Napoli Per Nicola
e Giuseppe non è difficile arrivare a Napoli. Non viaggiano in carrozza, ma
prima sul carro di un contadino, che accetta di trasportarli per un piccolo compenso,
e poi sul carro di un commerciante di vini, che chiacchiera molto. Giuseppe
gli dà un po’ spago, facendo qualche vago accenno ai motivi per cui Nicola
avrebbe dovuto lasciare il paese in cui viveva. Entrambi
conoscono la città: Giuseppe vi ha trascorso oltre metà della sua vita.
Nicola vi è stato due anni e se n’è andato solo pochi mesi fa. Prendono
alloggio in una locanda molto semplice. Se Giuseppe fosse da solo,
cercherebbe un posto più economico, ma quello scelto è il livello minimo per
un nobile, sia pure ridotto in povertà. Giuseppe
cerca subito lavoro al porto. Non fa fatica a trovarlo: è un Ercole e viene
assunto in fretta. La paga non è alta, ma Giuseppe non può pretendere di più.
L’unico modo per guadagnare decentemente è faticare più ore. Giuseppe lavora
spesso dal mattino presto fino a notte e arriva alla locanda esausto. Mentre
lavora, Giuseppe si chiede spesso come aiutare il prete a trovare un lavoro.
Nicola sembra scoraggiato. Dice non avere nessuno a cui rivolgersi e Giuseppe
gli crede. Se conoscesse meglio la sua situazione, forse potrebbe aiutarlo,
ma Nicola è restio a confidarsi e Giuseppe non vuole forzarlo. L’unica idea
che Nicola ha avuto è quella di lavorare come segretario. A Giuseppe sembra
una buona cosa, ma in che modo Nicola può farsi assumere? Possiede solo il
vestito che indossa, che avrebbe bisogno di essere lavato. Giuseppe si
dice che deve guadagnare di più, ma non sa come. * Jusepe de Ribera
è sceso al porto di buon mattino. Cerca un modello per il martirio di San
Felipe, il quadro che gli è stato commissionato da poco. Ha tracciato diversi
disegni preparatori e ha deciso di scegliere un uomo molto forte, il cui
corpo seminudo costituisca il fulcro della composizione. Il porto è senza
dubbio il luogo migliore per trovare il modello che cerca. Jusepe de Ribera
passeggia per i moli in compagnia dell’amico Massimo e insieme osservano gli
uomini al lavoro. - Quello
là, vicino alla rete. Che ne dici? - No,
Massimo, non va bene. Ti ho detto che voglio un santo popolano, non un uomo
di cultura, ma quello ha una faccia da delinquente. - E allora
quell’altro, quello che porta la cassa sulla schiena? Il secondo, non il
primo. Jusepe guarda
l’uomo un buon momento. - Potrebbe
essere, sì, potrebbe essere. È forte e ha un viso popolare, ma non bestiale. Jusepe e Massimo
si avvicinano all’uomo per parlargli. In quel momento passa una fila di tre
uomini chinati sotto il carico che trasportano. - Aspetta,
Massimo. Massimo
guarda Jusepe, che con un cenno del capo indica uno
dei tre. L’uomo è davvero un Ercole popolano e si direbbe il modello ideale
che cerca Jusepe. Jusepe e Massimo
seguono i tre uomini fino al luogo dove posano le casse su un carro. Poi
Massimo si avvicina all’uomo che hanno individuato; Jusepe
rimane un passo indietro. -
Buongiorno, come ti chiami? L’uomo
guarda Massimo diffidente e risponde: - Giuseppe. Massimo
sorride e dice: - Come il
signore qui, che viene dalla Spagna: Jusepe de
Ribera, conosciuto come lo Spagnoletto, il più
grande pittore di Napoli. L’uomo
guarda Ribera, poi torna a fissare Massimo. Attende una spiegazione. Massimo
prosegue: - Il signor
de Ribera cerca un modello per il quadro di un santo. Tu potresti essere il
modello. C’è da guadagnare bene e faticare poco. - Quanto si
guadagna? La domanda
è diretta. Massimo guarda Ribera, che si avvicina. Questo è l’uomo che gli
serve. San Filippo dev’essere lui. Jusepe fa una
buona offerta. L’uomo non risponde subito: pare riflettere. Massimo
osserva: - È
un’offerta generosa e di sicuro è molto di più di quel che guadagnate qui. Giuseppe
guarda Massimo. Non sembra per niente in soggezione. - Qui
guadagno bene. Mi pagano per il lavoro che faccio. Se lavoro tutto il giorno,
non guadagno poco. Faticare non mi spaventa. Jusepe è stupito
dalla franchezza dell’uomo. Aumenta la sua offerta, che ora è molto generosa.
L’uomo chiede ancora per quanto tempo durerà il lavoro e alla fine accetta.
Dice che però non potrà incominciare prima di domani: si è preso l’impegno di
svolgere un lavoro oggi e intende portarlo a termine. * Giuseppe è
contento. Quando torna alla locanda ormai è notte, ma cerca di trasmettere un
po’ del suo entusiasmo a Nicola, che gli appare sempre più apatico. Giuseppe
è seriamente preoccupato per lui. -
Guadagnerò tre volte quello che guadagno adesso, lavorerò di meno e vi
aiuterò a cercare lavoro. Giuseppe non sa bene come potrebbe dare una mano a Nicola nella ricerca di un lavoro, a parte fargli fare un abito adatto e acquistare un po’ di biancheria. Ma cerca di incoraggiarlo come può. - Vi
ringrazio. Vi date molto da fare. Mi mantenete. Io sono del tutto inutile,
qui. Sono solo un peso per voi. Giuseppe è
stanco. Ha lavorato quattordici ore, senza risparmiarsi. La tristezza di Nicola
lo abbatte. Avrebbe bisogno di un po’ di allegria, di qualche sorriso, non di
trovarsi di fronte un uomo che sembra meditare il suicidio. - Don
Nicola, avete studiato e troverete lavoro come segretario o come commesso.
Non vi scoraggiate. Giuseppe si
rende conto che Nicola non cerca davvero. Nei primi giorni è andato un po’ in
giro a chiedere, ma adesso rimane tutto il giorno nella locanda, spesso senza
nemmeno uscire dalla camera. Il tempo grigio non aiuta. L’inverno è arrivato,
fuori fa freddo e spesso il cielo è coperto. Giuseppe
vorrebbe riuscire a scuotere Nicola da questo suo torpore, ma non sa come
fare. Giuseppe
prosegue: - Da domani
avrò più tempo e andremo un po’ in giro a cercare lavoro anche per voi. Giuseppe
aveva in mente di tornare al porto a lavorare dopo aver posato come modello,
in modo da guadagnare di più, ma si rende conto che è più importante far
uscire Nicola dalla sua inerzia. * Jusepe de Ribera
è molto soddisfatto del suo modello: Giuseppe è coscienzioso, sempre
puntuale, pronto a eseguire ogni ordine. Non si lamenta, anche se la
posizione in cui deve rimanere non è delle più comode. Ribera gli dà
regolarmente il compenso pattuito e qualche volta, quando lo ha trattenuto
più a lungo, gli dà anche qualche cosa in più, che Giuseppe sembra gradire. Ribera ha
tracciato diversi schizzi e ormai ha un’idea precisa della composizione. Il
martirio di san Felipe sarà una grande tela, che contribuirà alla sua fama
non solo a Napoli, dove ormai è considerato il pittore più importante, ma in
tutta Europa. Spesso
qualcuno viene ad assistere mentre Ribera dipinge: nobili della corte del
viceré, pittori, amici di Jusepe. Ma quando
Giuseppe arriva non c’è di solito nessuno e Ribera scambia due chiacchiere
con lui. L’uomo
proviene dal Cilento ed è a Napoli con il suo padrone, un nobile impoverito,
che è stato costretto a lasciare il paese e ora cerca un lavoro qui a Napoli,
ma non sa a chi rivolgersi. Giuseppe ha fatto di tutto nella sua vita ed è
anche vissuto a Napoli per alcuni anni, prima di trasferirsi per lavoro non
lontano dal suo paese natale. A Ribera piace quest’uomo riservato e coscienzioso, fedele al suo padrone. Tra loro si crea una simpatia che non supera la barriera sociale, ma rende possibile una conversazione. Quando
incomincia a dipingere, Ribera non parla più con Giuseppe. Intanto arrivano
gli sfaccendati che vengono a vedere il maestro al lavoro e Ribera conversa
con loro. Quando la seduta è terminata, Giuseppe riceve la sua paga e se ne
va: non hanno più occasione di parlare, perché c’è sempre altra gente
intorno. Alcuni dei visitatori saranno raffigurati nel quadro, come
spettatori del martirio del santo. Un giorno
Giuseppe chiede a Ribera se non può aiutare il suo padrone a trovare lavoro.
