo, Giuseppe. - Vostro
schiavo? Non avete nessun diritto… Suleyman ride. - Non ho
nessun diritto, ma me lo prendo. E adesso hai una scelta davanti a te: finire
impalato o vivere nel lusso. - Che cosa
volete da me? - Te lo
dissi ieri sera, se te ne ricordi ancora. Eri già un po’ ubriaco. Devi arare
un campo. Giuseppe
non capisce. - Per
quello era necessario legarmi a tradimento? - Sì. Giuseppe, ti ho ascoltato ieri sera. Sei un uomo intelligente e con tuo cugino, che dovrei piuttosto chiamare il tuo padrone, non stai bene, ma in qualche modo devi tirare avanti. Adesso cambierai vita o morirai. La scelta sta a te. - Non so
che scelta ho, in queste condizioni. Suleyman ride di
nuovo. - Te la
dico io. A corte c’è un eunuco molto potente, forse in questo momento l’uomo
più potente qui a Costantinopoli. Sai che cos’è un eunuco, vero? - Sì, uno a
cui hanno tagliato i coglioni. - Esatto. Dilar ha un potere immenso, perché il sultano si fida
ciecamente di lui. Dilar è riuscito a ottenere la
sua fiducia, assecondando tutti i suoi piaceri: gli fa da ruffiano. Io ho
bisogno dell’appoggio dell’eunuco Dilar per
ottenere ciò che voglio, a te non interessa sapere che cosa. Intendo regalare
all’eunuco Dilar un nuovo schiavo. Un maschio
vigoroso, con un grosso cazzo, che soddisfi i suoi desideri. - Schiavo
di un eunuco? Questo è l’alternativa alla morte? - Sì.
Schiavo dell’uomo più potente di tutto l’impero. Vivrai nel palazzo imperiale
e sarai riempito di doni e di onori. A palazzo ci sono schiavi più potenti di
ammiragli e generali dell’esercito. L’alternativa è dispiacere all’eunuco Dilar e conoscere il palo. Giuseppe è
sollevato all’idea che la sua prigionia non abbia niente a che fare con il
conte. Opporsi non avrebbe senso. Le sue possibilità di uccidere Suleyman sono nulle. Oltre tutto Suleyman
adesso sarebbe diffidente nei suoi confronti, anche se Giuseppe si
dimostrasse entusiasta dell’idea. Suleyman riprende: - Allora,
che ne dici? Giuseppe
decide che è inutile fingere di essere contento: rischierebbe di rendere Suleyman ancora più diffidente. - Che siete
sleale, ma non mi sembra di avere molta scelta. Suleyman sorride. - Sapevo
che avresti preso la decisione giusta, Giuseppe. Sei un uomo intelligente.
Non ti pentirai di vivere a palazzo. E se saprai ingraziarti Dilar, sarai l’uomo più invidiato di Costantinopoli. Giuseppe
annuisce. - Vedremo.
Non mi fido di voi, ma se le cose stanno davvero come mi dite, non sarà un
cattivo affare. Se a questo Dilar piace prenderselo
in culo, sono sicuro di poterlo accontentare. E se non è così, me lo prenderò
in culo io, un palo. - Sarai
contento, Giuseppe. - Può
darsi. Non mi spiace lasciare mio cugino, ma non chiedetemi di ringraziarvi. Suleyman ride. - Credo che
in futuro mi ringrazierai. * Suleyman è contento
della disponibilità di Giuseppe. Non si stupisce: era evidente che Giuseppe
non stava bene con il cugino. Non avrebbe accettato, se avesse avuto libertà
di scelta, ma è un uomo intelligente e sa adattarsi alle situazioni. Forse, se
sapesse i rischi che corre, Giuseppe non si sentirebbe tanto tranquillo: Dilar è davvero l’uomo più potente al Serraglio, il
sontuoso palazzo del sultano, ma proprio per questo è anche l’uomo più odiato
e la sua vita è sempre in pericolo. Prima o poi lo uccideranno e in questo
caso Giuseppe potrebbe subire la stessa sorte, soprattutto se davvero
conquisterà il favore dell’eunuco: uomini come lui non appena raggiungono una
posizione di potere ne approfittano per accumulare denaro e soddisfare i
propri capricci, creandosi nemici ovunque. Ma di che
cosa succederà a Giuseppe, a Suleyman certo non
importa. Quello che conta è che Giuseppe soddisfi l’eunuco e che questi
appoggi la sua richiesta al sultano. Una volta che Suleyman
avrà la sua flotta, Dilar e Giuseppe possono
crepare. La morte di Dilar sarà per Suleyman una buona notizia. |
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