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   3.       Jeff
  partirà domani. Hugh tra tre giorni. Questo almeno crede Hugh, questo finge
  di credere Jeff. Ma l’agente sa benissimo che partiranno insieme, perché
  insieme devono fuggire.       In
  effetti vengono a chiamare Fraser. Lo accompagnano da Casperson.
  Ritorna poco dopo.       -
  Vuoi avere una bella notizia?       Jeff
  è disteso sul letto. Lo guarda in tralice.       -
  Casperson è morto? Un infarto? Un ictus?        Hugh
  scuote la testa.       -
  Lo hanno sostituito?       -
  No, no, no.       -
  Va bene, mi arrendo. Fuori il rospo.         -
  Domani parto con te. Hanno deciso di risparmiare sui trasporti, sai com’è, la
  crisi economica e tutto il resto. Facciamo il viaggio in compagnia.       Jeff
  si alza di scatto, come se la notizia fosse stata un fulmine a ciel sereno, e
  si mette a sedere. Fraser lo guarda sorpreso dalla sua reazione.       -
  Che c’è?        -
  È davvero una bella notizia, Hugh. Forse riesco a realizzare quello che ho in
  testa. Diciamo che almeno ho una possibilità in più.       -
  Che cosa stai pensando?                -
  Aspetta. Non c’è ancora niente di definito. Ma in due forse ce la facciamo.
  Lasciami pensare.       Jeff
  si stende nuovamente sulla cuccetta.       Fraser
  non chiede più nulla. Sa aspettare.       Due
  ore dopo li chiamano per dare loro alcune istruzioni sul trasferimento.       Casperson è sul percorso. Jeff lo guarda, senza abbassare
  gli occhi. Quando arriva davanti a lui, Casperson
  gli dice:       -
  Stai per andartene, eh, pezzo di merda!? Ma finirai con una siringa nel
  braccio.         
  Jeff allora sputa a terra, proprio davanti alle scarpe dell’agente.        Il
  pugno arriva subito e Jeff si piega in due. Mentre cerca di recuperare il
  fiato, Casperson fa segno a due agenti, che
  prendono Jeff e lo portano nell’ufficio del responsabile.       Nell’ufficio
  Jeff rimane un’ora buona. Hanno diverse cose da discutere, lui e Casperson, per domani. Quando ne esce, o, per essere più
  esatti, quando due agenti lo trascinano fuori, ha sangue sulla faccia e sugli
  abiti e non è in grado di reggersi in piedi.       Lo
  riportano alla cella e lo lasciano a terra. Questa volta Hugh lo aiuta a
  stendersi sulla cuccetta.       -
  Sei una testa di cazzo, Jeff. Perché hai provocato Casperson?
  Ti piace farti menare? Ti viene duro?       Jeff
  non ce l’ha duro: troppo forti i colpi, l’eccitazione è durata poco. Respira
  a fatica, ma parla.       -
  Era necessario, Hugh. Io non voglio arrivare in California…
  non in un furgone della polizia, almeno. Perché non ho voglia di finire con
  l’iniezione. Questo era il primo passo.       -
  Che hai in mente?       -
  Tra mezz’ora chiami l’agente, dici che sto male, che sto delirando, e che mi
  devono portare in infermeria.       -
  E poi?       -
  E poi lascia fare a me.       -
  Non ti fidi?       Jeff
  lo guarda. Annuisce.       -
  Mi fido, ma adesso questo è quanto puoi fare. Domani è un’altra faccenda. Se
  questa parte va bene, ti spiego. Altrimenti è inutile.       Dopo
  un po’ Jeff incomincia a dire frasi senza senso. Hugh chiama le guardie.       -
  Questo sta crepando, Casperson l’ha ammazzato.                 L’agente
  sembra dubbioso.              -
  Non crepa per così poco.       -
  Ma non lo senti? Delira! E guardagli la faccia! Tra un po’ tira le cuoia.       Arrivano
  con una barella, ci caricano sopra Jeff e lo portano in infermeria. Il medico
  non si lascia commuovere: si limita a far pulire ad un infermiere la faccia
  di Jeff ed a dare una controllata a polso, cuore e polmoni. Jeff sembra
  recuperare un po’ di lucidità ed il dottore lo rimanda in cella.       In
  infermeria non è rimasto molto. Hugh lo guarda, scettico.       -
  Ed allora? A parte farti pulire la faccia, hai ottenuto qualche cosa?       Jeff
  sorrise, anche se gli fa male il labbro. Si infila la mano nelle mutande e ne
  tira fuori delle pastiglie ed un ferro. Glieli ha dati Casperson,
  ma questo Hugh non lo sa, pensa certamente che Jeff li abbia presi in
  infermeria.       -
  E che te ne fai?       - Le pastiglie mi faranno alzare la
  temperatura, domani mattina quando mi caricano sul furgone sembrerà che abbia
  la febbre alta. Il ferro è per le manette.       -
  Spiegami.       -
  Domani starò malissimo, non sarò in grado di camminare, dovranno trasportarmi
  di peso. Durante il viaggio farò finta di stare sempre peggio, mi piscerò
  addosso. Mi crederanno febbricitante e non si preoccuperanno molto di me. Mi
  libererò dalle manette.       -
  Ed allora? Ci saranno almeno quattro agenti dietro e due davanti.       -
  Il viaggio è lungo. Ci fermeremo a mangiare. Quando saremo vicini alle meta,
  si rilasseranno. Scenderanno per cenare, non ne rimarranno più di due ed
  agiremo allora.      
