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 CONVALESCENZA
  François si svegliò e
  guardò il soffitto. Il dolore riaffiorò, preciso e violento, come era stato ogni
  volta che si era svegliato, quella notte. Aveva dormito male, benché il
  dottore che lo aveva visitato al suo arrivo, vedendo la sua disperazione, gli
  avesse dato una bevanda soporifera. Ma nel sonno gli era sembrato più volte
  di sentire la voce di Daniel che lo chiamava: lo vedeva che gli tendeva la
  mano avvolto nelle fiamme, lui non riusciva a raggiungerlo e gridava o
  piangeva. Da quei sogni si era risvegliato in lacrime. Malgrado la pozione, si
  era svegliato quando Hulot e gli altri soldati
  erano arrivati, a notte fonda. Hulot era anche
  entrato nella stanza, ma François aveva finto di dormire: non se la sentiva
  di parlare con nessuno e tanto meno con Hulot.
  Oscuramente, lo sentiva responsabile della morte di Daniel.  Si era alzato qualche ora
  prima per svuotare la vescica ed era tornato a letto. Si muoveva senza
  difficoltà, anche se il braccio gli faceva un po’ male. Probabilmente doveva
  essere leggermente ustionato. Ora c’era Fischietto nella
  stanza, che lo osservava. Quando vide che aveva gli occhi aperti, gli sorrise
  e uscì, senza dire nulla. Poco dopo Hulot entrò,
  sorridente. François lo guardò con odio. Come poteva quell’uomo sorridere?
  Daniel era morto il giorno prima, Daniel, il suo uomo migliore, aveva dato la
  vita per salvare gli altri. E lui sorrideva. - Allora, Girod, come va? Il medico mi ha confermato che non è
  niente di grave. François sentì la propria
  voce emergere da un abisso di indifferenza. Che cosa gli importava di come
  stava, ora che Daniel era morto? - No. Niente di grave. Nonostante il tono di
  François, Hulot non perse il suo sorriso. - Ti puoi alzare, no? Sei
  richiesto.  François lo guardò.
  Provava rabbia e una tristezza infinita. Non aveva nessun motivo per alzarsi.
  Tutto gli era indifferente. Svogliatamente si alzò e si infilò i pantaloni e
  la camicia. Uscirono nel corridoio e
  di lì passarono alla camera a fianco. Mentre entravano, François
  sentì una voce che ripeteva il suo nome: - François…
  François. Era una voce alterata
  dalla sofferenza, ma perfettamente riconoscibile. François fu preso da un
  capogiro. Si appoggiò allo stipite della porta per non cadere, poi si slanciò
  in avanti. Prono su un pagliericcio,
  nudo ma con diversi impacchi e fasciature, che gli coprivano quasi tutta la
  schiena, era disteso Daniel Dessart. Il viso era
  quasi irriconoscibile: barba e capelli erano bruciacchiati in molti punti, ma
  era lui, certamente lui. - Daniel! Daniel non era cosciente,
  ma ripeté ancora: - François! La mano sinistra di Daniel
  era appoggiata vicino alla sua testa. François ne sfiorò
  le dita. A
  quella stretta Daniel aprì gli occhi, fissò François per un attimo, poi la
  bocca gli si aprì in un sorriso, la sua mano strinse in una morsa quella di
  François e gli occhi si richiusero. Mormorò ancora: - François… La stretta era forte,
  dolorosa, ma François pensò che nulla al mondo avrebbe potuto dargli tanta
  gioia.       Senza cercare di liberare
  la mano, si voltò verso Hulot. Aveva le lacrime
  agli occhi. Il comandante sorrideva. - Come sta? Voglio dire… Il sorriso di Hulot si allargò. - Se la caverà, questo è
  sicuro. Credo che conserverà un bel po’ di cicatrici, ma nessun altro danno. François tornò a fissare
  Daniel. Gli sembrava incredibile. - Come ha fatto, come? Era
  dentro il castello quando sono crollati i soffitti…
  Stava bruciando. Voglio dire, i suoi abiti stavano bruciando… - Esattamente come, non lo
  so. Dobbiamo aspettare che riprenda i sensi, poi ce lo faremo raccontare. Ma
  grosso modo te lo posso dire fin d’ora. Non poteva salvarsi per la stessa
  strada per cui vi ha fatto uscire. Deve aver girato nei sotterranei alla
  ricerca di un’altra via e ha visto una finestra sul retro del castello,
  abbastanza in alto, ma per fortuna senza inferriata. È saltato attraverso il
  vetro: questo lo so con sicurezza, perché il medico gli ha tolto non so
  quante schegge dalle braccia e dalle gambe. I suoi vestiti avevano già preso
  fuoco e si è lanciato nel lago, in modo da spegnerli. È riuscito a
  riemergere, ma ormai era senza forze ed è caduto sulla riva. Subito dopo il
  crollo, abbiamo caricato te e Larelas su un carro e
  alcuni soldati vi hanno portato qui. Noi siamo rimasti sul posto. Abbiamo di
  nuovo controllato che non ci fosse nessuno nei diversi edifici vicino al
  castello e poi abbiamo compiuto un giro di perlustrazione intorno al castello.
  Allora Fischietto ha visto Dessart, sulla riva. Ti
  garantisco che quando ci siamo accorti che era vivo, che, per quanto
  ustionato e ferito, respirava abbastanza regolarmente, abbiamo urlato di
  gioia. Ti dico: urlato. Quel coglione di Segno-della-Croce
  ha detto che era un miracolo di sant’Anna e nessuno si è sentito di dirgli
  niente. Te l’immagini, sant’Anna che interviene per salvare questo
  miscredente, bestemmiatore, sodomita? Hulot era di fianco a Dessart
  e mentre parlava aveva poggiato la mano aperta sul suo culo. Concludendo il
  suo discorso, aveva cominciato a carezzare le natiche. Alle parole di Hulot, François ebbe uno scatto di rabbia, ma Hulot lesse nel suo sguardo e scoppiò a ridere: - Nonché il miglior
  soldato e l’uomo migliore che abbia mai conosciuto, come dice il caporale Girod. Concordo con te, François. François si rilassò. Hulot tolse la mano e guardò François negli
  occhi. Il suo viso ora aveva un’espressione seria, tesa. - François, non fargli
  troppo male. La frase colpì François, che
  alzò gli occhi interrogativamente sul comandante. - Fargli male? Io? E come
  potrei? - Puoi, puoi. Gli farai
  molto male, se non fai attenzione. - Non capisco. Non vorrei
  mai fargli male. Fare del male a Daniel? A
  Daniel che amava con tutta l’anima? - Dessart
  non ha solo un corpo vigoroso e un cazzo regale, o forse dovrei dire
  repubblicano. Dessart ha anche un cuore e credo che
  tu sia entrato in quel cuore. Questa notte nel delirio avrà ripetuto il tuo
  nome centinaia di volte. Ero persino venuto a chiamarti, anche se lui non era
  cosciente, ma tu dormivi. Adesso che stringe la tua mano è tranquillo. François chinò il capo:
  quando Hulot era passato, aveva solo finto di
  dormire. Ma non poteva sospettare che Daniel fosse ancora vivo.  Hulot proseguì : - Dessart
  si innamorò alcuni anni fa. Una brutta storia. Un amore non ricambiato,
  qualcuno che amava farsi scopare da lui, ma non amava lui. Daniel ne soffrì
  come infinitamente. Più volte lo vidi cercare deliberatamente la morte. Ci
  vollero anni perché la ferita si cicatrizzasse. Daniel è come un cane: il suo
  attaccamento è assoluto. Non gli fare troppo male. François fissò Hulot negli occhi.  - Non gli farò male.  Cercò di superare
  l’imbarazzo che lo assaliva, mentre proseguiva:  - Io lo amo. Si rese conto che la sua
  faccia stava rapidamente diventando rosso cremisi. Hulot
  sorrise. - Ne sono felice. Bene,
  ora ti lascio a fare l’infermiere: so che non ti dispiace e comunque non
  credo che riusciresti a togliere la tua mano da quella di Dessart.