Ribera dice che ci penserà, ma non saprebbe davvero a chi chiedere. * Adesso
Nicola ha un abito di ricambio e la biancheria necessaria. Ma è sempre più
apatico e distante. Giuseppe teme di tornare alla locanda un giorno e
trovarlo morto suicida. Giuseppe è
sempre stato un uomo di poche parole. Con Nicola non si è mai creata una
confidenza, nonostante siano ormai due mesi che condividono la stessa stanza. Giuseppe ha
anche paura a chiedere a Nicola se ha cercato lavoro: l’ultima volta che gli
ha posto la domanda, Nicola è scoppiato a piangere. Sa che Nicola ha fatto
ancora alcuni tentativi, ma senza risultato. Forse ci ha rinunciato. Giuseppe è
sempre più angosciato, anche se ora il suo lavoro basta per mantenere senza
problemi entrambi. Ma quando sarà terminato il quadro? Il pensiero
di Nicola ritorna in continuazione nella mente di Giuseppe. Giuseppe
posa nudo: solo un lembo di tessuto copre le vergogne. Un giorno
vi è il conte del Cerreto, uno degli uomini più ricchi di Napoli. È stato
assente per tre mesi dalla città e vi torna solo ora. Viene a salutare Ribera
e poi si ferma tutto il pomeriggio a vedere il pittore al lavoro. Giuseppe si
rende conto che il conte lo divora con gli occhi. Non è la prima volta che
succede: altri lo hanno guardato con interesse, più d’uno ha fatto alcune
battute, che Giuseppe ha ignorato. Qualche giorno fa, al momento di alzarsi,
il tessuto che copre i genitali è scivolato via e c’è stato un mormorio tra
alcuni uomini presenti. Quando la
seduta è finita, il conte si avvicina e segue Giuseppe nell’angolo che serve
come spogliatoio. Giuseppe si toglie il tessuto che gli copre il sesso e vede
che il conte lo fissa, senza cercare di nascondersi. Il conte gli sorride e
gli dice: - La natura
è stata generosa con te. Giuseppe
non sa che dire. Gli dà fastidio quest’uomo così invadente. - So che lo
Spagnoletto ti paga bene. Ribera
viene chiamato lo Spagnoletto perché viene dalla
Spagna. Giuseppe
alza le spalle. L’uomo
prosegue: - Ma io
posso pagarti molto di più se vuoi venire da me. Giuseppe si
ferma e lo fissa. Non si aspettava un invito così diretto. Non gli piace
l’idea di vendersi, anche se l’uomo che ha di fronte è tutt’altro che brutto.
Giuseppe guadagna abbastanza. Quello che gli servirebbe ora sarebbe trovare
un lavoro per Nicola, non guadagnare di più. È vero che il lavoro attuale non
durerà più a lungo, ma vendersi… Il conte di
Cerreto sorride. - Avrai una
bella camera e cibo e vestiti. E ti pagherò bene. Dimmi quanto vuoi per
venire da me. Giuseppe
riprende a rivestirsi, senza rispondere.
Il conte insiste: - Allora,
che ne dici? Che cosa vuoi? Giuseppe si
ferma. Fissa il conte e dice: - Un lavoro
come segretario per il mio padrone. Il conte
ride. - Una
richiesta alquanto insolita. Che ti importa di lui? Se vieni da me, sarai al
mio servizio. Lascia perdere il tuo padrone e trasferisciti nel mio palazzo.
Ti troverai bene. Non ti lamenterai della paga. - Non mi
interessano i soldi. Vengo solo se trovate un lavoro per il mio padrone. - Il tuo
padrone è istruito? È onesto? - Sì, è
istruito, conosce anche il latino. Ed è onesto. - Se gli
procuro il lavoro, verrai a stabilirti da me e farai ciò che ti chiedo? Giuseppe
china il capo. Si prostituirà, di questo si tratta. Ma se Nicola troverà un
lavoro, forse uscirà dalla sua condizione di apatia, non finirà per ammazzarsi. - Sì, ma
non chiedetemi di uccidere qualcuno. Il conte
ride. Ha un bel sorriso ed è davvero un bell’uomo. - Ti
chiederò ben altro. Gli procurerò un lavoro. Come si chiama il tuo padrone? - Nicola
Rovani. Il cognome
è inventato: è quello che Giuseppe e Nicola hanno concordato. - Tu
passerai al mio servizio. A presto. L’uomo se
ne va. Giuseppe
torna alla locanda pensieroso. Si chiede se parlare a Nicola della
possibilità di un lavoro. Ha paura che poi Nicola possa rimanere deluso, se
la faccenda non andasse a buon fine. Si dice che è meglio non farne cenno,
ma, vedendolo ancora più abbattuto del solito, finisce per dirgli: - Dal
pittore ho incontrato un uomo che forse potrebbe procurarvi un lavoro come
segretario. Nicola lo
guarda incredulo. - Dite
davvero? Ma chi? Come? C’è
finalmente un po’ di animazione nello sguardo di Nicola. Giuseppe è contento
di avergli parlato. - È un
conte. Sembrava davvero convinto di riuscire a trovarvi lavoro. - Sarebbe
bello. - Per
festeggiare facciamo due passi. È pure una bella giornata. Da quando
lavora per Ribera, Giuseppe torna alla locanda prima e cerca di far uscire
Nicola. Talvolta ci riesce, in altri casi invece non riesce a superare
l’apatia in cui sembra sprofondare Nicola. Oggi Nicola accetta. La giornata è serena, la primavera è nell’aria e Giuseppe si sente più sollevato. Vedere Nicola un po’ più animato gli fa piacere. Sa qual è il prezzo: prostituirsi, perché di questo si tratta. Ma vuole salvare Nicola a tutti i costi. * Luca del
Cerreto ha molte conoscenze. Sa che il segretario del marchese di Aguado è stato licenziato due giorni fa. Con il marchese
ha buoni rapporti, per cui va a trovarlo. Finge di
conoscere personalmente Nicola Rovani, ne parla bene. Il marchese è
disponibile a fare la prova. Domani incontrerà questo Rovani. Nel tardo
pomeriggio Luca del Cerreto torna nello studio dello Spagnoletto.
Guarda la sua preda, questo splendido maschio che presto sarà suo. Sorride. Quando
Giuseppe va a rivestirsi, Luca lo segue. - Domani alle
11 il tuo padrone si presenterà dal marchese di Aguado,
che lo prenderà in prova. La gioia
che legge sul viso di Giuseppe gli dice che l’affare è fatto. Luca fornisce
l’indirizzo del marchese, poi aggiunge: - Se verrà
preso, il tuo padrone prenderà servizio dopodomani, giovedì. E giovedì sera
tu ti trasferirai da me. Giuseppe
cerca di dire qualche cosa, ma Luca fa un gesto e prosegue: - Potrai
venire ancora qui fino a che il quadro non sarà completo, d’altronde anch’io
mi farò raffigurare, come uno degli spettatori. Ma per il resto del tempo
sarai a mia disposizione. Giuseppe
annuisce. - Come voi
volete, eccellenza. L’indomani
nel pomeriggio Luca passa dal marchese. - Allora,
marchese, che mi dite dell’uomo che vi ho suggerito? - Mi sembra
serio e capace. Gli ho fatto scrivere due lettere e ha svolto il compito
molto bene. - Ne sono
contento. Sapevo che avrebbe fatto una buona impressione. - Sì,
l’impressione è stata ottima. Dicono che il viso sia lo specchio dell’anima e
in questo caso non potrò lamentarmi: non credo di aver mai visto una bellezza
così perfetta. Luca
sorride, preso in contropiede. Non può dire che non ha mai visto Nicola. - Di quella
non vi avevo parlato. Non mi sembrava rilevante per le vostre esigenze. - No, non
lo è certo. Luca è al
settimo cielo. Domani sera Giuseppe si trasferirà nel suo palazzo. Domani
sera. Si dirige subito allo studio di Ribera. Contempla il corpo di Giuseppe
e pensa che da domani quel corpo sarà suo. Purché non si tiri indietro. Se lo
facesse… guai a lui. Luca sa essere feroce. Quando
Giuseppe ha finito, Luca lo segue nell’angolo dove si cambia. - Ho tenuto
fede al patto e il vostro padrone è stato assunto. Prenderà servizio dal
marchese domani e domani sera voi verrete da me, come siamo rimasti
d’accordo, vero? Rimarrete da me finché lo vorrò. Giuseppe lo
guarda negli occhi. Sono belli quegli occhi azzurri. - Ho una
parola sola. Verrò da voi e farò ciò che voi volete. Luca
sorride, soddisfatto. Di quest’uomo può fidarsi. - Un’ultima
cosa: è bene che io veda il vostro padrone. Ho detto al marchese di
conoscerlo e può capitare che ci incontriamo casualmente. Se il marchese
scoprisse che gli ho mentito, non sarebbe una buona cosa né per me, né per il
vostro padrone. Giuseppe
pare riflettere un momento, poi dice: - Come voi
volete. Fissano un
appuntamento e due ore dopo Luca del Cerreto ha modo di conoscere Nicola
Rovani. Il marchese non ha esagerato parlando della bellezza del giovane, ma
a Luca non interessa: a lui piacciono gli uomini forti come Giuseppe. Ora però
si chiede se Nicola non sia l’amante di quello che risulta essere il suo
servitore. È possibile che le cose stiano così, ma ormai non ha
importanza. * Nicola e
Giuseppe preparano le loro cose. Giuseppe ha saldato il conto della locanda e
ha insistito per dividere il denaro che ha guadagnato con Nicola. Nicola non
avrebbe voluto accettare, ma sa che Giuseppe ha ragione quando dice che deve
avere con sé un po’ di denaro, per ogni evenienza. Nicola va
direttamente dal marchese di Aguado, nel cui palazzo
vivrà finché rimarrà al suo servizio; Giuseppe andrà dal pittore e poi dal
