Venezia Di Venezia
Giuseppe aveva sentito parlare molte volte, ma mai avrebbe pensato di andarvi
un giorno. Eppure ora il piccolo battello si sta avvicinando alla città e Giuseppe
può vederla davanti a sé, sospesa tra il mare e il cielo. È una giornata di
sole e gli edifici si specchiano nella laguna. L’imbarcazione s’infila nel
Canal Grande e davanti agli occhi di Giuseppe scorre un sogno di acqua e
pietra, di una bellezza che gli appare irreale. Giuseppe
non era mai uscito dai confini del regno di Napoli. In meno di due mesi ha
avuto modo di vedere Roma, Firenze, Bologna, Parma e Milano. Venezia era
la meta del viaggio, ma il conte Olivares sembrava non avere nessuna fretta
di raggiungerla. Se a Napoli il conte non avesse fatto cenno, un’unica volta,
alle sue attività segrete, Giuseppe avrebbe potuto pensare di essere al
servizio di uno sfaccendato interessato solo a divertirsi. Giuseppe non sa
con sicurezza perché il conte ha viaggiato senza fretta, da visitatore
curioso di conoscere il paese. Sospetta che in ogni città siano avvenuti
incontri importanti, a cui il conte si è recato solo con Giuseppe e altri due
uomini, e ha colto come in quelle occasioni tutti stessero in guardia. Quale
trama stia tessendo José de Olivares, quale ruolo abbia in un gioco
complesso, Giuseppe non sa e non vuole sapere. Come ha detto José, se
dovessero torturarlo per estorcergli quello che sa, è meglio che sappia poco
o nulla. Prima di
arrivare a Venezia si sono fermati alcuni giorni da un nobile che possiede
una splendida villa sul Brenta e ora è lui ad accompagnarli alla casa che il
conte ha affittato in città. La barca s’infila
in un canale laterale e, dopo un’ulteriore svolta, si ferma davanti a un
portone che dà direttamente sull’acqua. Il portone viene aperto dall’interno
e il conte e il nobile che lo ha ospitato scendono, seguiti da tutti gli
altri. Giuseppe è
vigile. Ieri sera il conte gli ha detto che a Venezia i rischi sono molti e
aumenteranno con il passare dei giorni. Il palazzo
che il conte ha affittato è una bella residenza signorile, con una piccola
corte interna e un ingresso su una strada, oltre a quello dal canale. - Che
bello, Giuseppe! Questo palazzo è una meraviglia. Giuseppe
guarda Nicola e annuisce. - Sì,
davvero. Una residenza degna di un principe. In questi
due mesi Nicola è molto cambiato. Appare più sereno e man mano che recuperava
la tranquillità si è riavvicinato a Giuseppe. A Parma gli ha chiesto scusa
per essersi tenuto lontano da lui dopo essere stato assunto dal marchese a
Napoli. Non ha fatto riferimento all’episodio dell’incontro per strada, ma
entrambi sapevano benissimo che si riferiva anche a quello. Giuseppe è contento del cambiamento avvenuto in Nicola. Scambia volentieri due parole con lui, anche se non ne hanno molte occasioni: Nicola non accompagna il conte quando questi si reca da qualche parte, come invece fa Giuseppe; quando il conte detta lettere al segretario, Giuseppe non è presente. Giuseppe si
chiede se Nicola sospetti qualche cosa dell’attività del conte, ma ha
l’impressione che Nicola davvero non ne sappia nulla. È chiaro che se ci sono
comunicazioni importanti, il conte le scrive da solo. Due volte Giuseppe ha
avuto il compito di consegnare un biglietto e la grafia sulla busta era
quella del conte. * La casa è
già pronta per accogliere l’ospite, ma José de Olivares fa apportare diverse
modifiche, in base ai suoi gusti. Un osservatore attento noterebbe che alcuni
dei cambiamenti rendono la casa più sicura, ma i visitatori di certo pensano
che siano solo fantasie di un nobile che ha tanto denaro e ama spenderlo.
D’altronde José de Olivares ha fama di uomo ricchissimo e amante dei
divertimenti. José de Olivares si è costruito con cura questa fama. Sa che
non è sufficiente a ingannare alcuni dei suoi nemici, ma gli consente di
muoversi con una grande libertà senza destare sospetti. Gli affari
che lo hanno condotto a Venezia sono della massima importanza. In Europa e nel
Mediterraneo si stanno giocando molte partite. E coloro che su una scacchiera
sono acerrimi nemici, su un’altra possono trovarsi alleati. Certi patti non
possono essere stipulati tra sovrani, non devono mai venire alla luce del
sole. A occuparsi di tessere la tela che serve devono essere uomini audaci e
coraggiosi, pronti a rischiare la vita. José sa benissimo che potrebbe essere
assassinato in qualsiasi momento per impedire che i suoi piani vengano
realizzati. Sa che, se riuscissero a fabbricare prove false contro di lui,
potrebbe essere arrestato, torturato e poi ucciso in carcere senza che
l’ambasciatore di Spagna possa intervenire efficacemente, perché nessuno deve
sapere che José non agisce per conto proprio. José è
concentrato sul compito che ha assunto. Non lascia che nulla lo distragga,
neppure la presenza di Giuseppe. Ha capito, da tempo, di aver sbagliato.
Avrebbe dovuto trovargli lavoro a Firenze o a Roma. Averlo vicino è una
sofferenza. Ma averlo lontano sarebbe insopportabile. Ora Giuseppe è una
delle guardie al suo servizio e la distanza tra loro è divenuta immensa,
anche se Giuseppe dorme nella camera a fianco. * Sono trascorsi tre giorni. Giuseppe apre la finestra dello stanzino dove dorme, di fianco alla camera del conte, e non vede la casa dall’altra parte del canale: una nebbia fittissima avvolge la città, un muro grigio compatto. Giuseppe ha sentito parlare della nebbia: gli hanno detto che è un fenomeno comune nella pianura del Po, ma è solo l’inizio di ottobre e fino a ora Giuseppe non ha avuto modo di vedere nulla più di un po’ di foschia, non diversa dalle nuvole basse che a volte avvolgevano le montagne del Cilento. - Giuseppe! Il conte lo
chiama. Di certo lo ha sentito aprire la finestra. Il conte è andato a
dormire molto tardi, ma è già sveglio, magari da ore. Certe volte passa le
notti in bianco e dorme di giorno. Altri potrebbero pensare che i suoi ritmi
irregolari dipendano dalle nottate di piacere, ma Giuseppe ha capito che
spesso le riunioni mondane sono il paravento per incontri politici segreti. Giuseppe
entra e s’inchina. Adesso è una delle guardie del conte ed è trattato con la
stessa familiarità degli altri uomini al suo servizio. Eppure a Giuseppe non
sfuggono mille piccole attenzioni del conte nei suoi riguardi. Nei quasi due
mesi di viaggio il conte ha fatto in modo che Giuseppe potesse visitare le
città che hanno attraversato e spesso gli ha raccontato dettagli curiosi o
episodi storici. Inoltre gli ha affiancato un maestro che gli insegna un po’
di spagnolo e lo aiuta a riprendere la lettura e la scrittura, che Giuseppe
ha quasi dimenticato. La spiegazione è stata un generico “Può sempre
servire”. Giuseppe s’impegna in questi compiti, che svolge con piacere. A
scuola non andava volentieri, ma adesso è ben felice di imparare. Giuseppe
chiede, senza aprire la porta: - Devo
entrare, eccellenza? - Vieni. Ora il
conte gli dà del tu. Anche Giuseppe preferisce così, il suo ruolo è chiaro. - Giuseppe,
hai visto la nebbia? - Sì,
signor conte. Non pensavo… non avevo mai visto niente del genere. - La nebbia
permette di nascondersi e questo è un vantaggio se non si vuole essere visti.
Ma anche gli assassini si nascondono bene nella nebbia. - Pensate
che qualcuno cercherà di uccidervi approfittando della nebbia? - Potrebbe
succedere, ma non credo che avvenga ora. Prima o poi succederà di certo, con
o senza nebbia. - Ma non
rinuncerete a uscire per questo. - No,
naturalmente. Sta’ in guardia, Giuseppe. - Sì,
signor conte. - Bada
anche a te, se esci da solo. Potrebbero ucciderti per impedirti di
proteggermi. Il conte lo
congeda. Giuseppe è
inquieto. Non teme il pericolo, ma ha paura di non essere in grado di
difendere il padrone. Non vuole che gli succeda qualche cosa. * La porta della
cella viene aperta. Il condannato si alza. Sa che vengono a prenderlo e che
nulla ormai può salvarlo, ma ancora rifiuta di crederci. Uno degli uomini gli
lega i polsi e infila nella corda una candela nera accesa. Poi gli porge una
croce e si sposta dietro di lui. Con un movimento rapido gli passa intorno al
collo un cappio e lo stringe leggermente. Il
condannato rabbrividisce. Il cappio che ora ha intorno al collo lo
strangolerà. Ma se questo non avvenisse, la sua fine sarebbe ben più
terribile. - Avanti. Percorrono il corridoio e poi salgono le scale, attraversano il cortile e infine escono dalla prigione, scortati da otto soldati. I trombettieri danno fiato alle trombe e i tamburini incominciano a battere sui tamburi. Un prelato intona il Miserere. Il
condannato si ferma a guardarlo, ma l'ufficiale lo strattona e lo costringe a
incamminarsi verso il luogo dell’esecuzione. I soldati tengono lontano la
folla. Il condannato si guarda intorno, sgomento: sembra che tutta Napoli sia
venuta ad assistere. Non è strano: non si vede tutti i giorni un conte
bruciato sul rogo. La plebaglia lo schernisce, gli ricorda la fine che lo
attende. Qualcuno gli sputa contro, senza riuscire a raggiungerlo. La strada
da percorrere non è lunga. La piazza è colma di gente. Ci sono due palchi: a
destra quello riservato alle autorità e ai nobili venuti ad assistere, a
sinistra quello con il palo e la legna per il rogo. La catasta
di legna è pronta. Il condannato rabbrividisce. Gli tolgono la croce che ha
portato in mano e sfilano la candela. Un prete gli si avvicina e gli accosta
alle labbra un crocifisso. Il conte lo bacia. Lo forzano
a salire i gradini. Il condannato trema. No, non può finire così, non è
possibile. Guarda la folla che si accalca a riempire ogni angolo della piazza
e inveisce contro di lui. Il carnefice si avvicina. Ha un cappuccio nero
calato fin sul mento, calzoni di cuoio che gli fasciano i fianchi e le gambe
e il petto villoso nudo, su cui scorrono rivoli di sudore. Il conte lo guarda
con orrore. Mormora: - No, no! Il boia
afferra la tunica del condannato e la lacera. Il conte ora è nudo davanti
alla folla che lo dileggia. Il boia gli slega le mani, fa passare la corda
dietro al palo e lo lega nuovamente. Il conte si appoggia al legno. Il boia
gli infila un ferro tra le gambe, che gli solleva un po' i coglioni: così il
suo corpo non si affloscerà completamente quando lo strangolerà. Il conte
guarda con orrore la folla che ride. Gli sembra di non sentire più le voci,
ma di vedere solo le bocche spalancate in un urlo. Non è possibile, non è
possibile. Il boia
afferra la corda del cappio. Il condannato grida: - No, no,
no! Il boia
tira con forza. Il conte sente un violento dolore al collo, poi un fuoco
ardergli nei polmoni. Si divincola, poi tutto scompare e la testa gli ricade
sul petto. Il boia
avvicina una torcia accesa alla catasta di legna. Mentre la folla assiepata
urla la sua gioia, le fiamme divampano in fretta, divorando il corpo del
conte Luca del Cerreto. * Il conte ha
chiamato Nicola. Come ogni mattina si fa leggere la corrispondenza e poi gli
detta le risposte, che controlla e firma. C’è una lettera del barone di Fuenteverde, che racconta le ultime novità di Napoli. Nicola si stupisce sempre che un uomo come il conte si interessi a pettegolezzi di ogni tipo, ma molte delle lettere che riceve sono soltanto una sfilza ininterrotta di chiacchiere. In alcune lettere precedenti, il barone ha fatto riferimento all’arresto di alcuni sodomiti e al processo. Aveva accennato anche al fatto che tra gli indagati c’era un conte. Adesso il barone informa José de Olivares che il conte del Cerreto è stato condannato al rogo e che la sentenza è stata eseguita. La notizia
colpisce Nicola, perché sa che Giuseppe è rimasto per sei mesi al servizio
del conte. In quel periodo Nicola non l’ha mai frequentato, ma da quando sono
tutti e due alle dipendenze di José de Olivares, hanno avuto spesso modo di
parlarsi. Giuseppe però evita sempre di parlare del conte del Cerreto. Nicola
si pone domande, a cui non sa rispondere.