  Chiamami quando si sveglia. Il medico ieri sera gli ha dato un oppiaceo per
  lenire il dolore, ma ha detto che in mattinata si sarebbe svegliato. Hulot uscì e François rimase a guardare
  Daniel. Gli sembrava impossibile che fosse ancora vivo. Vivo. Vivo! La morsa che gli
  stritolava la sinistra era un chiaro indizio di quanto Daniel fosse ancora
  vivo e forte. François tese la destra verso la schiena di Daniel. La mano si
  poggiò sull’incavo della schiena, subito sotto il limite delle fasciature.
  Poi cominciò a scorrere sul culo, perdendosi tra i peli, scese sulla coscia
  sinistra, poi risalì, scese lungo la coscia destra. Ritornò in alto e questa
  volta le dita seguirono percorsi diversi. Il medio si infilò nella piega tra
  le natiche e scese accarezzandola. Quando arrivò all’apertura, cominciò a
  solleticarla.    Il lento movimento di
  quelle carezze, che risvegliavano il suo corpo, lo stordì: guardava la sua
  mano che accarezzava il culo di Daniel, che ne cercava l’apertura, e gli
  sembrava che si stesse muovendo per volontà propria. Nello stesso tempo la
  mano gli trasmetteva sensazioni sempre più forti che sembravano risalire
  lungo il braccio per poi scendere fino al ventre e riscaldarglielo. Dopo un certo tempo, il
  suo sguardo si posò nuovamente sul viso di Dessart
  e François sussultò: gli occhi aperti, Daniel lo stava guardando, un sorriso
  sulle labbra. - Ti sei svegliato! - Da un buon momento. - E non mi hai chiamato!  - È così bello guardarti e
  sentire la tua mano che mi accarezza il culo. Non smettere, ti prego. François riprese il
  movimento. - Come ti senti, ora? - Più o meno come se
  qualcuno mi avesse sbattuto un menhir sulla schiena. François scosse la testa. D’improvviso non riuscì più a parlare.
  Sentiva un groppo in gola e si rese conto che stava per mettersi a piangere.
  Cercò di reagire. - Te lo meriti. Una delle
  ultime volte che mi hai parlato, mi hai detto che ero una testa di cazzo. Daniel sorrise. - Sì, concordo
  perfettamente con me stesso. Una definizione perfetta. Ma perché mai hai
  voluto entrare nel castello, dopo quello che ti avevo detto? E perché mai ci
  sei tornato? - Lo sai, Daniel. Daniel gli sorrise. Non
  disse nulla per un buon momento. Poi parlò. - François, potresti… - Dimmi, hai bisogno di
  qualche cosa? - Sì…
  Non avresti voglia… Daniel non completò la
  frase, ma il luccichio dei suoi occhi era più che sufficiente. - Daniel! Ma la tua
  schiena deve essere un’unica piaga, hai le ustioni… - E perché mi sono mezzo bruciacchiato
  devo anche soffrire di astinenza? Che idea balorda! - Ma te la senti? - François, se vuoi vedere
  l’effetto delle tue carezze e dell’averti vicino, passa la mano sotto quel
  culo che stai accarezzando e vedrai che sono perfettamente pronto. François sfilò la sua
  sinistra, dolorante, dalla mano di Daniel e gliela infilò sotto il ventre.
  Incontrò un tizzone ardente. Ritirò la mano come se si fosse scottato. - Se proprio è necessario… - Beh, se proprio ti pesa,
  lasciamo perdere… - Ma no, solo per bontà
  d’animo, sono disponibile. Che cosa vuoi fare? - Escluderei tutto ciò che
  mi richiede di alzarmi o di mettermi sulla schiena. - Un po’ pigro, eh? - Sì, mi sono stancato
  troppo in questi ultimi tempi. - Se mi infilo sotto? - Mi sembra una buona
  idea. Un’ottima idea. François si spogliò
  rapidamente. Daniel si sollevò sulle braccia, con una smorfia di dolore e
  François passò rapidamente al di sotto. Daniel abbassò le braccia e i loro
  corpi aderirono. Contro il culo François sentiva ardere quel tizzone. - Credo che questa mattina
  dovrò limitarmi al minimo. - Daniel, qualunque cosa
  va bene. Già solo stare così è perfetto. François tacque. Temeva di
  mettersi nuovamente a piangere. Daniel era vivo. Daniel stava bene,
  abbastanza, abbastanza da avere quel tizzone ardente pronto per l’uso. Una mano di Daniel, umida
  di saliva, scorreva tra le sue natiche, una, due volte. Poi il tizzone entrò,
  incendiandogli le viscere.  - Daniel! Nuovamente la sensazione
  di precipitare, di perdere i sensi. Nulla esisteva più, se non il lento
  movimento di Daniel dentro di lui, quel tizzone che propagava l’incendio,
  sempre più in profondità, fino a che tutto il suo corpo ardeva. La voce di Hulot lo costrinse a tornare alla realtà: - Ti avevo chiesto di
  avvisarmi, Girod, quando l’aiutante generale si
  sarebbe svegliato, ma mi sembra che tu abbia tutt’altro per la testa. Dessart rise, senza interrompere la sua
  attività: - Per la testa, non so,
  posso dirti che cos’ha per il culo. Buongiorno, comandante. - Quanto a te, Dessart, vedo che non stai troppo male. - In questo momento non
  potrei stare meglio, anche se sono un po’ rigido nei movimenti. François intervenne: - Dice che si sente come
  se gli avessero sbattuto un menhir sulla schiena. Io il menhir me lo sento da
  un’altra parte. - Un menhir? Hulot non conosceva la parola, che non era
  ancora entrata nell’uso comune. Daniel glielo spiegò. - Qui in Bretagna
  chiamiamo così le grandi pietre messe su. Ce ne sono un sacco. Ma questo non
  è un menhir! Alcune spinte più rapide
  conclusero l’opera, prima che François fosse venuto. Daniel gli mise le mani
  sulle guance e si abbandonò su di lui. Poi si volse verso Hulot e gli parlò: - Dimmi come è finita la
  nostra azione, comandante.  - Il castello è stato
  devastato dall’incendio e la marchesa è morta. Noi non abbiamo avuto nessuna
  perdita, grazie all’aiutante generale, un vero genio. Daniel non badò al
  complimento. - La marchesa è morta?
  Sicuro? - L’abbiamo vista bruciare
  viva. È stata lei a incendiare il castello, dopo aver escogitato la trappola,
  insieme a quel Bruz che ha assassinato Auray.  - Con Bruz?
  E come fai a saperlo? - Ieri pomeriggio abbiamo
  catturato un servitore del castello, che era rimasto nelle vicinanze e che
  aveva visto morire la sua padrona. Ci ha raccontato tutto.  - Tutto cosa? - Quando ha saputo della
  morte del conte di Vilhoet, la marchesa ha capito
  che avremmo attaccato il castello e voleva organizzare la resistenza, ma non
  è riuscita a trovare uomini disponibili: la morte dei quattro re ha
  scoraggiato gli altri nobili e i ribelli fedeli alla marchesa erano stati
  uccisi durante la tua prima visita al castello. Con sette-otto
  servitori non poteva certo difendere Roussière.
