3.

      Jeff partirà domani. Hugh tra tre giorni. Questo almeno crede Hugh, questo finge di credere Jeff. Ma l’agente sa benissimo che partiranno insieme, perché insieme devono fuggire.

      In effetti vengono a chiamare Fraser. Lo accompagnano da Casperson. Ritorna poco dopo.

      - Vuoi avere una bella notizia?

      Jeff è disteso sul letto. Lo guarda in tralice.

      - Casperson è morto? Un infarto? Un ictus?

      Hugh scuote la testa.

      - Lo hanno sostituito?

      - No, no, no.

      - Va bene, mi arrendo. Fuori il rospo. 

      - Domani parto con te. Hanno deciso di risparmiare sui trasporti, sai com’è, la crisi economica e tutto il resto. Facciamo il viaggio in compagnia.

      Jeff si alza di scatto, come se la notizia fosse stata un fulmine a ciel sereno, e si mette a sedere. Fraser lo guarda sorpreso dalla sua reazione.

      - Che c’è?

      - È davvero una bella notizia, Hugh. Forse riesco a realizzare quello che ho in testa. Diciamo che almeno ho una possibilità in più.

      - Che cosa stai pensando?        

      - Aspetta. Non c’è ancora niente di definito. Ma in due forse ce la facciamo. Lasciami pensare.

      Jeff si stende nuovamente sulla cuccetta.

      Fraser non chiede più nulla. Sa aspettare.

      Due ore dopo li chiamano per dare loro alcune istruzioni sul trasferimento.

      Casperson è sul percorso. Jeff lo guarda, senza abbassare gli occhi. Quando arriva davanti a lui, Casperson gli dice:

      - Stai per andartene, eh, pezzo di merda!? Ma finirai con una siringa nel braccio.

         Jeff allora sputa a terra, proprio davanti alle scarpe dell’agente.

      Il pugno arriva subito e Jeff si piega in due. Mentre cerca di recuperare il fiato, Casperson fa segno a due agenti, che prendono Jeff e lo portano nell’ufficio del responsabile.

      Nell’ufficio Jeff rimane un’ora buona. Hanno diverse cose da discutere, lui e Casperson, per domani. Quando ne esce, o, per essere più esatti, quando due agenti lo trascinano fuori, ha sangue sulla faccia e sugli abiti e non è in grado di reggersi in piedi.

      Lo riportano alla cella e lo lasciano a terra. Questa volta Hugh lo aiuta a stendersi sulla cuccetta.

      - Sei una testa di cazzo, Jeff. Perché hai provocato Casperson? Ti piace farti menare? Ti viene duro?

      Jeff non ce l’ha duro: troppo forti i colpi, l’eccitazione è durata poco. Respira a fatica, ma parla.

      - Era necessario, Hugh. Io non voglio arrivare in California… non in un furgone della polizia, almeno. Perché non ho voglia di finire con l’iniezione. Questo era il primo passo.

      - Che hai in mente?

      - Tra mezz’ora chiami l’agente, dici che sto male, che sto delirando, e che mi devono portare in infermeria.

      - E poi?

      - E poi lascia fare a me.

      - Non ti fidi?

      Jeff lo guarda. Annuisce.

      - Mi fido, ma adesso questo è quanto puoi fare. Domani è un’altra faccenda. Se questa parte va bene, ti spiego. Altrimenti è inutile.

      Dopo un po’ Jeff incomincia a dire frasi senza senso. Hugh chiama le guardie.

      - Questo sta crepando, Casperson l’ha ammazzato.         

      L’agente sembra dubbioso.      

      - Non crepa per così poco.

      - Ma non lo senti? Delira! E guardagli la faccia! Tra un po’ tira le cuoia.

      Arrivano con una barella, ci caricano sopra Jeff e lo portano in infermeria. Il medico non si lascia commuovere: si limita a far pulire ad un infermiere la faccia di Jeff ed a dare una controllata a polso, cuore e polmoni. Jeff sembra recuperare un po’ di lucidità ed il dottore lo rimanda in cella.

      In infermeria non è rimasto molto. Hugh lo guarda, scettico.

      - Ed allora? A parte farti pulire la faccia, hai ottenuto qualche cosa?

      Jeff sorrise, anche se gli fa male il labbro. Si infila la mano nelle mutande e ne tira fuori delle pastiglie ed un ferro. Glieli ha dati Casperson, ma questo Hugh non lo sa, pensa certamente che Jeff li abbia presi in infermeria.

      - E che te ne fai?

      - Le pastiglie mi faranno alzare la temperatura, domani mattina quando mi caricano sul furgone sembrerà che abbia la febbre alta. Il ferro è per le manette.

      - Spiegami.

      - Domani starò malissimo, non sarò in grado di camminare, dovranno trasportarmi di peso. Durante il viaggio farò finta di stare sempre peggio, mi piscerò addosso. Mi crederanno febbricitante e non si preoccuperanno molto di me. Mi libererò dalle manette.

      - Ed allora? Ci saranno almeno quattro agenti dietro e due davanti.

      - Il viaggio è lungo. Ci fermeremo a mangiare. Quando saremo vicini alle meta, si rilasseranno. Scenderanno per cenare, non ne rimarranno più di due ed agiremo allora.

      - Mi sembra una follia.

      - Può essere. Hai un’altra proposta?

      Fraser scuote la testa.

