Costantinopoli

 

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Sono in territorio turco da dieci giorni. Tra una settimana, se non si fermeranno per qualche motivo, saranno a Costantinopoli. José e Giuseppe viaggiano da soli, senza altri servitori. José de Olivares si presenta come il discendente di una famiglia spagnola trapiantata a Napoli. Non dice il nome con cui è conosciuto, ma usa uno degli altri nomi di famiglia, Mendoza. Giuseppe è il suo cugino povero, che gli tiene compagnia e all’occorrenza sbriga qualche piccola mansione.

Cucita negli abiti portano una piccola fiala di veleno, per essere pronti a uccidersi se venissero scoperti. José ha chiarito a Giuseppe che potrebbero non avere il tempo per prenderla: la fiala non è una garanzia di sfuggire alla tortura e a una morte atroce.

José visita con Giuseppe la costa. Si fermano alcuni giorni a Ragusa, l’orgogliosa repubblica che aveva rivaleggiato con Venezia e ora conserva una certa autonomia sotto il dominio turco. Poi si avventurano nell’entroterra.

José appare tranquillo, come sempre, ma non lo è per nulla. Si è reso conto che prendere con sé Giuseppe è stata una follia: non accetta l’idea di condurlo alla morte e ciò che intende fare lo porterà certamente a morire. José vorrebbe rimandarlo a Venezia e far venire Alonso.

Domani in una cittadina vicina a quella dove trascorreranno la notte, un uomo verrà giustiziato con il palo. José ha deciso che Giuseppe deve assistere allo spettacolo. Forse cambierà idea e lui riuscirà a rimandarlo a Venezia.

- Domani a Vorgrad impaleranno un uomo, accusato di aver sabotato la costruzione di una fortezza. Partiremo domani mattina presto, in modo da arrivare per tempo e vedere lo spettacolo.

Giuseppe guarda perplesso José de Olivares. Non chiede nulla, ma il padrone gli spiega:

- Voglio che tu veda che cosa significa essere impalato. Voglio che tu torni a Venezia, Giuseppe, e poi di lì a Napoli.

Giuseppe non dice nulla.

 

*

 

La posizione che ha scelto José de Olivares è ottima per assistere all’esecuzione: si vede perfettamente la piattaforma su cui verrà issato il palo.

Il condannato arriva all’ora prevista, verso mezzogiorno, portando il palo acuminato su una spalla: è di legno biancastro, con una punta di ferro. L’uomo indossa solo un paio di pantaloni. Sul suo petto ci sono tumefazioni violacee e l’uomo cammina a fatica, come se ogni passo gli costasse uno sforzo enorme, anche se cerca di controllare l’espressione del viso.

José de Olivares dice, piano, a Giuseppe.

- Probabilmente gli hanno spaccato i coglioni.

Giuseppe guarda l’uomo. Si chiede quanto tempo ci metterà a morire. Vorrebbe lanciarsi in avanti e ucciderlo, ma non ci riuscirebbe e in ogni caso se lo facesse, sarebbero lui e José de Olivares a subire la sorte riservata al condannato.

Giunti alla piattaforma, i soldati costringono il prigioniero a stendersi a terra. Uno degli aiutanti del boia prende una specie di forcone e blocca il collo del prigioniero. Un altro gli lega le mani dietro la schiena. Poi due uomini stringono le corde intorno alle caviglie e tirano verso l’esterno, costringendo il condannato ad allargare le gambe. Il palo viene sistemato in modo che la punta sia tra le gambe. Solo ora Giuseppe nota che ci sono due cilindri di legno che tengono il palo in posizione. Il boia ha preso un grosso coltello.

- Ora gli taglierà i pantaloni e poi gli allargherà il buco del culo. Guarda, Giuseppe.

A Giuseppe pare di avvertire una nota di rabbia nella voce di José de Olivares. Non distoglie gli occhi. Vede il boia chinarsi, tagliare la stoffa e poi affondare il coltello e tagliare. Il prigioniero ha un guizzo disperato. Giuseppe china il capo, ma José gli dice:

- Devi guardare. Non distogliere lo sguardo nemmeno un secondo.