Il conte
gli detta la risposta alla lettera, poi la legge e la firma. Ci sono ancora
altre due lettere. Altri pettegolezzi, a volte anche imbarazzanti. In una il
marchese di Acerra fa un chiaro riferimento al fatto che José de Olivares è
piuttosto ben attrezzato per le battaglie che si conducono a letto e da quel
che si dice, è evidente che deve averlo visto all’opera. Ma il conte non
sembra minimamente in imbarazzo nel fargli leggere queste lettere. Eppure Nicola
ha notato che il conte non gli dà tutte le lettere che riceve. È stata una
scoperta casuale. Ha visto consegnare a un servitore del conte quattro
lettere, ma quando il conte lo ha chiamato, ce n’erano solo tre. Quando
Nicola incrocia Giuseppe, gli chiede: - Giuseppe,
eravate al servizio del conte del Cerreto, a Napoli, no? Giuseppe
sembra rabbuiarsi. - Sì. - Il conte,
il conte Olivares, intendo, ha ricevuto una lettera. Il conte del Cerreto è
stato condannato per sodomia e bruciato sul rogo. - Cosa? Giuseppe
appare molto stupito. - Così ha
scritto il barone di Fuenteverde. * - Che cosa
c’è, Giuseppe? Mi sembri turbato. - No,
niente, signor conte, niente. Il conte lo
fissa. Giuseppe ha imparato che al conte non sfugge nulla. Mentirgli non ha
senso. Spiega: - Scusate,
Nicola mi ha detto che il conte del Cerreto è stato condannato a morte per
sodomia. - Sì, lo hanno bruciato in piazza, ma prima di bruciarlo lo hanno strangolato, per evitare che ardesse vivo. Non credo che vi dispiaccia. - No,
certamente no. Ma non pensavo… Un conte, sul rogo. - Altri
coinvolti nella stessa inchiesta sono stati avvisati da qualcuno e sono
riusciti a fuggire, come spesso accade in questi casi. Ma il conte non è
stato avvisato. Forse ha avuto sentore della faccenda, ma ha pensato che non
fosse necessario scomparire, pensando che il suo titolo e la sua ricchezza
fossero una difesa sufficiente. Il vescovo e il viceré hanno voluto dare un
esempio. Giuseppe
annuisce. - Per me è
un motivo di più per non tornare a Napoli. - Non senza
la protezione di un uomo potente. Ma il processo si è concluso e
quell’inchiesta non verrà riaperta. Il conte
non aggiunge altro. Sembra essere perfettamente informato della situazione e
Giuseppe ha l’impressione che sappia molto più di quel che dice. Giuseppe si
chiede se José de Olivares non abbia svolto un ruolo nel processo al conte
del Cerreto. È solo una supposizione. * José de
Olivares dà una grande festa in onore dei suoi amici veneziani: gente che
conosce da poco tempo, ma a cui appare già molto legato. Nicola non è stupito
della facilità con cui il suo padrone ha fatto amicizia: sa bene che un
titolo nobiliare prestigioso e una grande ricchezza sono ottime carte da
giocare nella vita sociale. Il conte è molto spesso fuori casa, partecipa a
feste e ricevimenti, quasi tutte le sere è invitato a cena, frequenta ogni
luogo di divertimento. La servitù di casa parla poco del padrone e Nicola non
è curioso, ma in quanto segretario del conte, scrive lettere e biglietti che
non lasciano molti dubbi sul modo in cui José de Olivares passa le giornate:
ci sono biglietti per accettare un invito o per declinarlo, appuntamenti da
fissare, ricchi regali e in alcune lettere allusioni più o meno dirette ad
avventure galanti e visite a bordelli. Nicola si stupisce che il conte non
abbia ritegno a dettare lettere di quel tipo a un segretario. Ma don José non
sembra porsi nessun problema. Del suo
padrone Nicola non sa che cosa pensare. A tratti è sicuro che quest’uomo
nobile e ricchissimo pensi solo a divertirsi, senza limiti di nessun tipo. A
tratti però ha il sospetto che questa vita di feste e divertimenti sia un
paravento dietro cui si nasconde altro. Non è
frequente che Nicola accompagni il padrone: succede solo per qualche visita
d’affari, soprattutto presso qualche banchiere da cui il conte ritira i soldi
che gli servono per la sua vita sfarzosa. Anche quando nel palazzo del conte
si tiene una festa, come oggi, Nicola abitualmente non partecipa: è solo il
segretario. Oggi però
il conte lo fa chiamare. Nella stanza che serve come studio oltre al conte
c’è un uomo, che viene presentato come Lazzaro Mocenigo, esponente di una
delle più importanti famiglie veneziane. Il conte e
il signor Mocenigo vogliono stipulare un contratto per la vendita di due
quadri di un pittore del secolo scorso che Nicola ha già sentito nominare qui
a Venezia, un certo Jacopo Robusti, detto il Tintoretto. I due dettano a
Nicola una bozza dell’accordo. Nicola esegue e intanto pensa che la cifra che
il conte sborserà è davvero enorme, ma il conte spende denaro come se non
dovesse finire mai. E forse è davvero così, perché nei suoi contatti con i
banchieri, Nicola ha notato che il conte non chiede mai prestiti: riscuote
somme che gli arrivano probabilmente dalla Spagna o da Napoli. Poi il
conte ritorna dai suoi ospiti, lasciando Lazzaro Mocenigo con Nicola, che
deve preparare una seconda copia della bozza. Nicola ricopia la bozza di
contratto e la porge a Lazzaro. L’uomo gli
sorride. Ha un bel sorriso, simpatico, ed è giovane, avrà al massimo
trent’anni. Lazzaro legge la bozza, poi alza gli occhi su Nicola e dice: - Il conte
Olivares si può permettere il meglio. Può acquistare i quadri più belli, dà
le feste più sontuose e vedo che anche come segretario ha scelto il meglio. Nicola si
schermisce: - Non sono
esperto. Sono soltanto pochi mesi che lavoro come segretario. - Già, ma
un segretario così è un piacere guardarlo. Nicola si
sente un po’ in imbarazzo, anche se Lazzaro ha un sorriso simpatico. L’uomo
prosegue: - Mi
piacerebbe conoscere un po’ meglio il segretario del conte. Non credo che il
conte sia geloso… Nicola non
sa bene che dire. - No, io…
non scherzate… Lazzaro ha
fatto un passo avanti. Ora sono a neppure una spanna di distanza l’uno
dall’altro. Nicola si sente turbato. Sa che dovrebbe allontanarsi: il suo
rimanere immobile è un cedere. E infatti l’uomo gli prende il viso tra le
mani e lo bacia. Nicola non reagisce, gli sembra di non avere più forze. Fa
fatica a stare in piedi. Lazzaro
Mocenigo si stacca e gli sorride. - Adesso
devo andare, ma avremo modo di vederci ancora. Nicola
rimane immobile, frastornato. Si chiede se davvero avrà modo di vederlo
ancora. Lo desidera? Sì, anche se è spaventato. Non ha più avuto nessun rapporto
da quando venne mandato a Roccanera: la sola idea lo disturbava. Ha
desiderato Giuseppe, questo sì. Anche per quello forse si è tenuto lontano da
lui. Giuseppe non gli ha mai chiesto niente. La sera,
prima di coricarsi, Nicola pensa ancora a Lazzaro Mocenigo. Si è divertito a
rubargli un bacio, ma con ogni probabilità non lo vedrà più. Non sa se si
sente sollevato o dispiaciuto al pensiero di non rivederlo. * La festa si
spegne. Il conte è tra gli ultimi a uscire, ormai è l’alba. Cammina incerto e
sembra completamente ubriaco. È già successo altre volte e inizialmente
Giuseppe ha davvero creduto che il padrone avesse bevuto troppo. Ma Giuseppe
sa osservare e si è accorto che il torpore in cui sprofonda il conte al
ritorno da una notte di bagordi è del tutto apparente: José de Olivares è più
vigile che mai, la mano sul pugnale, pronto a ogni evenienza. Giuseppe ha
avuto modo di guardare con attenzione il padrone durante alcune feste,
spiando dalle stanze in cui rimane la servitù, come il conte stesso gli dice
di fare. Giuseppe ha notato che il conte ha sempre un bicchiere in mano, ma
in realtà beve poco. Regge benissimo il vino e i liquori, ma spesso finge di
essere mezzo ubriaco. Non appena però non ci sono più gli altri, ogni traccia
di ebbrezza scompare. Giuseppe si
guarda intorno con attenzione, mentre la gondola scivola nella notte. Ripensa
a quello che gli ha detto uno dei servitori del padrone di casa: il conte
Olivares sa godersi la vita, beve come una spugna ed è spesso ubriaco, ma a
letto fa faville. Giuseppe non sa quanto ci sia di vero nelle dicerie sulle
prodezze sessuali del conte, ma per quanto riguarda il bere, sono
stupidaggini. Giuseppe naturalmente si è guardato bene dallo smentire. * Il conte
sta ancora dormendo. È rientrato a casa all’alba. Anche Giuseppe, che come
sempre lo ha accompagnato, non è ancora uscito dalla sua camera. Di solito si
alza piuttosto presto e ormai è quasi mezzogiorno: Nicola è sicuro che
Giuseppe sia sveglio e stia solo aspettando che il padrone si alzi. Nicola
bussa piano per non disturbare il conte, che riposa nella camera vicina. Non
ricevendo risposta, spinge la porta silenziosamente, per controllare se
Giuseppe dorme ancora o invece è uscito. Giuseppe
dorme. Nel sonno si è scoperto completamente. Nicola si ferma paralizzato.
