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CONVALESCENZA

 

François si svegliò e guardò il soffitto. Il dolore riaffiorò, preciso e violento, come era stato ogni volta che si era svegliato, quella notte. Aveva dormito male, benché il dottore che lo aveva visitato al suo arrivo, vedendo la sua disperazione, gli avesse dato una bevanda soporifera. Ma nel sonno gli era sembrato più volte di sentire la voce di Daniel che lo chiamava: lo vedeva che gli tendeva la mano avvolto nelle fiamme, lui non riusciva a raggiungerlo e gridava o piangeva. Da quei sogni si era risvegliato in lacrime.

Malgrado la pozione, si era svegliato quando Hulot e gli altri soldati erano arrivati, a notte fonda. Hulot era anche entrato nella stanza, ma François aveva finto di dormire: non se la sentiva di parlare con nessuno e tanto meno con Hulot. Oscuramente, lo sentiva responsabile della morte di Daniel.

Si era alzato qualche ora prima per svuotare la vescica ed era tornato a letto. Si muoveva senza difficoltà, anche se il braccio gli faceva un po’ male. Probabilmente doveva essere leggermente ustionato.

Ora c’era Fischietto nella stanza, che lo osservava. Quando vide che aveva gli occhi aperti, gli sorrise e uscì, senza dire nulla. Poco dopo Hulot entrò, sorridente. François lo guardò con odio. Come poteva quell’uomo sorridere? Daniel era morto il giorno prima, Daniel, il suo uomo migliore, aveva dato la vita per salvare gli altri. E lui sorrideva.

- Allora, Girod, come va? Il medico mi ha confermato che non è niente di grave.

François sentì la propria voce emergere da un abisso di indifferenza. Che cosa gli importava di come stava, ora che Daniel era morto?

- No. Niente di grave.

Nonostante il tono di François, Hulot non perse il suo sorriso.

- Ti puoi alzare, no? Sei richiesto.

François lo guardò. Provava rabbia e una tristezza infinita. Non aveva nessun motivo per alzarsi. Tutto gli era indifferente. Svogliatamente si alzò e si infilò i pantaloni e la camicia.

Uscirono nel corridoio e di lì passarono alla camera a fianco.

Mentre entravano, François sentì una voce che ripeteva il suo nome:

- François… François.

Era una voce alterata dalla sofferenza, ma perfettamente riconoscibile. François fu preso da un capogiro. Si appoggiò allo stipite della porta per non cadere, poi si slanciò in avanti.

Prono su un pagliericcio, nudo ma con diversi impacchi e fasciature, che gli coprivano quasi tutta la schiena, era disteso Daniel Dessart. Il viso era quasi irriconoscibile: barba e capelli erano bruciacchiati in molti punti, ma era lui, certamente lui.

- Daniel!

Daniel non era cosciente, ma ripeté ancora:

- François!

La mano sinistra di Daniel era appoggiata vicino alla sua testa. François ne sfiorò le dita. A quella stretta Daniel aprì gli occhi, fissò François per un attimo, poi la bocca gli si aprì in un sorriso, la sua mano strinse in una morsa quella di François e gli occhi si richiusero. Mormorò ancora:

- François…

La stretta era forte, dolorosa, ma François pensò che nulla al mondo avrebbe potuto dargli tanta gioia.     

Senza cercare di liberare la mano, si voltò verso Hulot. Aveva le lacrime agli occhi. Il comandante sorrideva.

- Come sta? Voglio dire…

Il sorriso di Hulot si allargò.

- Se la caverà, questo è sicuro. Credo che conserverà un bel po’ di cicatrici, ma nessun altro danno.

François tornò a fissare Daniel. Gli sembrava incredibile.

- Come ha fatto, come? Era dentro il castello quando sono crollati i soffitti… Stava bruciando. Voglio dire, i suoi abiti stavano bruciando…

- Esattamente come, non lo so. Dobbiamo aspettare che riprenda i sensi, poi ce lo faremo raccontare. Ma grosso modo te lo posso dire fin d’ora. Non poteva salvarsi per la stessa strada per cui vi ha fatto uscire. Deve aver girato nei sotterranei alla ricerca di un’altra via e ha visto una finestra sul retro del castello, abbastanza in alto, ma per fortuna senza inferriata. È saltato attraverso il vetro: questo lo so con sicurezza, perché il medico gli ha tolto non so quante schegge dalle braccia e dalle gambe. I suoi vestiti avevano già preso fuoco e si è lanciato nel lago, in modo da spegnerli. È riuscito a riemergere, ma ormai era senza forze ed è caduto sulla riva. Subito dopo il crollo, abbiamo caricato te e Larelas su un carro e alcuni soldati vi hanno portato qui. Noi siamo rimasti sul posto. Abbiamo di nuovo controllato che non ci fosse nessuno nei diversi edifici vicino al castello e poi abbiamo compiuto un giro di perlustrazione intorno al castello. Allora Fischietto ha visto Dessart, sulla riva. Ti garantisco che quando ci siamo accorti che era vivo, che, per quanto ustionato e ferito, respirava abbastanza regolarmente, abbiamo urlato di gioia. Ti dico: urlato. Quel coglione di Segno-della-Croce ha detto che era un miracolo di sant’Anna e nessuno si è sentito di dirgli niente. Te l’immagini, sant’Anna che interviene per salvare questo miscredente, bestemmiatore, sodomita?

Hulot era di fianco a Dessart e mentre parlava aveva poggiato la mano aperta sul suo culo. Concludendo il suo discorso, aveva cominciato a carezzare le natiche.

Alle parole di Hulot, François ebbe uno scatto di rabbia, ma Hulot lesse nel suo sguardo e scoppiò a ridere:

- Nonché il miglior soldato e l’uomo migliore che abbia mai conosciuto, come dice il caporale Girod. Concordo con te, François.

François si rilassò. Hulot tolse la mano e guardò François negli occhi. Il suo viso ora aveva un’espressione seria, tesa.

- François, non fargli troppo male.

La frase colpì François, che alzò gli occhi interrogativamente sul comandante.

- Fargli male? Io? E come potrei?

- Puoi, puoi. Gli farai molto male, se non fai attenzione.

- Non capisco. Non vorrei mai fargli male.

Fare del male a Daniel? A Daniel che amava con tutta l’anima?

- Dessart non ha solo un corpo vigoroso e un cazzo regale, o forse dovrei dire repubblicano. Dessart ha anche un cuore e credo che tu sia entrato in quel cuore. Questa notte nel delirio avrà ripetuto il tuo nome centinaia di volte. Ero persino venuto a chiamarti, anche se lui non era cosciente, ma tu dormivi. Adesso che stringe la tua mano è tranquillo.

François chinò il capo: quando Hulot era passato, aveva solo finto di dormire. Ma non poteva sospettare che Daniel fosse ancora vivo.

Hulot proseguì :

- Dessart si innamorò alcuni anni fa. Una brutta storia. Un amore non ricambiato, qualcuno che amava farsi scopare da lui, ma non amava lui. Daniel ne soffrì come infinitamente. Più volte lo vidi cercare deliberatamente la morte. Ci vollero anni perché la ferita si cicatrizzasse. Daniel è come un cane: il suo attaccamento è assoluto. Non gli fare troppo male.

François fissò Hulot negli occhi.

- Non gli farò male.

Cercò di superare l’imbarazzo che lo assaliva, mentre proseguiva:

- Io lo amo.

Si rese conto che la sua faccia stava rapidamente diventando rosso cremisi. Hulot sorrise.