conte del Cerreto. Giuseppe ha detto a Nicola che il conte lo ha assunto come
uomo di fatica. Nicola si
sente rinascere. Ha un lavoro, potrà guadagnarsi da vivere. Non può dire di
essere al sicuro: esiste sempre la possibilità che qualcuno lo riconosca, ma
Nicola spera che ormai si siano dimenticati di lui. Nei
confronti di Giuseppe sa di avere un debito enorme: Giuseppe lo ha salvato,
gli ha permesso di sopravvivere a Napoli, gli ha trovato un lavoro. Nicola sa
di essere stato per lui un peso, in questi mesi angosciosi, ma Giuseppe non
glielo ha mai rinfacciato. Ora le loro
strade si separano. Anche se Giuseppe è stato il suo unico appoggio, anche se
gli deve tutto, Nicola non è dispiaciuto di questa separazione: Giuseppe gli
ricorda un periodo buio della sua vita, un passato infelice. Nicola spera di
riuscire a lasciarselo definitivamente alle spalle. - Passerò a
trovarvi. Giuseppe
sorride, ma non c’è allegria in quel sorriso. Si limita a dire: - Grazie. * Dopo aver
posato, Giuseppe si riveste. Ha con sé il piccolo fagotto con le sue poche
proprietà. Tra poco accompagnerà il conte nel suo palazzo, la sua nuova
abitazione. Giuseppe si sente umiliato: tra poco si prostituirà a un uomo,
che lo ha comprato. Ma non tornerebbe indietro. Nicola questa mattina era un
altro, potrà riprendere a vivere. Oggi il
conte non gli si è avvicinato. Ieri sera sono rimasti d’accordo che Giuseppe
lo aspetterà a un incrocio poco lontano dallo studio del pittore. La carrozza
del conte arriva subito. Giuseppe sale. Luca del Cerreto lo guarda,
sorridendo. - Non ti
pentirai di aver accettato la mia proposta, Giuseppe. Giuseppe fa
appena un cenno con la testa. Il conte è
impaziente. Giunto a palazzo lo affida a un servitore, che accompagna
Giuseppe nella sua camera. È una stanza piccola, con un mobilio semplice, ma
per Giuseppe è la sistemazione più comoda che abbia mai avuto modo di provare
nella sua vita. Poco dopo
che il servitore è uscito, una porta laterale si apre e compare il conte. - Vieni con
me, Giuseppe. Passano in
un locale che serve come spogliatoio e di lì in una stanza molto vasta, che
Giuseppe intuisce essere la camera da letto del conte. -
Spogliati, Giuseppe. Voglio vederti. Giuseppe guarda
il conte. Annuisce. Si toglie tutto ciò che ha indosso e rimane nudo davanti
a Luca del Cerreto, che lo fissa. - Che cosa
c’è, Giuseppe? - Niente,
eccellenza. - Hai mai
scopato con un uomo, Giuseppe? Giuseppe
china il capo. - Sì,
eccellenza. - Per denaro? - No,
eccellenza. - Non hai
mai scopato per denaro o per ottenere un regalo, vero? - No,
eccellenza. Luca è
contento che Giuseppe non si sia mai venduto. - Giuseppe,
risparmiati l’eccellenza. Rispondi alle mie domande senza tanti complimenti. - Come
volete. - Ti piace
scopare con un uomo? Giuseppe
alza gli occhi e fissa Luca. - Sì. - Scopavi
con quello che chiami il tuo padrone? - No. Il
mio padrone siete voi, ora. Luca
annuisce. - Hai
accettato di scopare perché il tuo padrone di prima trovasse un lavoro, vero? - Lo
sapete. Luca
sorride. È contento di aver comprato Giuseppe. Gli sembra di aver fatto un
buon affare. -
Spogliami, Giuseppe. Giuseppe si
avvicina e incomincia a togliere gli abiti di Luca. Luca osserva le sue mani,
forti; ne aspira l’odore di sudore, di maschio; ne guarda il viso. Giuseppe
starebbe meglio con la barba. - Ti farai
crescere la barba. Giuseppe
apre la bocca, sembra voler dire qualche cosa, ma risponde solo: - Come
volete. Giuseppe ha
finito di spogliarlo. Luca si inginocchia, guarda il grande cazzo di Giuseppe
davanti al suo viso. Ne sente l’odore, acre, di piscio e sudore. Lo prende in
bocca e incomincia a succhiarlo e leccarlo. Il cazzo si
gonfia di sangue, acquisendo volume e rigidità. Ormai Luca riesce a tenerne
in bocca solo una parte. Continua a succhiare. Il cazzo cresce ancora. Luca si
stacca e lo guarda. È una meraviglia, non ha mai visto niente del genere. Di
cazzi ne ha sperimentati tanti, ma anche tra i popolani non ne ha mai trovato
uno che potesse stare alla pari con questo. Grande, rigido come una spada,
percorso da una grossa vena in rilievo, la cappella violacea bagnata dalla
saliva. Luca si
alza, si appoggia sul letto, a gambe divaricate e dice: - Metti un
po’ di saliva e poi sfondami. Giuseppe si
avvicina. Afferra il culo di Luca, divarica le natiche. Luca sente le dita
umide scorrere intorno all’apertura, poi la pressione della cappella e infine
il cazzo che entra dentro, lentamente. Mai le sue viscere sono state tanto
dilatate e il piacere violento che sale dal suo culo è anche dolore, perché
troppo grosso è questo cazzo che lo infilza senza pietà. Ma Luca non vuole
pietà, vuole questo dolore, questa sottomissione. Giuseppe è
arrivato in fondo. Si ritrae e poi avanza di nuovo, con un movimento
regolare. Luca sente brividi di piacere in tutto il corpo. Giuseppe prosegue,
avanzando ogni volta fino in fondo, dilatando le viscere di Luca e suscitando
ondate di dolore, per poi ritrarsi. Luca stringe tra le mani il lenzuolo,
geme, singhiozza, a tratti incita Giuseppe: - Sì, sì,
sfondami, sfondami. Giuseppe
prosegue inesorabile, avanti e indietro, affondando completamente la sua arma
micidiale dentro il culo di Luca e poi ritraendosi fin quasi ad uscire. Il
piacere è dolore, il dolore è piacere, la tensione è intollerabile, ma
Giuseppe continua a fottere Luca. Luca ha perso il senso del tempo. Da quanto Giuseppe lo fotte? Da mezz’ora, un’ora, un giorno? Luca non lo sa. Sprofonda sempre di più nel dolore e nel piacere e infine sente che la tensione è troppo forte: il piacere esplode e il seme sgorga, in un orgasmo tanto violento che gli pare di perdere i sensi. - Basta. Luca è
esausto. Giuseppe si ritira. Luca si
solleva. Il dolore al culo è violento e ogni movimento provoca una fitta. Gli
spiace che Giuseppe non sia venuto dentro di lui, ma non reggerebbe ancora
questo cazzo in culo. Luca si
inginocchia davanti a Giuseppe, ne guarda ancora il cazzo e lo prende in
bocca. Lo pulisce e lo succhia con vigore, finché il seme di Giuseppe non gli
inonda la bocca. Luca inghiotte. Luca
stringe il culo di Giuseppe, mentre beve. Poi appoggia la fronte contro il
ventre del suo servo. Il cazzo di Giuseppe sta perdendo rigidità e volume, ma
è ancora inquietante. Luca rimane a lungo così, poi si stacca, fissa Giuseppe
negli occhi e gli dice. - Pisciami
in bocca. Luca apre
la bocca. Giuseppe incomincia a pisciare. Luca beve. Quando ha
finito, Luca dice: - Puoi
andare. Una parola, una mezza parola e ti faccio castrare e ammazzare. Giuseppe
annuisce: ha colto nel tono di voce di Luca che il suo padrone lo farebbe
davvero. Raccoglie i suoi vestiti e se ne va, chiudendo la porta. Luca si
stende sul letto. È esausto. * Sono quasi
tre mesi che Giuseppe sta dal conte. Il conte è spesso fuori, ma a notte fonda,
quando torna a casa, o al mattino, quando si sveglia, lo fa chiamare. Il
conte è insaziabile, ma Giuseppe ha l’energia per soddisfarlo. Fottere il
conte non gli dispiacerebbe, se fosse una libera scelta; è invece un
prostituirsi e Giuseppe si sente umiliato. Ma non tornerebbe indietro. Durante il
giorno, Giuseppe ha molto tempo libero. Spesso dà una mano agli altri
servitori ed è benvoluto per la sua disponibilità. Un giorno
il cuoco manda una serva in cantina a prendere il vino. La donna tarda a risalire,
per cui il cuoco si rivolge a Giuseppe: - Giuseppe,
scendi a vedere che cazzo fa Maria. Giuseppe
prende la scala che porta alla cantina. A metà della scala sente la voce di
Maria: - No, no,
la… Il grido si
interrompe e si trasforma in una specie di mugolio, come se qualcuno avesse
tappato la bocca alla donna. In due balzi Giuseppe arriva al fondo della
scala e raggiunge l’angolo da cui proveniva la voce. Maria è a terra sotto
Corrado, un altro servitore. Maria si dibatte, ma Corrado si è già calato i
pantaloni e sta cercando di sollevarle la gonna. - Lasciala
subito! - Fatti i
cazzi tuoi, stronzo. Giuseppe
afferra a due mani Corrado, lo solleva di peso e lo sbatte contro una delle
botti. Maria si alza, si rassetta in fretta e si allontana di corsa. - Grazie,
Giuseppe. Corrado è a
terra, intontito dal colpo. Il sangue gli cola dal naso che ha battuto contro
la botte. Si rialza a fatica. Guarda Giuseppe con odio. - Hai poco
da fare il gradasso, stronzo, solo perché sei la puttana del conte. Non duri
più di tre mesi, come tutti gli altri. E poi ti trovi con il culo a terra. Giuseppe
non dice niente. Sarebbe ben felice di essere mandato via oggi stesso.