      - Io no. Mi sembra una follia, ripeto, ma se posso darti una mano, non mi tiro indietro. Non ho nessuna voglia di affrontare un processo in California con quel bastardo di Barrough che vuole la mia testa.

 

      L’indomani mattina Jeff ha davvero la febbre alta: le pastiglie hanno fatto effetto. Tra alcune ore però la temperatura ritornerà normale. Gli agenti lo caricano su una barella per portarlo al furgone. Uno propone di chiamare un medico, ma gli altri non vogliono perdere il tempo: il viaggio è lungo.

      Dopo due ore, prima che l’effetto delle pastiglie cali, Jeff svuota la vescica. Il poliziotto seduto vicino a Jeff si alza.

      - Oh, merda! Questo si sta pisciando addosso.

      Gli altri guardano. Uno ridacchia. Nessuno fa niente.

      Hugh interviene:

      - Questo crepa prima di arrivare a destinazione.

      - Fatica risparmiata per il boia!

      Hugh non dice più nulla.

      Ogni tanto Jeff straparla.

      Quando si fermano per mangiare un boccone, scendono solo tre degli agenti e gli altri tre rimangono con i prigionieri. Poi si danno il cambio. Jeff spera che non sia così anche questa sera, perché in quel caso il piano rischia di andare a puttane.

      Ripartono. Gli agenti sono più rilassati, ora. Il viaggio procede senza problemi, Jeff ogni tanto finge di delirare, ma non si muove. Fraser rimane tranquillo seduto. Ad un certo punto tocca la fronte di Jeff, poi dice:

      - La febbre è calata. Secondo me sta tirando le cuoia.

      - E piantala!

      - E guarda, stronzo, si è di nuovo pisciato addosso!

      Gli agenti non si muovono.

      - Segno che è ancora vivo.       

      Fraser alza le spalle.

         Scende il buio. Arriva l’ora di una seconda sosta.

      - Questa volta voglio farmi un pasto decente.

      - Anch’io. Tanto, tempo due ore e siamo arrivati.

      Infine il furgone si ferma. Due degli agenti scendono, insieme ai due che stavano davanti. Richiudono la porta.

      Jeff è immobile, girato verso la parete. Rapidamente con il ferro si libera dalle manette. Hugh si avvicina. Gli tocca la fronte. Poi lo scuote.

      - Cazzo, questo è morto!

      L’agente si avvicina. Si china su Jeff, che muove un po’ la testa.

      - Ma che cazzo dici? Si muove ancora.

      L’agente si volta. Hugh tocca appena la testa di Jeff, che scatta. In un attimo ha passato un braccio intorno al collo dell’agente, gli ha sfilato la pistola e tiene l’altro agente sotto tiro.

      - Non ho niente da perdere: una parola ed ammazzo prima te, poi lui. Andiamo all’inferno insieme. Alza le mani.

      L’agente esita un attimo. Sa benissimo che Jeff non vuole sparare, perché gli altri agenti sentirebbero ed accorrerebbero subito. Ma crede che davvero Jeff non abbia niente da perdere e che quindi lo ucciderebbe senza esitare.

      L’agente alza le mani. Hugh gli prende l’arma, poi si fa dare la chiave delle manette e se le toglie.

      Il resto è semplice. I due agenti sono costretti a spogliarsi ed i due prigionieri si mettono i loro abiti. Li ammanettano, li imbavagliano e scendono. Richiudono il furgone. Due poliziotti in divisa che scendono da un furgone. Niente di strano. Purché gli altri non li vedano dalla sala dove stanno mangiando.

      Jeff si guarda intorno. Ci deve essere Charles, da qualche parte. Eccolo lì, a pochi metri, che fa finta di guardare una carta, appoggiato contro la portiera dell’auto.

      Jeff si avvicina con aria indifferente. Quando gli è davanti, gli punta la pistola allo stomaco.

      - Sali, senza dire una parola. Se gridi sei un uomo morto.

      Charles finge di essere impaurito. Obbedisce. In auto cerca di spiegare. Appare frastornato.         

      - Ma agenti, non ho fatto nulla…

      - Non siamo agenti e se non vuoi che ti ammazziamo, metti in modo e dirigiti verso sud.

      Charles obbedisce. Sembra terrorizzato, è un bravo attore. È una parte rischiosa, la sua. Sa che Jeff non gli torcerà un capello, ma Hugh Fraser è armato e non è certo uno che vuole lasciare testimoni.

      Lasciano l’autostrada alla prima uscita.

      Dopo qualche chilometro Jeff gli intima di fermarsi. È una località isolata.

      Jeff prende le chiavi e la dà a Hugh.

      - Adesso scendi.

      Charles obbedisce.

      - Avanti, cammina.

      Fanno pochi passi. Jeff ha la pistola puntata contro la schiena di Charles. Poi Jeff spara, tre colpi. Charles lancia un grido che si spegne subito e crolla a terra. Jeff lo trascina dietro una roccia. Mormora:

      - Tutto OK?

      - Sì. In bocca al lupo, Jeff.

      Jeff gli sfila il portafogli dalla tasca dei pantaloni, poi torna all’auto. Ha del sangue sulla pistola e sulla mano: oltre al giubbotto antiproiettile, Charles aveva una casacca di quelle che usano gli attori, con le sacche di sangue.

      - Ci sono dei fazzoletti di carta? Devo pulirmi la mano.   

      Fraser cerca nel cruscotto e li trova. Glieli passa:

      - Adesso hai un altro omicidio. Se ti beccano, sei spacciato.