  Perciò, con l’aiuto di Bruz, ha organizzato un bel
  piano: ha accatastato i mobili e materiale incendiario in modo da bloccare la
  scala principale. Ha riempito di paglia i sotterranei e ha aspettato che
  Lingua-Franca e gli altri entrassero in uno stanzone senza uscita, per far
  scattare un meccanismo che ha bloccato la porta dall’esterno. Poi ha
  incendiato la paglia nei sotterranei e, per mezzo di una scala segreta, è
  salita al piano terreno e ha dato fuoco anche alla catasta di mobili sulle
  scale principali. Se quel Dessart non si fosse
  accorto dell’inganno, sarebbero rimasti intrappolati tutti: finestre inchiodate,
  nessuna via d’uscita. Venti soldati in fumo. Ma anche questa volta Dessart è stato più furbo di lei. - Che genio, questo Dessart! Peccato che il suo superiore non lo ascolti. Hulot aggrottò le sopracciglia. - Come sarebbe a dire? - Sarebbe a dire che il
  buon Dessart aveva detto al suo superiore che il
  caporale Girod doveva rimanere fuori dal castello,
  perché era un bersaglio molto ambito. E invece il superiore ha mandato Girod dentro.      - Il sottotenente Girod, che è tale da dieci minuti, anche se non lo sa
  ancora, ha fatto richiesta di entrare nel castello e se il comandante avesse
  dovuto tener fuori i bersagli più ambiti, il primo a rimanere fuori avrebbe
  dovuto essere l’aiutante Dessart. - Uno si fa cuocere per
  servire la Repubblica e guarda un po’ come lo trattano.  - Comunque, a proposito di
  farti cuocere, mio caro aiutante, sei bianco come un lenzuolo. Tu hai bisogno
  di riposare, non di scopare. Perciò, sottotenente Girod,
  ti proibisco di farti inculare dall’aiutante Dessart
  fino a che non si sarà rimesso. - Comandante! È questa la
  ricompensa che spetta al fedele aiutante per aver impedito a venti uomini di
  finire arrosto? - Proprio questa. Quanto a
  te, Girod, se disobbedisci, ti mando in un’altra
  brigata!  Allo sguardo sconsolato di
  François e Daniel, Hulot scoppiò a ridere e aggiunse: - Comunque, non ho vietato
  altre pratiche meno faticose. Hulot uscì, Daniel mormorò:  - François, François. Poi appoggiò la testa sul
  suo collo e sprofondò nel sonno. François rimase
  disorientato, ma si rese conto che Daniel doveva davvero essere esausto e ancora
  sotto l’effetto della bevanda soporifera. La sua posizione non era tra le più
  comode: Daniel non era precisamente un peso-piuma. Ma era ugualmente
  contento: era bello rimanere così, sotto quel corpo, dentro di sé il tizzone,
  non più incandescente, ma ancora caldo. Gli dispiacque quando lo sentì
  scivolare via. Avrebbe voluto trattenerlo per sempre. Quando Daniel si svegliò,
  François sgusciò sotto di lui, con i muscoli intorpiditi. Si rivestì e si sedette
  vicino a Daniel. Allungò la mano a toccare quella di Daniel, che gliela
  prese. Una stretta leggera. - Daniel, questa è stata
  la terza volta, in dieci giorni, che ti ho creduto morto. - Sì, da quando ti
  frequento la mia vita è diventata molto movimentata. Forse farei meglio a evitarti.
  Comunque me la sono sempre cavata. - Daniel, promettimi una
  cosa. - Che cosa? - Prima prometti, poi ti
  dico che cosa! - Non mi fido. - Se non prometti, non ti
  tocco neanche con un dito per i prossimi quindici giorni. - Se mi tocchi solo per
  far piacere a me, allora ne faccio a meno.  François si rese conto che
  non l’avrebbe spuntata e si arrese, senza molte speranze. - Promettimi che la
  prossima volta non cercherai più di separarmi da te. - Che cosa intendi dire? - Che saremo insieme, nel
  castello in fiamme o al plotone. Che non penserai più a salvare me quando non
  c’è speranza per te. - Avevo ragione a non
  fidarmi! Non prometto un bel niente. - Daniel, non voglio
  rimanere separato da te. Tu non sai che cosa significa. È atroce.  - Se mi rimarrai vicino,
  dovrai abituarti. Ma hai visto che ho tante vite, come i gatti. - Daniel, avrai anche
  tante vite, ma se le consumi a questo ritmo... Daniel scoppiò a ridere. - Non è sempre così,
  François, ma non sono abituato a risparmiarmi. In nulla. Gli sorrise, poi aggiunse: - Avvicinati. François eseguì. - Passa davanti e calati i
  pantaloni. - Daniel! - Non ne hai voglia? Il
  comandante non ha mica proibito i pompini! Nei giorni seguenti le
  condizioni di Daniel migliorarono rapidamente. La sua schiena era
  attraversata da ustioni e una, sulla sinistra, appariva particolarmente ampia
  e conservava un pessimo aspetto, ma il dottore garantiva la guarigione. In pochi giorni Daniel fu
  nuovamente in grado di camminare e muoversi, anche se non riusciva a rimanere
  a lungo in piedi o seduto. Perciò trascorreva la maggior parte del suo tempo
  disteso a letto, di solito in compagnia di François, a cui Hulot aveva assegnato il compito di seguire la
  convalescenza dell’aiutante.  François non si sarebbe
  mai staccato da Daniel, ma questi lo forzava a prendersi dei momenti per sé,
  a stare con i compagni, oppure gli chiedeva di uscire per portargli qualche
  cosa da comprare al mercato. François capiva che erano scuse per evitare che
  si annoiasse, rimanendo sempre in camera con lui, e con il passare dei giorni
  si rendeva conto che la scelta di Daniel era saggia: tenergli compagnia in
  camera rimaneva un piacere intenso e non c’erano momenti di stanchezza o di
  noia. Dieci giorni dopo Daniel
  abbandonò definitivamente il letto, ma continuò a rimanere tutto il giorno in
  caserma. Inizialmente non portava mai la camicia e stava molto attento quando
  appoggiava la schiena, ma era già in grado di stare seduto per ore e di
  camminare senza stancarsi troppo.  I capelli, le
  sopracciglia, la barba, i baffi cominciarono a ricrescere. François osservava
  spesso quel volto. Senza la fitta peluria, il viso di Daniel aveva un’altra
  espressione. Non era bello, tutt’altro, ma era meno feroce.  La notte Daniel e François
  si dedicavano alla loro attività preferita, senza più limitazioni.  UN DRAMMA STORICO
  Venti giorni dopo la
  spedizione, Hulot entrò in camera di Daniel con un
  annuncio: - Tra alcuni giorni la
  guarnigione ritorna ad Alençon. La Bretagna è
  tranquilla e non vedo più nessun motivo per rimanere qui. In ogni caso, da Alençon siamo sempre in grado di intervenire rapidamente. Daniel era steso sul
  letto, perché il dottore gli aveva appena cambiato le medicazioni.      François, che era seduto vicino a lui
  obiettò: - Ma Dessart
  non è in grado di viaggiare. - Ma certo che lo sono. - No, Girod
  ha ragione, ne ho parlato con il medico: tu ti fermerai qui per una
  quindicina di giorni ancora e poi ci raggiungerai ad Alençon. François intervenne di
  nuovo, anche se non spettava a lui parlare: - Una quindicina di
  giorni? La sua voce tradiva lo
  sgomento. Quindici giorni senza Daniel! Gli sembrava una condanna al carcere. - Girod,
  tu rimarrai qui per accudire il nostro aiutante-generale e tornerete insieme
  quando si sarà completamente rimesso.   François sorrise, felice.