Giuseppe guarda. Il sangue sta macchiando i pantaloni che l’uomo indossa. Uno degli aiutanti del boia spinge il palo in avanti, finché non è esattamente contro il taglio dei pantaloni. Poi il boia incomincia a colpire con un grosso martello di legno un’estremità del palo, facendo penetrare la punta nel culo dell’uomo.

Il condannato ha un movimento convulso e grida. Il boia colpisce ancora, poi posa il martello e si avvicina per osservare il prigioniero.

- Controlla che il palo penetri nel modo giusto, in modo da non uccidere il condannato. Il supplizio deve durare il più a lungo possibile.

Il boia torna al suo posto e mena altri due colpi. A ogni colpo si sente il grido strozzato del condannato e un altro rumore, sinistro, che viene dal suo corpo: il palo che sta entrando e scava nella carne.

Un uomo vicino a loro incomincia a vomitare. Giuseppe non distoglie lo sguardo. Quello che vede è orribile, ma non lo spingerà certo ad abbandonare il suo padrone.

Il boia si ferma. Incide la spalla del condannato e il sangue sgorga. Ancora due colpi e la punta del palo esce dalla spalla. Il palo viene sollevato. Il sangue che cola dalla ferita alla spalla scende sul petto del prigioniero, mescolandosi al sudore. Altro sangue fuoriesce dal culo. Con cautela il palo viene issato nell’apertura predisposta nel terreno e poi bloccato con grossi chiodi.

Due aiutanti del boia legano i piedi del condannato. Si scambiano qualche battuta e ridono.

- Quell’uomo non morirà prima di domani, Giuseppe.

Giuseppe annuisce. Non dice nulla. Sa che è una morte orrenda, ma se il suo padrone rischia di morire così, vuole essere al suo fianco.

Molti se ne vanno. Qualcuno rimane a guardare. Il condannato muove a tratti la testa. Respira ancora. Giuseppe si dice che non è possibile che sopravviva a lungo, ma José de Olivares ne sa più di lui.

- Vieni con me.

Giuseppe è contento di distogliere lo sguardo dalla terribile agonia di quest’uomo.

José de Olivares si allontana, scendendo verso la riva del fiume. Cerca un posto dove nessuno possa ascoltarli.

- Hai visto, Giuseppe?

La domanda non ha senso, il padrone sa benissimo che lui ha seguito tutta l’esecuzione, ma Giuseppe risponde.

- Sì, ho visto.

- In un qualunque momento, per un semplice sospetto, tu potresti finire così.

- E voi anche?

- Sì, ma io l’ho scelto.

- Anch’io.

José de Olivares stringe i pugni.

- Sei una testa di cazzo, Giuseppe.

Giuseppe non dice nulla. Il padrone riprende:

- Sei deciso a seguirmi fino alla morte? A quella morte?

- Sì.

- Torniamo dov’eravamo prima.

José de Olivares sembra furente, Giuseppe non riesce a capire. Ma non lascerà quello che per lui è il suo padrone.

Non ci sono più molte persone ad assistere.

- Guardalo. Guardalo bene. Hai un’idea di che cosa prova quell’uomo?

Giuseppe fissa il corpo infilzato sul palo e tace.

 

*

 

José de Olivares riflette. Dopo ogni missione, è abituato a rivedere tutto quanto è successo e a valutare le scelte fatte. Fino a ora ritiene di aver sbagliato molto di rado. Da Venezia in poi ha sbagliato tutto. No, non tutto, non ciò che riguarda la missione che intende compiere. Ma non avrebbe dovuto accettare che Giuseppe prendesse il posto di Alonso, non avrebbe dovuto tenere al suo fianco un uomo per cui prova un’attrazione così forte.

- Vieni in camera, Giuseppe.

Giuseppe lo segue.

José si siede e invita Giuseppe a fare altrettanto.

- Quell’uomo sta ancora agonizzando. Non ti spaventa l’idea di finire così?