      - Se mi beccano, sono spacciato comunque, anche se non capiscono che questo l’ho ammazzato io. Però…

      Fa una pausa e ghigna, poi riprende:

      - … io dico che l’hai ammazzato tu. Tanto anche tu non hai molte possibilità di cavartela.

      Fraser ride.

      - Stronzo!

      - Adesso è meglio che ci togliamo le divise. Ormai mezza polizia dello stato starà cercando una macchina con due poliziotti. Figurati se qualcuno non ci ha visti salire in auto.    

      - Pensi che ‘sto tizio avesse degli altri abiti?

      - Guardava una carta. Magari era in viaggio. Adesso è arrivato a destinazione.

      Aprono il bagagliaio. C’è davvero una valigia, come Jeff sapeva benissimo. Jeff nuota negli abiti, che però gli stanno un po’ corti. Prende un paio di jeans, quelli in cui sa che c’è la scheda telefonica che gli serve. Invece a Fraser gli abiti di Charles vanno a pennello: è anche lui tracagnotto.

      - Cazzo, si direbbe che te li abbia fatti il sarto.

      Si rimettono in auto. Fraser sembra non avere sospetti. E perché dovrebbe averli? Jeff lo ha fatto scappare ed ora sono liberi. Ma tutta l’operazione era molto pericolosa, prima per i due agenti sul furgone, poi per Charles, oltre che per Jeff, naturalmente. Adesso Jeff può rilassarsi: non mette più a repentaglio la vita di nessuno, a parte la propria, naturalmente, ma non è un problema, è il suo lavoro.

      Jeff rischia molto di più della pelle, ma questo ancora non lo sa.

 

      Adesso si avvicina un momento cruciale. Perché tutta la manovra serviva per agganciare Fraser ed entrare negli Amici dalla porta principale. E se Fraser si limitasse a ringraziarlo ed a salutarlo? Jeff rimarrebbe con le pive nel sacco, dopo aver fatto scappare uno dei capi degli Amici.

      È il momento di parlare, ma Jeff preferisce che sia Fraser ad incominciare. Ed infatti è lui a dire:

         - Che piano hai?

      - Che piano ho? Cazzo! Mi sembra che sia ora che faccia qualche cosa anche tu, no? Ti ho tirato fuori da quel furgone, ti ho procurato una macchina ed abiti che ti vanno pure bene. Mi sembra di aver fatto la mia parte, no? O sei uno che quando va al cesso gli altri devono pulirgli il culo?     

      Fraser ride. È uno che ha il senso dell’umorismo. Certo, se sapesse chi è Jeff, tirerebbe fuori la pistola che ha preso all’agente e lo farebbe secco sul momento.

      - Mi sembravi così ricco di idee…

      - Va bene, OK, se vuoi scendere qui, puoi fare l’autostop alla prima macchina della polizia che passa. Io proseguo con le mie idee, tanto quest’auto me la sono procurata io, no?

      Il tono di Jeff è chiaramente ironico.

      - Va bene, ho capito. Mi passi la palla. Allora dirigiti verso Barstow. Io faccio una telefonata.

      - Con il cellulare dell’agente? Non è che risalgono alla nostra posizione in dieci minuti?

      - Non hanno ancora avuto il tempo per organizzarsi. E tanto sanno che siamo in zona.

      - Può darsi, ma sarebbe meglio se prendessi quello di questo tipo che abbiamo fatto secco. Di sicuro non sanno ancora chi è.

      Il cellulare di Charles è nella giacca, come Jeff sa benissimo.

      - E dov’è?

      - Addosso non l’aveva, solo il portafogli. Guarda in tasca alla giacca.

      Fraser prende dal sedile posteriore la giacca ed in effetti in tasca c’è il cellulare. Quello che Fraser non sospetta è che quel telefono è costantemente sotto controllo: finché rimarrà acceso, la polizia potrà seguire i loro movimenti e saprà a chi telefonano. Servirà a poco, la scheda verrà senz’altro tolta molto presto, ma è già un primo passo.

          Fraser compone un numero.

      - Sono Fraser. Sono evaso. Siamo a Barstow tra meno di due ore. Da Gary.

      Un silenzio, poi Fraser riprende:

      - Non ora. È meglio che non usi a lungo questo telefono. È di un uomo che è stato ammazzato. Senti, siamo in due. L’altro è un amico. Devo disfarmi anche dell’auto.

      Fraser spegne il telefono. Jeff chiede:

      - Che piano hai?

      Fraser ride di nuovo.

      - L’avevo fatta io questa domanda!

      - Sì, ma io non ho risposto, così è rimasta libera ed adesso la utilizzo io.

      Fraser annuisce. Poi parla. Nel suo tono non c’è più traccia di ironia.

      - Ascoltami bene, Jeff. Sei un tipo maledettamente in gamba e mi hai fatto un favore grosso come una casa. Io posso aiutarti a scomparire, se vuoi. Soldi, documenti falsi, un passaggio per il Messico o per il Canada o per dove cazzo vuoi…

      C’è una pausa. Jeff sa che la parte interessante viene adesso.

      - … oppure posso proporti di lavorare con noi. C’è da guadagnare molto, c’è da rischiare la pelle e c’è da ubbidire ciecamente. Anche se mi hai tirato fuori dal carcere, incominci da zero. Uno come te sa farsi strada in fretta, ma attenzione: al minimo errore ti facciamo secco. Con noi non si sgarra.