  Daniel intervenne : - Grazie, cittadino
  comandante. Come posso ringraziarti? Hulot sorrise, ma non disse niente. Dessart a sua volta sorrise. - Dimmi, cittadino
  comandante, sono a tua completa disposizione. Hulot lo guardò ancora un momento in silenzio,
  sorridendo.      - Completa? - Certamente, dalla punta
  dei capelli, per quelli che mi sono rimasti, alle dita dei piedi, comprendendo
  tutto quello che c’è in mezzo. - Beh, se comprende tutto
  quello che c’è in mezzo…  L’indice della destra
  cercò tra le natiche di Daniel un punto preciso. - Per il mio comandante le
  porte sono sempre aperte. - Ho un’altra idea, ma non
  ora. - Quando vuoi, cittadino
  comandante. - Ripasserò questa sera. In serata Hulot ritornò.  - Allora, che ne direste
  di una rappresentazione? Tanto per far conoscere a Girod
  questi giochi che piacciono a Bel-Piede? - Non diciamo mai di no al
  nostro comandante, vero, François? - Certamente. Sempre
  solerti nell’ubbidire agli ordini! Hulot sorrise. - So che siete dei bravi
  patrioti! Bene, questa sera si tratta di una rappresentazione storica. Tutti e tre si diressero
  nella camera di Hulot, dove Bel-Piede
  li aspettava. Due panche erano state sistemate al centro della stanza. Ai
  piedi delle panche, due corde e su una panca, un cuscino. Bel-Piede sorrise e chiese: - Pronti? Tutti assentirono. - Bene. Questa sera
  torniamo indietro di un secolo. Siamo nel Levante, sulla piazza dell’isola di
  Chio, dove due valorosi cristiani, il francese Jean-Joseph Hulot e l’italiano
  Andrea, di cui non sappiamo il cognome, dovranno affrontare il supplizio. Al sentire il nome di Hulot, Daniel aggrottò la fronte. - Jean-Joseph Hulot? Fu Hulot a intervenire. - Certo, mio nonno, a cui
  devo il nome. Era il più famoso contrabbandiere del Levante. Per dodici anni
  riuscì a farsi beffe di tutta la flotta turca. I Turchi lo odiavano ferocemente… Bel-Piede proseguì: - …e
  misero una taglia favolosa sulla sua testa. Fu così che qualcuno lo tradì ed
  egli venne catturato insieme al suo fedele… amico…. Sì, diciamo amico…,
  Andrea.  Hulot concluse: - Su questa amicizia non
  abbiamo informazioni precise, ma il mio illustre antenato con mia nonna
  rimase giusto il tempo di mettere al mondo un figlio e poi non si fece più
  vedere. Probabilmente Andrea gli sembrava più…
  interessante. - Se assomigliava a Bel-Piede, non mi stupisce…   All’osservazione di
  Daniel, Bel-Piede e Hulot
  si guardarono e si scambiarono un sorriso. Poi Bel-Piede
  proseguì: - Alla fine la taglia
  divenne così alta che fece vacillare la fedeltà di qualcuno e i giannizzeri
  catturarono Hulot e Andrea. Essi furono condannati
  a venire impalati sulla piazza di Chio. Si
  comincia. François si chiese che
  cosa sarebbe successo, ora.       - I due boia sono pronti.
  Sono a torso nudo e scalzi. Rapidamente Daniel si
  sfilò la camicia e gli stivali. François lo imitò, tranquillizzato dal non
  doversi muovere da solo. - I due boia prendono i prigionieri
  e li spingono, con colpi e percosse, fino alla piazza, dove sono assembrati
  tutti gli uomini dell’isola.  Daniel afferrò Hulot per le spalle e lo spintonò, forzandolo a muoversi
  verso il centro della stanza. François fece lo stesso con Bel-Piede,
  ma si sentiva poco sicuro e si muoveva incerto.      Aveva paura di fargli male. - I due prigionieri
  avanzano, indifferenti, e la rabbia dei carnefici aumenta. Essi li colpiscono
  alla schiena con i loro pugni.  François guardò Daniel e
  vide che colpiva Hulot alla schiena, con il pugno,
  due volte. Non dovevano essere i colpi che sapeva dare Daniel, perché Hulot sarebbe finito a terra, ma la smorfia sul viso del
  comandante gli fece capire che nella rappresentazione ci voleva un po’ di
  sale. Fece del suo meglio, assestando a Bel-Piede
  due colpi decisi. - Arrivati sulla piazza, i
  due condannati vengono brutalmente spogliati dai carnefici. Come boia brutale Daniel
  era senz’altro più efficace, ma François si diede da fare. Ora Hulot e Bel-Piede erano nudi
  davanti a loro. Bel-Piede era già eccitato: la
  rappresentazione lo stimolava. - I boia sghignazzano. Uno
  sputa in faccia ad Andrea.  François esitò un attimo,
  poi avvicinò il suo viso a quello di Bel-Piede e
  gli sputò su una guancia. Vide lo schizzo colare fino a perdersi nella barba. - Ora vengono preparati i
  pali che infilzeranno i prigionieri. Bel-Piede fece cenno di sdraiarsi sulle panche.
  François e Daniel si stesero, appoggiando la schiena.  - I boia cominciano a
  preparare i pali e a drizzarli, schernendo i prigionieri. A queste parole Hulot e Bel-Piede si
  avvicinarono alle panche e sfilarono i pantaloni a Daniel e François. Hulot prese in bocca il palo di Daniel, Bel-Piede quello più modesto di François. Il calore umido
  di quella bocca fece sobbalzare François. Era bello sentire la lingua
  scorrere lungo il palo, che lentamente cominciava a crescere, a irrigidirsi,
  a drizzarsi, ora sì, veramente palo. La voce di Daniel lo
  scosse: - Tra poco vi divertirete,
  cani di cristiani.  François non se la sentiva
  di parlare, ma lanciò un’occhiata a Daniel. Hulot
  lavorava sulla cappella di Daniel, ma solo più per gusto: il palo era
  perfettamente pronto, formidabile, minaccioso. Lo spettacolo accelerò i tempi
  e l’opera di Bel-Piede fu conclusa: ora i due pali
  erano pronti per l’uso. Bel-Piede si ritrasse. - Quando i pali sono
  pronti, i due prigionieri vengono afferrati e portati davanti a essi.  Le mani di Daniel si
  protesero, afferrarono un braccio di Hulot e il
  comandante fu costretto a mettersi di fianco alla panca. François afferrò il
  braccio di Bel-Piede, stringendolo con forza.
  Cominciava a prendere gusto al gioco. Lo trascinò con uno strattone. Bel-Piede opponeva resistenza e François strinse con più
  forza. - Avanti, muoviti! Aveva parlato senza accorgersene.
  Daniel rilanciò il gioco: - State per crepare,
  cristiani di merda. Bel-Piede aspettò un momento, poi riprese. - I due condannati sono
  sollevati e sospesi sopra il palo. Bel-Piede stesso scavalcò con un piede la panca,
  in modo da venire a trovarsi con il culo sopra il palo di François. François
  osservò quella schiena diritta e liscia, la peluria leggera che scompariva
  all’altezza della vita. Sentì il suo desiderio crescere. Hulot invece fu sollevato da Daniel e messo a
  forza nella stessa posizione di Bel-Piede.       - Pronti, cristiani di
  merda?  La voce di Daniel fu
  seguita da un momento di silenzio, come se Bel-Piede
  volesse assaporare il piacere che gli dava ogni loro intervento.  - Il boia abbassa il corpo
  di Andrea, fino a che il suo culo non tocca la punta del palo.  François mise le mani
  sulle natiche di Bel-Piede e lo fece abbassare.
  Poi, tenendo la destra sulla natica, si inumidì due dita e le portò
  all’apertura, preparando la strada. - Andrea sente che la
  punta del palo sta per entrare nella sua carne e vorrebbe sfuggire alle mani
  del carnefice, ma questi, ridendo e insultandolo, lo stringe e gli fa entrare
  il palo nel corpo. François si sforzò di
  ridere, ma gli uscì una risata rauca. - Bene, pezzo di merda,
  eccoti quello che ti meriti. Mise il proprio palo, teso
  contro il ventre, in posizione verticale, fino a raggiungere l’apertura, poi
  con entrambe le mani forzò il corpo di Bel-Piede a
  scendere, in modo che il palo trovasse la strada. L’urlo di Bel-Piede lo fece sussultare, poi capì che faceva parte
  della rappresentazione. - Andrea urla, ma nulla
  può fermare il palo. Il boia, felice dell’urlo, ne provoca un altro, premendo
  su di lui, per far affondare il palo. Le mani di François fecero
  pressione sulle spalle di Bel-Piede e lo forzarono
  a scendere ancora, fino a che il palo non scomparve dentro di lui. Di nuovo
  Bel Piede urlò. Ci fu un momento di
  silenzio. - La folla urla di gioia.