Potrebbe tornare a lavorare al porto e guadagnarsi il pane onestamente, come
ha sempre fatto in vita sua. * Sta
piovendo con violenza. Il conte guarda fuori dalla finestra. Sorride. - Togliti
la giacca, Giuseppe, e scendi in cortile. Rimani sotto la pioggia un po’,
finché non ti faccio segno dalla finestra. Allora ritorni subito qui. Giuseppe si
toglie la giacca ed esce dalla stanza. Luca del Cerreto sorride a vederlo
uscire e fermarsi in mezzo al cortile. Giuseppe fa quello che lui gli dice,
sempre. È obbediente ed è la migliore puttana che abbia mai avuto. Nessuno lo
ha mai fottuto così bene. Dopo un
buon momento, Luca fa un cenno a Giuseppe. Giuseppe
arriva, grondante. Luca osserva la camicia inzuppata, che mette in risalto la
muscolatura atletica dell’uomo: un vero Ercole, come quello della collezione
dei Farnese che Luca ha avuto modo di vedere a Roma. Ma l’Ercole dei Farnese
ha un cazzo piccolo, Giuseppe è dotato come un cavallo. O un toro: si è un
perfetto toro da monta, un animale potente. -
Spogliati, Giuseppe, e fottimi. Giuseppe si
toglie gli abiti bagnati. Luca lo guarda sorridente mentre gli si avvicina,
lo spoglia con gesti bruschi, poi lo forza ad appoggiarsi sul letto. Giuseppe
sa quel che piace al padrone, ormai, e lo accontenta. Giuseppe
gli abbassa i pantaloni e scopre il culo. Lo stringe tra le mani e poi preme
con il grosso cazzo contro il buco. Entra deciso, facendo male a Luca, come
sa che al conte piace. Luca geme,
mentre Giuseppe lo fotte con energia. Giuseppe è capace di andare avanti a
fottere per un'ora. Luca perde i contatti con la realtà. Rimane solo il
piacere, che è anche dolore, di questo cazzo che lo trapassa e gli strappa
gemiti. Rimangono solo queste spinte violente, che fanno vibrare tutto il suo
corpo. E il piacere cresce, oltre ogni limite. Luca ha l'impressione di
dissolversi in puro piacere. Arriva infine il momento in cui Luca grida,
mentre l'orgasmo lo travolge. Allora Giuseppe accelera il ritmo e viene con
poche spinte ben assestate. Luca rimane
disteso, immobile. Lentamente ritorna alla realtà. Giuseppe
esce da lui. Dopo un momento Luca si solleva. Guarda il cazzo di Giuseppe. Si
china su di lui e lo lecca, lo succhia un momento. Poi si stacca. Lo guarda
ancora. Si alza e
incomincia a rivestirsi. - Sei
bravo, Giuseppe. Dovevi fare la puttana. Era il tuo mestiere. * Sono
passati tre giorni dall'episodio in cantina. Mentre sono tutti a tavola,
Corrado si rivolge a Giuseppe, sorridendo, come se avesse dimenticato ciò che
è successo: -
Raccontaci un po’ che cosa fai con il conte, Giuseppe. Giuseppe
alza il viso e fissa Corrado: - Non sono
affari tuoi. - Te lo
mette in culo, eh? E in bocca. Giuseppe
potrebbe dire che avviene il contrario, ma non vuole correre rischi e non
vale davvero la pena di rispondere a uno come Corrado. - Ti ho
detto che non sono affari tuoi. - Tanto lo
sanno tutti. Giuseppe
non replica. Poco dopo, quando tutti hanno finito di mangiare e si
allontanano, Maria gli si avvicina e gli dice: - Avete
fatto bene a non parlare, Giuseppe. Il conte non vuole. C’era uno che
raccontava a tutti noi quello che faceva e un bel giorno è scomparso, senza
che nessuno ne sapesse più niente. Ma da questa casa non è uscito sulle sue
gambe. Giuseppe
non si stupisce: la minaccia del conte era stata chiara. - Grazie
per l’avvertimento, Maria. * - Vieni da me
prima di cena. Mi farai bere, Giuseppe. Giuseppe
annuisce. - Come
volete. Giuseppe sa
benissimo il significato della richiesta. Nel pomeriggio beve parecchio. Il conte lo
fa chiamare nel suo studio. C'è anche Mario, lo stalliere. - C'è
parecchio lavoro da fare nelle scuderie. Mario ti dirà che cosa fare.
Spogliati per fare il lavoro. - Va bene,
eccellenza. Giuseppe
segue Mario. Nella scuderia c'è l'odore acre di ammoniaca. Giuseppe si
spoglia. Mario incomincia a dargli istruzioni. Giuseppe esegue senza fiatare:
sono gli ordini del conte, non si discutono. - Sposta
quei sacchi. Mettili là. Il lavoro è
pesante e Giuseppe suda. Ha bisogno di pisciare, ma non vuole farlo: sa che
il conte vuole bere. Mario fa uscire un cavallo dal recinto in cui sta. - Raccogli
la paglia. La paglia è
sporca di piscio e merda. Giuseppe si
guarda intorno, alla ricerca del rastrello, ma Mario gli dice: - Con le
mani. Giuseppe lo
guarda. È un ordine del conte, di certo. Giuseppe china la testa ed esegue. Quando ha
finito Giuseppe è sporco di sudore, fieno e paglia, piscio e merda. – Il conte
ti aspetta. Prendi la scala di servizio. Giuseppe
annuisce. Luca del
Cerreto lo attende. Sorride. - Strappami
gli abiti, Giuseppe. Il conte si
è messo abiti che Giuseppe non gli ha mai visto, probabilmente capi di
vestiario che non usa più. Giuseppe
gli afferra gli abiti e incomincia a strapparglieli di dosso. Lacera
completamente la camicia. Quando ha addosso solo i mutandoni, il conte finge di
voler scappare. Giuseppe lo afferra e gli strappa anche l'ultimo indumento. Giuseppe
spinge il conte a terra. Lo blocca e lo infilza. Il conte grida. Giuseppe
inizia a fotterlo. Guarda gli indumenti del conte sparsi intorno, su cui le
sue mani luride hanno lasciato il segno. Guarda questo corpo che ora
possiede, che le sue mani stringono e sporcano. Prova un vago senso di
nausea, ma prosegue nella sua opera a lungo, finché non sente che il conte
sta venendo. Allora con poche spinte conclude. Ora
Giuseppe ha bisogno di pisciare e vorrebbe lavarsi, ma sa che dev'essere il
conte a dirgli di alzarsi e andarsene. Dopo un lungo momento, il conte dice: - Pisciami
in culo, Giuseppe. Non era
ancora successo, ma Giuseppe sa che deve obbedire al conte. Il cazzo ha perso
durezza e consistenza e Giuseppe può eseguire l'ordine. Incomincia a
pisciare. Sentire la vescica svuotarsi è un piacere. Giuseppe prosegue,
finché ha finito. - Ora
levati dai coglioni. Giuseppe si
toglie e si riveste rapidamente. Il conte lo guarda: - Sei una
magnifica troia, Giuseppe. * -
Spogliati, Giuseppe. Giuseppe
esegue senza esitare. Giuseppe è docile. Ci tiene al posto, gli piace tenere
il culo al caldo, mangiare bene, scopare, vivere beatamente. Ma ormai sono
passati sei mesi e Luca ha visto nella bottega del fabbro un bel maschio che
fa da lavorante. Non è come Giuseppe, certo, ma a Luca piace cambiare. Con
Giuseppe, Luca ha fatto cose che non aveva mai fatto con nessun altro. Forse
troppe. Luca si chiede se sia davvero il caso di rendere la libertà a
Giuseppe o se non sarebbe più saggio dargli un po' di vino avvelenato. Ma
Giuseppe non è tipo da chiacchierare in giro, come quel coglione di Vito. Luca del
Cerreto passa dietro Giuseppe, che è rimasto in piedi. Gli afferra il culo
con le mani e incomincia a leccargli il solco. Spinge la lingua nel buco, più
volte, mentre le sue mani affondano in questa carne forte. Luca
prosegue a lungo. Poi si stende a terra. Giuseppe sa
quello che deve fare. Con il piede stuzzica il cazzo di Luca e i coglioni.