      Jeff non risponde subito, come se stesse meditando. Dopo un po’ dice:

      - Se mi prendo un incarico, lo porto a termine. A qualunque costo. Ma deve valerne davvero la pena.

      - Quanto a quello, non avrai da lamentarti.

      - OK. Se è come dici, per me va bene.

      È fatta, è filato tutto liscio.

 

      A Barstow arrivano in meno di due ore, come previsto da Fraser. Avrebbero potuto metterci molto di meno, ma non era proprio il caso di farsi fermare dalla polizia per eccesso di velocità.

      La casa è alla periferia, un po’ isolata, tra un capannone industriale ed un terreno incolto.

      Quattro uomini li aspettano. Mentre uno di loro li accompagna dentro, altri due controllano l’auto, svuotandola completamente ed infilando tutti gli oggetti in un sacco dell’immondizia. Jeff sa che anche l’auto verrà eliminata in qualche modo, distrutta o rivenduta in Messico, con il numero del telaio cancellato. Prende il portafogli di Charles e toglie le carte di credito e la patente: se lui avesse davvero ucciso Charles, quel materiale andrebbe eliminato, per cui sarà tutto distrutto.

     

      La casa è molto grande. A Jeff assegnano una stanza e Fraser gli dà le istruzioni:

      - Vedremo poi che cosa farti fare. Intanto rimani qui. Per una settimana è meglio che non metti il muso fuori, saremo ricercati dalla polizia di tutta la California ed oltre. Ti cambiamo un po’ i connotati…

      - Eh no! - Jeff interviene ridendo - Ci ha già pensato Casperson e preferisco evitare un’altra ripassata.    

      - No, scemo! Ti facciamo tagliare i capelli, ti fai crescere la barba e con un paio di occhiali scuri sei perfetto.

      Jeff può farsi finalmente una bella doccia.

      Lavarsi con acqua calda è una meraviglia. Sotto il getto violento, Jeff ripensa alla giornata. Meglio di così non poteva andare. Certo, il grosso resta da fare: ora è nella tana del lupo e deve solo sperare che nessuno si accorga che lui è un cane da caccia. Ma la partenza è avvenuta con il piede giusto.

 

      Il giorno dopo gli procurano abiti della sua misura ed arriva il barbiere, che gli taglia i capelli molto corti, quasi a zero. Jeff si lascerà crescere la barba: un po’ più lunga intorno alla bocca, molto corta sulle guance. Così cambierà aspetto. Non moltissimo, ma abbastanza da non essere immediatamente riconoscibile. Il capo distribuirà ai giornali vecchie foto segnaletiche, poco utili per identificarlo, e farà fuoco e fiamme perché si cerchi Fraser. In fondo Jeff è un pesce piccolo.

      Nella casa vivono due uomini della banda, Jeremiah e Tim, ed ogni tanto passa qualcun altro. Fraser invece se ne va il mattino dopo il loro arrivo e non si fa più vedere. Da una frase di Tim, Jeff capisce che è a San Diego: logico, visto che gli Amici hanno la loro base principale là, al confine con il Messico, da cui arriva la droga.

     Con i suoi coinquilini, Jeff si mantiene sulle sue. Quando Tim, il più giovane dei due, gli chiede della fuga, racconta com’è andata. Poi fornisce qualche informazione generica (e fasulla) sul proprio passato, senza sbilanciarsi, cercando di dare l’impressione di non volerne parlare.  

      Non si mostra curioso, per non destare sospetti, e si limita a chiedere se hanno un’idea dei compiti che Fraser potrebbe affidargli. La risposta è generica:

      - Per uno in gamba, il lavoro non manca.

      Jeff non insiste. Chiede ancora:

      - Ma la paga è buona?

      Jeremiah annuisce. Jeff finge di pensarci su un momento, poi sbotta:

      - Certo che se rimango qui dentro ventiquattr’ore al giorno, non è che me ne farò molto dei soldi…

      Jeremiah ridacchia:

      - Ce li giochiamo a poker, i tuoi dollari…      

      Sono giornate di una noia mortale. I suoi compagni passano il tempo a guardare la televisione e qualche raro DVD e soprattutto ad ascoltare musica country. Jeff non è un patito del genere e le sue già scarse simpatie svaniscono definitivamente.

      L’altro aspetto dolente è la cucina. Non che Jeff sia un buongustaio, ma non di soli hamburger vive l’uomo (ci sono anche le patatine, direbbero i suoi compagni) e dopo un po’ quando vede un hamburger che si riscalda nel forno a micro-onde, Jeff ha degli improvvisi attacchi di depressione acuta.

      Gli piacerebbe molto prendere tutti i CD di musica country e metterli nel forno a micro-onde, tanto per vedere se riesce a liberarsi dell’uno e degli altri, ma non è il caso di farsi dei nemici inutilmente. Comunque non ne può più. Gli altri almeno possono uscire, fare due passi, mangiare fuori (da McDonald’s, naturalmente), lui deve stare rintanato, peggio di un orso in letargo. Potesse davvero dormire fino a quando non potrà uscire!

      In un’unica occasione, quando rimane solo in casa, Jeff telefona al suo capo, con un telefonino che gli hanno lasciato a casa ed una scheda che tiene nascosta in una cucitura dei pantaloni, e gli dice dove si trova. Richiamerà quando avrà qualche cosa da dire. La sera nota che uno dei due uomini controlla le chiamate effettuate sul telefonino, ma Jeff ha rimesso a posto la scheda, la sua chiamata non risulta.