  Ora è il turno di Jean-Joseph, il più odiato. - Per te il palo più
  grosso, infedele maledetto. Soffrirai le pene dell’inferno. Mentre parlava Daniel
  eseguiva le stesse operazioni che François aveva svolto prima e ora il suo
  palo premeva contro il culo di Hulot, pronto a
  scavarsi una strada. Poi Daniel fece scivolare
  le sue mani verso l’alto, fino a che raggiunsero la vita del comandante,
  strinse con forza e con un colpo secco tirò verso il basso. François vide il
  palo scomparire completamente nel culo di Hulot e
  sul viso del comandante comparve una smorfia di dolore violento.  - Jean-Joseph
  non urla, anche se il palo lo dilania. Non vuole mostrarsi debole di fronte
  al boia. Ma il boia è implacabile e preme perché il palo entri nel corpo. Daniel sollevò il corpo di
  Hulot: ora François poteva vedere il formidabile
  palo che emergeva, per poi scomparire nuovamente, quando, con un nuovo colpo
  secco, Daniel lo fece affondare per la seconda volta nel corpo di Hulot.       - Jean-Joseph
  resiste, si rifiuta di concedere il suo dolore in pasto agli spettatori.
  Allora l’altro boia fa pressione nuovamente sul corpo di Andrea, per farlo
  sprofondare. François sollevò un po’ il
  culo di Bel-Piede e poi lo fece nuovamente calare.
  Nuovamente Bel-Piede urlò, una, due, tre volte,
  mentre François ripeteva la manovra. Il gioco gli piaceva. - Gusta un po’ di più il
  palo, cristiano di merda. Gustalo! Bel-Piede agitava la testa. - No! Pietà! - Non c’è pietà per te,
  cane di un cristiano. - No! La voce di Bel-Piede era alterata. François non poteva vedergli il
  ventre, ma doveva essere sul punto di venire. - Andrea sta morendo, il
  carnefice lo schiaccia sul palo, che lo sta attraversando. Ci fu un momento di
  silenzio, poi l’ultimo urlo di Bel-Piede. - Noooooo! Bel-Piede reclinò il capo, mentre il suo corpo era
  percorso da una serie di scosse. - Andrea è morto, il suo
  cadavere è infilzato sul palo, ma il boia non interrompe la sua opera,
  continua a far sprofondare quel corpo, vuole che la punta gli esca dalla
  bocca.       François proseguì la sua
  opera, sollevando e abbassando quel corpo. Non faceva molta fatica: Bel-Piede stesso lo aiutava, sollevandosi sui piedi e
  lasciandosi ricadere. Il piacere saliva. - Ti uscirà dalla bocca,
  questo palo, cane di un cristia-no! Il no finale gli uscì nel
  primo spasimo dell’orgasmo che lo scuoteva. Ci fu un momento di
  silenzio. Poi Bel-Piede riprese. - Jean-Joseph
  ha visto morire il suo amico, ne ha visto l’atroce agonia, prova lo stesso
  dolore nella sua carne, ma tace. La folla scalpita, vuole soddisfazione. Il
  boia gliela darà. Il boia afferra con la sinistra la virilità di Jean-Joseph, con la destra estrae un coltello e si
  prepara a tagliare. François guardò il viso di
  Hulot reclinato all’indietro, le gocce di sudore
  che scendevano. Poi vide le mani di Daniel passare oltre le cosce e muoversi
  davanti. - Jean-Joseph
  non urla, nemmeno ora che il boia sta tagliando, nemmeno ora che la folla
  grida di gioia.  Le mani di Daniel si
  muovevano sicure, il viso di Hulot si apriva in un
  sorriso estatico.  - Il sangue schizza, tra
  le urla di scherno della folla. Anche dalla sua posizione
  François poté vedere lo schizzo. Hulot chiuse gli
  occhi.  - Ora il boia completa
  l’opera, facendo affondare il palo nel corpo del prode Jean-Joseph,
  ormai insensibile. Le mani di Daniel
  sollevarono e abbassarono Hulot cinque volte, poi
  si fermarono e solo il culo di Daniel vibrò, trasmettendo la stessa
  vibrazione al culo di Hulot. - Jean Joseph è morto.
  L’offesa al sultano è stata vendicata. I due cadaveri vengono lasciati sui
  pali per tre giorni e poi buttati nel letamaio. Bel-Piede si lasciò scivolare a terra, Hulot lo imitò. Daniel prese il corpo di Bel-Piede e lo portò fino al letto, su cui lo gettò. Poi
  ritornò a prendere il corpo di Hulot e compì gli
  stessi gesti. I due corpi ora erano stesi l’uno vicino all’altro.  - Abbiamo fatto un buon
  lavoro. Due cani infedeli in meno. Daniel si rivestì, imitato
  da François. Non disse nulla, ma chiuse la porta. Quando furono in camera,
  Daniel chiese:  - Che ne dici? - Strano, ma mi è
  piaciuto. E a te?   - Anche a me. Anche se
  preferisco quando scopo con te.        - Una cosa non impedisce
  l’altra, no? - No, direi proprio di no! La verità
  dell’affermazione fu confermata quella sera stessa. Nella settimana seguente Hulot evitò di salire a cavallo e si mosse il meno
  possibile. Al termine della settimana,
  il capo-brigata riportò ad Alençon i suoi soldati.
  Gli uomini vennero a salutare il loro aiutante generale, che promise loro una
  bella festa al suo ritorno. Daniel e François rimasero
  con la piccola guarnigione della città, ma, essendo esonerati da qualsiasi
  compito, di fatto vissero una felice licenza, che fu la loro luna di miele.
  Di giorno facevano lunghe passeggiate in città e per la campagna; verso sera
  si stendevano sul letto e parlavano per ore, raccontandosi le loro vite,
  entrambi desiderosi di appropriarsi del passato dell’altro. In quelle due settimane
  François cercò di trovare le parole per esprimere quello che provava, ma ogni
  volta che apriva bocca, un senso di vergogna lo bloccava. Quell’afasia per i
  sentimenti un po’ gli pesava, ma non se ne preoccupò troppo, perché sapeva
  che Daniel aveva capito. E che i suoi sentimenti erano ricambiati.  CACCIA AL LUPO
  Due settimane dopo
  François e Daniel partirono per tornare ad Alençon.
   Avrebbero potuto prendere
  una diligenza, ma per Daniel era ancora doloroso tenere a lungo la schiena
  appoggiata, perché le ustioni non erano completamente guarite. Stabilirono
  perciò di raggiungere Alençon a cavallo. Perché
  Daniel non si affaticasse troppo, decisero di dividere il viaggio, facendo
  due tappe. In realtà all’ultimo
  minuto ci fu un intoppo, perché il cavallo destinato a François dovette
  essere nuovamente ferrato. Perciò partirono nel pomeriggio. Sarebbero
  arrivati a destinazione solo il terzo giorno, ma questo non aveva importanza. Quando il sole era ormai
  basso all’orizzonte, Daniel propose di fermarsi a dormire all’aperto.
  Avrebbero potuto pernottare in una locanda o in una casa di contadini lungo
  la strada, ma in quella giornata di fine settembre il tempo era mite e il
  cielo perfettamente sereno. E, soprattutto, a Daniel piaceva dormire sotto il
  cielo stellato. - Come preferisci, Daniel.