- Ne sono felice. Bene, ora ti lascio a fare l’infermiere: so che non ti dispiace e comunque non credo che riusciresti a togliere la tua mano da quella di Dessart. Chiamami quando si sveglia. Il medico ieri sera gli ha dato un oppiaceo per lenire il dolore, ma ha detto che in mattinata si sarebbe svegliato.

Hulot uscì e François rimase a guardare Daniel. Gli sembrava impossibile che fosse ancora vivo. Vivo. Vivo!

La morsa che gli stritolava la sinistra era un chiaro indizio di quanto Daniel fosse ancora vivo e forte. François tese la destra verso la schiena di Daniel. La mano si poggiò sull’incavo della schiena, subito sotto il limite delle fasciature. Poi cominciò a scorrere sul culo, perdendosi tra i peli, scese sulla coscia sinistra, poi risalì, scese lungo la coscia destra. Ritornò in alto e questa volta le dita seguirono percorsi diversi. Il medio si infilò nella piega tra le natiche e scese accarezzandola. Quando arrivò all’apertura, cominciò a solleticarla.  

Il lento movimento di quelle carezze, che risvegliavano il suo corpo, lo stordì: guardava la sua mano che accarezzava il culo di Daniel, che ne cercava l’apertura, e gli sembrava che si stesse muovendo per volontà propria. Nello stesso tempo la mano gli trasmetteva sensazioni sempre più forti che sembravano risalire lungo il braccio per poi scendere fino al ventre e riscaldarglielo.

Dopo un certo tempo, il suo sguardo si posò nuovamente sul viso di Dessart e François sussultò: gli occhi aperti, Daniel lo stava guardando, un sorriso sulle labbra.

- Ti sei svegliato!

- Da un buon momento.

- E non mi hai chiamato!

- È così bello guardarti e sentire la tua mano che mi accarezza il culo. Non smettere, ti prego.

François riprese il movimento.

- Come ti senti, ora?

- Più o meno come se qualcuno mi avesse sbattuto un menhir sulla schiena.

François scosse la testa. D’improvviso non riuscì più a parlare. Sentiva un groppo in gola e si rese conto che stava per mettersi a piangere. Cercò di reagire.

- Te lo meriti. Una delle ultime volte che mi hai parlato, mi hai detto che ero una testa di cazzo.

Daniel sorrise.

- Sì, concordo perfettamente con me stesso. Una definizione perfetta. Ma perché mai hai voluto entrare nel castello, dopo quello che ti avevo detto? E perché mai ci sei tornato?

- Lo sai, Daniel.

Daniel gli sorrise. Non disse nulla per un buon momento. Poi parlò.

- François, potresti…

- Dimmi, hai bisogno di qualche cosa?

- Sì… Non avresti voglia…

Daniel non completò la frase, ma il luccichio dei suoi occhi era più che sufficiente.

- Daniel! Ma la tua schiena deve essere un’unica piaga, hai le ustioni…

- E perché mi sono mezzo bruciacchiato devo anche soffrire di astinenza? Che idea balorda!

- Ma te la senti?

- François, se vuoi vedere l’effetto delle tue carezze e dell’averti vicino, passa la mano sotto quel culo che stai accarezzando e vedrai che sono perfettamente pronto.

François sfilò la sua sinistra, dolorante, dalla mano di Daniel e gliela infilò sotto il ventre. Incontrò un tizzone ardente. Ritirò la mano come se si fosse scottato.

- Se proprio è necessario…

- Beh, se proprio ti pesa, lasciamo perdere…

- Ma no, solo per bontà d’animo, sono disponibile. Che cosa vuoi fare?

- Escluderei tutto ciò che mi richiede di alzarmi o di mettermi sulla schiena.

- Un po’ pigro, eh?

- Sì, mi sono stancato troppo in questi ultimi tempi.

- Se mi infilo sotto?

- Mi sembra una buona idea. Un’ottima idea.

François si spogliò rapidamente. Daniel si sollevò sulle braccia, con una smorfia di dolore e François passò rapidamente al di sotto. Daniel abbassò le braccia e i loro corpi aderirono. Contro il culo François sentiva ardere quel tizzone.

- Credo che questa mattina dovrò limitarmi al minimo.

- Daniel, qualunque cosa va bene. Già solo stare così è perfetto.

François tacque. Temeva di mettersi nuovamente a piangere. Daniel era vivo. Daniel stava bene, abbastanza, abbastanza da avere quel tizzone ardente pronto per l’uso.

Una mano di Daniel, umida di saliva, scorreva tra le sue natiche, una, due volte. Poi il tizzone entrò, incendiandogli le viscere.

- Daniel!

Nuovamente la sensazione di precipitare, di perdere i sensi. Nulla esisteva più, se non il lento movimento di Daniel dentro di lui, quel tizzone che propagava l’incendio, sempre più in profondità, fino a che tutto il suo corpo ardeva.

La voce di Hulot lo costrinse a tornare alla realtà:

- Ti avevo chiesto di avvisarmi, Girod, quando l’aiutante generale si sarebbe svegliato, ma mi sembra che tu abbia tutt’altro per la testa.

Dessart rise, senza interrompere la sua attività:

- Per la testa, non so, posso dirti che cos’ha per il culo. Buongiorno, comandante.

- Quanto a te, Dessart, vedo che non stai troppo male.

- In questo momento non potrei stare meglio, anche se sono un po’ rigido nei movimenti.

François intervenne:

- Dice che si sente come se gli avessero sbattuto un menhir sulla schiena. Io il menhir me lo sento da un’altra parte.

- Un menhir?

Hulot non conosceva la parola, che non era ancora entrata nell’uso comune. Daniel glielo spiegò.

- Qui in Bretagna chiamiamo così le grandi pietre messe su. Ce ne sono un sacco. Ma questo non è un menhir!

Alcune spinte più rapide conclusero l’opera, prima che François fosse venuto. Daniel gli mise le mani sulle guance e si abbandonò su di lui.

Poi si volse verso Hulot e gli parlò:

- Dimmi come è finita la nostra azione, comandante.

- Il castello è stato devastato dall’incendio e la marchesa è morta. Noi non abbiamo avuto nessuna perdita, grazie all’aiutante generale, un vero genio.

Daniel non badò al complimento.

- La marchesa è morta? Sicuro?

- L’abbiamo vista bruciare viva. È stata lei a incendiare il castello, dopo aver escogitato la trappola, insieme a quel Bruz che ha assassinato Auray.

- Con Bruz? E come fai a saperlo?

- Ieri pomeriggio abbiamo catturato un servitore del castello, che era rimasto nelle vicinanze e che aveva visto morire la sua padrona. Ci ha raccontato tutto.

- Tutto cosa?

- Quando ha saputo della morte del conte di Vilhoet, la marchesa ha capito che avremmo attaccato il castello e voleva organizzare la resistenza, ma non è riuscita a trovare uomini disponibili: la morte dei quattro re ha scoraggiato gli altri nobili e i ribelli fedeli alla marchesa erano stati uccisi durante la tua prima visita al castello. Con sette-otto servitori non poteva certo difendere Roussière. Perciò, con l’aiuto di Bruz, ha organizzato un bel piano: ha accatastato i mobili e materiale incendiario in modo da bloccare la scala principale. Ha riempito di paglia i sotterranei e ha aspettato che Lingua-Franca e gli altri entrassero in uno stanzone senza uscita, per far scattare un meccanismo che ha bloccato la porta dall’esterno. Poi ha incendiato la paglia nei sotterranei e, per mezzo di una scala segreta, è salita al piano terreno e ha dato fuoco anche alla catasta di mobili sulle scale principali. Se quel Dessart non si fosse accorto dell’inganno, sarebbero rimasti intrappolati tutti: finestre inchiodate, nessuna via d’uscita. Venti soldati in fumo. Ma anche questa volta Dessart è stato più furbo di lei.