- Sì, mi spaventa, ma non intendo tirarmi indietro.

- Sai che cosa andiamo a fare a Costantinopoli?

La domanda è assurda: José non gliene ha mai parlato, come potrebbe saperlo? José prosegue:

- Sai che cosa abbiamo fatto a Venezia?

Giuseppe lo guarda negli occhi. Ha occhi azzurri profondi, Giuseppe.

- Non posso saperlo. Ma per me non ha importanza.

- Non t’importa nemmeno capire perché rischi di crepare con il palo in culo?

- Se voi volete dirmelo, va bene. Se voi non volete, va bene lo stesso.

- Merda!

José si alza e va alla finestra. È furibondo con se stesso, per non aver saputo gestire in nessun modo la situazione. Avrebbe dovuto lasciare Giuseppe a Venezia, senza stare ad ascoltarlo. Non l’ha fatto e sa benissimo che non ha senso stare a rimuginare sugli errori commessi. È troppo tardi, ormai. A questo punto si può solo andare avanti.

Parla senza guardare Giuseppe.

- A Venezia ho fatto in modo di evitare una guerra. Ci sono forti tensioni in Italia e il Papa vorrebbe creare una lega contro Venezia, come fece Giulio II, oltre un secolo fa. Ma non ce lo possiamo permettere. Molti la vorrebbero, perché pensano di guadagnare con i rifornimenti per la flotta e per l’esercito, con l’ingaggio e con il saccheggio o in altri modi. Ma una guerra sarebbe un disastro per tutti gli stati coinvolti. La Spagna e Venezia hanno nemici interni ed esterni e sarebbe assurdo lanciarsi in una guerra che indebolirebbe entrambi gli stati e andrebbe a vantaggio dei Turchi e di altri nemici: in Spagna cova la ribellione, i Turchi minacciano Candia. Quasi sicuramente questa guerra non ci sarà: i contatti presi e alcune trattative mi hanno permesso di ridurre il rischio di un conflitto.

- Sono contento di lavorare con voi, padrone.

- Merda!

C’è un momento di silenzio, poi Giuseppe chiede:

- Posso domandarvi una cosa, padrone?

José scuote la testa:

- Cugino, quante volte te lo devo dire?

Giuseppe sorride:

- Posso domandarvi una cosa, cugino?

- Certamente.

- Anche la morte del conte del Cerreto…

Giuseppe non sa bene come completare la frase, ma José ha capito.

- Il conte del Cerreto complottava con la Francia. Sapendo dei suoi gusti, ho frequentato gli ambienti in cui si muoveva alla ricerca del piacere, come faccio ogni qual volta è necessario. Il mio corpo è uno strumento di cui mi servo, Giuseppe, e potrei dirti che ho fottuto anch’io quel figlio di puttana, più di una volta. Svelare il tradimento non era possibile, per motivi che non ti spiegherò e che non credo ti possano interessare. Abbiamo scelto un’altra strada, quella del processo per sodomia. Un processo guidato. Ho fatto in modo di avvisare alcune persone che non erano coinvolte nel complotto e poi ho messo in moto il meccanismo che ha portato all’esecuzione del conte.

Giuseppe annuisce, ma José non volta la testa verso di lui. Dopo una pausa, prosegue:

- A Costantinopoli andiamo a commettere un omicidio. Uccidere un uomo, a sangue freddo.

José si ferma. Forse non dovrebbe parlarne adesso. Ma Giuseppe dovrà saperlo.

- L’uomo che dobbiamo uccidere è un cristiano che si è fatto musulmano. È giovane, ha tre anni meno di me, ma è uno dei corsari più temibili. No, non uno dei più temibili: il più temibile. Ha fatto stragi atroci lungo le coste italiane e nei domini veneziani: il suo nome suscita il terrore. Lungo la costa calabrese ha lasciato pile di teste di contadini e pescatori che hanno cercato di resistere, ha ottenuto la resa di una fortezza veneziana promettendo la vita salva ai difensori e poi li ha fatti scorticare vivi, facendo stuprare e castrare il comandante prima di impalarlo. È un uomo tanto abile e coraggioso quanto spietato e sleale. Se non lo uccidiamo, otterrà dal sultano una flotta per conquistare Malta e ci riuscirà. Non possiamo perdere Malta.