  Ma in una locanda i cavalli sarebbero accuditi e potremmo fare un pasto
  caldo.         - Il pasto caldo lo
  facciamo, ma poi ripartiamo. Ai cavalli sono in grado di badare e tu è ora
  che impari, mio bel sottotenentino. E poi… - E poi? - E poi mi piace scopare
  all’aperto, poter urlare liberamente, magari rincorrersi. Questa sera ti
  propongo un bel gioco, una caccia al lupo. - Che cos’è una caccia al
  lupo? - Lo vedrai. Si fermarono a mangiare a una
  locanda e a tavola François cercò di ottenere qualche anticipazione, ma
  Daniel si rifiutò di spiegare. Dopo aver cenato, ripartirono e dopo poche
  centinaia di metri Daniel lasciò la strada, seguendo un sentiero, che poi
  scomparve. Daniel proseguì e attraverso un terreno boscato
  giunsero a una radura, al cui centro si ergeva una costruzione megalitica:
  due grandi pietre verticali ne sorreggevano una terza, posta in orizzontale. - Eccoci qui. Un posto
  ideale per una caccia al lupo. Anche se ci sentono, penseranno ai soliti
  fantasmi, come il nostro buon vecchio Segno-della-Croce. - Adesso mi spieghi che
  cosa intendi con caccia al lupo? - Dopo, prima devo badare
  ai cavalli. Guarda come si fa. Daniel spiegò a François
  come doveva fare e François eseguì. Stava diventando rapidamente buio e
  quando ebbero terminato e preparato il loro giaciglio per la notte, le
  tenebre erano ormai calate. Daniel si spogliò
  rapidamente e rimase nudo.  - Devo pisciare. Spogliati
  e aspettami un momento. François si stupì che
  Daniel si allontanasse per quel motivo: esisteva tra loro una tale intimità,
  che nessuno dei due si vergognava o pensava di nascondersi all’altro. E poi
  la falce di luna permetteva appena di vedersi. François si spogliò e si
  sedette su una coperta. Ora faceva freddo, anche se la giornata era stata
  soleggiata. L’assenza di Daniel si trascinava. François cominciò a sentirsi
  inquieto. Non era possibile che Daniel rimanesse lontano così a lungo per
  pisciare. Che cosa stava facendo? L’ululato risuonò
  improvviso, poco più avanti. François si alzò in piedi, tremando. Poi si rese
  conto che doveva essere Daniel. Non poteva essere un lupo. No, se lo fosse
  stato, Daniel sarebbe stato al suo fianco. Ma Daniel non c’era. E d’improvviso
  François si sentì afferrare dalla paura. Paura di che, non avrebbe saputo
  dire. Forse del silenzio, forse della luce lunare, forse, certamente, di non
  avere Daniel vicino.  La voce di Daniel scacciò
  la paura. Proveniva da destra, a
  pochi passi da lui. Daniel doveva essersi spostato in fretta.  - Caccia al lupo. Se lo
  trovi tu, ne fai quel che vuoi. Se ti trova lui, fa quello che vuole di te.
  Segui il lupo, ma bada, devi essere tu a trovare lui, non lui a trovare te. Un nuovo,
  breve ululato poco dopo. François scattò in direzione dell’ululato. Tra gli
  alberi il buio era fitto. François si fermò sul bordo della radura, scrutando
  nel nero.  Il nuovo
  ululato lo fece sussultare. Era da tutt’altra parte, quasi sul margine
  opposto della radura.  Corse
  attraverso la radura, nella direzione da cui era giunto l’ululato, certo di
  non trovare più Daniel. Cominciava a temere che sarebbe stato il lupo a
  catturare il cacciatore, ma questo non lo spaventava. Ai
  margini della radura si fermò. C’era una traccia di sentiero che si inoltrava
  tra gli alberi. Era il caso di seguirla? Probabilmente Daniel era già da
  un’altra parte. Attese un buon momento, ma non ci furono altri ululati.
  Decise di seguire la traccia. Prese ad
  avanzare lentamente, guardandosi intorno incerto. La luce fredda della luna
  permetteva di distinguere nitidamente le sagome degli alberi. Il vento era
  calato e tutto intorno era silenzio. Improvvisamente alle sue spalle sentì
  un forte rumore di rami scossi. Non fece neppure in tempo a voltarsi: si
  sentì spingere per terra. Cercò di resistere, ma una gamba infilata tra le
  sue lo fece cadere in ginocchio, le mani protese in avanti. - Il
  cacciatore è stato catturato dal lupo, che ora se lo sbrana! La voce
  di Daniel era allegra, beffarda. François stava per rialzarsi, ma la mano di
  Daniel lo bloccò. - Eh no,
  visto che sei in posizione, cominciamo subito il pasto della belva. E
  sentirai la zanna del lupo! A quelle
  parole e soprattutto alla pressione della mano di Daniel, François sentì le
  forze abbandonarlo. Il desiderio lo assaliva, desiderio del corpo di Daniel,
  desiderio di violenza, desiderio di piacere, desiderio di dolore. Voleva che
  Daniel gli facesse male, voleva urlare di dolore. Rimase a quattro zampe, senza
  trovare una parola da dire per gridare il suo desiderio, senza voltare il
  viso verso Daniel, che si spostava dietro di lui. Si limitò a mettersi in posizione,
  divaricando bene le gambe e appoggiandosi saldamente su entrambe le braccia.  - E ora,
  mio povero cacciatore, stai per essere sbranato.  Il tono
  era ancora beffardo, ma poi cambiò, ritornò la voce di sempre:  - Non ti
  preoccupare. Non ti farò troppo male. François
  trovò la voce per replicare, una voce lontana, non sua, con parole che
  uscivano da sole, senza un ordine della sua mente: - No, hai
  vinto, prenditi la tua ricompensa fino in fondo. Fammi urlare, se sei capace. Ci fu un
  attimo di silenzio, da parte di Daniel. Poi
  François sentì la mano umida di saliva che passava leggera tra le sue natiche,
  le braccia che gli divaricavano i fianchi, il primo contatto e il lento
  penetrare del membro dentro di lui. Daniel gli si stese sopra e François
  sentì il peso che lo schiacciava e una sensazione di calore. Daniel gli passò
  le braccia intorno alla vita e poi cominciò a spingere con maggiore
  decisione. La violenza delle spinte andava aumentando e il piacere si
  trasformava in dolore, un dolore che François voleva, che il suo corpo
  richiedeva. - Sì, sì,
  sì! I suoi sì
  erano stati tre urli, soffocato il primo, a piena voce l’ultimo. La zanna
  che gli mordeva le viscere penetrava sempre più in profondità, lo lacerava,
  lo dilaniava e il piacere-dolore, dolore-piacere si moltiplicava. - Daniel! Aveva
  urlato, con tutta la sua forza. Urlò ancora. - Daniel! Ora a ogni
  spinta François urlava, incapace di trattenersi, incapace di sopportare il
  dolore, desiderando solo che continuasse, che crescesse. - Daniel! La
  violenza delle spinte lo fece cadere. Si trovò al suolo, senza che le spinte
  diminuissero. Daniel gli premeva il capo sull’erba, ma François urlò ancora,
  la voce quasi soffocata: - Daniel! In quel
  momento sentì l’urlo di Daniel. Un urlo selvaggio, che sembrò salire fino
  alla luna e poi spegnersi, mentre le spinte venivano meno e Daniel si
  abbandonava su di lui. Il suo cuore stava ancora battendo all’impazzata, il
  suo corpo era ancora preda di sensazioni violente e confuse, quando Daniel si
  rigirò su un fianco e François ne sentì la mano sul ventre, una mano forte,
  che passava in una carezza che faceva male, che afferrava senza pietà le
  palle, saliva all’uccello, lo stringeva in una morsa, lo torturava, ne
  provocava l’irrigidirsi, il tendersi spasmodico. Quando la mano di Daniel
  cominciò l’opera, François emise un gemito. Il gemito salì di tono, divenne
  un urlo spezzato e si librò infine alto, insieme al getto. François
  vide le ombre ruotare e poi svanire. Per un attimo perse i sensi, ma si
  risvegliò ancora tra le braccia di Daniel, ancora la zanna nelle viscere. - Beh,
  piaciuta la caccia al lupo? François
  annuì con il capo. Forse Daniel non poteva vederlo, ma non era in grado di
  parlare. Daniel lo strinse ancora di più e lo tenne contro il suo corpo. Più
  tardi, sentì la voce di Daniel. - Andiamo
  a dormire? - Va
  bene. Daniel si
  alzò, ma François si limitò a mettersi ginocchioni. Prima che Daniel potesse
  reagire, prese in bocca la zanna che lo aveva dilaniato, ancora leggermente
  gonfia, e cominciò a leccarla. François sentiva lo sguardo di Daniel fisso su
  di lui, ma non alzò la testa. Dopo aver leccato, cominciò a succhiare.