Non è delicato: gli fa male, come a Luca piace. Luca sente il piacere
crescere, fino a esplodere. - Pisciami
in faccia. Giuseppe
esegue. Giuseppe è proprio una brava puttana. Ma è ora di cambiare. * Giuseppe
trasporta i sacchi di farina. Sono molto pesanti, ma Giuseppe non ha bisogno
di aiuto. Man mano che si carica i sacchi sulle spalle e li trasporta, uno
dopo l’altro, dal carro al magazzino, suda sempre di più. È a torso nudo,
ormai è piena estate, e sul viso e sul petto rivoli di sudore scorrono. Giuseppe sa
bene che il conte lo sta guardando: gli fa fare questi lavori spesso, perché
gli piace vederlo sudare e poi gli piace farsi fottere da un uomo sudato e
sporco. Giuseppe si
chiede che cosa fa in questo palazzo. Più volte ha pensato di andarsene, ma
ha paura che il conte per ritorsione provochi il licenziamento di Nicola. Quello di
Nicola è un pensiero doloroso. Nicola abita nel palazzo del marchese di Aguado, che non è lontano, ma non è mai venuto una volta
a vederlo. Si sono incrociati per strada, un mese fa. Nicola ha fatto finta
di non vederlo. Giuseppe ha
capito che il conte si sta stufando di lui. Come gli ha detto il cameriere,
Luca del Cerreto ama cambiare spesso. Dai discorsi della servitù Giuseppe ha
capito che i sei mesi trascorsi dal marchese sono un periodo molto lungo:
nessuno degli altri ha avuto la fortuna di durare neanche la metà del tempo. Giuseppe
non la considera una fortuna, sarebbe ben contento che il conte lo
licenziasse. Anche se i sei mesi dal conte gli hanno fornito abiti e denaro,
Giuseppe preferirebbe continuare a scaricare merci al porto. Vendersi a
quest’uomo per cui lui è un giocattolo lo umilia. E il conte non perde
occasione per ricordargli che lui è solo una puttana, glielo ripete in
continuazione. Giuseppe ha
finito di scaricare sacchi. Il torace è coperto da una patina di sudore e i
pantaloni sono bagnati. Sulla schiena e sui capelli si è depositata la
farina. Il conte
esce nel cortile. È vestito da borghese. Gli dice. - Vieni,
andiamo. Giuseppe è
stupito: pensava che il conte lo avrebbe fatto salire in camera e si sarebbe
fatto inculare come sempre. Fa per prendere la camicia, ma il conte gli dice. - Non
serve. Vieni e seguimi a quattro passi di distanza. Giuseppe
china il capo. Il conte non vuole certo farsi vedere in giro con un uomo
lercio di sudore e farina, a torso nudo. Sulla
soglia il conte gli dice ancora: -
Obbediscimi senza discutere. Oggi cambi padrone. Guai a te e al tuo padrone
di una volta se non fai quello che ti dico. Tra tre giorni sarai libero. Il conte si
avvia a piedi: è la prima volta, Giuseppe lo ha sempre visto uscire in
carrozza. Giuseppe lo
segue. Pensa che tra tre giorni sarà libero, libero di guadagnarsi
onestamente il pane, faticando. Non sarà più una puttana. Camminano
per venti minuti, infilandosi in un rione popolare. Infine il conte si ferma
davanti a una porta e bussa. La porta viene aperta immediatamente. Luca del
Cerreto fa solo un cenno a Giuseppe ed entra. Giuseppe lo segue. C’è una
scala interna. Al primo piano c’è una stanza piuttosto vasta. Ci sono cinque
uomini che stanno chiacchierando. All’arrivo del conte si voltano e lo
salutano. Uno di loro gli dice: -
Benvenuta, contessa. Luca ride.
Intanto Giuseppe entra nella stanza e tutti lo guardano. Luca lo
indica con un gesto: - Il cazzo
più grosso e la migliore puttana di tutta Napoli. Non ne trovate un altro
così. Due degli
uomini fanno apprezzamenti. Uno osserva: - Faccelo
vedere. Luca si
volta verso Giuseppe. - Calati i
pantaloni. Giuseppe
esita. Vorrebbe andarsene. Ma la minaccia del conte è stata chiara. Anche se
Nicola ha fatto finta di non vederlo, Giuseppe non vuole che venga
licenziato. Giuseppe china la testa e si cala i pantaloni. C’è un
mormorio di ammirazione. Giuseppe sente la rabbia crescere, ma tace. - Adesso
fatti una sega, Giuseppe, che lor signori vogliono vedertelo duro. Uno dei
presenti dice: - Ma
contessa, che dite?! Davanti a delle signore di qualità… Tutti ridono,
tranne uno degli uomini, che è un po’ in disparte. Giuseppe si
prende il cazzo in mano e incomincia ad accarezzarlo. Se potesse scegliere,
vorrebbe morire, ora. Ma la sua mano svolge il suo lavoro e come sempre il
suo cazzo si irrigidisce in fretta. Ci sono gridolini ed esclamazioni di
ammirazione: - San
Gennaro, aiutami tu, che mi sento male. - Io
svengo! Giuseppe
tiene gli occhi bassi. Il conte gli fa cenno che basta così. - Allora,
ve lo vendo per tre notti, poi gli date un calcio in culo e lo lasciate
libero. Quanto offrite? Giuseppe si
chiede perché quest’uomo lo stia mettendo all’asta. Il conte non ha bisogno
di soldi. Se si è stufato di lui, può semplicemente dirgli di andarsene. Lui
gli ha sempre obbedito. Il conte vuole umiliarlo. Perché? Forse perché si è
così spesso umiliato davanti a lui? Sì, questa dev’essere la risposta. Il
conte si è fatto inculare, ha bevuto il suo piscio, gli ha pulito il cazzo,
glielo ha succhiato, gli ha leccato il culo, si è fatto pisciare in culo. Ma
adesso ricorda a Giuseppe che lui è il conte e Giuseppe è solo una puttana in
vendita. L’asta è
incominciata. - Io mi
rovino. Offro due carlini. Il conte
ride: - Tre notti
con lui valgono molto di più. Le offerte
si susseguono, il prezzo sale. Solo uno degli uomini non dice nulla, quello
che è rimasto in disparte, senza ridere. Alla fine
il prezzo viene pattuito in tre tarì. In quel
momento l’uomo che è stato sempre zitto dice: - Io offro
dieci tarì. Qualcuno
ride, un altro osserva che la cifra è eccessiva. Nessuno rilancia. L’uomo che
ha parlato tira fuori una borsa e paga. Dice a Giuseppe di rivestirsi, poi si
rivolge al conte: - Avrà
anche degli abiti o lo mandavate in giro così? - No,
certo, può ritirare le sue cose a palazzo. - Va bene.
Signori vi saluto. - Ma ce lo
portate via così? - L’ho
pagato e ora è mio. L’uomo si
rivolge a Giuseppe e gli dice: -
Seguitemi. L’uomo si
avvia. Giuseppe lo segue. Pensa che sono solo tre notti, tre notti e poi se
ne andrà. Dove non lo sa, forse a buttarsi in mare. L’uomo gli
dice: - Voglio
parlarvi con calma. Adesso passiamo ritirare le vostre cose, poi andiamo nel
mio palazzo. Il “voi”
spiazza Giuseppe. Solo ora realizza che anche prima l’uomo gli ha detto
“Seguitemi”, non “Seguimi”. - Come
volete. Non molto
distante c’è una carrozza. - Saliamo. L’uomo si
rivolge al cocchiere. - A palazzo
del Cerreto, Gennaro. Giuseppe
sta seduto senza appoggiare la schiena, per non sporcare. L’uomo e Giuseppe si guardano. L’uomo deve avere più o meno l’età di Giuseppe. Per un momento non dicono nulla, poi l’uomo si presenta: - Mi chiamo
José de Olivares. E voi? Giuseppe ha
sentito parlare dei conti di Olivares: sono nobili
spagnoli, molto ricchi e molto potenti. Il conte parla benissimo il
napoletano, probabilmente si è stabilito a Napoli da diversi anni. - Giuseppe. Poco dopo
arrivano al palazzo del conte. - Ritirate
le vostre cose. Vi aspetto qui. Giuseppe
entra e sale in camera sua. Non ci mette molto a fare un fagotto delle sue
cose. Si infila la camicia e scende. Sale sulla carrozza. L’uomo non dice
nulla. Durante il percorso a tratti lo guarda, a tratti guarda fuori. Arrivati a
palazzo, José de Olivares dice: - Vi va
bene se vi faccio preparare un bagno? -
Certamente. Il conte
non ama lo sporco: vuole farsi fottere da un uomo pulito. E mentre fa questa
riflessione, Giuseppe si chiede se il conte intenda farsi fottere o fotterlo.