      Una settimana dopo il suo arrivo, un fotografo viene a scattare qualche foto a Jeff, che si ritrova con una patente a falso nome. Tra poco incomincerà a lavorare davvero per gli Amici. Cazzo, sarebbe ora! 

 

      Tre giorni dopo Jeremiah accompagna Jeff a San Diego. È una città che Jeff conosce bene, ma dove non è conosciuto e non rischia di incontrare un amico per strada: condizioni ideali per lavorare con una falsa identità.

      Jeff è contento di incominciare: non è tipo da reggere a lungo l’inattività ed i dieci giorni a Barstow lo hanno messo a dura prova.

      A San Diego lo accoglie un certo Freddie, un tizio sui quaranta-quarantacinque. Ha un viso largo, incorniciato da una corta barba nera, abbastanza simile a quella che ora ha Jeff: cortissima sulle guance, più lunga e fitta intorno alla bocca. Molto stempiato, porta i capelli rasati quasi a zero. Ha un corpo robusto e sicuramente alquanto peloso, viste le braccia da gorilla, che la camicia con le maniche rimboccate lascia vedere. A Jeff i gorilla non dispiacciono (in fondo sono cugini degli orsi), ma Freddie ha il vizio di sputacchiare mentre parla e questo al nostro agente dà alquanto fastidio.

      - E così tu sei l’uomo che ha liberato Fraser. Complimenti, Fraser ci ha detto che sei stato davvero bravo.

      - Grazie.

      - Però bada, adesso conta quello che farai, non quello che hai fatto. Non pensare di poter sgarrare o prenderti qualche libertà solo perché hai fatto scappare uno dei capi.

      Jeff annuisce.

      - Lo so. Ho deciso di lavorare con gli Amici e intendo farlo sul serio.

      Freddie sembra contento della risposta.

      - Bene. Lavorerai con Ramón, per un po’, così vediamo come te la cavi. Domani mattina accompagnerete Kurt nel suo giro di distribuzione e poi domani sera farete un po’ di ronda. Ma i dettagli te li darà Ramón stesso.

      - Va bene.

      Freddie prende da un cassetto un telefonino ed un fascio di banconote.

      - Tieni questi. Sono per le spese ordinarie. Se hai bisogno di qualche cosa per gli extra lo dici a me. Eccoti il cellulare. Evita di usarlo per chiamare la ragazza o gli amici. Adesso ti do il mio numero, ma non lo usare se non ne hai bisogno davvero. Non scrivertelo da nessuna parte e non metterlo nella rubrica del telefono. Lo cambio spesso, ma è bene essere prudenti. D’accordo?

      - D’accordo.

      Jeff non si mette a contare, ma la mazzetta è bella spessa e sono biglietti da cento. Niente male, considerando che lui non ha fatto niente fino ad ora. Proprio niente no, ha fatto scappare Fraser, non è poco.

      - Adesso Lou ti porta da Ramón.

      Freddie chiama e nella stanza entra Lou. Piuttosto alto, magro, Lou ha una faccia che non deve mai essere stata bella, con la fronte bassa, gli zigomi sporgenti, un occhio che guarda a destra e l’altro a sinistra. La lunga cicatrice che ora la percorre, dal mento all’orecchio destro, certamente non ha migliorato l’estetica.

      Lou è un grande chiacchierone e nel percorso in auto spiega dettagliatamente la situazione. Jeff ascolta con attenzione, ma sa già come stanno le cose: prima di partire in missione si è studiato i diversi dossier della polizia di stato. La lotta tra gli Amici e los Santos volge alla fine, ma si sparerà ancora: gli Amici hanno intenzione di impadronirsi di tutto il territorio, non intendono spartire niente con nessuno, e los Santos possono solo scegliere se preferiscono tagliare la corda verso il Messico, come conigli, o crepare. Quelli che resistono, sono uomini morti. Ma secondo Lou ormai los Santos si stanno cagando addosso, molti si sono dileguati, non hanno coglioni. Si stanno ritirando a Tijuana, oltre il confine con il Messico, dove stanno i loro alleati, il cartello degli Arellano. Gli Amici invece fanno affari con i rivali degli Arellano, il cartello di Sinaloa. In Messico si ammazzano tra Arellano e Sinaloa, una vera mattanza. Qui, a pochi chilometri dal confine, tra gli Amici e los Santos, ma questa battaglia è quasi conclusa. Qualcuno, più furbo degli altri, ha fatto il salto del muro ed ora sta dalla loro parte.

      - Ramón è uno che ha capito da che parte stare. Ha lasciato perdere i vecchi amici ed è venuto a cercare gli Amici veri. Noi lo abbiamo accolto, perché Ramón è uno con i coglioni.

      Quindi, pensa Jeff, Ramón stava con los Santos, ma poi, visto che il vento stava girando, ci ha ripensato. Il classico voltagabbana. Se avesse fatto il contrario, Lou lo vitupererebbe, ma così va bene, è passato dalla parte giusta.

 

      Raggiungono il palazzo dove vive Ramón, un edificio piuttosto degradato, in un quartiere popolare. Salgono a piedi i tre piani, scansando i rifiuti ed i detriti sparsi lungo le scale. Lou spiega:

      - Questi appartamenti ci servono da rifugi provvisori. Ci si rimane solo due o tre notti. Anche voi ci starete poco.