- Sono contento di essere al vostro fianco, padrone. Grazie per avermi portato con voi.

José appoggia la testa contro il vetro della finestra. Mormora:

- Merda!

Poi si volta verso Giuseppe.

- Contento che io ti porti a morire! Sei una testa di cazzo, Giuseppe!

José si avvicina a Giuseppe. Ora è di fronte a lui:

- Uccideremo quell'uomo. E poi, quasi sicuramente, ci daremo la morte per evitare il supplizio. Perché non credo che avremo nessuna possibilità di riuscire a fuggire. Ti chiederò di uccidermi: io conosco i nomi di due nostri uomini fidati a Costantinopoli, quelli che ci forniranno le informazioni necessarie per mettere in atto il nostro piano. Non possiamo rischiare che li scoprano perché non resisto alle torture. Dovrai uccidermi e poi ucciderti.

Giuseppe non abbassa gli occhi:

- Se è per risparmiarvi il palo, lo farò.

- Perché, Giuseppe? Perché?

La domanda José la sta facendo a se stesso, anche se l’ha posta a Giuseppe. Ma non si sta chiedendo perché Giuseppe è disposto a seguirlo e a morire per lui. Si sta chiedendo perché si è innamorato di quest’uomo e perché ha accettato di portarlo con sé in un’impresa in cui troverà la morte.

 

*

 

Neanche Giuseppe si chiede perché vuole rimanere di fianco al suo padrone a ogni costo. Gli sembra naturale. Per la prima volta ha un padrone che merita tutta la sua stima e la sua ammirazione, un uomo generoso, giusto, coraggioso, che non lo umilia. Un uomo che gli è sinceramente affezionato, di questo Giuseppe è sicuro. Per la prima volta la sua vita ha davvero un senso e se incontrerà la morte, anch’essa avrà pienamente senso.

Giuseppe non si pone altre domande. Non ha mai amato prima, non ha imparato a leggere dentro se stesso, non si rende conto di ciò che prova.

 

Dopo aver visitato Venezia, Giuseppe non avrebbe mai pensato di potersi stupire ancora di fronte a una città, ma la vista di Costantinopoli lo lascia senza parole. Il conte ha deciso di imbarcarsi a Salonicco per raggiungere con un battello la capitale. Gli ha detto che la vista migliore si ha dal mare e Giuseppe sospetta che abbia deciso di arrivare in nave proprio per mostrargli la città.

Ora Costantinopoli si svela davanti a loro e Giuseppe la guarda, sbalordito. La selva di torri sottili e slanciate, i cipressi che svettano tra le costruzioni, le cupole delle moschee, le case che scendono a cascata fino al mare: tutto lo sorprende.

José de Olivares sorride e gli dice:

- Dicono che la città sia costruita su sette vette, coronate da moschee. Molte erano chiese, che sono state trasformate dopo la conquista da parte dei Turchi. Quelle torri che puoi vedere, sono i minareti, da cui il muezzin chiama i fedeli alla preghiera.

Giuseppe ascolta volentieri don José raccontare della città che si svela davanti ai suoi occhi. Come ha già fatto a Roma, Firenze e negli altri centri che hanno visitato, il conte mescola storia e descrizioni della città attuale.

- Eravate già stato a Costantinopoli, padrone?

Don José annuisce.

- Sì, una volta, sei anni fa. È una città affascinante e dal mare puoi averne la veduta migliore. Girando per le vie ne avrai un’altra impressione, ma lo scoprirai.

Poi abbassa la voce, anche se non c’è nessuno vicino a loro, e aggiunge:

- Ci vorrà qualche giorno prima di poter fare quello che dobbiamo e avremo modo di conoscerla.