  Sentiva la carne irrigidirsi nuovamente nella sua bocca. Daniel gli venne
  nella bocca. François bevve, poi mollò la presa. - Ora
  possiamo andare! Alzandosi François sentì
  una fitta al culo e gli scappò un gemito. - Non ti muovere!  Daniel lo prese tra le
  braccia e lo portò alla radura. François abbandonò la testa contro il petto
  di Daniel. Nella radura Daniel lo
  rivestì e lo stese sulla coperta. Essere accudito così, come un bambino
  piccolo, era una sensazione bellissima. Daniel gli si stese accanto, lo
  avvolse nel suo mantello, lo strinse nelle sue braccia, fece aderire i loro
  corpi. Poi gli morse un orecchio. - Il mio lupacchiotto. François si sentì
  scivolare nel sonno. Era ormai sulla soglia dell’incoscienza, quando avvertì,
  come una voce lontana, le parole di Daniel, appena sussurrate: - Buona notte, amore mio.        CONTI IN SOSPESO
  Il giorno successivo il
  cielo si coprì e in tarda mattinata iniziò a piovere a dirotto. La strada cominciò
  a trasformarsi in un pantano, in cui i cavalli avanzavano a fatica. A metà pomeriggio erano
  fradici e stufi e i cavalli avevano bisogno di riposare. Perciò si fermarono a
  una locanda presso Mayenne, da cui il giorno
  successivo avrebbero potuto raggiungere facilmente Alençon.
   Affidarono i cavalli allo
  stalliere ed entrarono nella locanda, dove poterono infine asciugarsi al
  fuoco che ardeva nel camino. Chiesero di mangiare, ma
  dovettero aspettare a lungo. Non avevano più fatto un pasto regolare dalla
  mattina precedente e François era affamato e si lamentava. Daniel, pur
  facendo sempre onore alla tavola, sembrava in grado di sopportare la fame
  senza problemi. Quando infine la locandiera venne a servirli, si scusò. - Mi spiace di avervi
  fatto aspettare, ma Charles, il nostro servitore, si è ammalato di colpo.
  Stava benissimo fino a mezz’ora fa, ma proprio quando siete arrivati voi, si
  è sentito la testa che gli girava e ha dovuto mettersi a letto. Dice che gli
  capita ogni tanto. - Un bel guaio. Ne ha
  avute tante, di queste crisi? François si stupì della risposta
  di Daniel. Non era tipo da perdersi nelle chiacchiere oziose delle osterie.
  Che cosa gliene importava di Charles? - È la prima volta che gli
  capita da quando lavora da noi, ma è qui solo da un mese. Spero proprio che
  non gli capiti spesso. - Ma almeno è un bravo
  servitore? Daniel non sembrava dare
  importanza alle proprie parole, ma François si rese conto che non stava
  chiacchierando a vuoto e si chiese che cosa avesse in testa l’aiutante
  generale.      - Sì, sì. Lavorava a Rennes, prima, ed è stato a servizio persino di una
  famiglia nobile: riesce ad accontentare anche i clienti più esigenti. Ma
  adesso devo scappare a dare una mano in cucina. Daniel guardò la
  locandiera scomparire oltre la porta della cucina e rimase un momento
  pensieroso.    - Che cosa succede,
  Daniel? - Ne parleremo poi, ma
  dobbiamo stare in guardia. Probabilmente c’è qualcuno che vuole regolare un
  conto in sospeso, ma non riuscirà a riscuotere facilmente il suo credito.
  Tanto più che ho anch’io un conto in sospeso da regolare. Consumarono il loro pasto,
  poi rimasero al tavolo, a scaldarsi al camino. Più tardi la locandiera
  ritornò con una brocca di sidro. - Se volete bere un po’ di
  sidro, questo lo facciamo noi. È ottimo. Vengono fin da Alençon
  a prenderlo qui. - Grazie, molto gentile.
  Il povero Charles sta meglio, ora?      - No. Gli era parso di
  sentirsi meglio, è sceso ad aiutare, ma aveva appena preparato il sidro per
  voi che gli è preso un altro capogiro ed è dovuto ritornare a stendersi.
  Spero che gli passi: non posso badare a tutti i clienti da sola. La locandiera si allontanò
  mugugnando. Daniel versò il sidro a François e a se stesso, ma sussurrò: - Non bere neppure una
  goccia. Fa’ solo finta. - Credi che…  - Avvelenato, non credo,
  ma è possibile. Sicuramente c’è di che farci dormire. Comincio a pensare che
  se Auray si è addormentato, pur avendoti vicino,
  non era solo perché aveva bevuto troppo. D’altronde – e qui Daniel sfoderò un
  ampio sorriso – non è possibile che uno si addormenta quando ha il tuo culo
  ha portata di… mano. Deve essere un pervertito.  François sorrise, si portò
  il bicchiere alle labbra e finse di bere, imitato da Daniel. Poi, badando che
  nessuno li vedesse, rovesciarono il contenuto dei bicchieri in un angolo del
  camino. Quando la locandiera
  ricomparve, Daniel si alzò, sbadigliò e si rivolse a François, parlando però
  ad alta voce. - Che sonno! Abbiamo
  cavalcato tutta la giornata, è meglio che andiamo a stenderci. Domani mattina
  partiremo presto. Sbadigliò nuovamente.
  François lo imitò. Salirono in camera. Appena entrarono nella
  stanza, Daniel cominciò a preparare un fagotto che sistemò nel letto,
  coprendolo con le lenzuola. - Così sembrerà che tu
  dormi sotto le lenzuola. Poi caricò due pistole e
  ne porse una a François. - Tu ti metterai dietro la
  tenda, con questa pistola. Si tolse gli stivali e la
  camicia, ma tenne i pantaloni, prese una seconda pistola e si infilò sotto la
  coperta. Chi fosse entrato nella stanza avrebbe visto Daniel, steso supino,
  coperto solo fino a metà torace, e al suo fianco la sagoma di qualcun altro
  che dormiva sotto le lenzuola. Il braccio sinistro di
  Daniel era sopra la coperta; la mano destra, che stringeva la pistola, era
  invece sotto il lenzuolo. François spense la candela e si mise dietro la
  tenda. Aspettarono oltre un’ora,
  immersi nel buio. Sentirono altri ospiti della locanda salire ed entrare
  nelle loro camere. Ogni volta che dei passi si avvicinavano, François si
  tendeva, rilassandosi solo quando i rumori superavano la porta della loro
  camera.  Poi sentì che qualcuno
  faceva girare una chiave nella serratura. Sulla soglia apparve un uomo, che
  teneva in mano una lampada quasi completamente oscurata. Fece due passi, posò
  la lampada in un angolo e dalla camicia estrasse due coltelli. Ne impugnò uno
  per mano e avanzò deciso verso il letto. Era a tre passi dal letto,
  quando Dessart aprì gli occhi e gli puntò contro la
  pistola. - Non ti muovere, Bruz, Charles o come diavolo di chiami, o ti ammazzo come
  un cane. François era a pochi
  passi, ma non poteva vedere il volto dell’uomo, in ombra. Lo vide abbassare
  le braccia, come se volesse arrendersi, lasciar cadere il pugnale che teneva
  nella sinistra e poi, con un movimento rapidissimo, scagliarsi contro Daniel
  brandendo il pugnale nella destra.  Daniel e François spararono
  contemporaneamente. Bruz si fermò, ondeggiò, girò
  su se stesso e si abbatté al suolo ai piedi del letto. In un attimo Daniel fu in
  piedi e François uscì da dietro la tenda. Si sentirono delle voci
  nel corridoio. Arrivarono il locandiere e alcuni ospiti. Daniel aprì la
  porta. - Quest’uomo era
  l’assassino dell’aiutante generale Auray. A Rennes si faceva chiamare Bruz
  e cercò di uccidere il capo-brigata Hulot. Questa
  notte ha cercato di uccidere anche noi, dopo aver versato del sonnifero nel
  nostro vino. Ci furono alcuni mormorii
  nella stanza. Poi uno degli ospiti della locanda parlò.  - Conoscevo quest’uomo. Si
  chiamava Lancelot Bruz.