- Che genio, questo Dessart! Peccato che il suo superiore non lo ascolti.

Hulot aggrottò le sopracciglia.

- Come sarebbe a dire?

- Sarebbe a dire che il buon Dessart aveva detto al suo superiore che il caporale Girod doveva rimanere fuori dal castello, perché era un bersaglio molto ambito. E invece il superiore ha mandato Girod dentro.    

- Il sottotenente Girod, che è tale da dieci minuti, anche se non lo sa ancora, ha fatto richiesta di entrare nel castello e se il comandante avesse dovuto tener fuori i bersagli più ambiti, il primo a rimanere fuori avrebbe dovuto essere l’aiutante Dessart.

- Uno si fa cuocere per servire la Repubblica e guarda un po’ come lo trattano.

- Comunque, a proposito di farti cuocere, mio caro aiutante, sei bianco come un lenzuolo. Tu hai bisogno di riposare, non di scopare. Perciò, sottotenente Girod, ti proibisco di farti inculare dall’aiutante Dessart fino a che non si sarà rimesso.

- Comandante! È questa la ricompensa che spetta al fedele aiutante per aver impedito a venti uomini di finire arrosto?

- Proprio questa. Quanto a te, Girod, se disobbedisci, ti mando in un’altra brigata!

Allo sguardo sconsolato di François e Daniel, Hulot scoppiò a ridere e aggiunse:

- Comunque, non ho vietato altre pratiche meno faticose.

Hulot uscì, Daniel mormorò:

- François, François.

Poi appoggiò la testa sul suo collo e sprofondò nel sonno.

François rimase disorientato, ma si rese conto che Daniel doveva davvero essere esausto e ancora sotto l’effetto della bevanda soporifera. La sua posizione non era tra le più comode: Daniel non era precisamente un peso-piuma. Ma era ugualmente contento: era bello rimanere così, sotto quel corpo, dentro di sé il tizzone, non più incandescente, ma ancora caldo. Gli dispiacque quando lo sentì scivolare via. Avrebbe voluto trattenerlo per sempre.

Quando Daniel si svegliò, François sgusciò sotto di lui, con i muscoli intorpiditi. Si rivestì e si sedette vicino a Daniel. Allungò la mano a toccare quella di Daniel, che gliela prese. Una stretta leggera.

- Daniel, questa è stata la terza volta, in dieci giorni, che ti ho creduto morto.

- Sì, da quando ti frequento la mia vita è diventata molto movimentata. Forse farei meglio a evitarti. Comunque me la sono sempre cavata.

- Daniel, promettimi una cosa.

- Che cosa?

- Prima prometti, poi ti dico che cosa!

- Non mi fido.

- Se non prometti, non ti tocco neanche con un dito per i prossimi quindici giorni.

- Se mi tocchi solo per far piacere a me, allora ne faccio a meno.

François si rese conto che non l’avrebbe spuntata e si arrese, senza molte speranze.

- Promettimi che la prossima volta non cercherai più di separarmi da te.

- Che cosa intendi dire?

- Che saremo insieme, nel castello in fiamme o al plotone. Che non penserai più a salvare me quando non c’è speranza per te.

- Avevo ragione a non fidarmi! Non prometto un bel niente.

- Daniel, non voglio rimanere separato da te. Tu non sai che cosa significa. È atroce.

- Se mi rimarrai vicino, dovrai abituarti. Ma hai visto che ho tante vite, come i gatti.

- Daniel, avrai anche tante vite, ma se le consumi a questo ritmo...

Daniel scoppiò a ridere.

- Non è sempre così, François, ma non sono abituato a risparmiarmi. In nulla.

Gli sorrise, poi aggiunse:

- Avvicinati.

François eseguì.

- Passa davanti e calati i pantaloni.

- Daniel!

- Non ne hai voglia? Il comandante non ha mica proibito i pompini!

 

Nei giorni seguenti le condizioni di Daniel migliorarono rapidamente. La sua schiena era attraversata da ustioni e una, sulla sinistra, appariva particolarmente ampia e conservava un pessimo aspetto, ma il dottore garantiva la guarigione.

In pochi giorni Daniel fu nuovamente in grado di camminare e muoversi, anche se non riusciva a rimanere a lungo in piedi o seduto. Perciò trascorreva la maggior parte del suo tempo disteso a letto, di solito in compagnia di François, a cui Hulot aveva assegnato il compito di seguire la convalescenza dell’aiutante.

François non si sarebbe mai staccato da Daniel, ma questi lo forzava a prendersi dei momenti per sé, a stare con i compagni, oppure gli chiedeva di uscire per portargli qualche cosa da comprare al mercato. François capiva che erano scuse per evitare che si annoiasse, rimanendo sempre in camera con lui, e con il passare dei giorni si rendeva conto che la scelta di Daniel era saggia: tenergli compagnia in camera rimaneva un piacere intenso e non c’erano momenti di stanchezza o di noia.

Dieci giorni dopo Daniel abbandonò definitivamente il letto, ma continuò a rimanere tutto il giorno in caserma. Inizialmente non portava mai la camicia e stava molto attento quando appoggiava la schiena, ma era già in grado di stare seduto per ore e di camminare senza stancarsi troppo.

I capelli, le sopracciglia, la barba, i baffi cominciarono a ricrescere. François osservava spesso quel volto. Senza la fitta peluria, il viso di Daniel aveva un’altra espressione. Non era bello, tutt’altro, ma era meno feroce.

La notte Daniel e François si dedicavano alla loro attività preferita, senza più limitazioni.

 

 

UN DRAMMA STORICO

 

Venti giorni dopo la spedizione, Hulot entrò in camera di Daniel con un annuncio:

- Tra alcuni giorni la guarnigione ritorna ad Alençon. La Bretagna è tranquilla e non vedo più nessun motivo per rimanere qui. In ogni caso, da Alençon siamo sempre in grado di intervenire rapidamente.

Daniel era steso sul letto, perché il dottore gli aveva appena cambiato le medicazioni.      François, che era seduto vicino a lui obiettò:

- Ma Dessart non è in grado di viaggiare.

- Ma certo che lo sono.

- No, Girod ha ragione, ne ho parlato con il medico: tu ti fermerai qui per una quindicina di giorni ancora e poi ci raggiungerai ad Alençon.

François intervenne di nuovo, anche se non spettava a lui parlare:

- Una quindicina di giorni?

La sua voce tradiva lo sgomento. Quindici giorni senza Daniel! Gli sembrava una condanna al carcere.

- Girod, tu rimarrai qui per accudire il nostro aiutante-generale e tornerete insieme quando si sarà completamente rimesso. 

François sorrise, felice. Daniel intervenne :

- Grazie, cittadino comandante. Come posso ringraziarti?

Hulot sorrise, ma non disse niente. Dessart a sua volta sorrise.

- Dimmi, cittadino comandante, sono a tua completa disposizione.

Hulot lo guardò ancora un momento in silenzio, sorridendo.    

- Completa?

- Certamente, dalla punta dei capelli, per quelli che mi sono rimasti, alle dita dei piedi, comprendendo tutto quello che c’è in mezzo.

- Beh, se comprende tutto quello che c’è in mezzo…

L’indice della destra cercò tra le natiche di Daniel un punto preciso.