Giuseppe ha una formidabile erezione e la vista di quel cazzo superbo gli
toglie il fiato. Di colpo Nicola si sente la gola secca. Qualche giorno fa,
Nicola sarebbe arretrato e uscito, cercando solo di non fare rumore per non
svegliare Giuseppe. Ma il bacio di Lazzaro Mocenigo e le sue parole hanno
risvegliato i desideri del suo corpo. A Nicola è sembrato di emergere da un
letargo. Giuseppe
apre gli occhi e vede Nicola. Ne mormora il nome: - Nicola. Nicola non
dice nulla, sa che dovrebbe scusarsi e andarsene, ma rimane immobile, fermo,
incapace anche solo di distogliere lo sguardo. Giuseppe si è messo a sedere. Si fissano nella penombra della stanza. Poi Giuseppe tende un braccio e Nicola si avvicina. Non è una scelta, una decisione volontaria. È un cedimento del suo corpo, che lo tradisce, una resa completa, che una parte di lui non vorrebbe. Ora è
davanti a Giuseppe, che gli prende la mano e lo avvicina ancora a sé. Nicola
guarda il cazzo di Giuseppe e tende il braccio. La sua mano lo sfiora appena,
come se temesse di bruciarsi. Nicola lascia che Giuseppe lo spogli, con
dolcezza, accarezzandolo con le sue mani forti. Poi
Giuseppe si rimette disteso e fa stendere Nicola sopra di lui. Ora i due
corpi aderiscono e Giuseppe stringe Nicola tra le braccia, gli accarezza la
schiena, il culo. Poi lo bacia. Nicola
lascia che Giuseppe lo accarezzi. Il desiderio si è risvegliato in lui,
violento, ma Nicola muove appena le mani in goffe carezze. Quando Giuseppe lo
ha baciato, Nicola ha provato il desiderio di sottrarsi. Il bacio di Lazzaro
Mocenigo gli ha trasmesso ben altre sensazioni. Nicola non
saprebbe dire quanto il corpo di Giuseppe lo attragga e quanto invece gli
ripugni. Ma il desiderio è forte. Giuseppe si
sposta e fa scivolare sul letto Nicola, a pancia in giù. Nicola ora ha paura.
Non se la sente di essere penetrato dall’arma di Giuseppe. Lo dice: - Non me la
sento, Giuseppe. Non… non in culo. Giuseppe
annuisce. - Non ti
preoccupare. Stringi le gambe. Nicola esegue.
Giuseppe si stende su di lui e infila il cazzo tra le cosce di Nicola.
Intanto le sue mani accarezzano il corpo di Nicola. Sono carezze forti e
insieme delicate. Poi Giuseppe si volta sul fianco sinistro, facendo girare
anche Nicola. La sua mano destra accarezza il corpo di Nicola, poi scivola
all’uccello teso e lo avvolge. Intanto Giuseppe muove il culo e Nicola sente
il movimento del cazzo di Giuseppe tra le sue cosce. Nicola
chiude gli occhi. Sta bene così, questo corpo caldo contro il suo, questa
mano forte che prende possesso di lui e lo guida al piacere, questo cazzo
taurino tra le cosce. Il pensiero
oscilla e all’immagine di Giuseppe si sovrappone a tratti quella di Lazzaro.
Come sarebbe essere tra le sue braccia e sentire il suo cazzo tra le cosce? Giuseppe sa
come muoversi. La sua mano lo porta più volte fino al punto estremo, ma un
attimo prima si ferma. E infine con qualche spinta decisa del culo Giuseppe
viene e fa venire anche Nicola. Giuseppe si
mette sulla schiena. Ora Nicola è sopra di lui. Nicola chiude gli occhi. Il
piacere è stato molto intenso, ma ora Nicola si sente sfinito. - Alzati. Nicola si
alza. Giuseppe cerca uno straccio e pulisce con cura Nicola. C’è molta
delicatezza nei suoi movimenti, ma Nicola si sente a disagio. Ora che ha
goduto, vorrebbe non essere entrato o almeno essersi allontanato subito. Nicola si
riveste in fretta, confuso. Quando esce, non si volta neppure per salutare
Giuseppe. * José de
Olivares si dice che va bene così, è quello che voleva verificare quando ha
deciso di assumere direttamente Nicola. Giuseppe e Nicola sono amanti. Forse
non lo erano prima, no, quasi sicuramente non lo erano prima, ma ora lo sono.
È meglio così. José può scacciare il pensiero di Giuseppe. È un capitolo
chiuso prima ancora di essere stato aperto. José sa
leggere dentro di sé, sa di soffrire, con un’intensità che lo stupisce. La
violenza del dolore che prova gli dà la misura del suo sentimento. Si è
innamorato di Giuseppe. Come è stato possibile? José non riesce a
capacitarsi. Ma la domanda è oziosa. Più tardi
José chiama Nicola. Si fa leggere alcune lettere, gliene detta altre. E
intanto lo osserva con attenzione. Nicola appare inquieto, anche se cerca di
nasconderlo. Il rapporto di questa mattina in qualche modo lo ha turbato. Giuseppe
invece sembra indifferente. Non c’è nulla in lui che faccia pensare alla
soddisfazione di chi ha conquistato una preda ambita. José direbbe che a
Giuseppe poco importi di ciò che è successo. José si
dice che non ha senso perdere tempo a ragionare sul legame tra Nicola e
Giuseppe. C’è ben altro da fare. I fili della rete si stanno stringendo e il
pericolo ormai incombe. * - Giuseppe,
questa sera andrò con alcuni amici in un bordello. Giuseppe si
stupisce che il padrone gliene parli. È passato oltre un mese da quando sono
arrivati a Venezia e Giuseppe sa benissimo che José de Olivares si è recato
diverse altre volte in case di piacere: Giuseppe non è mai entrato, ha atteso
fuori dalla porta, ma i commenti dei barcaioli e dei servitori degli amici
del padrone non lasciavano nessun dubbio. Perché questa volta il padrone lo
avvisa? - Ormai i
miei nemici mi hanno individuato e cercheranno di colpire. Un bordello è il
posto adatto, a letto gli uomini abbassano la guardia. Entrerai anche tu. - Certamente,
signor conte. - Anche in
camera, Giuseppe. Io dovrò dare una spiegazione della tua presenza e del
fatto che mi accompagni fin dentro la stanza. Potrebbe essere umiliante. Te
la senti? Giuseppe non
si pone neppure il problema: se si tratta di proteggere il conte, non
arretrerà di fronte a nulla. - Farò
tutto quello che devo. Non vi preoccupate per me. È notte
fonda quando, dopo una serata nel palazzo di uno dei tanti amici del conte,
le gondole della comitiva raggiungono il bordello. José de
Olivares sembra alticcio: la finzione abituale. Giunti
davanti al portone sul canale, José dice, ridendo: - Questa
sera vieni anche tu, Giuseppe. Voglio farti conoscere le più belle puttane di
Venezia. Giuseppe fa
solo un cenno di assenso. Uno dopo
l’altro entrano nel palazzo e raggiungono una sala illuminata e interamente
affrescata. Giuseppe ha avuto modo di vedere alcuni bordelli, soprattutto
durante gli anni in cui è vissuto a Napoli, prima di passare al servizio del
conte di Roccanera. Ci andava il suo primo padrone, che era molto ricco, pur
non essendo nobile. Ma rispetto a quello in cui si trova ora, i bordelli che
ha visto a Napoli erano tuguri. Questa è una reggia e le puttane che
accolgono i clienti non sfigurerebbero alla corte di un re, né per bellezza,
né per eleganza. Gli uomini
si siedono e bevono ancora. Qualcuno è già completamente ubriaco e uno si
addormenta su un divano. José de Olivares beve e ride con gli amici,
palpeggiando qualche fanciulla. Un amico osserva: - È ora di
scegliere, conte. Quale di queste dame volete? - Quale?