      Lou sorride. A Jeff sembra che ghigni, ma forse in quella faccia sfigurata anche il sorriso appare sinistro.

      Lou suona e dice il suo nome. Ramón apre la porta. È un bel meticcio, giovane, più ancora di Jeff, capelli neri ed occhi scuri, belle labbra carnose. Ramón gli lancia un’occhiata e gli sorride. Un sorriso cordiale.

      Jeff saluta e si presenta, poi si guarda intorno. L’appartamento è piccolissimo: una stanza con due letti, un tavolo, un armadio senza uno dei battenti e nell’angolo una cucina a gas che non deve essere stata usata dalla guerra di Corea; oltre una porta spalancata si vede il bagno.

        Lou se ne va, lasciando Ramón e Jeff da soli. Non hanno nulla da fare, questa sera: sono di turno domani.

        - Dove posso mettere le mie cose?

        Non è una domanda molto acuta, considerando il mobilio alquanto ridotto, ma magari serve a rompere il ghiaccio.

        - Guarda nell’armadio.

     Nel mobile c’è un borsone che probabilmente appartiene a Ramón. Viste le condizioni di pulizia, Jeff si dice che è meglio non svuotare la sacca e l’appoggia così com’è su un ripiano.

      Ramón si stende sul letto. Non sembra in vena di fare conversazione, Jeff non vuole mostrarsi curioso: sa che per conquistare la fiducia non bisogna avere fretta di ottenere informazioni. Chi fa troppe domande desta sospetti.

      - Senti, fa un caldo della malora. Mi faccio la doccia.

      - OK.

      Ramón è davvero di poche parole.

      Jeff prende dalla borsa un asciugamano e si spoglia. Scarpe, maglietta, pantaloni, slip. Mentre si volta per andare in bagno, vede che Ramón lo fissa. Gli sorride e prosegue.

      Non chiude la porta. Entra nella doccia e mentre piscia nello scarico gira il rubinetto. Acqua appena tiepida, quasi fredda. Rimane un buon momento sotto il getto che lo rinfresca, poi chiude ed esce. Si asciuga alla bell’e meglio: ci penserà l’aria calda a finire di asciugarlo: ormai l’estate è in arrivo e San Diego non è uno dei posti migliori del mondo in estate, anche se c’è il mare.

 

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         Jeff torna nella stanza.

         Ramón è ancora disteso sul letto. Ora è nudo e lo guarda. È uno sguardo deliberato, che non si nasconde.

      Che cosa ha in testa Ramón? Quello sguardo ha un significato preciso, difficile che si sia spogliato solo per il caldo. Se è davvero come pensa Jeff, va bene. In primo luogo perché una maggiore intimità tra lui e Ramón può aiutarlo a ricavarne qualche informazione in più e questo è l’essenziale. In secondo luogo perché comunque scopare con un bel ragazzo non fa schifo, neanche in missione.

      Ma Jeff non vuole essere quello che farà il primo passo. Troppo rischioso. Tanto più che Ramón è chiaramente messicano (o almeno latino-americano) e tra i chicanos l’omosessualità è considerata una vergogna. Pochi ammetterebbero di essere gay, anche di fronte a se stessi.

      Jeff sorride a Ramón, un sorriso aperto, franco. Ramón lo leggerà come vuole: se vuole scopare, vi leggerà una disponibilità che in effetti c’è; se invece ha altro per la testa, il sorriso non è compromettente.

      Ramón si mette a sedere sul letto.

      - Vieni qui, gringo.

      Jeff ubbidisce. Non rimangono molti dubbi, ma Jeff preferisce essere prudente.

      - Hai un bel cazzo, gringo.

      Jeff sorride. Continuare a tacere potrebbe essere interpretato come un rifiuto. Ma Jeff non si sbilancia, anche se sul comodino è comparso un preservativo che prima non c’era. Risponde, sempre sorridendo:

      - A qualcuno piace, in effetti.

      - Anche a me piace.

      Jeff è davanti a Ramón e non si stupisce quando l’uomo glielo prende in bocca.

      Un approccio molto diretto. Perfettamente normale in una sauna gay. Ma loro due fanno parte di una banda di narcotrafficanti ed a Jeff i conti non tornano.

      La bocca di Ramón è calda ed accogliente. La lingua di Ramón si muove agile intorno alla cappella, come se fosse un bel cono di gelato. Le labbra scorrono, i denti mordicchiano. Un po’ troppo.

      Jeff molla uno scappellotto.

      - Piano, piano.       

      - Ok, ok.

      Ramón non sembra molto esperto, però è volenteroso. Jeff non scopa da diversi giorni, da quando Derek ha fatto la sua parte, anche lui con la bocca, per cui gli va benissimo così. Dopo due settimane d’astinenza gli andrebbe bene anche un gorilla (di quelli dello zoo, non Freddie: Freddie sarebbe grasso che cola).

      Ramón fa girare la lingua, muove la bocca avanti e indietro, inghiottendo il pane caldo di Jeff fin quasi in fondo, per poi lasciarlo, più umido e più grande.

      Jeff accarezza la testa di Ramón, gli passa le dita tra i capelli, dietro un orecchio, sulla nuca. Si china in avanti e le sue mani scorrono sulla schiena di Ramón. Jeff si chiede perché Ramón non lavori anche un po’ con le mani, che pendono inerti.

      - Su, accarezzami un po’ il culo.

      Ramón solleva le braccia e le sue mani si posano sulle cosce di Jeff, poi risalgono, lentamente, un po’ incerte, verso le natiche.