  - Mi sembra una follia.       -
  Può essere. Hai un’altra proposta?       Fraser
  scuote la testa.       -
  Io no. Mi sembra una follia, ripeto, ma se posso darti una mano, non mi tiro
  indietro. Non ho nessuna voglia di affrontare un processo in California con
  quel bastardo di Barrough che vuole la mia testa.       L’indomani
  mattina Jeff ha davvero la febbre alta: le pastiglie hanno fatto effetto. Tra
  alcune ore però la temperatura ritornerà normale. Gli agenti lo caricano su
  una barella per portarlo al furgone. Uno propone di chiamare un medico, ma
  gli altri non vogliono perdere il tempo: il viaggio è lungo.        Dopo
  due ore, prima che l’effetto delle pastiglie cali, Jeff svuota la vescica. Il
  poliziotto seduto vicino a Jeff si alza.       -
  Oh, merda! Questo si sta pisciando addosso.       Gli
  altri guardano. Uno ridacchia. Nessuno fa niente.        Hugh
  interviene:       -
  Questo crepa prima di arrivare a destinazione.       -
  Fatica risparmiata per il boia!       Hugh
  non dice più nulla.       Ogni
  tanto Jeff straparla.       Quando
  si fermano per mangiare un boccone, scendono solo tre degli agenti e gli
  altri tre rimangono con i prigionieri. Poi si danno il cambio. Jeff spera che
  non sia così anche questa sera, perché in quel caso il piano rischia di
  andare a puttane.        Ripartono.
  Gli agenti sono più rilassati, ora. Il viaggio procede senza problemi, Jeff
  ogni tanto finge di delirare, ma non si muove. Fraser rimane tranquillo
  seduto. Ad un certo punto tocca la fronte di Jeff, poi dice:       -
  La febbre è calata. Secondo me sta tirando le cuoia.       -
  E piantala!       -
  E guarda, stronzo, si è di nuovo pisciato addosso!       Gli
  agenti non si muovono.       -
  Segno che è ancora vivo.               Fraser
  alza le spalle.         
  Scende il buio. Arriva l’ora di una seconda sosta.       -
  Questa volta voglio farmi un pasto decente.       -
  Anch’io. Tanto, tempo due ore e siamo arrivati.       Infine
  il furgone si ferma. Due degli agenti scendono, insieme ai due che stavano
  davanti. Richiudono la porta.       Jeff
  è immobile, girato verso la parete. Rapidamente con il ferro si libera dalle
  manette. Hugh si avvicina. Gli tocca la fronte. Poi lo scuote.       -
  Cazzo, questo è morto!       L’agente
  si avvicina. Si china su Jeff, che muove un po’ la testa.        -
  Ma che cazzo dici? Si muove ancora.       L’agente
  si volta. Hugh tocca appena la testa di Jeff, che scatta. In un attimo ha
  passato un braccio intorno al collo dell’agente, gli ha sfilato la pistola e
  tiene l’altro agente sotto tiro.       -
  Non ho niente da perdere: una parola ed ammazzo prima te, poi lui. Andiamo
  all’inferno insieme. Alza le mani.       L’agente
  esita un attimo. Sa benissimo che Jeff non vuole sparare, perché gli altri
  agenti sentirebbero ed accorrerebbero subito. Ma crede che davvero Jeff non
  abbia niente da perdere e che quindi lo ucciderebbe senza esitare.       L’agente
  alza le mani. Hugh gli prende l’arma, poi si fa dare la chiave delle manette
  e se le toglie.        Il
  resto è semplice. I due agenti sono costretti a spogliarsi ed i due
  prigionieri si mettono i loro abiti. Li ammanettano, li imbavagliano e
  scendono. Richiudono il furgone. Due poliziotti in divisa che scendono da un
  furgone. Niente di strano. Purché gli altri non li vedano dalla sala dove
  stanno mangiando.        Jeff
  si guarda intorno. Ci deve essere Charles, da qualche parte. Eccolo lì, a
  pochi metri, che fa finta di guardare una carta, appoggiato contro la
  portiera dell’auto.       Jeff
  si avvicina con aria indifferente. Quando gli è davanti, gli punta la pistola
  allo stomaco.       -
  Sali, senza dire una parola. Se gridi sei un uomo morto.       Charles
  finge di essere impaurito. Obbedisce. In auto cerca di spiegare. Appare
  frastornato.                 -
  Ma agenti, non ho fatto nulla…       -
  Non siamo agenti e se non vuoi che ti ammazziamo, metti in modo e dirigiti
  verso sud.        Charles
  obbedisce. Sembra terrorizzato, è un bravo attore. È una parte rischiosa, la
  sua. Sa che Jeff non gli torcerà un capello, ma Hugh Fraser è armato e non è
  certo uno che vuole lasciare testimoni.       Lasciano
  l’autostrada alla prima uscita.        Dopo
  qualche chilometro Jeff gli intima di fermarsi. È una località isolata.       Jeff
  prende le chiavi e la dà a Hugh.       -
  Adesso scendi.       Charles