Non c’è nulla di effeminato nel conte: questo maschio trasmette
un’impressione di grande forza. Giuseppe avverte una fitta. Non questo, non
anche questo! Giuseppe non è mai stato posseduto. Per un momento pensa di
andarsene. Ma se il conte di Olivares protestasse
con Luca del Cerreto, Nicola potrebbe pagarne le conseguenze. Un
servitore prepara il bagno. Giuseppe si lava con cura. Poi si asciuga e si
mette abiti puliti. Quando ha finito, raggiunge il conte nella stanza che gli
è stata indicata. Non è una camera da letto, è un salotto. - Sedetevi,
Giuseppe. Vi va se parliamo un po’? Giuseppe
non ha voglia di parlare. Preferirebbe che quest’uomo gli dicesse che cosa
vuole. Lo ha comperato per farsi fottere o per fotterlo, non per
chiacchierare. E allora è inutile perdere tempo. Risponde in modo brusco: - Non mi
avete comprato per parlare, no? Che cosa devo fare? Sono ai vostri ordini. José de Olivares lo fissa. Ha uno sguardo intenso e Giuseppe si
sente a disagio. - Vi ho
comprato perché quella specie di vendita all’asta mi è sembrata disgustosa,
perché non sopporto di vedere un uomo umiliato in quel modo. Non sono
abituato a comprare qualcuno per scopare. Siete perfettamente libero di
andarvene anche ora, se volete, ma mi farebbe piacere se restaste qui per
questi tre giorni. Vorrei capire delle cose. Ma non siete tenuto a
rispondermi. Giuseppe è
confuso. - Vi
ringrazio per quello che mi dite. Io… non pensavo… - No, certo, siete stato messo all’asta e pensavate che io vi avessi comprato per quello. No. Non vi nascondo che ho ammirato il vostro corpo, ma forzarvi… Sentite, volete fermarvi qui questi tre giorni? Se posso dire, mi sembrate aver bisogno di un po’ di riposo e di tranquillità. Qui potete rimanere senza problemi, avrete una stanza per voi, potete uscire liberamente. Se invece preferite non vedere gente, c’è un piccolo giardino in cui passeggiare. Non vi chiederò nulla, visto che non avete voglia di parlare. Giuseppe è
completamente disorientato. Da una parte vorrebbe andarsene subito, visto che
ne ha la possibilità, non vedere più nulla che gli ricordi gli ultimi mesi.
Ma l’idea di trascorrere qualche giorno lontano da tutti, senza incontrare
nessuno, senza dover immediatamente cercare lavoro, è allettante. - Vi
ringrazio per la vostra offerta. Avete speso parecchio denaro per me, io… José alza
la mano per interromperlo. - Il denaro
serve per fare ciò che si vuole. L’ho speso perché mi sentivo umiliato io, a
essere lì e assistere a quello che vi stava facendo quell’uomo. Vi ospito
volentieri. Siete stato diversi mesi con il conte, lo so perché si vantava di
voi. Adesso, prima di decidere che fare della vostra vita, potete passare
qualche giorno qui, dove nessuno vi chiederà nulla, nemmeno quel curioso del
padrone di casa. - Grazie,
accetto la vostra offerta. - Potete
rimanere anche due settimane, se volete. Probabilmente non di più, perché io
partirò per Venezia. Ma se rimarrete fino alla mia partenza, magari per
allora avrete deciso di lasciarvi aiutare da me. - Avete già
fatto molto. José alza
le spalle. * José de Olivares sta osservando Giuseppe. L’uomo vive
nel suo palazzo da cinque giorni. José ha rinunciato a interrogarlo, anche se
a tratti gli sembra che Giuseppe abbia bisogno di raccontare per togliersi di
dosso il peso di tutto ciò che ha patito. Si trovano talvolta ai pasti, se
José mangia a casa. Ci sono stati giorni in cui hanno scambiato appena due
parole: José è un uomo molto impegnato, Giuseppe è taciturno. José sta
chiedendo a Giuseppe dei suoi progetti per il futuro: vorrebbe aiutare
quest’uomo silenzioso, di cui vede la sofferenza. Un servitore bussa, entra e
dice: - Signor
conte, c’è il conte di Roccanera che desidera
parlarle. José vede
Giuseppe impallidire, come se avesse ricevuto un colpo. Si rivolge al
cameriere e dice: - Alonso, farai accomodare il conte nella sala e rimarrai a sua disposizione. Gli dirai che non posso scendere subito, ma che tra poco sarò da lui. Se casualmente egli, facendo conversazione, ti interrogasse sulla presenza nella casa di un uomo come Giuseppe, gli dirai che è rimasto in casa alcuni giorni e che poi se ne è andato e che tu ignori dove viva. Quando arriverò, provvederai ad avvisare il personale della casa che tutti devono rispondere allo stesso modo a chiunque ponga domande. A chiunque. Alonso si
inchina. José si
rivolge direttamente a Giuseppe. - Non
conosco il conte di Roccanera. Voi lo conoscete e credo
che sia qui perché gli hanno detto che poteva trovarvi da me. C’è qualche
cosa che volete dirmi, prima che io gli parli? Giuseppe lo
guarda. - Mi cerca
per farmi impiccare. Ho ucciso suo fratello, è vero. L’ho fatto per impedire
lo stupro e l’assassinio di un sacerdote. Io.. Giuseppe
china la testa, poi la rialza. -
Consegnatemi. Almeno sarà finita. - Nessuno
saprà che siete qui finché non capirò come stanno le cose. Ritornate in
camera e state tranquillo. José
scende. Il conte Filippo dev’essere sui sessanta. -
Buongiorno, conte. Sono José de Olivares. -
Buongiorno. Sono il conte Filippo di Roccanera. - Prego,
accomodatevi. Alonso, fa portare qualche cosa da bere. Appena
Alonso è uscito, Filippo di Roccanera dice: - Mi scuso
se vi disturbo, ma cerco l’assassino di mio fratello. José de Olivares ha un piccolo sobbalzo, come se fosse
sbalordito, poi dice: - In questa
casa? Ha messo
una notevole freddezza nel tono della voce. - Scusate,
conte. Non intendo certo insinuare che qualcuno della vostra casa sia
coinvolto in un omicidio, ma mi risulta che abbiate accolto un uomo, un tal
Giuseppe, di padre ignoto, che era il capo delle mie guardie. - Un certo
Giuseppe è stato qui nei giorni scorsi, è vero. Non so se si tratta dello
stesso di cui voi mi parlate. - Lo è,
senz’altro. Che ne è di lui? - Se n’è
andato, gli ho reso la sua libertà. Il conte
Filippo ha un movimento di dispetto. José riprende: - Non
volete spiegarmi di che cosa si tratta? Sarò ben felice di aiutarvi, se
posso, ma non so nulla dell’omicidio di cui mi parlate. Filippo
insiste: - Vi
spiegherò. Ma non avete un’idea di dove posso trovare quell’uomo? - No, posso
solo fare delle ipotesi. E aiutarvi a cercarlo. In qualche modo lo
rintracceremo. Ma spiegatemi. - Io vivo
nel mio feudo di Roccanera. Circa un anno fa, un
giorno mio fratello uscì di casa e poco dopo anche il capo delle guardie,
questo Giuseppe, si assentò, senza che io lo avessi autorizzato. Nessuno dei
due ha mai fatto ritorno. - Non capisco perché da questo deduciate che il capo delle guardie ha ucciso vostro fratello. Filippo è
evidentemente a disagio. C’è qualche cosa che preferirebbe non dire. - Mio
fratello doveva vedere il nuovo parroco. Anche il parroco scomparve quel
giorno. - Conte,
scusate la mia franchezza, ma gli elementi che mi fornite non sono
sufficienti a farmi capire. - Nelle
ricerche che feci fare, trovammo i cadaveri di tre banditi e credo che solo
Giuseppe possa averli uccisi: né mio fratello, né il prete erano certo in
grado di affrontarli. Temo che abbia ucciso anche mio fratello e che ne abbia
fatto scomparire il corpo, prima di allontanarsi con il prete. Ci sono
ancora diversi elementi che non quadrano, anche se ciò che Giuseppe ha
raccontato collima perfettamente con ciò che sta dicendo Filippo di Roccanera e anche con ciò che il conte probabilmente sta
nascondendo. - Questo
Giuseppe potrebbe avere ucciso anche il prete. O essere stato ucciso lui
stesso. Non capisco come facciate a essere sicuro che è stato lui. - Il prete
è vivo. Lo arrestarono ieri mattina. E sappiamo che arrivò a Napoli con
Giuseppe, un anno fa. * Nicola è
seduto sullo sgabello, la schiena contro il muro. La sua vita è arrivata alla
fine. Gli era sembrato di riemergere: come segretario del marchese di Aguado Nicola ha trascorso qualche mese tranquillo,
cercando di dimenticare tutto il passato. Si era illuso di poter
ricominciare. Ma per lui non poteva esserci un nuovo inizio. Qualcuno lo
ha riconosciuto, il conte di Roccanera doveva aver
chiesto di essere informato se fosse stato trovato. Probabilmente si era
messo in contatto con il vescovo. Nicola si
era sforzato di dimenticare il passato. Qualche settimana fa ha persino finto
di non vedere Giuseppe per strada, perché vuole cancellare tutto quello che
ha vissuto. Quando lo hanno arrestato ha cercato di difendere Giuseppe, di
dire che Carlo era stato ucciso da Goladilupo, ma
non gli hanno creduto, non è stato convincente e adesso arresteranno anche
Giuseppe, che ha trascinato con sé nella rovina. Forse è
meglio così, forse è davvero meglio finire con una vita priva di senso, in
cui è stato il giocattolo di uomini potenti. Per la
Chiesa Nicola è ancora un prete, anche se ha abbandonato l’abito, e questo
gli ha permesso di avere una cella per sé. Non lo hanno più interrogato.