      “Cazzo, se è imbranato, questo!” - pensa Jeff. Ma anche se Ramón non è esperto, la sensazione di quelle labbra e di quella lingua intorno all’uccello è quanto mai piacevole.

      - Dai, stringi con ‘ste dita.

      Ramón prende a piene mani, le sue dita affondano nel culo di Jeff, mentre la sua bocca continua a lavorare.

      Ora l’asta di Jeff è sull’attenti. Ramón la lascia e la guarda. Sembra soddisfatto del risultato ottenuto. Intenderà mica mollarlo lì, così?

      Ma Ramón si stende sul letto, a pancia in giù, ed allarga leggermente le gambe.

      - Datti da fare, gringo!

      Jeff non intende certo tirarsi indietro, ma è perplesso. Questa disponibilità di Ramón a farsi infilzare è alquanto strana. Ramón stava in una banda di messicani, in cui certamente un comportamento del genere non sarebbe stato accettato. E non è detto che lo sia tra gli Amici. Come fa ad essere sicuro che Jeff non si vanterà di averlo inculato?

      Jeff non è in grado di darsi risposte, il culo di Ramón è alquanto invitante e l’uccello piuttosto impaziente, dopo il lavoro preparatorio a cui è stato sottoposto, per cui l’agente lascia perdere, prende il preservativo e se lo infila. Guarda il corpo disteso sul letto. È un po’ tozzo, ma il culo è bellissimo.

      Gli piace questo tizio, gli piace anche l’odore di sudore che sente.

      Jeff si stende su Ramón. Non perde tempo in carezze, morsi ed altri gesti: ha l’impressione che Ramón voglia andare subito al sodo e quanto ad essere sodo, il suo uccello lo è, senza dubbio. Jeff si limita ad inumidire un po’ l’area in cui tra poco vi sarà un’incursione in profondità.       

      Quando però cerca di introdurre un dito nell’apertura, per inumidirla bene, la carne non cede. Questa resistenza lo stupisce: si direbbe quasi che Ramón non se lo sia mai preso in culo. Ma questo non è possibile, si è offerto lui, senza nessuna pressione da parte di Jeff.

      La pressione c’è ora, contro le pareti del culo di Ramón, quando Jeff introduce la punta. Jeff avverte però una forte tensione nel corpo di Ramón ed arretra.

          - Rilassati, altrimenti ti farà male.

      Jeff accarezza nuovamente l’area con le dita umide, infila un'altra volta un dito, bagna bene, poi si stende su Ramón e dà inizio alla seconda avanzata: la ritirata di prima era solo una mossa strategica, le truppe con le armi pesanti non hanno nessuna intenzione di lasciare il campo.

      Jeff entra con lentezza, si ferma per permettere a Ramón di abituarsi all’ospite atteso, ma evidentemente non abituale. Poi penetra a fondo.

      È una bella sensazione: dalla scopata con Bart Jeff non ha più gustato un bel culo e questo è giovane e forte, una carne calda e solida, che avvolge completamente l’uccello di Jeff.

      Ramón si è rilassato e Jeff lavora in scioltezza, avanzando ed arretrando leggermente. Poi va progressivamente aumentando il ritmo, che diviene sempre più intenso e martellante. Le mani poggiate sul letto, sollevandosi un po’ sulle braccia, Jeff mena gran colpi con il martello: non gli mancano l’energia e la voglia ed il suo arnese lavora con forza e decisione.

      Jeff va avanti a lungo, con quella resistenza che viene sempre molto apprezzata. Ramón non dice nulla, non sembra partecipare.

      L’eccitazione cresce ancora, come una bolla che si gonfia a dismisura. Infine esplode nel grande getto finale. Jeff sente il piacere riempirlo e, dopo aver dato ancora due ultime spinte, si affloscia sul corpo che ha posseduto.

      Jeff rimane un momento fermo, tenendo lo spiedo infilato nel corpo di Ramón. Poi, senza staccarsi, si gira di lato e fa girare anche Ramón. Con una mano gli accarezza la nuca, ma questi si dimostra insofferente: dev’essere il tipo che non ama scambi di tenerezze. A Jeff va benissimo così. Fa scendere una mano lungo il torace ed il ventre, fino al sesso, che non è sull’attenti, ma neppure completamente a riposo.

      Jeff afferra l’arma con la mano ed incomincia a percorrerla vigorosamente. L’uccello si alza in volo quasi subito e Jeff sente nella mano quella bella asta calda e forte. Gli piace, è una bella sensazione. Jeff prosegue il suo lavoro, fino a che il fiotto non prorompe, spargendosi sul lenzuolo.

      Rimangono un momento di silenzio, poi Ramón si stacca e dice:

      - Ci sai fare, gringo. Sei bravo a fare le seghe.

      C’è una sfumatura di disprezzo nella voce di Ramón. Jeff non capisce. Sì, lui gli ha fatto una sega, ma Ramón se l’è preso in bocca ed in culo. Che cazzo vuole dire quella frase? Jeff non replica.

      La cavalcata è stata lunga ed intensa, anche se il cavallo si è lasciato montare senza opporre resistenza, e fa piuttosto caldo. Jeff è di nuovo sudato. Un’altra doccia ci vuole proprio.

      - Io mi faccio un’altra doccia. Vieni anche tu?