  obbedisce.       -
  Avanti, cammina.       Fanno
  pochi passi. Jeff ha la pistola puntata contro la schiena di Charles. Poi
  Jeff spara, tre colpi. Charles lancia un grido che si spegne subito e crolla
  a terra. Jeff lo trascina dietro una roccia. Mormora:       -
  Tutto OK?       -
  Sì. In bocca al lupo, Jeff.       Jeff
  gli sfila il portafogli dalla tasca dei pantaloni, poi torna all’auto. Ha del
  sangue sulla pistola e sulla mano: oltre al giubbotto antiproiettile, Charles
  aveva una casacca di quelle che usano gli attori, con le sacche di sangue.       -
  Ci sono dei fazzoletti di carta? Devo pulirmi la mano.           Fraser
  cerca nel cruscotto e li trova. Glieli passa:       -
  Adesso hai un altro omicidio. Se ti beccano, sei spacciato.       -
  Se mi beccano, sono spacciato comunque, anche se non capiscono che questo
  l’ho ammazzato io. Però…       Fa
  una pausa e ghigna, poi riprende:       -
  … io dico che l’hai ammazzato tu. Tanto anche tu non hai molte possibilità di
  cavartela.       Fraser
  ride.       -
  Stronzo!       -
  Adesso è meglio che ci togliamo le divise. Ormai mezza polizia dello stato
  starà cercando una macchina con due poliziotti. Figurati se qualcuno non ci
  ha visti salire in auto.            -
  Pensi che ‘sto tizio avesse degli altri abiti?       -
  Guardava una carta. Magari era in viaggio. Adesso è arrivato a destinazione.       Aprono
  il bagagliaio. C’è davvero una valigia, come Jeff sapeva benissimo. Jeff
  nuota negli abiti, che però gli stanno un po’ corti. Prende un paio di jeans,
  quelli in cui sa che c’è la scheda telefonica che gli serve. Invece a Fraser
  gli abiti di Charles vanno a pennello: è anche lui tracagnotto.        -
  Cazzo, si direbbe che te li abbia fatti il sarto.       Si
  rimettono in auto. Fraser sembra non avere sospetti. E perché dovrebbe
  averli? Jeff lo ha fatto scappare ed ora sono liberi. Ma tutta l’operazione
  era molto pericolosa, prima per i due agenti sul furgone, poi per Charles,
  oltre che per Jeff, naturalmente. Adesso Jeff può rilassarsi: non mette più a
  repentaglio la vita di nessuno, a parte la propria, naturalmente, ma non è un
  problema, è il suo lavoro.       Jeff
  rischia molto di più della pelle, ma questo ancora non lo sa.       Adesso
  si avvicina un momento cruciale. Perché tutta la manovra serviva per
  agganciare Fraser ed entrare negli Amici dalla porta principale. E se Fraser
  si limitasse a ringraziarlo ed a salutarlo? Jeff rimarrebbe con le pive nel
  sacco, dopo aver fatto scappare uno dei capi degli Amici.       È
  il momento di parlare, ma Jeff preferisce che sia Fraser ad incominciare. Ed
  infatti è lui a dire:         
  - Che piano hai?       -
  Che piano ho? Cazzo! Mi sembra che sia ora che faccia qualche cosa anche tu, no?
  Ti ho tirato fuori da quel furgone, ti ho procurato una macchina ed abiti che
  ti vanno pure bene. Mi sembra di aver fatto la mia parte, no? O sei uno che
  quando va al cesso gli altri devono pulirgli il culo?             Fraser
  ride. È uno che ha il senso dell’umorismo. Certo, se sapesse chi è Jeff,
  tirerebbe fuori la pistola che ha preso all’agente e lo farebbe secco sul
  momento.       -
  Mi sembravi così ricco di idee…       -
  Va bene, OK, se vuoi scendere qui, puoi fare l’autostop alla prima macchina
  della polizia che passa. Io proseguo con le mie idee, tanto quest’auto me la
  sono procurata io, no?       Il
  tono di Jeff è chiaramente ironico.       -
  Va bene, ho capito. Mi passi la palla. Allora dirigiti verso Barstow. Io faccio una telefonata.       -
  Con il cellulare dell’agente? Non è che risalgono alla nostra posizione in
  dieci minuti?        -
  Non hanno ancora avuto il tempo per organizzarsi. E tanto sanno che siamo in
  zona.       -
  Può darsi, ma sarebbe meglio se prendessi quello di questo tipo che abbiamo
  fatto secco. Di sicuro non sanno ancora chi è.       Il
  cellulare di Charles è nella giacca, come Jeff sa benissimo.       -
  E dov’è?       -
  Addosso non l’aveva, solo il portafogli. Guarda in tasca alla giacca.       Fraser
  prende dal sedile posteriore la giacca ed in effetti in tasca c’è il
  cellulare. Quello che Fraser non sospetta è che quel telefono è costantemente
  sotto controllo: finché rimarrà acceso, la polizia potrà seguire i loro
  movimenti e saprà a chi telefonano. Servirà a poco, la scheda verrà
  senz’altro tolta molto presto, ma è già un primo passo.           