Una sola? - Una o due
o tre, come preferite. Un altro
interviene: - O anche
quattro. Sappiamo che siete assai valoroso in questi combattimenti. Gli amici
del conte pensano solo a divertirsi e chiunque direbbe che il conte è
esattamente come loro. Ma Giuseppe ormai conosce il suo padrone e sa
benissimo che tra lui e coloro che frequenta c’è un abisso senza fondo. - Due vanno
benissimo. Questa splendida fanciulla dai capelli d’oro, che Tiziano avrebbe
amato dipingere, e questa dal viso perfetto, degno di una Madonna di
Raffaello. E mentre le
sceglie, José accarezza a una il viso, all’altra i capelli. - Ma non ci
dite, conte, che le dipingerete… Risponde un
altro: - Sì, sì,
le dipingerà, con il suo pennello. Un grosso pennello perfetto per queste
bellezze. José ride e
aggiunge: - Giuseppe,
verrai con me. Voglio vederti all’opera, questa sera. Gli amici
sono stupiti: - Anche il
vostro servitore, conte? - Una simile
merce, degna di un principe, per un servitore? José ride
ancora: - Sì,
questa sera dipingeremo in due. E il pennello di Giuseppe non ha rivali, ve
lo posso garantire. - Possiamo
assistere anche noi? Se lo spettacolo è davvero quale voi lo descrivete,
conte… - No,
questa sera no, mi dispiace, amici, ma lo faremo un’altra volta, ve lo
prometto. Giuseppe
non ha detto nulla. Da quando è entrato ha osservato con cura gli spazi e
tenuto sempre d’occhio le porte. Il conte
afferra alla vita le due donne e sale le scale. Giuseppe lo segue, pronto a
estrarre il pugnale. Giunti alla porta di una stanza, il conte lascia le sue
prede e, con un leggero inchino, dice: - Prima
voi, mie belle. A Giuseppe
non sfugge che il conte entrando nella camera si guarda attorno con
attenzione. José de Olivares prende di nuovo le due donne sottobraccio e dice
a Giuseppe: - Chiudi
bene la porta, Giuseppe. Non voglio sorprese da parte dei nostri amici
curiosi. José ride
mentre lo dice. Giuseppe pensa che non lo vede mai ridere quando è a casa
propria, a meno che non abbia ospiti. Ma in compagnia lo fa molto spesso e di
certo i suoi amici pensano che rida sempre. Giuseppe
chiude la porta a chiave. Senza farsi notare, come se fosse solo curioso,
controlla anche la porta finestra. È accostata, ma non chiusa. Giuseppe
porta la mano al coltello. Il conte osserva: - Facciamo
entrare un po’ d’aria, mie belle? José de
Olivares fa un cenno a Giuseppe, lascia le due donne e si avvicina alla
porta. La apre con una spinta brusca. Poi tutto è rapidissimo. I due
uomini appostati fuori non si aspettavano di essere scoperti, ma erano pronti
a intervenire. Si lanciano entrambi addosso al conte, brandendo i pugnali. Se
José non fosse pronto a saltare di lato, sarebbe trafitto in un attimo. Ma è
uno degli assassini a cadere quando José lo pugnala mentre evita il suo
colpo. Il secondo è abbattuto da Giuseppe, che lo blocca da dietro e gli
immerge il pugnale nel cuore. I due aggressori cadono a terra, uno
rantolante, l’altro già morto. Una delle
donne ha lanciato un grido, portandosi le mani alla bocca. L’altra è
arretrata fino alla parete, gli occhi dilatati dal terrore. José de Olivares intima: - Tacete. Giuseppe è
uscito sul balcone, che dà su un piccolo canale. Una corda penzola da
un’estremità e sotto c’è la barca con cui sono arrivati i due assassini. - Tutto a
posto, Giuseppe? - Sì. - Mie
bellezze, questa non è serata per i giochi d’amore. Ci avevano preparato ben
altra accoglienza. Poi il
conte si rivolge di nuovo a Giuseppe: - Va’ a
chiamare la padrona. La padrona
appare stupita nel sentirsi dire che il conte le vuole parlare. Giuseppe non
sa se finge: ha l’impressione che la donna non fosse del tutto ignara
dell’agguato. Quando vede i due cadaveri, porta le mani alla bocca, ma non
grida. Il conte le
si rivolge con durezza: - Non è una
buona cosa che gli ospiti siano accolti da assassini. Non credo che abbiate
piacere di avere le autorità in casa. La donna
scuote la testa, senza distogliere lo sguardo dai corpi stesi a terra. - Il mio
servitore getterà i corpi nella barca con cui questi assassini sono arrivati.
Voi provvederete a far scomparire le tracce. - Ma i
corpi… la barca, proprio qui sotto… Giuseppe è
sempre più convinto che la donna sapesse. Sente di odiarla. Stringe il
pugnale, reprimendo il desiderio di trafiggerla. - Vedete
voi, signora: questa sera ci sarebbe stato comunque un cadavere da far
scomparire. Noi ci scusiamo, ma dobbiamo andare. Il conte si
dirige alla porta, poi si ferma e, come se gli venisse in mente solo ora,
aggiunge: - Signore
mie belle, che non vi capiti di parlare di ciò che è successo. Non vorrei mai
che queste carni morbide conoscessero la durezza del ferro… Scendono e
raggiungono la gondola. Durante il tragitto il conte non dice nulla e anche
Giuseppe tace. Solo quando sono nella camera del conte, Giuseppe chiede: - Ci
saranno altri tentativi di uccidervi? Non è una
vera domanda, Giuseppe ne è quasi sicuro. - Sì. Ormai
il mio lavoro si avvicina alla conclusione e chi cerca di ostacolare i miei
progetti sa che sono io a portarli avanti. Il tempo è stretto. Ci proveranno
ancora, finché non ci riusciranno o non sarà troppo tardi. Giuseppe
annuisce. Il conte aggiunge: - Diffida
dei miei compagni di baldoria. Uno di loro di certo ha informato i miei
nemici che saremmo andati tutti al bordello. Giuseppe
dice: - Anche tra
loro qualcuno non è quello che sembra. José de
Olivares sorride e annuisce. Giuseppe ha l’impressione che ci sia tristezza
in quel sorriso, una melanconia che ieri non c’era. * Nicola è
steso sul letto. Il conte e Giuseppe sono rientrati presto, molto prima del
solito. Nicola pensa a Giuseppe, che ora si starà spogliando e mettendo a
letto. A Nicola sembra che il suo corpo arda. È vissuto in castità per un anno e mezzo. Dalla fuga a Napoli gli pareva di non provare più desiderio, ma adesso, dopo il bacio di Lazzaro e il rapporto con Giuseppe, gli sembra di vivere in una tensione continua. Non ha più
rivisto Lazzaro, ma a risvegliare il suo desiderio ormai sembrano essere
tutti gli uomini. Oggi a tavola si è scoperto a fissare Miguel, il cuoco, che
ha la sua età ed è un bel ragazzo. Ha distolto lo sguardo solo quando Miguel
si è accorto che lui lo stava guardando. Miguel ha sorriso. Ha un bel sorriso
Miguel. Qualcuno bussa
alla sua porta. È notte ormai. Chi può essere? Giuseppe, forse? Vuole
ripetere ciò che hanno fatto in mattinata? È arrivato poco fa ed è subito
venuto a cercarlo? Nicola non vuole. Nicola
chiede: - Chi è? La risposta
è appena sussurrata. - Sono
Miguel. Miguel!
Oggi si è accorto che lui lo fissava e adesso… - Avanti. Miguel ha
una lanterna. Sorride. Non dice nulla, non si è preparato una scusa, sapeva
che non sarebbe servita. Nicola si è
messo a sedere sul letto. Miguel
poggia sul tavolo la lanterna e incomincia a spogliarsi. Nicola lo
guarda. Ha un bel corpo, Miguel, snello e armonioso. Quando Miguel è nudo,
Nicola si sfila il camicione che indossa per la notte. Miguel si avvicina e
si infila a letto. Miguel lo
bacia sulla bocca. Nicola ricambia il bacio. Le mani di Miguel scorrono sul
corpo di Nicola, in carezze rapide, che diventano una stretta. È bello
Miguel, elegante e snello. Non ha certo la forza di Giuseppe, ma Nicola si
sente meglio tra le braccia di quest’uomo che lo stringe, lo accarezza, lo bacia. Nicola si
muove incerto, ma l’irruenza di Miguel lo coinvolge e le sue mani, la sua
bocca, tutto il suo corpo rispondono con uguale urgenza. Quando Miguel gli
afferra il cazzo e lo stringe, Nicola fa lo stesso. È bello sentire tra le
dita questa carne calda. La mano di Nicola scende alle palle di Miguel, le
stringe con delicatezza, poi con maggiore decisione. Miguel emette un piccolo
gemito e Nicola ride. Miguel si
gira, in modo da poter prendere in bocca il cazzo di Nicola e offrirgli il
proprio. Nicola osserva l’uccello di Miguel, che poco fa stringeva con la
mano. Avvicina la bocca e passa la lingua sulla cappella, poi l’inghiotte e
incomincia a succhiare, mentre la bocca di Miguel lavora il suo cazzo,
strappandogli gemiti di piacere. Miguel non
lo avvisa quando sta per venire e il suo seme riempie la bocca di Nicola, che
inghiotte. A sua volta Nicola sente che il piacere sta per esplodere e si
abbandona alla sensazione fortissima del seme che sgorga nella bocca di
Miguel. Rimangono
un attimo così, poi Miguel si alza e si riveste in silenzio. Si china sul
letto, bacia Nicola sulla bocca ed esce senza parlare. Non si sono
detti nulla. Steso a
letto, Nicola pensa a Lazzaro Mocenigo. * Juan è
disteso nel buio, ma non dorme. Miguel si è alzato senza fare rumore.
Probabilmente è andato da Nicola, il segretario del padrone: a Juan non è
sfuggito il modo in cui si sono guardati a pranzo. Juan ha imparato a
osservare Miguel, senza farsene accorgere. E ora a Juan pare di avere un lupo
che gli azzanna il petto. Da tempo
Miguel si sta allontanando da lui, Juan l'ha capito. All’inizio ha pensato
che fosse solo il desiderio di provare nuove esperienze: Miguel non aveva mai
avuto rapporti con altri uomini prima di mettersi con Juan. Nulla di strano
che desiderasse conoscere altri maschi. Juan provava gelosia, ma sa che
Miguel non è una sua proprietà. Ma in
questo viaggio attraverso l’Italia, si è accorto che la verità è un’altra,
ben più dolorosa. Miguel non lo ama più e si concede a lui solo quando non trova
niente di meglio. E di meglio trova spesso: Miguel è un bel ragazzo, ha
venticinque anni e sono in molti a essere attratti da lui. * Oggi
pomeriggio Giuseppe è libero. Il conte è occupato e non ha bisogno di lui.
Gli ha detto che se vuole può fare un giro per la città. L’idea a Giuseppe
non spiace. Nel primo periodo del loro soggiorno veneziano, il conte gli ha
fatto vedere Venezia, ma adesso escono più di rado loro due da soli: il
rischio è aumentato. Non ci sono più stati altri tentativi di uccidere il
conte, ma prima o poi ce ne saranno. Mentre sta
per uscire Miguel, il cuoco, gli sorride e gli dice: - Uscite,
Giuseppe? La domanda
è strana. Che importa a Miguel se lui esce? - Sì,
pensavo di fare due passi. Miguel
sorride. È un sorriso di invito, su questo non ci sono dubbi. Perché no?