- Per il mio comandante le porte sono sempre aperte.

- Ho un’altra idea, ma non ora.

- Quando vuoi, cittadino comandante.

- Ripasserò questa sera.

 

In serata Hulot ritornò.

- Allora, che ne direste di una rappresentazione? Tanto per far conoscere a Girod questi giochi che piacciono a Bel-Piede?

- Non diciamo mai di no al nostro comandante, vero, François?

- Certamente. Sempre solerti nell’ubbidire agli ordini!

Hulot sorrise.

- So che siete dei bravi patrioti! Bene, questa sera si tratta di una rappresentazione storica.

Tutti e tre si diressero nella camera di Hulot, dove Bel-Piede li aspettava. Due panche erano state sistemate al centro della stanza. Ai piedi delle panche, due corde e su una panca, un cuscino.

Bel-Piede sorrise e chiese:

- Pronti?

Tutti assentirono.

- Bene. Questa sera torniamo indietro di un secolo. Siamo nel Levante, sulla piazza dell’isola di Chio, dove due valorosi cristiani, il francese Jean-Joseph Hulot e l’italiano Andrea, di cui non sappiamo il cognome, dovranno affrontare il supplizio.

Al sentire il nome di Hulot, Daniel aggrottò la fronte.

- Jean-Joseph Hulot?

Fu Hulot a intervenire.

- Certo, mio nonno, a cui devo il nome. Era il più famoso contrabbandiere del Levante. Per dodici anni riuscì a farsi beffe di tutta la flotta turca. I Turchi lo odiavano ferocemente…

Bel-Piede proseguì:

- …e misero una taglia favolosa sulla sua testa. Fu così che qualcuno lo tradì ed egli venne catturato insieme al suo fedele… amico…. Sì, diciamo amico…, Andrea.

Hulot concluse:

- Su questa amicizia non abbiamo informazioni precise, ma il mio illustre antenato con mia nonna rimase giusto il tempo di mettere al mondo un figlio e poi non si fece più vedere. Probabilmente Andrea gli sembrava più… interessante.

- Se assomigliava a Bel-Piede, non mi stupisce…

All’osservazione di Daniel, Bel-Piede e Hulot si guardarono e si scambiarono un sorriso. Poi Bel-Piede proseguì:

- Alla fine la taglia divenne così alta che fece vacillare la fedeltà di qualcuno e i giannizzeri catturarono Hulot e Andrea. Essi furono condannati a venire impalati sulla piazza di Chio. Si comincia.

François si chiese che cosa sarebbe successo, ora.     

- I due boia sono pronti. Sono a torso nudo e scalzi.

Rapidamente Daniel si sfilò la camicia e gli stivali. François lo imitò, tranquillizzato dal non doversi muovere da solo.

- I due boia prendono i prigionieri e li spingono, con colpi e percosse, fino alla piazza, dove sono assembrati tutti gli uomini dell’isola.

Daniel afferrò Hulot per le spalle e lo spintonò, forzandolo a muoversi verso il centro della stanza. François fece lo stesso con Bel-Piede, ma si sentiva poco sicuro e si muoveva incerto.     Aveva paura di fargli male.

- I due prigionieri avanzano, indifferenti, e la rabbia dei carnefici aumenta. Essi li colpiscono alla schiena con i loro pugni.

François guardò Daniel e vide che colpiva Hulot alla schiena, con il pugno, due volte. Non dovevano essere i colpi che sapeva dare Daniel, perché Hulot sarebbe finito a terra, ma la smorfia sul viso del comandante gli fece capire che nella rappresentazione ci voleva un po’ di sale. Fece del suo meglio, assestando a Bel-Piede due colpi decisi.

- Arrivati sulla piazza, i due condannati vengono brutalmente spogliati dai carnefici.

Come boia brutale Daniel era senz’altro più efficace, ma François si diede da fare. Ora Hulot e Bel-Piede erano nudi davanti a loro. Bel-Piede era già eccitato: la rappresentazione lo stimolava.

- I boia sghignazzano. Uno sputa in faccia ad Andrea.

François esitò un attimo, poi avvicinò il suo viso a quello di Bel-Piede e gli sputò su una guancia. Vide lo schizzo colare fino a perdersi nella barba.

- Ora vengono preparati i pali che infilzeranno i prigionieri.

Bel-Piede fece cenno di sdraiarsi sulle panche. François e Daniel si stesero, appoggiando la schiena.

- I boia cominciano a preparare i pali e a drizzarli, schernendo i prigionieri.

A queste parole Hulot e Bel-Piede si avvicinarono alle panche e sfilarono i pantaloni a Daniel e François. Hulot prese in bocca il palo di Daniel, Bel-Piede quello più modesto di François. Il calore umido di quella bocca fece sobbalzare François. Era bello sentire la lingua scorrere lungo il palo, che lentamente cominciava a crescere, a irrigidirsi, a drizzarsi, ora sì, veramente palo.

La voce di Daniel lo scosse:

- Tra poco vi divertirete, cani di cristiani.

François non se la sentiva di parlare, ma lanciò un’occhiata a Daniel. Hulot lavorava sulla cappella di Daniel, ma solo più per gusto: il palo era perfettamente pronto, formidabile, minaccioso. Lo spettacolo accelerò i tempi e l’opera di Bel-Piede fu conclusa: ora i due pali erano pronti per l’uso.

Bel-Piede si ritrasse.

- Quando i pali sono pronti, i due prigionieri vengono afferrati e portati davanti a essi.

Le mani di Daniel si protesero, afferrarono un braccio di Hulot e il comandante fu costretto a mettersi di fianco alla panca. François afferrò il braccio di Bel-Piede, stringendolo con forza. Cominciava a prendere gusto al gioco. Lo trascinò con uno strattone. Bel-Piede opponeva resistenza e François strinse con più forza.

- Avanti, muoviti!

Aveva parlato senza accorgersene. Daniel rilanciò il gioco:

- State per crepare, cristiani di merda.

Bel-Piede aspettò un momento, poi riprese.

- I due condannati sono sollevati e sospesi sopra il palo.

Bel-Piede stesso scavalcò con un piede la panca, in modo da venire a trovarsi con il culo sopra il palo di François. François osservò quella schiena diritta e liscia, la peluria leggera che scompariva all’altezza della vita. Sentì il suo desiderio crescere.

Hulot invece fu sollevato da Daniel e messo a forza nella stessa posizione di Bel-Piede.     

- Pronti, cristiani di merda?

La voce di Daniel fu seguita da un momento di silenzio, come se Bel-Piede volesse assaporare il piacere che gli dava ogni loro intervento.

- Il boia abbassa il corpo di Andrea, fino a che il suo culo non tocca la punta del palo.

François mise le mani sulle natiche di Bel-Piede e lo fece abbassare. Poi, tenendo la destra sulla natica, si inumidì due dita e le portò all’apertura, preparando la strada.

- Andrea sente che la punta del palo sta per entrare nella sua carne e vorrebbe sfuggire alle mani del carnefice, ma questi, ridendo e insultandolo, lo stringe e gli fa entrare il palo nel corpo.

François si sforzò di ridere, ma gli uscì una risata rauca.

- Bene, pezzo di merda, eccoti quello che ti meriti.

Mise il proprio palo, teso contro il ventre, in posizione verticale, fino a raggiungere l’apertura, poi con entrambe le mani forzò il corpo di Bel-Piede a scendere, in modo che il palo trovasse la strada.