  Fraser compone un numero.        -
  Sono Fraser. Sono evaso. Siamo a Barstow tra meno
  di due ore. Da Gary.        Un
  silenzio, poi Fraser riprende:       -
  Non ora. È meglio che non usi a lungo questo telefono. È di un uomo che è
  stato ammazzato. Senti, siamo in due. L’altro è un amico. Devo disfarmi anche
  dell’auto.       Fraser
  spegne il telefono. Jeff chiede:       -
  Che piano hai?       Fraser
  ride di nuovo.       -
  L’avevo fatta io questa domanda!       -
  Sì, ma io non ho risposto, così è rimasta libera ed adesso la utilizzo io.       Fraser
  annuisce. Poi parla. Nel suo tono non c’è più traccia di ironia.       -
  Ascoltami bene, Jeff. Sei un tipo maledettamente in gamba e mi hai fatto un
  favore grosso come una casa. Io posso aiutarti a scomparire, se vuoi. Soldi,
  documenti falsi, un passaggio per il Messico o per il Canada o per dove cazzo
  vuoi…        C’è
  una pausa. Jeff sa che la parte interessante viene adesso.       -
  … oppure posso proporti di lavorare con noi. C’è da guadagnare molto, c’è da rischiare
  la pelle e c’è da ubbidire ciecamente. Anche se mi hai tirato fuori dal
  carcere, incominci da zero. Uno come te sa farsi strada in fretta, ma
  attenzione: al minimo errore ti facciamo secco. Con noi non si sgarra.       Jeff
  non risponde subito, come se stesse meditando. Dopo un po’ dice:       -
  Se mi prendo un incarico, lo porto a termine. A qualunque costo. Ma deve
  valerne davvero la pena.        -
  Quanto a quello, non avrai da lamentarti.       -
  OK. Se è come dici, per me va bene.        È
  fatta, è filato tutto liscio.        A
  Barstow arrivano in meno di due ore, come previsto
  da Fraser. Avrebbero potuto metterci molto di meno, ma non era proprio il
  caso di farsi fermare dalla polizia per eccesso di velocità.       La
  casa è alla periferia, un po’ isolata, tra un capannone industriale ed un
  terreno incolto.        Quattro
  uomini li aspettano. Mentre uno di loro li accompagna dentro, altri due
  controllano l’auto, svuotandola completamente ed infilando tutti gli oggetti
  in un sacco dell’immondizia. Jeff sa che anche l’auto verrà eliminata in
  qualche modo, distrutta o rivenduta in Messico, con il numero del telaio
  cancellato. Prende il portafogli di Charles e toglie le carte di credito e la
  patente: se lui avesse davvero ucciso Charles, quel materiale andrebbe
  eliminato, per cui sarà tutto distrutto.              La
  casa è molto grande. A Jeff assegnano una stanza e Fraser gli dà le
  istruzioni:       -
  Vedremo poi che cosa farti fare. Intanto rimani qui. Per una settimana è
  meglio che non metti il muso fuori, saremo ricercati dalla polizia di tutta        -
  Eh no! - Jeff interviene ridendo - Ci ha già pensato Casperson
  e preferisco evitare un’altra ripassata.            -
  No, scemo! Ti facciamo tagliare i capelli, ti fai crescere la barba e con un
  paio di occhiali scuri sei perfetto.       Jeff
  può farsi finalmente una bella doccia.        Lavarsi
  con acqua calda è una meraviglia. Sotto il getto violento, Jeff ripensa alla
  giornata. Meglio di così non poteva andare. Certo, il grosso resta da fare:
  ora è nella tana del lupo e deve solo sperare che nessuno si accorga che lui
  è un cane da caccia. Ma la partenza è avvenuta con il piede giusto.       Il
  giorno dopo gli procurano abiti della sua misura ed arriva il barbiere, che
  gli taglia i capelli molto corti, quasi a zero. Jeff si lascerà crescere la
  barba: un po’ più lunga intorno alla bocca, molto corta sulle guance. Così
  cambierà aspetto. Non moltissimo, ma abbastanza da non essere immediatamente
  riconoscibile. Il capo distribuirà ai giornali vecchie foto segnaletiche,
  poco utili per identificarlo, e farà fuoco e fiamme perché si cerchi Fraser.
  In fondo Jeff è un pesce piccolo.        Nella
  casa vivono due uomini della banda, Jeremiah e Tim,
  ed ogni tanto passa qualcun altro. Fraser invece se ne va il mattino dopo il
  loro arrivo e non si fa più vedere. Da una frase di Tim, Jeff capisce che è a
  San Diego: logico, visto che gli Amici hanno la loro base principale là, al
  confine con il Messico, da cui arriva la droga.     
  Con i suoi coinquilini, Jeff si mantiene sulle sue. Quando Tim, il più
  giovane dei due, gli chiede della fuga, racconta com’è andata. Poi fornisce
  qualche informazione generica (e fasulla) sul proprio passato, senza
  sbilanciarsi, cercando di dare l’impressione di non volerne parlare.          Non
  si mostra curioso, per non destare sospetti, e si limita a chiedere se hanno
  un’idea dei compiti che Fraser potrebbe affidargli. La risposta è generica:       -
  Per uno in gamba, il lavoro non manca.       Jeff
  non insiste. Chiede ancora:       -
  Ma la paga è buona?       Jeremiah annuisce. Jeff finge di pensarci su un momento,
  poi sbotta:       -
  Certo che se rimango qui dentro ventiquattr’ore al
  giorno, non è che me ne farò molto dei soldi…       Jeremiah ridacchia:       -
  Ce li giochiamo a poker, i tuoi dollari…              Sono
  giornate di una noia mortale. I suoi compagni passano il tempo a guardare la
  televisione e qualche raro DVD e soprattutto ad ascoltare musica country. Jeff non è un patito del genere e le sue già
  scarse simpatie svaniscono definitivamente.       
  L’altro aspetto dolente è la cucina. Non che Jeff sia un buongustaio,
  ma non di soli hamburger vive l’uomo (ci sono anche le patatine, direbbero i
  suoi compagni) e dopo un po’ quando vede un hamburger che si riscalda nel
  forno a micro-onde, Jeff ha degli improvvisi attacchi di depressione acuta.      
  Gli piacerebbe molto prendere tutti i CD di
  musica country e metterli nel forno a micro-onde,
  tanto per vedere se riesce a liberarsi dell’uno e degli altri, ma non è il
  caso di farsi dei nemici inutilmente. Comunque non ne può più. Gli altri
  almeno possono uscire, fare due passi, mangiare fuori (da McDonald’s,
  naturalmente), lui deve stare rintanato, peggio di un orso in letargo.
  Potesse davvero dormire fino a quando non potrà uscire!       In
  un’unica occasione, quando rimane solo in casa, Jeff telefona al suo capo,
  con un telefonino che gli hanno lasciato a casa ed una scheda che tiene
  nascosta in una cucitura dei pantaloni, e gli dice dove si trova. Richiamerà
  quando avrà qualche cosa da dire. La sera nota che uno dei due uomini
  controlla le chiamate effettuate sul telefonino, ma Jeff ha rimesso a posto
  la scheda, la sua chiamata non risulta.        Una
  settimana dopo il suo arrivo, un fotografo viene a scattare qualche foto a
  Jeff, che si ritrova con una patente a falso nome. Tra poco incomincerà a
  lavorare davvero per gli Amici. Cazzo, sarebbe ora!        