Miguel è un bel ragazzo, anche se non come Nicola. Dopo quell’unico incontro
lui e Nicola non hanno più avuto rapporti. Nicola si tiene alla larga e
Giuseppe ha capito che non ha nessuna intenzione di ripetere l’esperienza. A
Giuseppe poco importa. Ha scopato volentieri con lui, ma è stato solo la
soddisfazione di un bisogno. Giuseppe non ama Nicola, è convinto di non amare
nessuno. Giuseppe si
è fermato. Non vuole fare il primo passo. Lascia che sia Miguel a farlo. Miguel
sorride. - Se venite
con me in cantina, vi faccio vedere una cosa. Giuseppe
annuisce. Ha capito benissimo che cosa vuole fargli vedere Miguel. - Va bene. Scendono le
scale. In cantina
Miguel appoggia la schiena contro un tino e sorride. Giuseppe si avvicina,
finché i loro corpi si toccano. Miguel allunga una mano e stringe i pantaloni
in modo da afferrargli il cazzo, che già si tende. Il sorriso di Miguel
diviene più ampio. - Mi
avevano detto che sei ben attrezzato. Giuseppe
risponde: - Adesso te
lo faccio provare. Miguel
annuisce. Si abbassa i pantaloni, si volta e si appoggia su una botte, in
modo da offrirgli il culo. Giuseppe lo guarda. È un bel culo, quello di
Miguel, snello, coperto da una peluria molto leggera. Giuseppe assesta due
morsi. Miguel sussulta. Giuseppe
passa due dita lungo il solco. Poi sputa sulla mano e inumidisce bene
l’ingresso. Sa che la sua arma è formidabile e deve muoversi con cautela,
anche se di certo per Miguel non è la prima volta. Quando Giuseppe introduce
un dito per inumidire bene l’anello di carne, Miguel sussulta e geme, un
gemito di piacere. Giuseppe si bagna di nuovo le dita e ne introduce due, per
preparare meglio la strada. Anche se ha dita grosse, due dilatano l’apertura
molto meno del necessario per accogliere il suo cazzo. Miguel
geme: - Sì, sì! Giuseppe
estrae le dita, afferra il culo di Miguel con le mani e lo stringe con forza.
Poi divarica le natiche, avvicina piano la cappella all’apertura e con lentezza
la spinge dentro. Si muove piano, come fa sempre, per non fare male. Miguel
rabbrividisce e solleva la testa. Giuseppe spinge il cazzo ben avanti nel
culo di Miguel, che ora geme senza ritegno. Giuseppe
inizia a muovere avanti e indietro il culo, con lentezza, Miguel si contorce,
come se volesse sfuggire allo spiedo che lo trapassa, ma le poche parole che
si mescolano ai gemiti e ai sospiri sono di incoraggiamento. - Sì, sì,
fottimi. Sì, Giuseppe, sì. Vanno
avanti a lungo: Giuseppe è un bravo stallone e Miguel non chiede di meglio. E infine
Miguel lancia un grido, squassato da un piacere che deborda. Giuseppe
accelera il ritmo e viene dentro di lui. Miguel è
inerte sulla botte. Quando Giuseppe esce da lui e incomincia a rassettarsi,
Miguel si solleva. Mormora: - Cazzo,
Giuseppe. Nessuno mi ha mai scopato così. Giuseppe
sorride. - Quando
vuoi riprovare, basta che tu me lo dica. A Giuseppe
non spiace avere qualcuno con cui scopare. L’astinenza non gli pesa, ma
fottere è sempre piacevole e Miguel è un bel ragazzo. * José de
Olivares, Giuseppe, Juan e Martino, l’altra guardia, sono in gondola. Mentre
percorrono un canale, Giuseppe vede un gruppo di uomini e donne che indossano
una maschera e un ampio mantello. - Perché
sono mascherati? - Ormai
siamo in pieno Carnevale. Ci saranno festeggiamenti di ogni tipo. Saranno in
molti ad andare in giro con le maschere. - Questa
gente mascherata non mi piace. Un assassino potrebbe approfittare della
maschera per colpire senza che nessuno possa riconoscerlo. Voi correte più
rischi. José
annuisce. L’osservazione di Giuseppe è pertinente, come sempre. José non se
ne stupisce: già a Napoli ha avuto modo di rendersi conto che Giuseppe
possiede una grande intelligenza. - Sì,
Giuseppe, le tue preoccupazioni sono quanto mai fondate. Ed è molto probabile
che qualcuno approfitti della confusione del Carnevale per cercare di
uccidermi. Ci sono leggi severe che proibiscono di portare armi quando si
gira mascherati, ma un assassino non si spaventa per questo. - Possiamo
mascherarci anche noi: sarà più facile scomparire nella folla e sfuggire a
chi ci segue. - Lo
faremo, Giuseppe. E non rinunceremo a portare armi. * Il giorno
dopo il conte chiama Giuseppe. Ha il viso mascherato e indossa un ampio
mantello che copre l'abito. Gli mostra
una maschera, un abito sontuoso e un mantello nero che ha messo sul letto. - Prendi e
indossali, Giuseppe. Ma non dimenticare il coltello. Giuseppe
prende il tutto e passa nella sua camera. Indossa l'abito, che è della misura
giusta e deve essere stato fatto apposta per lui: il conte gli ha già fatto
cucire due abiti e ha dato al sarto le sue misure o uno dei suoi vestiti. Poi
si mette il mantello, che è molto lungo e nasconde completamente l'abito.
Giuseppe prova alcune volte a estrarre rapidamente il pugnale e aprire il
mantello. Quando è sicuro di potersi muovere con la rapidità necessaria,
indossa anche la maschera e ritorna nella camera del conte. - Sei
perfetto, Giuseppe. Andiamo. Inizialmente
Giuseppe non si sente a proprio agio. La maschera lo costringe a muovere la
testa di lato per poter tenere sotto controllo tutto l'ambiente circostante.
Ma progressivamente si abitua. Camminano affiancati come due amici: nessuno potrebbe distinguere il servitore dal padrone. Vicino a un ponte salgono su una gondola. Il gondoliere li aspettava, perché non chiede dove andare, ma li conduce direttamente a una casa. Il conte entra e Giuseppe lo segue. - Cambiamo
maschera e mantello, Giuseppe. Un
servitore porge loro due mantelli molto più corti di quelli che indossano,
uno rosso e l'altro blu, e due maschere. Il conte e Giuseppe si cambiano ed
escono da una porta che dà su una calle. Se qualcuno li ha seguiti,
difficilmente riconoscerà nei due uomini che escono dalla porta sulla via
quelli che sono arrivati in gondola. L’unico elemento che può tradirli è
l’alta statura di Giuseppe, che lo rende più riconoscibile. Ma non è l’unico
uomo molto alto in giro per le calli veneziane in questi giorni di festa. Man mano
che ci si avvicina al martedì grasso c’è molto più affollamento per le vie e
nei canali, le persone in maschera diventano sempre più numerose e ovunque
vengono allestiti spettacoli: giocolieri e acrobati animano i campi e la riva
degli Schiavoni. Ma ai divertimenti Giuseppe bada poco: la folla del Carnevale
lo preoccupa, perché aumenta i rischi e occorre stare sempre all’erta. Anche le
feste private si moltiplicano, ma Giuseppe è sempre accanto al conte. José de
Olivares lo presenta come un amico: nell’atmosfera festosa del Carnevale,
nessuno sembra preoccuparsi dell’identità di una maschera e l’essere insieme
al conte de Olivares vale un biglietto d’invito. Giuseppe è sempre sul chi
vive, ma è contento di poter stare a fianco del suo padrone, pronto a
difenderlo. Nella casa di alcune ricche famiglie veneziane Giuseppe e il
conte assistono anche a spettacoli teatrali. Quando José gli dice che non ci
sono pericoli, Giuseppe può seguire la rappresentazione tranquillamente e
abbandonarsi alla gioia di una commedia di maschere come non ha mai visto
nella sua vita. A Napoli ha assistito qualche volta a piccoli spettacoli
nelle piazze, tenuti da qualche compagnia girovaga, mai ad una
rappresentazione teatrale come quelle che ha modo di vedere qui a Venezia. * - Il signor
Lazzaro Mocenigo chiede di voi. - Di me? Nicola è
sorpreso. Ha desiderato rivederlo, ma non si aspettava che Mocenigo chiedesse
direttamente di lui. - Sì. Prima
ha chiesto del conte, poi, quando gli ho detto che non c’era, ha chiesto di
poter parlare con voi. - Va bene,
fatelo passare. Lazzaro Mocenigo
entra nella stanza. Il servitore esce, richiudendo la porta dietro di sé.
Nicola cerca di nascondere il suo turbamento. Anche se sa benissimo che
Lazzaro ha chiesto di lui, dice: - Mi
spiace, il conte Olivares non c’è. - Sapevo
che il conte era uscito e ne ho approfittato. Avevo voglia di rimanere un po’
con voi senza il rischio che qualcuno ci disturbasse. Nicola non
sa bene che dire. Lazzaro si avvicina, gli sorride, gli prende il viso tra le
mani e nuovamente lo bacia. Nicola rimane un attimo incerto, poi si abbandona
a questo bacio. Le mani di
Lazzaro si muovono, impudenti, gli stringono il culo, gli accarezzano la
schiena. Nicola si
stacca di colpo. Fa un passo indietro. - No, no…
non qui. Lazzaro
sorride. - Quando
hai un po’ di tempo libero? - Non lo
so, il conte può chiamarmi in qualsiasi momento. Non è così:
Nicola gode di una notevole libertà, di cui non si è mai servito. Ma adesso è
confuso e spaventato. Anche il brusco passaggio al tu da parte di Lazzaro lo
ha disorientato. Che cosa pensa Lazzaro di lui? Lazzaro
sorride. - Ci
possiamo vedere l’ultimo giorno di Carnevale. Manca solo una settimana. - Non so se
il conte non avrà bisogno di me quel giorno... - Di certo
nel pomeriggio ti lascerà libero. Tutta Venezia è in festa e i servitori si
divertono come i loro padroni. Nicola
annuisce. Non sa, non sa che cosa vuole. Lazzaro si
avvicina e lo bacia ancora. - L’ultimo
giorno di carnevale, alle tre davanti alla chiesa di San Rocco. Ci sarai? Nicola
annuisce. * I giorni
del Carnevale scorrono senza problemi, anche se sono molto faticosi: Giuseppe
è sempre in tensione. In più di un’occasione si accorgono di essere pedinati.
Se il conte ha un appuntamento importante, fanno in modo di seminare
l’inseguitore. Altrimenti fanno finta di niente, tenendo però d’occhio chi li
segue per essere sicuri che non sia un sicario. Arriva
infine l’ultimo giorno di Carnevale. I festeggiamenti si spegneranno domani
nel mercoledì delle ceneri, ma oggi sono al loro apogeo. Il conte
rimane in casa gran parte della giornata, ma invita Giuseppe a svagarsi. - Io non
uscirò prima del tardo pomeriggio, quando non potrò più sottrarmi ai miei
doveri sociali, ma tu fai un giro. Vale davvero la pena di assistere agli
spettacoli, soprattutto in piazza San Marco, e non ha senso che anche tu
rimanga in casa. Giuseppe
rimane in giro diverse ore. L’atmosfera è inebriante, ma lontano dal conte
Giuseppe si rende conto di divertirsi assai meno di quanto si aspettava. È
bello avere don José al suo fianco, sentirgli spiegare una tradizione, un
abito, una vicenda. Piazza San Marco rigurgita di gente. Giuseppe assiste allo spettacolo di alcuni acrobati, di cui ammira l’agilità e l’eleganza. Giuseppe è piuttosto indietro, ma è alto e riesce a vedere bene. Un uomo scivola accanto a lui. Man mano che lo spettacolo procede, altra gente arriva e la calca aumenta. L’uomo si appoggia a Giuseppe. Potrebbe essere soltanto effetto della ressa, ma Giuseppe ha l’impressione che non sia così. Giuseppe non si sposta. Giuseppe
non si stupisce quando l’uomo gli appoggia una mano sul ventre. Non si muove.