L’urlo di Bel-Piede lo fece sussultare, poi capì che faceva parte della rappresentazione.

- Andrea urla, ma nulla può fermare il palo. Il boia, felice dell’urlo, ne provoca un altro, premendo su di lui, per far affondare il palo.

Le mani di François fecero pressione sulle spalle di Bel-Piede e lo forzarono a scendere ancora, fino a che il palo non scomparve dentro di lui. Di nuovo Bel Piede urlò.

Ci fu un momento di silenzio.

- La folla urla di gioia. Ora è il turno di Jean-Joseph, il più odiato.

- Per te il palo più grosso, infedele maledetto. Soffrirai le pene dell’inferno.

Mentre parlava Daniel eseguiva le stesse operazioni che François aveva svolto prima e ora il suo palo premeva contro il culo di Hulot, pronto a scavarsi una strada.

Poi Daniel fece scivolare le sue mani verso l’alto, fino a che raggiunsero la vita del comandante, strinse con forza e con un colpo secco tirò verso il basso. François vide il palo scomparire completamente nel culo di Hulot e sul viso del comandante comparve una smorfia di dolore violento.

- Jean-Joseph non urla, anche se il palo lo dilania. Non vuole mostrarsi debole di fronte al boia. Ma il boia è implacabile e preme perché il palo entri nel corpo.

Daniel sollevò il corpo di Hulot: ora François poteva vedere il formidabile palo che emergeva, per poi scomparire nuovamente, quando, con un nuovo colpo secco, Daniel lo fece affondare per la seconda volta nel corpo di Hulot.     

- Jean-Joseph resiste, si rifiuta di concedere il suo dolore in pasto agli spettatori. Allora l’altro boia fa pressione nuovamente sul corpo di Andrea, per farlo sprofondare.

François sollevò un po’ il culo di Bel-Piede e poi lo fece nuovamente calare. Nuovamente Bel-Piede urlò, una, due, tre volte, mentre François ripeteva la manovra. Il gioco gli piaceva.

- Gusta un po’ di più il palo, cristiano di merda. Gustalo!

Bel-Piede agitava la testa.

- No! Pietà!

- Non c’è pietà per te, cane di un cristiano.

- No!

La voce di Bel-Piede era alterata. François non poteva vedergli il ventre, ma doveva essere sul punto di venire.

- Andrea sta morendo, il carnefice lo schiaccia sul palo, che lo sta attraversando.

Ci fu un momento di silenzio, poi l’ultimo urlo di Bel-Piede.

- Noooooo!

Bel-Piede reclinò il capo, mentre il suo corpo era percorso da una serie di scosse.

- Andrea è morto, il suo cadavere è infilzato sul palo, ma il boia non interrompe la sua opera, continua a far sprofondare quel corpo, vuole che la punta gli esca dalla bocca.     

François proseguì la sua opera, sollevando e abbassando quel corpo. Non faceva molta fatica: Bel-Piede stesso lo aiutava, sollevandosi sui piedi e lasciandosi ricadere. Il piacere saliva.

- Ti uscirà dalla bocca, questo palo, cane di un cristia-no!

Il no finale gli uscì nel primo spasimo dell’orgasmo che lo scuoteva.

Ci fu un momento di silenzio. Poi Bel-Piede riprese.

- Jean-Joseph ha visto morire il suo amico, ne ha visto l’atroce agonia, prova lo stesso dolore nella sua carne, ma tace. La folla scalpita, vuole soddisfazione. Il boia gliela darà. Il boia afferra con la sinistra la virilità di Jean-Joseph, con la destra estrae un coltello e si prepara a tagliare.

François guardò il viso di Hulot reclinato all’indietro, le gocce di sudore che scendevano. Poi vide le mani di Daniel passare oltre le cosce e muoversi davanti.

- Jean-Joseph non urla, nemmeno ora che il boia sta tagliando, nemmeno ora che la folla grida di gioia.

Le mani di Daniel si muovevano sicure, il viso di Hulot si apriva in un sorriso estatico.

- Il sangue schizza, tra le urla di scherno della folla.

Anche dalla sua posizione François poté vedere lo schizzo. Hulot chiuse gli occhi.

- Ora il boia completa l’opera, facendo affondare il palo nel corpo del prode Jean-Joseph, ormai insensibile.

Le mani di Daniel sollevarono e abbassarono Hulot cinque volte, poi si fermarono e solo il culo di Daniel vibrò, trasmettendo la stessa vibrazione al culo di Hulot.

- Jean Joseph è morto. L’offesa al sultano è stata vendicata. I due cadaveri vengono lasciati sui pali per tre giorni e poi buttati nel letamaio.

Bel-Piede si lasciò scivolare a terra, Hulot lo imitò. Daniel prese il corpo di Bel-Piede e lo portò fino al letto, su cui lo gettò. Poi ritornò a prendere il corpo di Hulot e compì gli stessi gesti. I due corpi ora erano stesi l’uno vicino all’altro.

- Abbiamo fatto un buon lavoro. Due cani infedeli in meno.

Daniel si rivestì, imitato da François. Non disse nulla, ma chiuse la porta.

Quando furono in camera, Daniel chiese:

- Che ne dici?

- Strano, ma mi è piaciuto. E a te? 

- Anche a me. Anche se preferisco quando scopo con te.      

- Una cosa non impedisce l’altra, no?

- No, direi proprio di no!

La verità dell’affermazione fu confermata quella sera stessa.

Nella settimana seguente Hulot evitò di salire a cavallo e si mosse il meno possibile.

 

Al termine della settimana, il capo-brigata riportò ad Alençon i suoi soldati. Gli uomini vennero a salutare il loro aiutante generale, che promise loro una bella festa al suo ritorno.

Daniel e François rimasero con la piccola guarnigione della città, ma, essendo esonerati da qualsiasi compito, di fatto vissero una felice licenza, che fu la loro luna di miele. Di giorno facevano lunghe passeggiate in città e per la campagna; verso sera si stendevano sul letto e parlavano per ore, raccontandosi le loro vite, entrambi desiderosi di appropriarsi del passato dell’altro.

In quelle due settimane François cercò di trovare le parole per esprimere quello che provava, ma ogni volta che apriva bocca, un senso di vergogna lo bloccava. Quell’afasia per i sentimenti un po’ gli pesava, ma non se ne preoccupò troppo, perché sapeva che Daniel aveva capito. E che i suoi sentimenti erano ricambiati.

 

 

CACCIA AL LUPO

 

Due settimane dopo François e Daniel partirono per tornare ad Alençon.

Avrebbero potuto prendere una diligenza, ma per Daniel era ancora doloroso tenere a lungo la schiena appoggiata, perché le ustioni non erano completamente guarite. Stabilirono perciò di raggiungere Alençon a cavallo. Perché Daniel non si affaticasse troppo, decisero di dividere il viaggio, facendo due tappe.

In realtà all’ultimo minuto ci fu un intoppo, perché il cavallo destinato a François dovette essere nuovamente ferrato. Perciò partirono nel pomeriggio. Sarebbero arrivati a destinazione solo il terzo giorno, ma questo non aveva importanza.

Quando il sole era ormai basso all’orizzonte, Daniel propose di fermarsi a dormire all’aperto. Avrebbero potuto pernottare in una locanda o in una casa di contadini lungo la strada, ma in quella giornata di fine settembre il tempo era mite e il cielo perfettamente sereno. E, soprattutto, a Daniel piaceva dormire sotto il cielo stellato.

- Come preferisci, Daniel. Ma in una locanda i cavalli sarebbero accuditi e potremmo fare un pasto caldo.       