 

*

 

Da quattro giorni si sono stabiliti nella casa che il conte ha affittato a Galata, il quartiere dove si trovano gli ambasciatori e molti mercanti europei. Ha assunto tre servitori turchi per mantenere in ordine la casa e occuparsi dei pasti.

Anche qui José de Olivares non si è presentato con il suo nome di conte di Olivares, ma come conte Mendoza. A Giuseppe ha spiegato che questo nome, comunissimo in Spagna, è davvero uno dei titoli della sua famiglia. È improbabile che a Costantinopoli José incontri qualcuno che lo conosce, ma se così fosse, potrà spiegare senza difficoltà di essersi presentato con un nome diverso da quello con cui è conosciuto, perché desidera muoversi con una maggiore libertà: data la fama di libertino gaudente di cui gode, tutti penserebbero che abbia in testa qualche avventura galante, non un omicidio.

Quanto a Giuseppe, continua a farlo passare per un suo lontano cugino, come ha fatto per tutto il viaggio. La situazione sembra essere quella, molto comune, di un parente povero che vive a spese del ricco conte e cerca di rendersi utile in tutti i modi.

Questo dà a José de Olivares la possibilità di portare Giuseppe sempre con sé, anche nel caso in cui qualcuno lo riconoscesse e lo invitasse. José de Olivares preferirebbe che questo non avvenisse: non è sua intenzione frequentare compatrioti.

Le giornate sono dedicate soprattutto alla visita della città: il conte fa da guida a Giuseppe. Come José de Olivares gli ha annunciato arrivando, Costantinopoli si rivela assai diversa da come gli è apparsa dal mare. Camminando Giuseppe scopre strade spesso talmente strette che le case da una parte e dall’altra sembrano quasi toccarsi. Cumuli di rifiuti si accumulano in diversi angoli ed è frequente imbattersi in carogne di animali. Un giorno trovano anche il corpo di un uomo in putrefazione. Qua e là ci sono spiazzi vuoti, con travi carbonizzate: i resti degli incendi che spesso devastano questa città di legno. Ma tra le piccole botteghe e le abitazioni più umili vi sono splendidi palazzi e grandi moschee che lasciano a bocca aperta Giuseppe.

A colpirlo è anche la folla che riempie certe aree della città, in cui si mescolano turchi, greci, ebrei, armeni ed europei. José de Olivares gli parla delle diverse comunità, gli spiega usi e tradizioni, gli racconta la storia di questa grande città. Giuseppe starebbe giornate intere ad ascoltarlo. Accanto a José de Olivares Giuseppe è felice. La sera, quando si corica, pensa che sono i giorni più belli della sua vita e che la morte non è un prezzo troppo alto per la gioia che prova. Ma l'idea che sia il conte a morire gli è del tutto insopportabile. Giuseppe si dice che in qualche modo riuscirà a salvarlo.

 

Il quinto giorno José de Olivares esce da solo. Fino a ora si è sempre fatto accompagnare da Giuseppe, ma oggi si limita a dirgli che tornerà più tardi e che Giuseppe è libero di fare ciò che vuole. Giuseppe non chiede nulla: non spetta a lui domandare spiegazioni se il padrone non ritiene di darle.

José non sta via a lungo. Ritorna dopo nemmeno due ore e fa venire Giuseppe nella sua camera. Non è la prima volta: quando deve dirgli qualche cosa che è bene che nessun altro ascolti, gli parla in camera, anche se i servitori turchi non sembrano conoscere l’italiano o il napoletano, che più spesso José usa con Giuseppe quando non vuole che altri capiscano.

La camera del conte è molto ampia e oltre al letto c’è una scrivania a cui talvolta José de Olivares si siede a scrivere qualche lettera.

Il conte va direttamente al punto:

- Il nostro bersaglio non è arrivato a Costantinopoli. Ha rimandato il viaggio e probabilmente sarà qui solo tra due mesi. Tornare in Italia non avrebbe senso. Diciamo che abbiamo due mesi di tempo per visitare questa città meravigliosa e i dintorni. Avrai anche modo di imparare un po’ di turco, che potrà sempre servire, e familiarizzarti con questo paese.