La mano dell’uomo preme contro il cazzo. Il tocco ha un effetto immediato. L’uomo
sussurra: - Vieni con
me. Si
allontanano dalla folla, dirigendosi verso il ghetto ebraico. Giuseppe vi è
stato con il conte. L’uomo si
infila in una delle case e sale al secondo piano. Appena entrati, l’uomo gli
afferra di nuovo il cazzo attraverso la stoffa dei pantaloni, poi rapidamente
gli abbassa le brache, si inginocchia davanti a lui e incomincia a
succhiarglielo. Giuseppe lo lascia fare. La sensazione è piacevole, ma c’è
qualche cosa che non funziona. Giuseppe si rende conto che non gli importa
nulla di questa scopata. Il suo corpo reagisce, ma la sua mente è altrove.
Pensa a José de Olivares e si chiede che cosa stia facendo adesso. Ormai è
abituato ad averlo sempre vicino. Ne sente la mancanza. È buffo, se ne rende
conto: un uomo gli sta succhiando il cazzo, il piacere è molto forte, ma la
sua mente è altrove. L’uomo si
stacca, guarda ammaliato il cazzo di Giuseppe e dice: - Mi
piacerebbe prendermelo in culo, ma è troppo grosso. Non ce la faccio. Avvicina
nuovamente la bocca e riprende a succhiare, mentre si infila l'altra mano
nelle brache e incomincia a farsi una sega. L'uomo lavora con energia, finché
Giuseppe non gli viene in bocca. Anche l’uomo viene. Giuseppe
ringrazia ed esce. Si dirige verso la casa del conte. Non ha voglia di stare
ancora in giro. * Nicola ha
avuto la giornata libera, come Lazzaro Mocenigo aveva previsto. Esce anche
lui, indossando la maschera, e si dirige alla chiesa di San Rocco. C’è una
grande ressa per le calli. Nicola avverte un disagio crescente, non sa
perché. Vicino a una chiesetta si ferma. Entra, per sfuggire alla folla che
gli sembra opprimente. Nicola si
siede su una panca. Pensa che era un prete. Non per vocazione, non per
scelta, ma ha pronunciato i voti. Ha dato la comunione, ha predicato, ha
confessato. Nicola
chiude gli occhi. Vorrebbe pregare, ma sa di non avere fede. Pensa al
vescovo, al prete che faceva da ruffiano. Si alza di
scatto ed esce. Cammina, senza più badare a dove va. Cerca di allontanarsi
dal centro, dalla folla che si dirige verso piazza San Marco. Infine giunge
in riva alla laguna. Si appoggia alla parete di una casa e fissa un’isola non
molto distante. Gli sembra
di non avere nulla in testa, un grande vuoto. Pensa a Lazzaro. L’ora dell’appuntamento è passata da un pezzo. Sicuramente se ne sarà andato. Forse è meglio così. * Il conte e
Giuseppe escono verso l’imbrunire. Di notte è vietato circolare con le maschere,
ma è l’ultima sera di Carnevale e nessuno sembra preoccuparsene. La prima
tappa è una casa patrizia dove c’è un grande ricevimento. Giuseppe è di
fianco al conte e tiene sotto controllo chiunque si avvicini. Un
servitore offre loro del vino. Il conte ha detto a Giuseppe che prima di bere
qualche cosa, deve controllare che altri abbiano bevuto dalla stessa
bottiglia e deve essere sicuro che nessuno possa aver messo un veleno nel
bicchiere dopo averlo riempito. Giuseppe non beve e nota che anche il conte non
avvicina il bicchiere alle labbra, limitandosi a sollevarlo ogni tanto, come
se stesse per bere, per poi riabbassare il braccio perché parla con qualcuno.
Si accorge anche che il conte lo sta tenendo d’occhio, di certo per
assicurarsi che non beva. Il servitore
si sta allontanando, ma uno degli ospiti gli porge il bicchiere, per farselo
riempire. Giuseppe si è avvicinato e sente il cameriere rispondere che la
bottiglia è vuota e che deve andare a prenderne un’altra. La bottiglia non è
vuota, Giuseppe l’ha visto benissimo quando l’uomo ha versato. Il
servitore lascia la sala, come se davvero volesse andare a prendere un’altra
bottiglia. Giuseppe lo segue, tenendo il bicchiere in mano. L’uomo attraversa
un’altra stanza, poi si dirige verso le cucine. Giuseppe lo
ferma, mettendogli una mano sul braccio. Gli porge il proprio bicchiere. - Bevi! L’uomo
scuote la testa. - Non posso
bere, che cosa direbbero i padroni? - Dirò che
te l’ho offerto io. Bevi! Due
cameriere si sono fermate e osservano la scena. L’uomo
prende il bicchiere che Giuseppe gli porge e lo lascia cadere, come se gli
fosse sfuggito di mano. Se non ci fossero altre persone, Giuseppe estrarrebbe
il pugnale e lo ucciderebbe, ma non può farlo. - Oh, mi
dispiace. Giuseppe
annuisce. Torna dal conte, che quando lo vede fa in modo di staccarsi dal
gruppo in cui sta conversando e gli si avvicina. - Gli ho
detto di bere, ma ha fatto cadere il bicchiere. Il conte
sorride. - Non mi
stupisce. Prendi il mio bicchiere e vuotalo bene. Non vorrei che qualcuno
venisse avvelenato al posto nostro. José e Giuseppe lasciano la festa nel cuore della notte. Passano in un’altra casa, dove si tiene uno spettacolo teatrale. Gli spettatori sono pochi, una dozzina di uomini. In scena solo quattro attori. La situazione sembra meno pericolosa, ma Giuseppe rimane sul chi vive. Inizialmente
sembra uno spettacolo come quelli a cui Giuseppe ha avuto modo di assistere
nei mesi precedenti, anche se più sboccato. Un attore si avvicina da dietro a
un’attrice, l’avvicina a sé e si struscia contro di lei. Lei si volta, gli dà
uno schiaffo, ma poi gli afferra l’uccello attraverso il tessuto. Poco dopo
un attore con un costume di tanti colori fa un lungo monologo in cui esalta
le virtù del suo cazzo e infine si abbassa i pantaloni, mettendo in mostra un
arnese di tutto rispetto. Giuseppe non ha mai visto uno spettacolo del
genere, anche se a Napoli da ragazzo ha avuto modo di vedere per strada
qualche scenetta alquanto sguaiata. L’attore si
avvicina agli spettatori, invitandoli a verificare con la vista e con il
tatto che non sta raccontando storie, quando dice che il suo cazzo è grosso e
duro. Tutti ridono. * José de
Olivares ha notato qualche cosa di strano. Gli attori entrano ed escono da
una porticina. L’attore con l’ampio mantello nero è rientrato da poco, ma
José ha l’impressione che si muova in modo diverso. José finge di guardare la
scena su cui si concentra l’attenzione degli uomini: la donna piegata in
avanti, a cui uno degli attori ha sollevato la gonna, scoprendo il culo nudo.
L’attore si è abbassato i pantaloni, ha il cazzo in tiro e si appresta a
prenderla da dietro. Alcuni spettatori sghignazzano, uno degli uomini incita
l’attore a darsi da fare. L’attore in nero guarda la scena, con grandi
movimenti che dovrebbero esprimere stupore. José si
china su Giuseppe, ridendo, come se volesse commentare ciò che accade in
scena, e gli dice: - Tieni
d’occhio l’attore in nero. L’attore in
nero guarda la coppia in scena, mostrandosi sorpreso. Continuando a fissare gli
altri due personaggi, si avvicina a José e Giuseppe, come se volesse guardare
i due amanti senza avvicinarsi troppo, per non farsi notare. Ma quando è
vicino al conte, con un movimento fulmineo estrae il pugnale e si scaglia su
di lui. José stava
in guardia e schiva il colpo, mentre Giuseppe afferra l’uomo e gli piega il
braccio dietro la schiena, forzandolo a lasciare il pugnale. Giuseppe torce
ancora il braccio, fino a che l’urlo dell’uomo gli dice che glielo ha
spezzato. L’azione è
stata talmente rapida che alcuni degli spettatori si sono resi conto di
quanto stava succedendo solo quando l’uomo ha urlato. Tutti si alzano. I due
attori si bloccano. Il padrone
di casa interviene, allibito: - Un
assassino, qui? Chi è quest’uomo? Giuseppe ha
tolto la maschera all’uomo. I due
attori che erano in scena si avvicinano. - Ma… ma…
non è Marco. Dov’è Marco? L’attore di
nome Marco è nella stanza a fianco, la gola tagliata. Il conte
osserva, cupo: - Vi lascio
questo assassino perché lo consegniate alla giustizia. Torniamo a casa. Per
noi il carnevale è finito. * Giuseppe e
il conte sono tornati a casa. Giuseppe è molto teso: ci sono stati due
tentativi di uccidere il conte in poche ore. - Non so se
potete dirmelo, signor conte, ma i sicari sono stati mandati tutti dalla
stessa persona? - Sì, non
proprio da un solo uomo, ma da un gruppo. Persone che vogliono a ogni costo
eliminarmi e non sono disposte a lasciare niente al caso. Sapevano che il
primo tentativo di oggi sarebbe potuto andare a monte, per quello ne hanno
progettato un secondo, sperando che noi abbassassimo la guardia, convinti che
per oggi almeno non ci fosse più nessun pericolo. - Se è così
non si arrenderanno. - No, di
certo. Ci proveranno ancora, domani. Devono farlo domani, se vogliono
fermarmi. Dopo sarà inutile, sarebbe solo più una vendetta tardiva. Ma questa
è gente a cui interessa il risultato, non una vendetta. * Venezia si
è svegliata avvolta in una nebbia fittissima, come se le ceneri del primo
giorno di Quaresima si fossero concentrate sulla città. La barca
scivola lentamente nella laguna, seguendo una fila di pali che indicano il
percorso. La nebbia è fitta e si possono vedere solo due pali per volta. Non ci sono
più case intorno. La barca si è allontanata da Venezia, ma in quale
direzione, Giuseppe non sarebbe in grado di dirlo. A un certo
punto la barca devia verso destra. Ora tutt’intorno non si vede più nulla.