  Lavorava per i La Boussac, prima che emigrassero.  - Non mi stupisce. Il cadavere venne portato
  via e, dispersa la piccola folla di viaggiatori curiosi, Daniel e François
  poterono finalmente stendersi.  - Direi che abbiamo
  regolato l’ultimo conto in sospeso.  - Sì, questa volta non è
  riuscito a far fuori l’aiutante generale e a farmi incolpare dell’omicidio. - Secondo me, questa volta
  avrebbe ucciso anche te. Eri anche tu al castello, quando abbiamo fatto fuori
  due re in un colpo solo. - Allora sono molto
  contento che sia finita così e spero che con questa mano la partita sia conclusa,
  una volta per tutte. - Ti è pesata così tanto? - Non è stata precisamente
  una partita a scopa. - Beh, c’è stato anche
  quello, no? François rise. - Non intendevo questo. - Beh, se non ti sembra importante… La stanza era immersa nel
  buio. Con un rapido movimento, François si avvicinò e morse la spalla di
  Daniel, poi si staccò e scese verso il capezzolo. Morse nuovamente. - Ahia! Mi hai colpito a
  tradimento! Adesso sai come finisce! Le mani di Daniel lo
  forzarono ad allontanare la testa. François guizzò, voltandosi, come se
  volesse scendere dal letto e fuggire, ma si ritrovò stretto in una morsa. In
  un attimo fu steso prono sulle lenzuola, sopra di lui Daniel. La bocca di Daniel
  descrisse un itinerario di baci e morsi che dal collo e dalle spalle scese,
  fino a raggiungere il culo. Ora Daniel non lo
  schiacciava più con il suo peso, ma François non si sarebbe allontanato per
  nulla al mondo. Si abbandonò alle sensazioni violente che quei baci e quei
  morsi destavano in lui, fino a che non sentì che Daniel entrava dentro di
  lui. Steso sul letto, aspettò
  che il corpo di Daniel aderisse al suo. Il suo pensiero corse a quella notte
  di nemmeno due mesi prima, in cui era rimasto sveglio a contare le stelle
  cadenti. Allora aveva le idee confuse, non sapeva che cosa voleva. Ora lo
  sapeva benissimo. Sapeva che quel palo che gli scavava le viscere rispondeva
  all’esigenza del suo corpo e quello scimmione naso-cazzuto
  che muoveva il palo era tutto ciò che desiderava. E sapeva che voleva
  dirglielo, che doveva dirglielo. - Daniel! – Che cosa c’è? Si vergognò e fece una
  finta. - Sei uno scimmione nasuto
  e cazzuto. - Questo me lo hai già
  detto, grazie. Daniel lo ringraziò con
  due spinte vigorose, di quelle che gli mozzavano il fiato e gli facevano
  vedere le stelle, ma lo facevano vibrare di piacere. - Daniel… - Sì? - Mi piacciono gli
  scimmioni nasuti e cazzuti. - Questo l’avevo
  sospettato. - Daniel… - Sì? - Vorrei passare la mia
  vita così. - Piacerebbe anche a me,
  devo dire. Daniel lo baciò sul collo,
  poi scivolò sulla spalla, dove il bacio divenne una ventosa e infine una
  tenaglia che stringeva. I denti lasciarono il segno sull’incavo della spalla. François si vergognava, ma
  ritornò alla carica, deciso a vincere l’imbarazzo. - Daniel… - Questa sera siamo in
  vena di conversazione! Devo interrompere, ci sediamo e prendiamo un bicchiere
  di sidro? - Daniel, non scherzare,
  c’è una cosa importante che devo dirti. - E dimmela! - Daniel, ti amo. François sapeva che il suo
  viso, le orecchie e il collo avevano ormai virato verso l’amaranto, ma era
  felice di essere riuscito a dirlo. Daniel lo strinse con forza, facendogli
  male, e la violenza di quel movimento tradì l’intensità della sua reazione.
  Ma quando parlò, la sua voce era un sussurro. - Anch’io, François. - Daniel, vorrei rimanere
  con te tutta la mia vita. Nuovamente le mani di
  Daniel lo afferrarono con violenza. Il giorno successivo François si sarebbe
  ritrovato i lividi di quell’abbraccio e ogni volta, a toccarli, avrebbe
  provato una sensazione di felicità.  - François, non hai
  neppure vent’anni, non puoi sapere che cosa sarà tra cinque, dieci,
  vent’anni. - Lo so, ma adesso vorrei
  che fosse così. - Anch’io, François. * EPILOGO
  Le ricerche da noi
  pazientemente condotte presso gli archivi di Alençon
  e di Rennes ci hanno permesso di ricostruire le
  vicende del soldato Girod e del capitano Dessart, negli anni in cui la brigata del comandante Hulot era di stanza a Alençon.
  Per quanto riguarda gli avvenimenti successivi, sappiamo che il tenente Girod fu ferito a Eylau, ma
  guarì e nello stesso anno, alla battaglia di Friedland,
  dove combatté con il grado di capitano, salvò la vita al suo colonnello con
  un’azione eroica che gli valse una decorazione e la promozione a maggiore.
  Probabilmente è inutile specificare che il suo colonnello si chiamava Daniel Dessart. Nel 1815, in seguito alla
  definitiva sconfitta di Napoleone, il quarantatreenne generale Dessart e il trentatreenne maggiore Girod
  si rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà ai Borboni
  e partirono per l’Egitto, con l’intenzione di avventurarsi lungo il corso del
  Nilo. Avere notizie sulle vicende successive dei due personaggi richiederebbe
  una serie di indagini negli archivi coloniali inglesi e in Africa. Fino a ora
  non abbiamo potuto effettuare tali ricerche, per cui non siamo in grado di
  fornire ulteriori informazioni. Per quanto riguarda gli
  altri personaggi, lo storico Honoré de Balzac ci fornisce informazioni
  precise sulla sorte di Hulot e Bel-Piede.
  Quando, dopo lunghi anni di gloriose campagne militari al servizio di
  Napoleone prima, della monarchia poi, il maresciallo di Francia Jean-Joseph Hulot si ritirò
  dalla vita militare, Bel-Piede divenne il suo
  domestico e gli fu fedele fino alla morte, avvenuta oltre quarant’anni dopo
  questa storia. Balzac riferisce che Bel-Piede era
  un domestico onesto e competente, ma omette di specificare tutte le
  prestazioni per cui Hulot non volle separarsi da
  lui né in tempo di guerra, né in tempo di pace: per i nostri lettori, già
  sufficientemente informati, basti l’informazione che Hulot
  rifiutò sempre di sposarsi e anche Bel-Piede rimase
  scapolo. Infine, per coloro che si
  interessano di letteratura, vorremmo citare un particolare curioso, che
  riguarda un personaggio secondario di questa storia, Philippe Ménéac. Nel 1825 Philippe accompagnò negli USA il
  marchese de Lafayette e in quell’occasione ebbe modo di conoscere un bambino,
  un certo Walter Whitman. Stabilitosi negli USA, Philippe rincontrò il giovane
  Walter quando questi lavorava come tipografo a Brooklyn e intrecciò una
  relazione con lui. L’ormai cinquantacinquenne Philippe ritrovò nel sedicenne
  Walter un vigore e una disponibilità al piacere che non aveva più incontrato
  da tempo. In uno dei loro primi rapporti, rivivendo le sensazioni violente
  provate in una notte di trentacinque anni prima, a Rennes,
  ripeté più volte quel suo grido: - Oh capitano, mio capitano! –, che François
  aveva ascoltato dietro la porta.  Il
  giovane Walter fu colpito da quell’esclamazione e diversi anni dopo se ne
  servì come incipit di una delle sue più famose poesie, dedicata ad Abraham
  Lincoln e inserita nella raccolta Foglie d’erba. Tale importante
  informazione purtroppo non appare in nessuna delle edizioni critiche delle
  opere di Withman. Siamo perciò felici di colmare
  questa lacuna.  | 
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