Giuseppe è sollevato all’idea che il momento cruciale non sia vicino: l’idea che il padrone possa morire lo angoscia. Se avrà modo di girare ancora a Costantinopoli con il suo padrone, come hanno fatto in questi ultimi giorni, Giuseppe ne è felice. Stare accanto a lui è bellissimo, averlo come maestro e guida è una gioia continua. Giuseppe non si chiede da dove venga questa sensazione di felicità. Continua a essere cieco di fronte ai propri sentimenti.

 

*

 

- Oggi andiamo a lavarci, Giuseppe.

Giuseppe non capisce. Il conte si lava spesso, questo Giuseppe l’ha notato, perché anche tra i ricchi e i nobili il bagno è un’abitudine insolita. Il padrone gli ha detto che poteva farlo anche lui e Giuseppe ha finito per bagnarsi regolarmente. Inizialmente lo ha fatto perché temeva che il suo essere poco pulito potesse infastidire il padrone, poi è diventata un’abitudine molto piacevole. Ma fino a ora fare il bagno voleva dire immergersi in una tinozza di acqua calda, a casa.

Il conte non dà spiegazioni e Giuseppe lo accompagna. Camminano affiancati e solo gli abiti rivelano che tra loro esiste una differenza sociale. Ma vedendoli un europeo penserebbe che Giuseppe sia il segretario del conte, se non un suo amico, di certo non una guardia.

Arrivati all’edificio, il conte spiega:

- I turchi hanno preso dagli arabi l’abitudine dei bagni di vapore. Sono molto piacevoli. Poi possiamo fare anche un trattamento… ma non ti anticipo nulla.

Entrano nell’edificio. Il conte paga, poi si dirigono in una sala che serve come spogliatoio. Il conte si toglie gli abiti e Giuseppe lo imita. José de Olivares rimane nudo. È solo un attimo: un inserviente gli porge un telo, che il conte si mette intorno alla vita.

Quell’attimo è sufficiente. Giuseppe è rimasto impietrito. Non aveva mai visto il suo padrone nudo: non è suo compito aiutarlo a vestirsi o svestirsi, né assisterlo durante i bagni.

José de Olivares ha un corpo forte, anche se certamente non come quello di Giuseppe. Giuseppe si rende conto di desiderarlo. Non l’aveva mai capito prima: José de Olivares appartiene a un mondo diverso dal suo, gli è sempre apparso del tutto irraggiungibile. Quando José de Olivares lo ha comprato, Giuseppe ha pensato che il conte si sarebbe servito di lui per soddisfare i propri desideri, ma non era attratto da lui. Solo ora, di colpo, ha capito che quest’uomo lo affascina anche fisicamente.

Giuseppe non si è ancora tolto i pantaloni e i mutandoni. E si rende conto che il cazzo gli è diventato duro.

Il conte non lo guarda, si è spogliato senza mai voltarsi dalla sua parte. E ora? Giuseppe si vergogna. L’inserviente attende con il telo. Giuseppe prende il telo, se lo mette su una spalla, poi si gira contro la parete, in modo che nessuno possa vederlo, finisce di spogliarsi e subito si cinge i fianchi con il telo.

Non è sufficiente a nascondere l’erezione. Cazzo! Avrebbe dovuto prevederlo.

- Sei pronto, Giuseppe?

- Sì, sì.

Giuseppe si mette le mani davanti, in modo da nascondere la protuberanza, e segue il conte. Passano in una sala dove l’aria è caldissima e satura di vapore. Si siedono.

 

*

 

Giuseppe ha un’erezione ed è in imbarazzo. A José spiace che Giuseppe sia a disagio. Negli anni di vita militare e poi in quelli di libertinaggio sfrenato, quasi sempre più simulato ed esibito che reale, José ha perso ogni senso del pudore. La sessualità non lo turba e gli sembra perfettamente naturale che Giuseppe, che non scopa con nessuno, possa avere un’erezione. Ma è chiaro che Giuseppe davanti a lui si vergogna.