Solo nebbia. Il barcaiolo deve essere davvero esperto per muoversi con
sicurezza in questa ovatta grigia. Giuseppe si
rende conto che José de Olivares è molto teso e tiene una mano
sull’impugnatura della pistola. Non si stupisce: quando si sono imbarcati, ha
detto a tutti loro di vigilare. La barca
raggiunge un isolotto circondato da un muro e scivola lungo la parete di
pietra fino al pontile. José de
Olivares si guarda intorno, poi scende. Giuseppe e gli altri uomini rimangono
all’imbarcadero. Giuseppe è
inquieto: la nebbia lascia appena intravedere il muro e il pontile. * - Il signor
Mocenigo chiede di parlarvi. - Ditegli
che non posso, che sono molto occupato. Il
servitore si allontana. Nicola non se la sente di incontrare Lazzaro. Si
rende conto di essersi comportato in modo villano, sa che dovrebbe scusarsi
per aver mancato all’appuntamento di ieri, ma ha paura. Il
servitore ritorna dopo un momento. - Il signor
Mocenigo dice che ha bisogno di parlarvi. Dice che gli bastano pochi minuti. Nicola
annuisce. - Ditegli
di passare. Ora Lazzaro
è davanti a lui. - Perché
non siete venuto, ieri? Vi ho atteso due ore. Pensavo che aveste avuto
qualche contrattempo. Mi aspettavo di trovare un biglietto con due righe di
spiegazione a casa, ma non c’era niente. Nicola
china la testa. - Non valgo
nemmeno una risposta? Nicola
solleva la testa. Ha le lacrime agli occhi. - Nicola!
Che cosa è successo… perché? Nicola
scuote la testa. - Non lo
so, Lazzaro, non lo so. Io… Nicola
piange. Lazzaro si avvicina a lui e lo abbraccia. Lo bacia sugli occhi, poi
sulla bocca. Quando Nicola si è calmato, gli dice: - Andiamo
da me, Nicola. Nicola
annuisce. * L’incontro
si è concluso. José de Olivares raggiunge l’imbarcadero, dove sono rimasti
Giuseppe e gli alti due uomini che lo hanno accompagnato. Li vede solo quando
è a due passi da loro, perché la nebbia avvolge ancora la laguna. Gli uomini
salgono sulla barca, che scivola silenziosamente sull’acqua. Non si vede
nulla, ma il barcaiolo sa dove sta andando: dopo pochi minuti ritrovano la
successione di pali. La barca sembra materializzarsi dal nulla di fronte alla loro. José si tende. La mano va alla pistola. Sono in quattro, appena si intravedono. Nel momento in cui le due barche sono una a fianco dell’altra tre uomini estraggono le pistole. José e Giuseppe sparano prima che gli altri possano fare fuoco. Un uomo si accascia sul fondo della barca. L’altro lancia un grido e si rovescia all’indietro, squilibrando l’imbarcazione: il colpo che il terzo uomo spara va a vuoto. Giuseppe è già saltato sulla barca e immerge il coltello nel cuore dell’uomo. Il barcaiolo grida: - No, io
non sapevo. Giuseppe
gli è addosso e gli tappa la bocca. José vede che si rivolge a lui. Il
barcaiolo conosceva benissimo le intenzioni degli altri. José ordina: - Tagliagli
la gola. L’uomo
mugola disperatamente, ma Giuseppe esegue. - Torna
qui. Le due
barche sono ancora affiancate: José e uno dei suoi uomini le hanno tenute
unite. Quando Giuseppe è ritornato sull’imbarcazione, spingono via l’altra e
si allontanano. Oggi o
domani qualcuno vedrà i quattro cadaveri, ma pochi sapranno che cosa è
davvero successo e nessuno di loro parlerà. - Bravo,
Giuseppe. - Ho fatto
quanto dovevo. La barca
raggiunge la città e si inoltra in uno dei canali. Qui la nebbia è meno
fitta. Dopo alcune
svolte, raggiungono il portone di un palazzo. Giuseppe riconosce l’ingresso:
è la sede dell’ambasciatore di Spagna. José de
Olivares entra. L’attesa è lunghissima e fa freddo. È marzo, ma la nebbia che
avvolge la città impedisce ai raggi del sole di raggiungerli. Due ore
dopo José riappare sulla soglia e si dirigono al palazzo. In casa,
José si rivolge a Giuseppe: - La
missione è conclusa. Ormai uccidermi non cambierebbe niente. Qualcuno
potrebbe decidere di farlo per una vendetta personale, ma non lo ritengo
probabile. Giuseppe è
contento che il padrone non rischi più la vita: è scampato a quattro
tentativi di eliminarlo e non è detto che riuscirebbe a cavarsela anche la
quinta volta. Don José
aggiunge: - Anche il
mio soggiorno a Venezia si avvicina alla fine. Non mi fermerò più di una
quindicina di giorni. E prima di partire troverò una sistemazione per te e
per Nicola. Giuseppe
rimane pensieroso: il padrone intende congedarlo? La sua frase farebbe
pensare di sì. Perché? A Giuseppe spiacerebbe doverlo lasciare. * Nicola
scende dall’imbarcazione e segue Lazzaro fino a una camera dove il fuoco arde
nel camino. Lazzaro lo abbraccia di nuovo. Nicola cede alla stretta. Per un
momento rimane inerte, poi il suo corpo si accende e le sue mani stringono
Lazzaro e la sua bocca lo bacia. - Perdonami, Lazzaro. Sono uscito per venire da te, ma poi… Non lo so, la folla… non lo so… sono rimasto a guardare la laguna. Lazzaro lo
guarda negli occhi: - Adesso
sei qui, il resto non ha importanza. Lazzaro lo
bacia, poi gli chiede, dolcemente: - Posso
spogliarti? Nicola
annuisce. Lazzaro gli toglie gli abiti, uno per volta, baciando e accarezzando
ogni parte del corpo che svela. Quando Nicola rimane a torso nudo, Lazzaro
gli bacia il petto e poi gli succhia i capezzoli, strappando a Nicola un
gemito. Poi Lazzaro gli cala i pantaloni e gli morde più volte il culo. Ora
Nicola è nudo e Lazzaro ha ancora tutti i vestiti addosso. Nicola
incomincia a spogliarlo. Anche lui bacia Lazzaro. Si muove più incerto, ma il
desiderio lo guida. Quando sono entrambi nudi, Lazzaro dice: -
Infiliamoci sotto le coperte. Non è così caldo. È vero:
anche se il fuoco arde nel camino, nella stanza fa freddo. Sotto le
coperte si baciano e si abbracciano, i loro corpi si stringono. - Vorrei
prenderti, Nicola. Nessuno lo
ha più preso da quando è partito per Roccanera. Nicola chiude gli occhi.
Lazzaro dice: - Se non te
la senti, non ha importanza. - No, va
bene, Lazzaro. Fallo. Nicola si
volta, stendendosi sulla pancia. Sente che
Lazzaro gli stringe le natiche, che le accarezza, che le morde. Avverte le due
dita bagnate che spargono un po’ di saliva. E poi sente l’uccello premere e
scivolare dentro di lui. Nicola chiude gli occhi. Questo ingresso risveglia
ricordi di sofferenza e umiliazione, ma gli trasmette piacere, Nicola lo sa.
Il suo corpo gode di questo uccello che gli sta scavando il culo, per quanto
siano dolorose le memorie che risveglia. Gli è sempre piaciuto, anche se si
sentiva mortificato. Lazzaro lo
possiede con impeto crescente e Nicola sente il piacere dilatarsi dentro di
lui. Lazzaro viene con una serie di spinte forti. Si lascia andare sul corpo
di Nicola. Con le dita gli stuzzica l’orecchio, gli accarezza il collo. - Vuoi
prendermi, Nicola? Nicola
chiude gli occhi. - Sì. Lazzaro si
stende di fianco a lui. Nicola sale su di lui. Lo bacia sulla nuca. Non ha
mai posseduto un uomo. Cerca i gesti, li trova a fatica. Inumidisce
l’apertura e poi entra, facendo sobbalzare Lazzaro. Si ritrae. - Un
momento solo, Nicola. Entra più lentamente. Nicola
aspetta, accarezzando la schiena di Lazzaro. Poi entra nuovamente dentro di
lui, con delicatezza. È una sensazione nuova, bellissima. Nicola
possiede Lazzaro con dolcezza. Solo quando il desiderio diventa troppo forte
per essere ancora contenuto, il movimento diventa impetuoso e infine Nicola
viene. Lazzaro lo ha preso e lui ha preso Lazzaro. Per la prima volta nella sua vita si è liberamente dato a qualcuno, che a sua volta si è dato a lui, in un rapporto paritario. Nicola mormora: - Grazie. Rimangono
distesi a letto, sotto le coperte. La mano di Lazzaro percorre il volto di
Nicola, le dita sembrano studiarne i contorni. - C’è una
ferita nel tuo passato, vero? Nicola
annuisce. Lazzaro prosegue. - Non vuoi
provare a raccontarmi? Ha senso
rivelare ciò che è successo a Lazzaro, a quest’uomo che conosce appena?
Nicola non ha mai detto nulla a nessuno, con chi avrebbe potuto confidarsi?
Il conte già sapeva e in ogni caso a lui Nicola non avrebbe osato narrare.
Nicola sa che dovrebbe seppellire il suo passato, dimenticarlo per sempre,
non svelarlo a quest’uomo. Ma per incominciare una nuova vita, bisogna
disfarsi di quella vecchia. Nicola
incomincia: - Io… io…
ero un prete… * - Il
marchese Gomez de Silva, ambasciatore di Spagna presso la Repubblica di
Venezia, ha bisogno di qualcuno che affianchi il suo segretario, che è
oberato di lavoro. Nicola, voi prenderete servizio da lui tra una settimana.