- Il pasto caldo lo facciamo, ma poi ripartiamo. Ai cavalli sono in grado di badare e tu è ora che impari, mio bel sottotenentino. E poi…

- E poi?

- E poi mi piace scopare all’aperto, poter urlare liberamente, magari rincorrersi. Questa sera ti propongo un bel gioco, una caccia al lupo.

- Che cos’è una caccia al lupo?

- Lo vedrai.

Si fermarono a mangiare a una locanda e a tavola François cercò di ottenere qualche anticipazione, ma Daniel si rifiutò di spiegare. Dopo aver cenato, ripartirono e dopo poche centinaia di metri Daniel lasciò la strada, seguendo un sentiero, che poi scomparve. Daniel proseguì e attraverso un terreno boscato giunsero a una radura, al cui centro si ergeva una costruzione megalitica: due grandi pietre verticali ne sorreggevano una terza, posta in orizzontale.

- Eccoci qui. Un posto ideale per una caccia al lupo. Anche se ci sentono, penseranno ai soliti fantasmi, come il nostro buon vecchio Segno-della-Croce.

- Adesso mi spieghi che cosa intendi con caccia al lupo?

- Dopo, prima devo badare ai cavalli. Guarda come si fa.

Daniel spiegò a François come doveva fare e François eseguì. Stava diventando rapidamente buio e quando ebbero terminato e preparato il loro giaciglio per la notte, le tenebre erano ormai calate.

Daniel si spogliò rapidamente e rimase nudo.

- Devo pisciare. Spogliati e aspettami un momento.

François si stupì che Daniel si allontanasse per quel motivo: esisteva tra loro una tale intimità, che nessuno dei due si vergognava o pensava di nascondersi all’altro. E poi la falce di luna permetteva appena di vedersi.

François si spogliò e si sedette su una coperta. Ora faceva freddo, anche se la giornata era stata soleggiata. L’assenza di Daniel si trascinava. François cominciò a sentirsi inquieto. Non era possibile che Daniel rimanesse lontano così a lungo per pisciare. Che cosa stava facendo?

L’ululato risuonò improvviso, poco più avanti. François si alzò in piedi, tremando. Poi si rese conto che doveva essere Daniel. Non poteva essere un lupo. No, se lo fosse stato, Daniel sarebbe stato al suo fianco. Ma Daniel non c’era. E d’improvviso François si sentì afferrare dalla paura. Paura di che, non avrebbe saputo dire. Forse del silenzio, forse della luce lunare, forse, certamente, di non avere Daniel vicino.

La voce di Daniel scacciò la paura.

Proveniva da destra, a pochi passi da lui. Daniel doveva essersi spostato in fretta.

- Caccia al lupo. Se lo trovi tu, ne fai quel che vuoi. Se ti trova lui, fa quello che vuole di te. Segui il lupo, ma bada, devi essere tu a trovare lui, non lui a trovare te.

Un nuovo, breve ululato poco dopo. François scattò in direzione dell’ululato. Tra gli alberi il buio era fitto. François si fermò sul bordo della radura, scrutando nel nero.

Il nuovo ululato lo fece sussultare. Era da tutt’altra parte, quasi sul margine opposto della radura.

Corse attraverso la radura, nella direzione da cui era giunto l’ululato, certo di non trovare più Daniel. Cominciava a temere che sarebbe stato il lupo a catturare il cacciatore, ma questo non lo spaventava.

Ai margini della radura si fermò. C’era una traccia di sentiero che si inoltrava tra gli alberi. Era il caso di seguirla? Probabilmente Daniel era già da un’altra parte. Attese un buon momento, ma non ci furono altri ululati. Decise di seguire la traccia.

Prese ad avanzare lentamente, guardandosi intorno incerto. La luce fredda della luna permetteva di distinguere nitidamente le sagome degli alberi. Il vento era calato e tutto intorno era silenzio. Im­provvisamente alle sue spalle sentì un forte rumore di rami scos­si. Non fece neppure in tempo a voltarsi: si sentì spingere per terra. Cercò di resistere, ma una gamba infilata tra le sue lo fece cadere in ginocchio, le mani protese in avanti.

- Il cacciatore è stato catturato dal lupo, che ora se lo sbrana!

La voce di Daniel era allegra, beffarda. François stava per rial­zarsi, ma la mano di Daniel lo bloccò.

- Eh no, visto che sei in posizione, cominciamo subito il pasto della belva. E sentirai la zanna del lupo!

A quelle parole e soprattutto alla pressione della mano di Daniel, François sentì le forze abbandonarlo. Il desiderio lo assaliva, desiderio del corpo di Daniel, desiderio di violenza, desiderio di piacere, desiderio di dolore. Voleva che Daniel gli facesse male, voleva urlare di dolore. Rimase a quattro zampe, senza trova­re una parola da dire per gridare il suo desiderio, senza voltare il viso verso Daniel, che si spostava dietro di lui. Si limitò a mettersi in po­sizione, divaricando bene le gambe e appoggiandosi saldamente su entrambe le braccia.

- E ora, mio povero cacciatore, stai per essere sbranato.

Il tono era ancora beffardo, ma poi cambiò, ritornò la voce di sempre:

- Non ti preoccupare. Non ti farò troppo male.

François trovò la voce per replicare, una voce lontana, non sua, con paro­le che uscivano da sole, senza un ordine della sua mente:

- No, hai vinto, prenditi la tua ricompensa fino in fondo. Fammi urlare, se sei capace.

Ci fu un attimo di silenzio, da parte di Daniel.

Poi François sentì la mano umida di saliva che passava leggera tra le sue natiche, le braccia che gli divaricavano i fianchi, il primo contatto e il lento penetrare del membro dentro di lui. Daniel gli si stese sopra e François sentì il peso che lo schiacciava e una sensazione di calore. Daniel gli passò le braccia in­torno alla vita e poi cominciò a spingere con maggiore decisione. La violenza delle spinte andava aumentando e il piacere si trasformava in dolore, un dolore che François voleva, che il suo corpo richiedeva.

- Sì, sì, sì!

I suoi sì erano stati tre urli, soffocato il primo, a piena voce l’ultimo.

La zanna che gli mordeva le viscere penetrava sempre più in profondità, lo lacerava, lo dilaniava e il piacere-dolore, dolore-piacere si moltiplicava.

- Daniel!

Aveva urlato, con tutta la sua forza. Urlò ancora.

- Daniel!

Ora a ogni spinta François urlava, incapace di trattenersi, incapace di sopportare il dolore, desiderando solo che continuasse, che crescesse.

- Daniel!

La violenza delle spinte lo fece cadere. Si trovò al suolo, senza che le spinte diminuissero. Daniel gli premeva il capo sull’erba, ma François urlò ancora, la voce quasi soffocata:

- Daniel!

In quel momento sentì l’urlo di Daniel. Un urlo selvaggio, che sembrò salire fino alla luna e poi spegnersi, mentre le spinte venivano meno e Daniel si abbandonava su di lui. Il suo cuore stava ancora battendo all’impazzata, il suo corpo era ancora preda di sensazioni violente e confuse, quando Daniel si rigirò su un fianco e François ne sentì la mano sul ventre, una mano forte, che passava in una carezza che faceva male, che afferrava senza pietà le palle, saliva all’uccello, lo stringeva in una morsa, lo torturava, ne provocava l’irrigidirsi, il tendersi spasmodico. Quando la mano di Daniel cominciò l’opera, François emise un gemito. Il gemito salì di tono, divenne un urlo spezzato e si librò infine alto, insieme al getto.