José si chiede che cosa può fare per metterlo a proprio agio. Affrontando direttamente l’argomento, ha paura di peggiorare la situazione. Meglio non dire nulla?

José sceglie di parlare in generale, senza fare riferimento a quello che ha notato.

- Giuseppe, nei bagni la gente viene a lavarsi. Sono molto usati, da uomini di tutte le condizioni. In un bagno come questo vengono soprattutto persone ricche: costa assai più degli altri. Ma ci sono bagni per tutti. I turchi hanno imparato dagli arabi e sono molto più puliti di noi.

José spiega come si svolge una seduta all’hammam. Come sempre, Giuseppe fa domande precise. Una volta di più, José ha modo di constatare come la sua guardia sia un uomo intelligente e osservatore.

L’erezione non è più così visibile e Giuseppe appare più rilassato.

José prosegue il suo discorso.

- Ma un bagno non serve soltanto per pulirsi e stare un po’ tranquilli.

- Che cosa intendete dire?

- Qui si viene per incontrare gente, per combinare affari, per fare amicizia. E non solo.

- Che cosa ancora?

- Il bagno è anche un luogo ideale per darsi appuntamento e per il piacere.

- Ma come… qui, in una sala dove vanno e vengono tante persone…

- No, non qui, ma in una delle diverse salette appartate che si possono affittare per qualche ora. Alcune si affacciano su un giardino, altre sono al primo piano. C’è chi vi trascorre l’intera giornata.

Giuseppe scuote la testa.

- Non l’avrei mai pensato.

- Ci sono anche le sale dove puoi farti fare un trattamento.

- Un trattamento?

- Sì, anche questo di origine araba. Un uomo esperto ti strofina la pelle, la batte… è difficile da spiegare con le parole, ma è molto piacevole, te lo assicuro.

Giuseppe sembra non capire.

- Ma… perché? Perché uno lo richiede? A che cosa serve?

- Ti fa stare meglio. Ti farò provare.

Giuseppe sperimenta volentieri le novità, ad esempio i cibi che non ha mai assaggiato.

- Un’ultima cosa. Tra coloro che ti fanno un massaggio ce ne sono anche alcuni che sono disposti a massaggiarti tutto, ma proprio tutto, finché non vieni.

- Ma, come… come…

Giuseppe sembra non sapere come formulare la domanda. José ha già notato che Giuseppe non è a suo agio quando si parla di sesso, probabilmente perché non sa bene come affrontare questo argomento con il suo padrone. José si esprime molto liberamente.

- Non è una scopata, ma è molto piacevole.

Dopo che si sono lavati, José propone a Giuseppe il trattamento. Gli dice che se vuole anche qualche cosa in più, gli basterà chiedere. Gli dice le due parole che dovrà usare.

Anche il conte si fa massaggiare. Il massaggio gli piace e ha bisogno di alleggerire le tensioni che l’astinenza e la vicinanza di Giuseppe provocano nel suo corpo.

Si rende conto che mentre il massaggiatore lo guida all’orgasmo, il pensiero va a Giuseppe, ma non se ne stupisce: da tempo sa di amarlo e desiderarlo.

 

*

 

La sera Giuseppe si stende sul letto. Gli sembra di avere in testa un sabba di pensieri. Quanto è successo al bagno lo ha turbato profondamente. Non si era mai reso conto di provare un’attrazione fisica nei confronti del conte. Giuseppe si dice che è solo l’astinenza prolungata a fargli questo effetto, ma si rende conto di mentire.

Dopo essersi rigirato a lungo, Giuseppe si addormenta.

Il sogno ha la nitidezza della realtà. Lui e il conte sono nello stesso bagno in cui sono andati nel mattino. Giuseppe si chiede come mai sono ritornati, ma poi capisce. Il conte si spoglia e rimane nudo. Non si mette il telo intorno ai fianchi. Rimane di schiena. Giuseppe adesso è nudo anche lui. Fa due passi avanti e stringe il culo del conte con le mani. L’ondata del piacere lo travolge.