  Tre giorni dopo Jeremiah accompagna Jeff a
  San Diego. È una città che Jeff conosce bene, ma dove non è conosciuto e non
  rischia di incontrare un amico per strada: condizioni ideali per lavorare con
  una falsa identità.       Jeff
  è contento di incominciare: non è tipo da reggere a lungo l’inattività ed i
  dieci giorni a Barstow lo hanno messo a dura prova.
         A
  San Diego lo accoglie un certo Freddie, un tizio
  sui quaranta-quarantacinque. Ha un viso largo,
  incorniciato da una corta barba nera, abbastanza simile a quella che ora ha
  Jeff: cortissima sulle guance, più lunga e fitta intorno alla bocca. Molto
  stempiato, porta i capelli rasati quasi a zero. Ha un corpo robusto e
  sicuramente alquanto peloso, viste le braccia da gorilla, che la camicia con
  le maniche rimboccate lascia vedere. A Jeff i gorilla non dispiacciono (in
  fondo sono cugini degli orsi), ma Freddie ha il
  vizio di sputacchiare mentre parla e questo al nostro agente dà alquanto
  fastidio.       -
  E così tu sei l’uomo che ha liberato Fraser. Complimenti, Fraser ci ha detto
  che sei stato davvero bravo.       -
  Grazie.       -
  Però bada, adesso conta quello che farai, non quello che hai fatto. Non
  pensare di poter sgarrare o prenderti qualche libertà solo perché hai fatto
  scappare uno dei capi.       Jeff
  annuisce.       -
  Lo so. Ho deciso di lavorare con gli Amici e intendo farlo sul serio.       Freddie sembra contento della risposta.       -
  Bene. Lavorerai con Ramón, per un po’, così vediamo
  come te la cavi. Domani mattina accompagnerete Kurt nel suo giro di
  distribuzione e poi domani sera farete un po’ di ronda. Ma i dettagli te li
  darà Ramón stesso.       -
  Va bene.       Freddie prende da un cassetto un telefonino ed un fascio
  di banconote.       -
  Tieni questi. Sono per le spese ordinarie. Se hai bisogno di qualche cosa per
  gli extra lo dici a me. Eccoti il cellulare. Evita di usarlo per chiamare la
  ragazza o gli amici. Adesso ti do il mio numero, ma non lo usare se non ne
  hai bisogno davvero. Non scrivertelo da nessuna parte e non metterlo nella
  rubrica del telefono. Lo cambio spesso, ma è bene essere prudenti. D’accordo?
         -
  D’accordo.       Jeff
  non si mette a contare, ma la mazzetta è bella spessa e sono biglietti da
  cento. Niente male, considerando che lui non ha fatto niente fino ad ora.
  Proprio niente no, ha fatto scappare Fraser, non è poco.        -
  Adesso Lou ti porta da Ramón.
         Freddie chiama e nella stanza entra Lou.
  Piuttosto alto, magro, Lou ha una faccia che non
  deve mai essere stata bella, con la fronte bassa, gli zigomi sporgenti, un
  occhio che guarda a destra e l’altro a sinistra. La lunga cicatrice che ora
  la percorre, dal mento all’orecchio destro, certamente non ha migliorato
  l’estetica.       Lou è un grande chiacchierone e nel percorso in auto
  spiega dettagliatamente la situazione. Jeff ascolta con attenzione, ma sa già
  come stanno le cose: prima di partire in missione si è studiato i diversi
  dossier della polizia di stato. La lotta tra gli Amici e los
  Santos volge alla fine, ma si sparerà ancora: gli Amici hanno intenzione di
  impadronirsi di tutto il territorio, non intendono spartire niente con
  nessuno, e los Santos possono solo scegliere se
  preferiscono tagliare la corda verso il Messico, come conigli, o crepare.
  Quelli che resistono, sono uomini morti. Ma secondo Lou
  ormai los Santos si stanno cagando addosso, molti
  si sono dileguati, non hanno coglioni. Si stanno ritirando a Tijuana, oltre
  il confine con il Messico, dove stanno i loro alleati, il cartello degli Arellano. Gli Amici invece fanno affari con i rivali degli
  Arellano, il cartello di Sinaloa.
  In Messico si ammazzano tra Arellano e Sinaloa, una vera mattanza. Qui, a pochi chilometri dal
  confine, tra gli Amici e los Santos, ma questa
  battaglia è quasi conclusa. Qualcuno, più furbo degli altri, ha fatto il salto
  del muro ed ora sta dalla loro parte.       -
  Ramón è uno che ha capito da che parte stare. Ha
  lasciato perdere i vecchi amici ed è venuto a cercare gli Amici veri. Noi lo
  abbiamo accolto, perché Ramón è uno con i coglioni.       Quindi,
  pensa Jeff, Ramón stava con los
  Santos, ma poi, visto che il vento stava girando, ci ha ripensato. Il
  classico voltagabbana. Se avesse fatto il contrario, Lou
  lo vitupererebbe, ma così va bene, è passato dalla parte giusta.       Raggiungono
  il palazzo dove vive Ramón, un edificio piuttosto
  degradato, in un quartiere popolare. Salgono a piedi i tre piani, scansando i
  rifiuti ed i detriti sparsi lungo le scale. Lou
  spiega:       -
  Questi appartamenti ci servono da rifugi provvisori. Ci si rimane solo due o
  tre notti. Anche voi ci starete poco.       Lou sorride. A Jeff sembra che ghigni, ma forse in quella
  faccia sfigurata anche il sorriso appare sinistro.       Lou suona e dice il suo nome. Ramón
  apre la porta. È un bel meticcio, giovane, più ancora di Jeff, capelli neri
  ed occhi scuri, belle labbra carnose. Ramón gli
  lancia un’occhiata e gli sorride. Un sorriso cordiale.       Jeff
  saluta e si presenta, poi si guarda intorno. L’appartamento è piccolissimo:
  una stanza con due letti, un tavolo, un armadio senza uno dei battenti e
  nell’angolo una cucina a gas che non deve essere stata usata dalla guerra di
  Corea; oltre una porta spalancata si vede il bagno.         