François vide le ombre ruotare e poi svanire. Per un attimo perse i sensi, ma si risvegliò ancora tra le braccia di Daniel, ancora la zanna nelle viscere.

- Beh, piaciuta la caccia al lupo?

François annuì con il capo. Forse Daniel non poteva vederlo, ma non era in grado di parlare. Daniel lo strinse ancora di più e lo tenne contro il suo corpo. Più tardi, sentì la voce di Daniel.

- Andiamo a dormire?

- Va bene.

Daniel si alzò, ma François si limitò a mettersi ginocchio­ni. Prima che Daniel potesse reagire, prese in bocca la zanna che lo aveva dilaniato, ancora leggermente gonfia, e cominciò a leccarla. François sentiva lo sguardo di Daniel fisso su di lui, ma non alzò la testa. Dopo aver leccato, cominciò a succhiare. Sentiva la carne irrigidirsi nuovamente nella sua bocca. Daniel gli venne nella bocca. François bevve, poi mollò la presa.

- Ora possiamo andare!

Alzandosi François sentì una fitta al culo e gli scappò un gemito.

- Non ti muovere!

Daniel lo prese tra le braccia e lo portò alla radura. François abbandonò la testa contro il petto di Daniel.

Nella radura Daniel lo rivestì e lo stese sulla coperta. Essere accudito così, come un bambino piccolo, era una sensazione bellissima. Daniel gli si stese accanto, lo avvolse nel suo mantello, lo strinse nelle sue braccia, fece aderire i loro corpi. Poi gli morse un orecchio.

- Il mio lupacchiotto.

François si sentì scivolare nel sonno. Era ormai sulla soglia dell’incoscienza, quando avvertì, come una voce lontana, le parole di Daniel, appena sussurrate:

- Buona notte, amore mio.

 

     

CONTI IN SOSPESO

 

Il giorno successivo il cielo si coprì e in tarda mattinata iniziò a piovere a dirotto. La strada cominciò a trasformarsi in un pantano, in cui i cavalli avanzavano a fatica.

A metà pomeriggio erano fradici e stufi e i cavalli avevano bisogno di riposare. Perciò si fermarono a una locanda presso Mayenne, da cui il giorno successivo avrebbero potuto raggiungere facilmente Alençon.

Affidarono i cavalli allo stalliere ed entrarono nella locanda, dove poterono infine asciugarsi al fuoco che ardeva nel camino.

Chiesero di mangiare, ma dovettero aspettare a lungo. Non avevano più fatto un pasto regolare dalla mattina precedente e François era affamato e si lamentava. Daniel, pur facendo sempre onore alla tavola, sembrava in grado di sopportare la fame senza problemi. Quando infine la locandiera venne a servirli, si scusò.

- Mi spiace di avervi fatto aspettare, ma Charles, il nostro servitore, si è ammalato di colpo. Stava benissimo fino a mezz’ora fa, ma proprio quando siete arrivati voi, si è sentito la testa che gli girava e ha dovuto mettersi a letto. Dice che gli capita ogni tanto.

- Un bel guaio. Ne ha avute tante, di queste crisi?

François si stupì della risposta di Daniel. Non era tipo da perdersi nelle chiacchiere oziose delle osterie. Che cosa gliene importava di Charles?

- È la prima volta che gli capita da quando lavora da noi, ma è qui solo da un mese. Spero proprio che non gli capiti spesso.

- Ma almeno è un bravo servitore?

Daniel non sembrava dare importanza alle proprie parole, ma François si rese conto che non stava chiacchierando a vuoto e si chiese che cosa avesse in testa l’aiutante generale.    

- Sì, sì. Lavorava a Rennes, prima, ed è stato a servizio persino di una famiglia nobile: riesce ad accontentare anche i clienti più esigenti. Ma adesso devo scappare a dare una mano in cucina.

Daniel guardò la locandiera scomparire oltre la porta della cucina e rimase un momento pensieroso.  

- Che cosa succede, Daniel?

- Ne parleremo poi, ma dobbiamo stare in guardia. Probabilmente c’è qualcuno che vuole regolare un conto in sospeso, ma non riuscirà a riscuotere facilmente il suo credito. Tanto più che ho anch’io un conto in sospeso da regolare.

Consumarono il loro pasto, poi rimasero al tavolo, a scaldarsi al camino. Più tardi la locandiera ritornò con una brocca di sidro.

- Se volete bere un po’ di sidro, questo lo facciamo noi. È ottimo. Vengono fin da Alençon a prenderlo qui.

- Grazie, molto gentile. Il povero Charles sta meglio, ora?    

- No. Gli era parso di sentirsi meglio, è sceso ad aiutare, ma aveva appena preparato il sidro per voi che gli è preso un altro capogiro ed è dovuto ritornare a stendersi. Spero che gli passi: non posso badare a tutti i clienti da sola.

La locandiera si allontanò mugugnando. Daniel versò il sidro a François e a se stesso, ma sussurrò:

- Non bere neppure una goccia. Fa’ solo finta.

- Credi che…

- Avvelenato, non credo, ma è possibile. Sicuramente c’è di che farci dormire. Comincio a pensare che se Auray si è addormentato, pur avendoti vicino, non era solo perché aveva bevuto troppo. D’altronde – e qui Daniel sfoderò un ampio sorriso – non è possibile che uno si addormenta quando ha il tuo culo ha portata di… mano. Deve essere un pervertito.

François sorrise, si portò il bicchiere alle labbra e finse di bere, imitato da Daniel. Poi, badando che nessuno li vedesse, rovesciarono il contenuto dei bicchieri in un angolo del camino.

Quando la locandiera ricomparve, Daniel si alzò, sbadigliò e si rivolse a François, parlando però ad alta voce.

- Che sonno! Abbiamo cavalcato tutta la giornata, è meglio che andiamo a stenderci. Domani mattina partiremo presto.

Sbadigliò nuovamente. François lo imitò.

Salirono in camera.

Appena entrarono nella stanza, Daniel cominciò a preparare un fagotto che sistemò nel letto, coprendolo con le lenzuola.

- Così sembrerà che tu dormi sotto le lenzuola.

Poi caricò due pistole e ne porse una a François.

- Tu ti metterai dietro la tenda, con questa pistola.

Si tolse gli stivali e la camicia, ma tenne i pantaloni, prese una seconda pistola e si infilò sotto la coperta. Chi fosse entrato nella stanza avrebbe visto Daniel, steso supino, coperto solo fino a metà torace, e al suo fianco la sagoma di qualcun altro che dormiva sotto le lenzuola.

Il braccio sinistro di Daniel era sopra la coperta; la mano destra, che stringeva la pistola, era invece sotto il lenzuolo. François spense la candela e si mise dietro la tenda.

Aspettarono oltre un’ora, immersi nel buio. Sentirono altri ospiti della locanda salire ed entrare nelle loro camere. Ogni volta che dei passi si avvicinavano, François si tendeva, rilassandosi solo quando i rumori superavano la porta della loro camera.

Poi sentì che qualcuno faceva girare una chiave nella serratura. Sulla soglia apparve un uomo, che teneva in mano una lampada quasi completamente oscurata. Fece due passi, posò la lampada in un angolo e dalla camicia estrasse due coltelli. Ne impugnò uno per mano e avanzò deciso verso il letto.

Era a tre passi dal letto, quando Dessart aprì gli occhi e gli puntò contro la pistola.

- Non ti muovere, Bruz, Charles o come diavolo di chiami, o ti ammazzo come un cane.