      Ramón scuote la testa e sorride. C’è qualche cosa di indefinibile in quel sorriso, qualche cosa di sfuggente, che a Jeff non piace. Ma è solo una sensazione.

      Jeff passa in bagno. Apre l’acqua. Si sente a disagio, qualche cosa non lo convince, non sa che cosa, ma la situazione non gli va a genio. Ha la sensazione di aver fatto male a lasciare Ramón da solo nella camera. Non saprebbe dire il perché, ma in tutta quella faccenda nulla quadra. Esce dalla doccia e si asciuga in fretta.

      In quel momento bussano alla porta. Cazzo! Niente di buono. Chi può essere? La polizia? Sarebbe un bel casino. Los Santos? Probabilmente non busserebbero, avrebbero sparato alla serratura ed a quest’ora sarebbero tutti e due morti. Jeff si è messo l’asciugamano ai fianchi e passa rapidamente nella camera. Ramón è in piedi, a lato della porta, la pistola in pugno. Indossa solo i pantaloni.

      - Chi è?

      Jeff ha preso la pistola e si sta mettendo dall’altra parte della porta, quando sente la voce di Freddie e si blocca.

         - Sono Freddie, Ramón. Sono con Lou. Muoviti ad aprire.

      Jeff posa la pistola. Ramón abbassa l’arma ed apre la porta. Ma non sembra soddisfatto di quella visita.

      Freddie entra, saluta Ramón  e si rivolge a Jeff:

      - Tu devi venire con noi. Vestiti e prendi le tue cose.     

      Jeff annuisce, senza nascondere il suo stupore. La faccenda non gli piace, per niente. Lo hanno messo con Ramón un’ora fa, poco più, ed adesso già lo spostano! Perché? Il capo ha detto che non avrebbe parlato a nessuno della sua missione. Possono averlo scoperto? In questo caso cazzi acidi, come direbbe Stanton. E se non è così, perché lo spostano?

      Brutta storia, ma Jeff sa di non avere scelta. Si riveste rapidamente. La sacca non l’ha nemmeno svuotata: deve solo recuperare l’asciugamano. In due minuti è pronto.

      Ramón ha posato la pistola e si è di nuovo disteso sul letto. Jeff gli lancia un’ultima occhiata: davvero un bel ragazzo. Però ora sembra a disagio. Perché? Ne sa più di Jeff su quello che sta accadendo? In ogni caso è difficile che ne sappia di meno: Jeff non ci capisce una mazza.

      Jeff si dirige alla porta. Si volta e sorride a Ramón.

      - È stato un piacere fare la tua conoscenza, Ramón. Alla prossima.

      Non ci sarà una prossima, tra un attimo Jeff lo scoprirà.

      Appena Jeff è sulla porta, Freddie e Lou estraggono le pistole ed incominciano a sparare. Il corpo di Ramón sussulta, mentre le pallottole gli aprono fori nel torace e nel ventre ed il sangue schizza da tutte le parti.

      Jeff assiste, impietrito. Che può fare? Difendere Ramón e farsi ammazzare? E perché mai?

      In un attimo tutto è finito. Jeff è ancora sulla porta. Ed a questo punto tocca a lui chiedere:

      - Che cazzo significa, ragazzi?

      Freddie sorride.

      - Dopo, Jeff, dopo. Ora togliamoci di qui.

         Scendono in fretta. C’è un’auto ferma, con il motore acceso. Salgono. Allora Freddie spiega:

      - Quel pezzo di merda faceva il doppio gioco. Stava ancora con los Santos. Gli ha passato le informazioni per sorprendere e far fuori un po’ dei nostri, ma non è stato abbastanza furbo.

      Interviene Lou.

      - Saranno i suoi amici a fare una brutta fine. La stessa che facevi tu, se non intervenivamo noi. Ti faceva secco tra non molto. Puoi dirci grazie, ragazzo. Rischiavi di finire come è finito lui, con tanti bei fori in pancia.

      Jeff annuisce. Ed intanto riflette. I pezzi vanno facilmente al loro posto.

      Ecco perché Ramón si è fatto inculare senza porsi problemi: perché Jeff non l’avrebbe raccontato a nessuno, contava di farlo secco in serata. Quel figlio di puttana voleva provare qualche cosa di nuovo, che in qualche modo lo attraeva, senza correre il rischio che si venisse a sapere. Quale modo migliore che farlo con uno che poi ammazzi?

      Rimane da capire perché lo hanno messo con Ramón, se avevano già intenzione di farlo secco. Ramón avrebbe potuto ammazzarlo. Ma non occorre chiedere, Jeff sa benissimo come stanno le cose: volevano che vedesse e capisse come finiscono quelli che tradiscono gli Amici. Jeff lo sapeva già, come tutti, ma vederlo con i propri occhi è sempre una buona lezione. E se poi Ramón avesse anticipato i tempi e l’avesse fatto secco prima dell’arrivo della squadra di salvataggio, pazienza, non sarebbe stata una grande perdita per la banda, non aveva neanche incominciato a lavorare. Stronzi! E quella faccia da culo di Lou ha anche il coraggio di dire che Jeff dovrebbe ringraziarli. Grazie al cazzo! Due volte stronzi! Ecco perché Lou ghignava, dicendogli che non sarebbero rimasti a lungo nell’appartamento.

      Comunque il lavoro è davvero dei migliori: stavano già per farlo secco la prima sera. Proprio promettente, se il buon giorno si vede dal mattino... non rischia di annoiarsi.

 

 

 

 

 

 

 

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