Prima vogliono arrestare Giuseppe, di certo. Poi se sarà necessario lo
tortureranno per costringerlo a confessare. * Giuseppe è in piedi nella stanza. Filippo di Roccanera lo ha trovato. Avrà trovato anche Nicola? Qualcuno bussa. - Avanti. È il conte
José de Olivares. Giuseppe lo
guarda. Non osa chiedere. - Giuseppe,
a questo punto è necessario che mi raccontiate tutto. Come avrete capito, un
pericolo mortale incombe su di voi e su questo prete con cui siete giunto a
Napoli. Il
riferimento a Nicola è una coltellata. - Lo hanno
preso? - Sì, è in
prigione. Giuseppe
chiude gli occhi. È stato tutto inutile. - Credo di
potervi aiutare, se me ne darete la possibilità. Giuseppe
fissa José de Olivares negli occhi. - Vi
racconterò tutto, conte. José lo fa
passare nel salottino dove si trovavano all’arrivo del conte di Roccanera. Giuseppe
incomincia a narrare. - Ero al
servizio del conte di Roccanera. Ero diventato il
capo delle sue guardie. Giuseppe
racconta. Non nasconde nulla, lascia che i ricordi divengano parole. Pensava
di raccontare solo i fatti, ma si accorge che non riesce più ad arginare il
torrente in piena della sua sofferenza. Poche cose non dice, ma José de Olivares intuisce tutto: lo rivelano le poche domande che
pone. A volte è José stesso a completare una frase che Giuseppe ha
interrotto, vergognandosi di mettersi a nudo. Quando
infine Giuseppe ha concluso il suo racconto, José chiede: - Vi siete
venduto al conte di Cerreto perché lui trovasse un posto al sacerdote. E per evitare
che il conte si rivalesse su di lui avete accettato di umiliarvi l’altro
giorno. Lo amate dunque tanto, quest’uomo? Giuseppe
scuote la testa. - No, non
l’amo, non l’ho mai amato. Desiderato, forse. Sì, desiderato sì, lo ammetto,
già a Roccanera. È molto bello, è vero. Quando lo
vidi nudo e legato, nel capanno… Giuseppe si
interrompe. Ancora una volta è José a completare la frase per lui: - Provaste
il desiderio di prenderlo, tanto non avrebbe potuto reagire, ma non lo
faceste, non siete il tipo. Giuseppe
guarda il conte. Conclude: - Non l’ho
mai amato, no. Dopo averlo salvato, mi sentivo responsabile. Ero stato io a
trascinarlo… - Eravate
stato voi a salvarlo. Il conte
non aggiunge altro. Giuseppe non sa che cosa dire. Dopo un momento si alza: - Me ne
andrò. Voi non dovete essere implicato in nessun modo. La voce di
José è secca: - Sedetevi
e non dite sciocchezze. Io non sarò implicato in nessun modo e nessuno oserà
cercarvi qui, anche se sospettassero che vi nascondete in questa casa.
Nemmeno se ne fossero sicuri. Vi farò uscire dal regno. Se vorrete, potete
accompagnarmi a Venezia. Adesso devo capire come posso salvare questo
sacerdote dalle grinfie dell’autorità civile e di quella religiosa. - Pensate
di poterlo fare? - Ci
proverò. José de Olivares alza lo sguardo su Giuseppe. Ha uno sguardo
profondo che mette soggezione. - Giuseppe,
non dovete uscire da questa casa, né affacciarvi alle finestre sulla strada.
Nessuno deve vedervi. Mi ubbidirete? - Ve lo
giuro. * José de Olivares ha messo a posto gli ultimi tasselli che gli
mancavano. Il parroco è stato l’amante del vescovo, che lo ha esiliato a Roccanera perché Nicola si è rifiutato di darsi al
marchese Gentiloni. Per questo il vescovo non ha
intenzione di intervenire a favore del prete, che non ha ucciso nessuno, ma
rischia di essere impiccato per un omicidio commesso da altri. Ma José de Olivares ha altre carte in mano e sa come giocarle. A
Napoli tutti credono che sia uno dei tanti nobili spagnoli che pensano
soltanto a divertirsi: è conosciuto come un gaudente senza scrupoli. Pensano
che abbia accesso al viceré Manuel de Acevedo y Zuñiga,
conte di Monterrey, solo perché è un grande di Spagna e la moglie del viceré
è sua zia. È l’immagine di sé che José si è costruito con cura. Abitualmente
José non approfitta della sua posizione per ottenere ciò che vuole, ma questa
volta intende farlo. Si tratta di riparare un’ingiustizia, certo, ma non è
solo quello. José si
presenta dal viceré a un’ora in cui il conte Manuel de Acevedo y Zuñiga non dà udienza, ma viene ricevuto subito. * - Non c’è
nessun elemento a carico di questo sacerdote, che sembra non sapere dove si
trova l’assassino di vostro fratello, sempre che sia quello che voi
sospettate. Filippo di Roccanera è esasperato: pensava che una volta trovato il prete o Giuseppe non ci sarebbero più state difficoltà, ma la situazione si sta rivelando del tutto diversa. Di Giuseppe si è persa ogni traccia e con ogni probabilità è ormai fuori portata: il conte Olivares gli ha fatto sapere che Giuseppe è stato visto imbarcarsi su una nave genovese, il giorno stesso dell’arresto di don Nicola. Deve aver saputo che Nicola era stato scoperto e si è messo in salvo: ora è impossibile raggiungerlo. Adesso questo fottuto funzionario gli dice che il viceré non ha nessuna intenzione di far processare un sacerdote, contro cui non esistono prove. Filippo sa
benissimo che don Nicola non può aver ucciso Carlo, ma lo ritiene ugualmente
responsabile della sua morte. - Don
Nicola ha abbandonato l’abito. Una colpa gravissima. - Certo, ma
non di nostra competenza. Domani sarà consegnato al vescovo, che deciderà il
da farsi. Filippo sa
che è inutile cercare di opporsi. Il viceré non intende riceverlo: ha ben
altro di cui occuparsi e Filippo non conta sugli appoggi necessari per ottenere
un colloquio. Filippo si
chiede se non rivolgersi al vescovo. Potrebbe essere un’idea. Anche
ottenere un colloquio con il vescovo non è facile: i conti di Roccanera non sono tra le grandi famiglie del regno. Ma
il nome di don Nicola infine gli apre la porta. - Sì, il
viceré mi ha informato di questo sacerdote che ha abbandonato l’abito e
viveva come segretario privato del marchese di Aguado.
Purtroppo è sempre stato una testa calda, uno spirito ribelle. L’avevamo
mandato a Roccanera per allontanarlo dalle cattive
compagnie che frequentava e per insegnargli un po’ di umiltà, ma da quello
che voi mi dite, ha portato scompiglio e provocato anche un omicidio. - Sì,
eminenza. Dietro la morte del mio povero fratello c’è senz’altro lui. Non ho prove
e purtroppo il viceré non mi ha potuto ricevere. Mi rivolgo a voi nella
speranza che costui, uomo non del Signore ma del demonio, abbia la punizione
che merita. - L’avrà,
non dubitate. Quando, al
termine del colloquio, Filippo bacia l’anello del vescovo, è sicuro che
almeno don Nicola pagherà per la morte di Carlo. Ma due
giorni dopo, quando torna dal vescovo, scopre che la realtà è ben diversa:
durante il trasporto del sacerdote dalla prigione alla residenza vescovile,
la carrozza è rimasta bloccata per un l’incidente provocato da un carro che
ha perso parte del carico; mentre la strada veniva sgomberata, il sacerdote è
scomparso. * José de Olivares riflette nel suo studio. Sta succedendo qualche
cosa che non aveva minimamente previsto. José è abituato a soppesare i rischi
e i vantaggi di ogni sua mossa, con una freddezza e una lucidità che pochi
sospetterebbero in quest’uomo di trentasette anni. Ma questa volta José non
ha saputo valutare la situazione. L’elemento che è entrato in gioco e lo ha
colto del tutto impreparato è qualche cosa che José non pensava di poter
provare, qualche cosa che credeva di aver lasciato alle spalle con gli anni
della prima gioventù. Giuseppe è
comparso d’improvviso, talmente distante da lui per condizione sociale ed
esperienza di vita da rendere apparentemente impossibile tra loro un rapporto
diverso da quello esistente tra un servitore e un padrone. Un uomo
semianalfabeta, che si prostituisce ad altri uomini, disposto a denudarsi e
farsi una sega davanti a un gruppo di nobili e borghesi sfaccendati… che cosa
può avere in comune con uno dei grandi di Spagna, nipote del viceré? José ha
colto la sua umiliazione e ha deciso di intervenire, senza valutare le
conseguenze, senza neppure sospettare quali sarebbero state. Sono bastati
pochi giorni per cogliere la dignità profonda di quest’uomo, la sua
generosità, la sua intelligenza. E per suscitare in José un sentimento che lo
inquieta. Dovrebbe
far arrivare Giuseppe in un territorio sicuro, fuori dal regno, e non
pensarci più. Ma l’idea che quest’uomo, di cui una settimana fa neppure
conosceva l’esistenza, se ne vada, gli pesa. E a Giuseppe nulla importa di
lui, questo è evidente. Giuseppe nega di amare Nicola. Giuseppe non mente, è