  Lou se ne va, lasciando Ramón
  e Jeff da soli. Non hanno nulla da fare, questa sera: sono di turno domani.         
  - Dove posso mettere le mie cose?        
  Non è una domanda molto acuta, considerando il mobilio alquanto
  ridotto, ma magari serve a rompere il ghiaccio.        
  - Guarda nell’armadio.     
  Nel mobile c’è un borsone che probabilmente appartiene a Ramón. Viste le condizioni di pulizia, Jeff si dice che è
  meglio non svuotare la sacca e l’appoggia così com’è su un ripiano.       Ramón si stende sul letto. Non sembra in vena di fare
  conversazione, Jeff non vuole mostrarsi curioso: sa che per conquistare la
  fiducia non bisogna avere fretta di ottenere informazioni. Chi fa troppe
  domande desta sospetti.       -
  Senti, fa un caldo della malora. Mi faccio la doccia.       -
  OK.       Ramón è davvero di poche parole.        Jeff
  prende dalla borsa un asciugamano e si spoglia. Scarpe, maglietta, pantaloni,
  slip. Mentre si volta per andare in bagno, vede che Ramón
  lo fissa. Gli sorride e prosegue.       Non
  chiude la porta. Entra nella doccia e mentre piscia nello scarico gira il
  rubinetto. Acqua appena tiepida, quasi fredda. Rimane un buon momento sotto
  il getto che lo rinfresca, poi chiude ed esce. Si asciuga alla bell’e meglio:
  ci penserà l’aria calda a finire di asciugarlo: ormai l’estate è in arrivo e
  San Diego non è uno dei posti migliori del mondo in estate, anche se c’è il
  mare.  
         
  Jeff torna nella stanza.          
  Ramón è ancora disteso sul letto. Ora è nudo
  e lo guarda. È uno sguardo deliberato, che non si nasconde.       Che
  cosa ha in testa Ramón? Quello sguardo ha un
  significato preciso, difficile che si sia spogliato solo per il caldo. Se è
  davvero come pensa Jeff, va bene. In primo luogo perché una maggiore intimità
  tra lui e Ramón può aiutarlo a ricavarne qualche
  informazione in più e questo è l’essenziale. In secondo luogo perché comunque
  scopare con un bel ragazzo non fa schifo, neanche in missione.       Ma
  Jeff non vuole essere quello che farà il primo passo. Troppo rischioso. Tanto
  più che Ramón è chiaramente messicano (o almeno
  latino-americano) e tra i chicanos l’omosessualità
  è considerata una vergogna. Pochi ammetterebbero di essere gay, anche di fronte
  a se stessi.       Jeff
  sorride a Ramón, un sorriso aperto, franco. Ramón lo leggerà come vuole: se vuole scopare, vi leggerà
  una disponibilità che in effetti c’è; se invece ha altro per la testa, il
  sorriso non è compromettente.       Ramón si mette a sedere sul letto.       -
  Vieni qui, gringo.       Jeff
  ubbidisce. Non rimangono molti dubbi, ma Jeff preferisce essere prudente.       -
  Hai un bel cazzo, gringo.       Jeff
  sorride. Continuare a tacere potrebbe essere interpretato come un rifiuto. Ma
  Jeff non si sbilancia, anche se sul comodino è comparso un preservativo che
  prima non c’era. Risponde, sempre sorridendo:       -
  A qualcuno piace, in effetti.       -
  Anche a me piace.       Jeff
  è davanti a Ramón e non si stupisce quando l’uomo
  glielo prende in bocca.        Un
  approccio molto diretto. Perfettamente normale in una sauna gay. Ma loro due
  fanno parte di una banda di narcotrafficanti ed a Jeff i conti non tornano.        La
  bocca di Ramón è calda ed accogliente. La lingua di
  Ramón si muove agile intorno alla cappella, come se
  fosse un bel cono di gelato. Le labbra scorrono, i denti mordicchiano. Un po’
  troppo.       Jeff
  molla uno scappellotto.       -
  Piano, piano.               -
  Ok, ok.       Ramón non sembra molto esperto, però è volenteroso. Jeff
  non scopa da diversi giorni, da quando Derek ha fatto la sua parte, anche lui
  con la bocca, per cui gli va benissimo così. Dopo due settimane d’astinenza
  gli andrebbe bene anche un gorilla (di quelli dello zoo, non Freddie: Freddie sarebbe grasso
  che cola).       Ramón fa girare la lingua, muove la bocca avanti e
  indietro, inghiottendo il pane caldo di Jeff fin quasi in fondo, per poi
  lasciarlo, più umido e più grande.        Jeff
  accarezza la testa di Ramón, gli passa le dita tra
  i capelli, dietro un orecchio, sulla nuca. Si china in avanti e le sue mani
  scorrono sulla schiena di Ramón. Jeff si chiede
  perché Ramón non lavori anche un po’ con le mani,
  che pendono inerti.       -
  Su, accarezzami un po’ il culo.       Ramón solleva le braccia e le sue mani si posano sulle
  cosce di Jeff, poi risalgono, lentamente, un po’ incerte, verso le natiche.       “Cazzo,
  se è imbranato, questo!” - pensa Jeff. Ma anche se Ramón
  non è esperto, la sensazione di quelle labbra e di quella lingua intorno
  all’uccello è quanto mai piacevole.       -