Quanto a te, Giuseppe, lavorerai per il barone Molina, che vive qui a
Venezia. Il barone è ben contento di avere al suo servizio una guardia capace
e coraggiosa. José fa una
pausa, poi conclude, rivolto a tutti e due: - Da questo
punto in poi, il futuro è nelle vostre mani. Entrambi i vostri padroni sanno
che avete dei conti in sospeso a Napoli e, se per caso dovessero recarsi in quella
città, non vi chiederanno di accompagnarli. Mentre
parlava, José ha osservato con cura Nicola e soprattutto Giuseppe. Nicola è
molto contento della sistemazione. Giuseppe no, anche se non dice nulla. José
gli legge negli occhi una delusione che Giuseppe non si cura di nascondere. Non si
stupisce quando Giuseppe chiede di parlargli, mezz’ora dopo. -
Eccellenza, scusate se vi disturbo. Posso parlarvi un momento? - Dimmi,
Giuseppe. - Non siete
contento di me? Ho svolto male il mio lavoro? - No,
Giuseppe, che dici mai? Sono pienamente soddisfatto di te. Hai lavorato molto
bene. - Posso
chiedervi perché mi allontanate? José non si
aspettava una domanda così diretta. Non intende mentire. - Pensavo
che tu rimanessi volentieri vicino a Nicola. Giuseppe
sembra stupito dalla risposta. Replica: - Io vorrei
rimanere al vostro servizio. La ridda di
emozioni che stanno assalendo José è un motivo in più per allontanare
Giuseppe, per non vederlo mai più. Ma c’è un’altra ragione e José decide di
esprimerla, almeno parzialmente. - Giuseppe,
tra pochi giorni partirò. Qui ho concluso con successo la missione che dovevo
svolgere. Quello che cercherò di fare è un tentativo disperato. I rischi di
morire sono altissimi. Non voglio provocare la tua morte. - Mi avete
salvato la vita. Posso rischiarla per voi. - L’hai già
fatto. - Vorrei
continuare a farlo. - Giuseppe,
potresti finire impalato. Sai come viene impalato un uomo? Lo stendono al
suolo, gli allargano il buco del culo con un coltello, poi ci infilano il
palo, fino a che esce dalla spalla, di solito. Possono passare anche due o
tre giorni prima che quest’uomo muoia. Dicono che uno finisca per maledire la
propria madre per averlo messo al mondo. Giuseppe
non ha abbassato lo sguardo. - Porterete
con voi dei servitori, no? Anche loro rischiano. - Porterò
con me solo Alonso, che fa da servitore, ma in realtà è un soldato: sa
benissimo che può essere ucciso. Assumerò a Costantinopoli servitori e
guardie del posto. - Ma non
potrete fidarvi di loro. - Non sarà
necessario, Giuseppe. I rischi non sono gli stessi. Qui a Venezia, come in
altre città, coloro che si oppongono ai progetti che porto avanti non possono
farmi arrestare facilmente, dovrebbero fabbricare prove false. Perciò cercano
di farmi uccidere per strada, in modo che sembri una rapina. A Costantinopoli
se qualcuno scoprisse che cosa sto facendo, non avrebbe bisogno di farmi
assassinare. Mi denuncerebbe e io verrei arrestato. Le guardie del corpo
potrebbero servirmi solo contro ladri e ubriachi e allora tanto vale che siano
turchi. Se assumo sul posto inservienti musulmani, è difficile che vengano
accusati di essere miei complici. - Vorrei
essere al vostro fianco. - Perché
sei così ostinato, Giuseppe? Giuseppe
non risponde. José è confuso.
Quello che prova gli rende difficile ragionare con la lucidità che lo
contraddistingue. - Giuseppe,
a Costantinopoli potrei doverti chiedere di ammazzarti. O di ammazzare me. E
va fatto, senza esitare. - Padrone,
quello che può fare Alonso, posso farlo anch’io? - Forse sì.
E allora? - Allora se
Alonso è un uomo esperto e fidato, tenetelo qui a Venezia o rimandatelo a
Napoli: potrà ancora tornare utile, a voi o ad altri. A Costantinopoli vi
accompagnerò io, che posso essere sacrificato in qualsiasi momento. -
Sacrificato! E se ti chiedessi di prostituirti per poter uccidere un uomo?
Eh, Giuseppe? - Sapete
bene che mi sono già prostituito. José prova
rabbia nei confronti di se stesso per la frase che ha detto e che Giuseppe ha
inteso come riferimento al passato: non era sua intenzione umiliarlo. Ma
prosegue: - Magari
dovresti dare via il culo, Giuseppe. Perché
gliel’ha detto? Potrebbe capitare, nessuno può escluderlo, ma non è certo
probabile. José sta cercando di allontanare Giuseppe da sé, ma non trova le
parole giuste. Non riesce a vedere la situazione con il distacco necessario. Giuseppe si
morde il labbro, ma non abbassa lo sguardo. - Se è
necessario lo farò. - Non l’hai
mai fatto, vero? - No. - E lo
faresti senza neanche sapere perché devi farlo. È follia. - Se me lo
ordinate, lo farò. José apre
la bocca. Vorrebbe dire ancora altre cose, ma di colpo gli sembra tutto
inutile. - Verrai
con me, Giuseppe. E avrai modo di pentirti della tua scelta. Te lo posso
garantire. José sa che
il primo a pentirsi sarà lui. * Nicola ha
finito di preparare il suo bagaglio. Tra due ore verranno a prenderlo per
accompagnarlo nella residenza dell’ambasciatore spagnolo a Venezia. A Nicola
non spiace che Giuseppe parta con il padrone. Non hanno più avuto rapporti,
dopo quell’unica volta. Nessuno dei due lo desidera davvero, Nicola se ne
rende conto. Per lui è stato il turbamento di un momento, per Giuseppe un
bisogno del corpo. Non hanno più fatto cenno a ciò che è successo tra loro. Nicola non sa
se Lazzaro Mocenigo si farà ancora vivo. Forse no. Ma è contento di rimanere
a Venezia, perché se Lazzaro vorrà, avrà la possibilità di incontrarlo di
nuovo. Mentre è
perso in questi pensieri, un servitore gli comunica che il conte gli vuole
parlare. - Nicola,
tra poco prenderete servizio presso il marchese Gomez de Silva. Voglio
mettervi in guardia. Siete una persona istruita e intelligente, ma non siete
avvezzo al ruolo di segretario di un ambasciatore e potreste commettere
errori. - Cercherò
di fare del mio meglio, signor conte. - Lo so, ma
non dovete ripetere un errore che avete fatto: potrebbe costarvi il posto. Nicola
china il capo. - Mi spiace
se ho sbagliato, signor conte, non me ne sono reso conto. - No ed è
per questo che vi metto in guardia. Qualche tempo fa avete detto a Giuseppe
che il conte del Cerreto è stato condannato per sodomia e bruciato a Napoli. Nicola è stupito. Non sa come il padrone l’abbia scoperto e soprattutto non capisce che cosa ci sia di male a diffondere una notizia che non è certo segreta: si tratta di un processo e di un’esecuzione pubblica, di cui certamente a Napoli tutti sono a conoscenza. - Sì, è
vero, ma non capisco… - E io vi
spiegherò, Nicola, perché credo che possiate diventare un ottimo segretario,
se seguirete le indicazioni che sto per darvi. - Ditemi,
eccellenza. Vi ringrazio per l’attenzione che avete per me. -
L’ambasciatore di Spagna non detterà al segretario appena assunto lettere di
grande importanza e in generale gli darà piccoli incarichi, che alleggeriranno
il lavoro del segretario che ha con sé da anni e gli permetteranno di mettere
alla prova il nuovo collaboratore. - Cercherò
di fare del mio meglio. - Non ne
dubito. Farete alcuni errori, probabilmente, che vi verranno fatti notare, ma
questo è stato messo in conto. C’è invece un errore che non vi verrà mai
perdonato ed è la mancanza di discrezione. Voi avete raccontato a Giuseppe
del rogo del conte perché avete pensato, giustamente, che non era un segreto
e quindi avete ritenuto, sbagliando, di poterlo riferire a qualcun altro.
Nicola, nulla, assolutamente nulla, di ciò che scriverete o leggerete dal
marchese Gomez de Silva dovrà essere riferito a nessuno. E quando dico nulla,
intendo anche il fatto che il marchese scrive a un amico che un cavallo si è azzoppato
o che il sarto ha cucito male un abito. Non dovete parlarne con nessuno,
nemmeno con la servitù e men che mai con un amico, che so, con Lazzaro
Mocenigo. Nicola si
sente arrossire. Non sa come il conte possa essere a conoscenza del legame
che ha con Lazzaro. - Conte,
non ho mai detto nulla… - Non vi è
stato chiesto, non avete detto. Il signor Mocenigo non era interessato a
conoscere i miei affari: è un uomo dabbene e non un cospiratore o una spia.
Ma in un momento di confidenza possono sfuggire piccoli dettagli
insignificanti. Non tutto ciò che appare insignificante lo è, Nicola. E se
lavorate nel mondo della diplomazia questo vi deve essere chiaro. Nicola
guarda quello che per poco ancora è il suo padrone. I sospetti che si sono a
più riprese affacciati alla sua mente non erano infondati, di questo ormai
Nicola è sicuro. Quest’uomo non è quello che sembra. Il conte prosegue: - Verrete
messo alla prova, Nicola. Qualche servitore vi chiederà un dettaglio futile,
magari proprio su un avvenimento di pubblico dominio che qualcuno ha
comunicato al marchese. Oppure sarà un estraneo a chiedervi. Sembreranno
richieste casuali, una conversazione per passare il tempo mentre si aspetta
la fine di un colloquio del proprio padrone. Di tutto ciò che avrete modo di
sapere attraverso le lettere o le conversazioni con l’ambasciatore, non
riferirete a nessuno nemmeno una parola, come se l’aveste dimenticato
completamente. - Ho
compreso, signor conte. Vi ringrazio per avermi avvertito. Non ripeterò lo
stesso errore. Il conte
sorride. - Sapevo
che avreste capito, Nicola. Sarete un ottimo segretario. Nicola si
inchina, poi dice: - Vi
ringrazio, conte. Mi avete salvato la vita, mi avete trovato un lavoro. Vi
devo tutto. - Ognuno di
noi ha debiti. La vostra giovinezza e la vostra bellezza vi hanno messo in
situazioni difficili e avete rischiato la vita. Vi auguro di non andare
incontro ad altre traversie. Troverete nel marchese un protettore potente e,
se non lo deluderete, sarete al sicuro. - Farò del mio
meglio. Grazie di tutto. Nicola
ritorna nella sua camera. Ripensa alla conversazione avuta. Chi è in realtà
quest’uomo che sembra pensare solo a divertirsi? C’è anche
un altro dettaglio che ritorna nella sua mente con insistenza. Don José ha
detto che Lazzaro è un uomo dabbene. A Nicola questo fa piacere. * Giuseppe
saluta Nicola. Le loro vite si separano, probabilmente per sempre. Il loro
incontro ha cambiato del tutto le loro esistenze: lavoro, ambiente,
conoscenze. Nicola non
è più un prete, ma un segretario e d’ora in poi vivrà a Venezia.
Probabilmente seguirà l’ambasciatore se questi sarà destinato ad altri paesi.
Nicola è contento della sua nuova condizione. Forse c’è anche altro, Giuseppe
ha avuto l’impressione che Nicola abbia conosciuto qualcuno, ma di questo non
è sicuro. Giuseppe è
ancora una guardia, ma ha lasciato un padrone di cui non aveva stima per
trovarne un altro che ammira incondizionatamente, anche se lo conosce poco.
Non sa dove vivrà, forse davvero la sua vita finirà presto, come dice il
conte. L’importante è essere al suo fianco e cercare di proteggerlo. |
||||||||||