un uomo schietto. Ma quanto conosce i propri sentimenti? José scuote
la testa. Se una settimana fa gli avessero detto che avrebbe passato ore a
interrogarsi sui sentimenti di un uomo che si prostituiva… José si
alza. Agita il campanello. Alonso compare immediatamente. - Portami
il nuovo ospite. Alonso esce
e poco dopo rientra con Nicola. Bello, di una bellezza perfetta. Bello come
non è Giuseppe, come non è lui. Non ci sarebbe niente di strano se Giuseppe
lo amasse. D’altronde ha ammesso di desiderarlo. Merda! José non accetta
l’idea di essere anche geloso. Gli è sempre sembrato che la gelosia fosse un
segno di meschinità. Alonso è
uscito. Nicola lo guarda. - Sedetevi,
don Nicola. Nicola
obbedisce. José riprende: - Vi
chiederete senza dubbio chi sono e perché siete qui. Per il momento non
intendo rispondere alla prima domanda: meno ne sapete, meglio è. Quanto alla
seconda, siete qui perché ho deciso di sottrarvi a una giustizia che non
sarebbe stata giusta nei vostri confronti. Conosco la vostra storia, so il
ruolo che vi hanno svolto il vescovo, il marchese Gentiloni,
Carlo di Roccanera e Giuseppe. Nicola apre
la bocca, poi la richiude senza dire nulla. Appare sbalordito. José prosegue: - Credo che
sia evidente anche a voi che non potete rimanere nel regno di Napoli, a meno
che non abbiate protettori potenti, ma penso che non sia così. Posso farvi
uscire dal regno e farvi raggiungere qualunque località vogliate dell’Europa
o dell’America. José si
ferma. Vuole sentire che cosa ha da dire Nicola. - Vi
ringrazio, eccellenza. Per avermi salvato e per l’offerta generosa che mi
fate. Posso chiedervi a cosa devo il vostro interessamento? Nicola si
esprime con eleganza, non con quel misto di italiano e dialetto che usa
Giuseppe. Ma l’eloquio raffinato di Nicola gli sembra privo di nerbo, la
lingua incerta di Giuseppe lo affascina. - Lo dovete
a chi vi salvò da Carlo di Roccanera, a Giuseppe. Nicola
annuisce. José lo scruta con attenzione. Nicola non ama Giuseppe. O sa
fingere molto bene. Di fronte
al silenzio di Nicola, José prosegue: - Dove vorreste
andare? Dove pensate di potervi rifare una vita? - Non lo
so, eccellenza. Non conosco nessuno, non ho protezioni, forse se fossi
rimasto a lavorare nei campi invece di andare in seminario avrei sofferto di
meno… scusate, voi mi avete salvato e volete aiutarmi e io divago. - Posso
aiutarvi a trovare un lavoro. So che siete stato segretario del marchese di Aguado, che era soddisfatto di voi. Un lavoro di
segretario vi andrebbe bene? -
Benissimo. Credo che sia quanto di meglio io possa desiderare. - Va bene.
Riflettete su quanto vi ho detto. Io valuterò la situazione. Per qualche
giorno rimarrete qui. Nessuno vi cercherà. La camera che vi ho assegnato sarà
un po’ la vostra prigione. Rimaneteci. Se avete bisogno di qualsiasi cosa,
non esitate a chiederla. - Vi
ringrazio eccellenza. José
congeda Nicola. Pensa ancora che quest’uomo è troppo bello. José riflette un
momento, poi va da Giuseppe. -
Buongiorno. -
Buongiorno, eccellenza. Giuseppe
non chiede, ma la domanda è nel suo sguardo. - Come vi
promisi, ho sistemato la faccenda. - È libero? - Sì, è
libero. È qui, in questa casa. Giuseppe è
sollevato, questo è evidente. È anche turbato? Forse. José chiede: - Volete
vederlo? Giuseppe
esita. Poi dice: - Non credo
che abbia piacere di vedermi. - Perché
dite questo? Gli avete salvato la vita. - Lo
incontrai per strada, qualche tempo fa, ma finse di non vedermi. Non so,
probabilmente desidera dimenticare un periodo molto infelice. José de Olivares annuisce. - Vedremo
il da farsi. Ma adesso ditemi di voi. Avete pensato a quello che volete fare
voi? - Posso
lavorare dovunque cerchino uomini forti. Ho fatto lo scaricatore al porto nei
primi mesi a Napoli. - Però prima eravate capo delle guardie. E siete un uomo coraggioso e deciso: avete ucciso tre briganti, da solo, il giorno in cui uccideste Carlo di Roccanera. - Chi
volete che mi prenda? Nessuno mi conosce. José de Olivares rimane in silenzio. Sa quello che dovrebbe fare:
procurare a Giuseppe un posto come guardia da qualche parte. Potrebbe farlo senza
nessuna fatica. - Potete
scegliere, Giuseppe. Ci sono due possibilità. Posso farvi giungere nel ducato
di Milano. Lì posso procurarvi un posto come guardia presso qualche nobile
spagnolo, che sia in grado di assicurarvi un’efficace protezione, anche se
credo che fuori dal regno non corriate più alcun pericolo; oppure vi
cercherete voi un lavoro da solo, a Milano. - Siete
molto generoso. Vi sarò debitore anche di questo. - C’è anche
una seconda possibilità, molto più pericolosa. - Ditemi. - Potete
lavorare per me. Quello che ora vi dirò rimarrà tra voi e me, qualunque sia
la vostra scelta. Lavorare al mio servizio come guardia presenta forti
rischi. Non solo di essere assassinato per strada, ma anche di venire
attirato in una trappola e torturato a morte per ottenere informazioni che
non avrete o che non dovrete rivelare a nessun costo. Potete finire impiccato
a Venezia o a Londra, con qualche accusa falsa, oppure impalato, se andremo
in territori sotto dominio turco. E se devo raggiungere un obiettivo, la
vostra vita non conta niente. Neanche la mia. Potrei chiedervi di uccidermi,
perché è necessario farlo. Mentre
parla, José si chiede perché sta raccontando queste cose a Giuseppe. Per
spaventarlo e indurlo ad allontanarsi? Per metterlo alla prova? Giuseppe
guarda José. Ha uno sguardo molto intenso, non è la prima volta che José lo
nota. - Chi
siete? - Un nobile
molto ricco e vizioso, che ama divertirsi senza freni. Questo è quanto dovete
sapere di me. Altro José
non intende dire. Altro è meglio che Giuseppe non sappia, anche se dopo il
suo discorso di certo ha capito che i divertimenti del conte di Olivares sono solo una copertura per attività di
tutt’altro genere. Giuseppe continua a fissarlo. José de Olivares
sostiene questo sguardo. - Se vi
fidate di me, scelgo di lavorare per voi. José de Olivares si stupisce del piacere che gli dà la scelta di
Giuseppe. Sa di aver fatto una follia, ma si sente felice. Avrebbe dovuto
allontanare da sé Giuseppe e cercare di dimenticarlo, se ne rende conto. Ora
lo avrà al suo fianco. Forse ne provocherà la morte. - No,
Giuseppe. Avete scelto senza pensare. Riflettete, valutate con cura. Domani
mi direte. Vorrei lasciarvi più tempo, ma non è possibile. Devo partire. -
Rifletterò, perché voi me lo chiedete, ma non credo che cambierò idea. Vi
chiedo ancora una cosa, se potete dirmelo. - Chiedete. - Che ne
sarà di don Nicola? José non è
contento della domanda e ancora meno dell’irritazione che la richiesta, del
tutto legittima, di Giuseppe ha provocato in lui. Evita di lasciar trapelare
il suo stato d’animo. - Don
Nicola non sa che fare. Intendo assicurargli un lavoro senza rischi. Se non
mi farà richieste particolari, e non penso che ne farà, lo collocherò come
segretario. - Vi
ringrazio anche di questo, conte. Vorrei saperlo al sicuro e non in mezzo a
una strada. José
annuisce. Gli è venuta un’idea, ma vuole avere il tempo di riflettere. * Giuseppe ha
scelto. Il conte di Olivares lo affascina ed è
contento di lavorare per quest’uomo. Il pericolo non lo spaventa. Quello che non
si aspetta è che anche Nicola venga assunto dal conte. È José stesso a
dirglielo: - Credo che
per il momento lo prenderò io come segretario, così avrò modo di verificare
se è in grado di svolgere questo compito in modo soddisfacente, come diceva
il marchese di Aguado. E per un po’ preferisco
tenerlo sotto la mia protezione. Poi farò in modo di farlo assumere da
qualcun altro, in un posto dove non corra rischi di nessun genere. Giuseppe
spera che questo non spiaccia a Nicola. Si dice che, anche se sarà inevitabile
vederlo spesso, cercherà di tenersene alla larga, se avrà l’impressione di
dargli fastidio. Il conte
aggiunge: - Nicola
non ha nessun idea dei pericoli di questa missione. Lui non rischia niente ed
è meglio che non sappia. - Va bene,
signor conte. Il conte lo
congeda. Giuseppe si chiede perché il conte abbia deciso di assumere Nicola,
ma non sa darsi una risposta e in ogni caso non sono affari suoi. Non
sospetta minimamente che sia stata proprio la sua presenza a dettare la
scelta di José de Olivares: Giuseppe non ama, non
ha mai davvero amato, non può capire. Non pensa che un uomo come José de Olivares stia innamorandosi di una sua guardia. |
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