  Dai, stringi con ‘ste dita.       Ramón prende a piene mani, le sue dita affondano nel culo
  di Jeff, mentre la sua bocca continua a lavorare.        Ora
  l’asta di Jeff è sull’attenti. Ramón la lascia e la
  guarda. Sembra soddisfatto del risultato ottenuto. Intenderà mica mollarlo
  lì, così?        Ma
  Ramón si stende sul letto, a pancia in giù, ed
  allarga leggermente le gambe.       -
  Datti da fare, gringo!       Jeff
  non intende certo tirarsi indietro, ma è perplesso. Questa disponibilità di Ramón a farsi infilzare è alquanto strana. Ramón stava in una banda di messicani, in cui certamente
  un comportamento del genere non sarebbe stato accettato. E non è detto che lo
  sia tra gli Amici. Come fa ad essere sicuro che Jeff non si vanterà di averlo
  inculato?       Jeff
  non è in grado di darsi risposte, il culo di Ramón
  è alquanto invitante e l’uccello piuttosto impaziente, dopo il lavoro
  preparatorio a cui è stato sottoposto, per cui l’agente lascia perdere,
  prende il preservativo e se lo infila. Guarda il corpo disteso sul letto. È
  un po’ tozzo, ma il culo è bellissimo.       Gli
  piace questo tizio, gli piace anche l’odore di sudore che sente.       Jeff
  si stende su Ramón. Non perde tempo in carezze,
  morsi ed altri gesti: ha l’impressione che Ramón
  voglia andare subito al sodo e quanto ad essere sodo, il suo uccello lo è,
  senza dubbio. Jeff si limita ad inumidire un po’ l’area in cui tra poco vi
  sarà un’incursione in profondità.               Quando
  però cerca di introdurre un dito nell’apertura, per inumidirla bene, la carne
  non cede. Questa resistenza lo stupisce: si direbbe quasi che Ramón non se lo sia mai preso in culo. Ma questo non è
  possibile, si è offerto lui, senza nessuna pressione da parte di Jeff.       
  La pressione c’è ora, contro le pareti del culo di Ramón,
  quando Jeff introduce la punta. Jeff avverte però una forte tensione nel corpo
  di Ramón ed arretra.          
  - Rilassati, altrimenti ti farà male.      
  Jeff accarezza nuovamente l’area con le dita umide, infila un'altra
  volta un dito, bagna bene, poi si stende su Ramón e
  dà inizio alla seconda avanzata: la ritirata di prima era solo una mossa
  strategica, le truppe con le armi pesanti non hanno nessuna intenzione di
  lasciare il campo.      
  Jeff entra con lentezza, si ferma per permettere a Ramón
  di abituarsi all’ospite atteso, ma evidentemente non abituale. Poi penetra a
  fondo.       È una bella sensazione: dalla scopata
  con Bart Jeff non ha più gustato un bel culo e questo è giovane e forte, una
  carne calda e solida, che avvolge completamente l’uccello di Jeff.      
  Ramón si è rilassato e Jeff lavora in
  scioltezza, avanzando ed arretrando leggermente. Poi va progressivamente
  aumentando il ritmo, che diviene sempre più intenso e martellante. Le mani
  poggiate sul letto, sollevandosi un po’ sulle braccia, Jeff mena gran colpi
  con il martello: non gli mancano l’energia e la voglia ed il suo arnese
  lavora con forza e decisione.      
  Jeff va avanti a lungo, con quella resistenza che viene sempre molto
  apprezzata. Ramón non dice nulla, non sembra
  partecipare.      
  L’eccitazione cresce ancora, come una bolla che si gonfia a dismisura.
  Infine esplode nel grande getto finale. Jeff sente il piacere riempirlo e,
  dopo aver dato ancora due ultime spinte, si affloscia sul corpo che ha
  posseduto.       Jeff
  rimane un momento fermo, tenendo lo spiedo infilato nel corpo di Ramón. Poi, senza staccarsi, si gira di lato e fa girare
  anche Ramón. Con una mano gli accarezza la nuca, ma
  questi si dimostra insofferente: dev’essere il tipo
  che non ama scambi di tenerezze. A Jeff va benissimo così. Fa scendere una
  mano lungo il torace ed il ventre, fino al sesso, che non è sull’attenti, ma
  neppure completamente a riposo.       Jeff
  afferra l’arma con la mano ed incomincia a percorrerla vigorosamente.
  L’uccello si alza in volo quasi subito e Jeff sente nella mano quella bella
  asta calda e forte. Gli piace, è una bella sensazione. Jeff prosegue il suo
  lavoro, fino a che il fiotto non prorompe, spargendosi sul lenzuolo.       Rimangono
  un momento di silenzio, poi Ramón si stacca e dice:       -
  Ci sai fare, gringo. Sei bravo a fare le seghe.       C’è
  una sfumatura di disprezzo nella voce di Ramón.
  Jeff non capisce. Sì, lui gli ha fatto una sega, ma Ramón
  se l’è preso in bocca ed in culo. Che cazzo vuole dire quella frase? Jeff non
  replica.       La
  cavalcata è stata lunga ed intensa, anche se il cavallo si è lasciato montare
  senza opporre resistenza, e fa piuttosto caldo. Jeff è di nuovo sudato.