Giuseppe si sveglia.

Non è la prima volta che viene sognando. Gli capita spesso: da quando il conte del Cerreto lo ha ceduto a José de Olivares, Giuseppe ha avuto qualche rapporto solo a Venezia. Non ama farsi le seghe, ma il suo corpo ha le proprie esigenze e la notte spesso Giuseppe viene.

Non gli era mai capitato di sognare il padrone in una situazione del genere. Ma quando José de Olivares si è tolto gli abiti, ha tolto anche il velo che Giuseppe aveva davanti agli occhi. Ora sa di desiderare il corpo del suo padrone. E intuisce, anche se ancora non vuole dirselo, che ciò che prova per lui va molto oltre l’attrazione fisica.

 

Giuseppe si dice che la prossima volta che andranno a lavarsi non guarderà il padrone mentre si spoglia e si farà fare un trattamento completo. E così avviene, quando pochi giorni dopo ritornano all’hammam. Quella del bagno diventa un’abitudine: ogni due o tre giorni vanno a lavarsi e spesso si fanno massaggiare.

 

La vita che José de Olivares conduce a Costantinopoli ha ritmi molto diversi da quelli di Venezia e delle altre città italiane. Il conte incontra altri europei molto di rado. Di solito si tratta di commercianti che hanno magazzini a Galata. Non partecipa a feste e ricevimenti.

Esplora insieme a Giuseppe la città e tutti e due cercano di imparare il turco, con l’aiuto di un giovane che fa loro anche da guida ogni tanto. José conosce già un po’ dell’idioma e fa rapidi progressi. Giuseppe ha un buon orecchio per le lingue e incomincia a cavarsela.

Un giorno per la strada vedono una vecchia che sta litigando con un mercante di spezie.

Giuseppe scuote la testa.

- Che brutta quella vecchia.

- Non è una vecchia. È un eunuco, Giuseppe.

- Un eunuco?

- Un uomo a cui sono state tagliate le palle, talvolta anche l’uccello. Di solito lo fanno quando sono piccoli. Si può fare anche dopo, ma molti muoiono. I turchi lo fanno spesso.

- E diventano così?

- Quelli che vengono castrati da piccoli, soprattutto se gli tolgono tutto, sembrano donne molto brutte. Non hanno quasi per niente peli e tendono a ingrassare facilmente. Quelli a cui lo fanno più tardi, conservano un aspetto più maschile.

- Ma perché… perché lo fanno?

- Gli eunuchi servono per la sorveglianza degli harem. E a quelli più in gamba si possono affidare compiti importanti, come l’amministrazione di una provincia: tanto non possono avere figli a cui lasciare la carica. Alcuni raggiungono posizioni di grande potere. L’uomo più influente dell’impero in questo momento è l’eunuco Dilar.

Giuseppe rabbrividisce..

- Castrare un uomo. È orrendo.

- Sì, lo è. Ma in Italia lo fanno a ragazzi che cantano bene perché così conservano una voce acuta e nello stesso tempo hanno tutta la potenza vocale di un uomo.

- Ne avevo sentito parlare, sì, ma non sapevo se era vero… La gente dice tante cose.

 

*

 

Sono passati due mesi. Per José un periodo felice, al fianco di Giuseppe. Basta non pensare al futuro che li attende e José può essere felice.

Un giorno però qualcuno porta la notizia che José attendeva da tempo.

- Il nostro bersaglio sta per arrivare a Costantinopoli. E noi ce ne andiamo.

Giuseppe guarda il padrone, aspettando una spiegazione. Il conte prosegue:

- Nessuno sospetta di noi, ma siamo pur sempre due europei che si fermano molto a lungo in città, senza apparentemente avere affari da seguire. Ce ne andiamo per qualche giorno.

- Dove andiamo? 

- A Edirne, una città dell’entroterra. Andiamo ad assistere al Kirkipinar.

- Che cos’è?

- Un grande torneo di lotta.

 

 

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