  Un’altra doccia ci vuole proprio.        -
  Io mi faccio un’altra doccia. Vieni anche tu?       Ramón scuote la testa e sorride. C’è qualche cosa di
  indefinibile in quel sorriso, qualche cosa di sfuggente, che a Jeff non
  piace. Ma è solo una sensazione.       Jeff
  passa in bagno. Apre l’acqua. Si sente a disagio, qualche cosa non lo
  convince, non sa che cosa, ma la situazione non gli va a genio. Ha la
  sensazione di aver fatto male a lasciare Ramón da
  solo nella camera. Non saprebbe dire il perché, ma in tutta quella faccenda
  nulla quadra. Esce dalla doccia e si asciuga in fretta.       In
  quel momento bussano alla porta. Cazzo! Niente di buono. Chi può essere? La
  polizia? Sarebbe un bel casino. Los Santos? Probabilmente non busserebbero,
  avrebbero sparato alla serratura ed a quest’ora sarebbero tutti e due morti.
  Jeff si è messo l’asciugamano ai fianchi e passa rapidamente nella camera. Ramón è in piedi, a lato della porta, la pistola in
  pugno. Indossa solo i pantaloni.       -
  Chi è?       Jeff
  ha preso la pistola e si sta mettendo dall’altra parte della porta, quando
  sente la voce di Freddie e si blocca.         
  - Sono Freddie, Ramón.
  Sono con Lou. Muoviti ad aprire.       Jeff
  posa la pistola. Ramón abbassa l’arma ed apre la
  porta. Ma non sembra soddisfatto di quella visita.        Freddie entra, saluta Ramón  e si rivolge a Jeff:       -
  Tu devi venire con noi. Vestiti e prendi le tue cose.             Jeff
  annuisce, senza nascondere il suo stupore. La faccenda non gli piace, per
  niente. Lo hanno messo con Ramón un’ora fa, poco
  più, ed adesso già lo spostano! Perché? Il capo ha detto che non avrebbe
  parlato a nessuno della sua missione. Possono averlo scoperto? In questo caso
  cazzi acidi, come direbbe Stanton. E se non è così,
  perché lo spostano?      
  Brutta storia, ma Jeff sa di non avere scelta. Si riveste rapidamente.
  La sacca non l’ha nemmeno svuotata: deve solo recuperare l’asciugamano. In
  due minuti è pronto.        Ramón ha posato la pistola e si è di nuovo disteso sul
  letto. Jeff gli lancia un’ultima occhiata: davvero un bel ragazzo. Però ora
  sembra a disagio. Perché? Ne sa più di Jeff su quello che sta accadendo? In
  ogni caso è difficile che ne sappia di meno: Jeff non ci capisce una mazza.       Jeff
  si dirige alla porta. Si volta e sorride a Ramón.       -
  È stato un piacere fare la tua conoscenza, Ramón.
  Alla prossima.       Non
  ci sarà una prossima, tra un attimo Jeff lo scoprirà.       Appena
  Jeff è sulla porta, Freddie e Lou
  estraggono le pistole ed incominciano a sparare. Il corpo di Ramón sussulta, mentre le pallottole gli aprono fori nel
  torace e nel ventre ed il sangue schizza da tutte le parti.        Jeff
  assiste, impietrito. Che può fare? Difendere Ramón
  e farsi ammazzare? E perché mai?       In
  un attimo tutto è finito. Jeff è ancora sulla porta. Ed a questo punto tocca
  a lui chiedere:       -
  Che cazzo significa, ragazzi?       Freddie sorride.       -
  Dopo, Jeff, dopo. Ora togliamoci di qui.         
  Scendono in fretta. C’è un’auto ferma, con il motore acceso. Salgono.
  Allora Freddie spiega:       -
  Quel pezzo di merda faceva il doppio gioco. Stava ancora con los Santos. Gli ha passato le informazioni per
  sorprendere e far fuori un po’ dei nostri, ma non è stato abbastanza furbo.       Interviene
  Lou.       -
  Saranno i suoi amici a fare una brutta fine. La stessa che facevi tu, se non
  intervenivamo noi. Ti faceva secco tra non molto. Puoi dirci grazie, ragazzo.
  Rischiavi di finire come è finito lui, con tanti bei fori in pancia.       Jeff
  annuisce. Ed intanto riflette. I pezzi vanno facilmente al loro posto.      
  Ecco perché Ramón si è fatto inculare senza
  porsi problemi: perché Jeff non l’avrebbe raccontato a nessuno, contava di
  farlo secco in serata. Quel figlio di puttana voleva provare qualche cosa di
  nuovo, che in qualche modo lo attraeva, senza correre il rischio che si
  venisse a sapere. Quale modo migliore che farlo con uno che poi ammazzi? Rimane da capire perché lo hanno messo con Ramón, se avevano già intenzione di farlo secco. Ramón avrebbe potuto ammazzarlo. Ma non occorre chiedere, Jeff sa benissimo come stanno le cose: volevano che vedesse e capisse come finiscono quelli che tradiscono gli Amici. Jeff lo sapeva già, come tutti, ma vederlo con i propri occhi è sempre una buona lezione. E se poi Ramón avesse anticipato i tempi e l’avesse fatto secco prima dell’arrivo della squadra di salvataggio, pazienza, non sarebbe stata una grande perdita per la banda, non aveva neanche incominciato a lavorare. Stronzi! E quella faccia da culo di Lou ha anche il coraggio di dire che Jeff dovrebbe ringraziarli. Grazie al cazzo! Due volte stronzi! Ecco perché Lou ghignava, dicendogli che non sarebbero rimasti a lungo nell’appartamento.       Comunque
  il lavoro è davvero dei migliori: stavano già per farlo secco la prima sera.
  Proprio promettente, se il buon giorno si vede dal mattino... non rischia di
  annoiarsi.  | 
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