François era a pochi passi, ma non poteva vedere il volto dell’uomo, in ombra. Lo vide abbassare le braccia, come se volesse arrendersi, lasciar cadere il pugnale che teneva nella sinistra e poi, con un movimento rapidissimo, scagliarsi contro Daniel brandendo il pugnale nella destra.

Daniel e François spararono contemporaneamente. Bruz si fermò, ondeggiò, girò su se stesso e si abbatté al suolo ai piedi del letto.

In un attimo Daniel fu in piedi e François uscì da dietro la tenda.

Si sentirono delle voci nel corridoio. Arrivarono il locandiere e alcuni ospiti. Daniel aprì la porta.

- Quest’uomo era l’assassino dell’aiutante generale Auray. A Rennes si faceva chiamare Bruz e cercò di uccidere il capo-brigata Hulot. Questa notte ha cercato di uccidere anche noi, dopo aver versato del sonnifero nel nostro vino.

Ci furono alcuni mormorii nella stanza. Poi uno degli ospiti della locanda parlò.

- Conoscevo quest’uomo. Si chiamava Lancelot Bruz. Lavorava per i La Boussac, prima che emigrassero.

- Non mi stupisce.

Il cadavere venne portato via e, dispersa la piccola folla di viaggiatori curiosi, Daniel e François poterono finalmente stendersi.

- Direi che abbiamo regolato l’ultimo conto in sospeso.

- Sì, questa volta non è riuscito a far fuori l’aiutante generale e a farmi incolpare dell’omicidio.

- Secondo me, questa volta avrebbe ucciso anche te. Eri anche tu al castello, quando abbiamo fatto fuori due re in un colpo solo.

- Allora sono molto contento che sia finita così e spero che con questa mano la partita sia conclusa, una volta per tutte.

- Ti è pesata così tanto?

- Non è stata precisamente una partita a scopa.

- Beh, c’è stato anche quello, no?

François rise.

- Non intendevo questo.

- Beh, se non ti sembra importante…

La stanza era immersa nel buio. Con un rapido movimento, François si avvicinò e morse la spalla di Daniel, poi si staccò e scese verso il capezzolo. Morse nuovamente.

- Ahia! Mi hai colpito a tradimento! Adesso sai come finisce!

Le mani di Daniel lo forzarono ad allontanare la testa. François guizzò, voltandosi, come se volesse scendere dal letto e fuggire, ma si ritrovò stretto in una morsa. In un attimo fu steso prono sulle lenzuola, sopra di lui Daniel.

La bocca di Daniel descrisse un itinerario di baci e morsi che dal collo e dalle spalle scese, fino a raggiungere il culo.

Ora Daniel non lo schiacciava più con il suo peso, ma François non si sarebbe allontanato per nulla al mondo. Si abbandonò alle sensazioni violente che quei baci e quei morsi destavano in lui, fino a che non sentì che Daniel entrava dentro di lui.

Steso sul letto, aspettò che il corpo di Daniel aderisse al suo. Il suo pensiero corse a quella notte di nemmeno due mesi prima, in cui era rimasto sveglio a contare le stelle cadenti. Allora aveva le idee confuse, non sapeva che cosa voleva. Ora lo sapeva benissimo. Sapeva che quel palo che gli scavava le viscere rispondeva all’esigenza del suo corpo e quello scimmione naso-cazzuto che muoveva il palo era tutto ciò che desiderava. E sapeva che voleva dirglielo, che doveva dirglielo.

- Daniel!

– Che cosa c’è?

Si vergognò e fece una finta.

- Sei uno scimmione nasuto e cazzuto.

- Questo me lo hai già detto, grazie.

Daniel lo ringraziò con due spinte vigorose, di quelle che gli mozzavano il fiato e gli facevano vedere le stelle, ma lo facevano vibrare di piacere.

- Daniel…

- Sì?

- Mi piacciono gli scimmioni nasuti e cazzuti.

- Questo l’avevo sospettato.

- Daniel…

- Sì?

- Vorrei passare la mia vita così.

- Piacerebbe anche a me, devo dire.

Daniel lo baciò sul collo, poi scivolò sulla spalla, dove il bacio divenne una ventosa e infine una tenaglia che stringeva. I denti lasciarono il segno sull’incavo della spalla.

François si vergognava, ma ritornò alla carica, deciso a vincere l’imbarazzo.

- Daniel…

- Questa sera siamo in vena di conversazione! Devo interrompere, ci sediamo e prendiamo un bicchiere di sidro?

- Daniel, non scherzare, c’è una cosa importante che devo dirti.

- E dimmela!

- Daniel, ti amo.

François sapeva che il suo viso, le orecchie e il collo avevano ormai virato verso l’amaranto, ma era felice di essere riuscito a dirlo. Daniel lo strinse con forza, facendogli male, e la violenza di quel movimento tradì l’intensità della sua reazione. Ma quando parlò, la sua voce era un sussurro.

- Anch’io, François.

- Daniel, vorrei rimanere con te tutta la mia vita.

Nuovamente le mani di Daniel lo afferrarono con violenza. Il giorno successivo François si sarebbe ritrovato i lividi di quell’abbraccio e ogni volta, a toccarli, avrebbe provato una sensazione di felicità.

- François, non hai neppure vent’anni, non puoi sapere che cosa sarà tra cinque, dieci, vent’anni.

- Lo so, ma adesso vorrei che fosse così.

- Anch’io, François.

 

 

 

*

EPILOGO

 

Le ricerche da noi pazientemente condotte presso gli archivi di Alençon e di Rennes ci hanno permesso di ricostruire le vicende del soldato Girod e del capitano Dessart, negli anni in cui la brigata del comandante Hulot era di stanza a Alençon. Per quanto riguarda gli avvenimenti successivi, sappiamo che il tenente Girod fu ferito a Eylau, ma guarì e nello stesso anno, alla battaglia di Friedland, dove combatté con il grado di capitano, salvò la vita al suo colonnello con un’azione eroica che gli valse una decorazione e la promozione a maggiore. Probabilmente è inutile specificare che il suo colonnello si chiamava Daniel Dessart.

Nel 1815, in seguito alla definitiva sconfitta di Napoleone, il quarantatreenne generale Dessart e il trentatreenne maggiore Girod si rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà ai Borboni e partirono per l’Egitto, con l’intenzione di avventurarsi lungo il corso del Nilo. Avere notizie sulle vicende successive dei due personaggi richiederebbe una serie di indagini negli archivi coloniali inglesi e in Africa. Fino a ora non abbiamo potuto effettuare tali ricerche, per cui non siamo in grado di fornire ulteriori informazioni.

Per quanto riguarda gli altri personaggi, lo storico Honoré de Balzac ci fornisce informazioni precise sulla sorte di Hulot e Bel-Piede. Quando, dopo lunghi anni di gloriose campagne militari al servizio di Napoleone prima, della monarchia poi, il maresciallo di Francia Jean-Joseph Hulot si ritirò dalla vita militare, Bel-Piede divenne il suo domestico e gli fu fedele fino alla morte, avvenuta oltre quarant’anni dopo questa storia. Balzac riferisce che Bel-Piede era un domestico onesto e competente, ma omette di specificare tutte le prestazioni per cui Hulot non volle separarsi da lui né in tempo di guerra, né in tempo di pace: per i nostri lettori, già sufficientemente informati, basti l’informazione che Hulot rifiutò sempre di sposarsi e anche Bel-Piede rimase scapolo.

Infine, per coloro che si interessano di letteratura, vorremmo citare un particolare curioso, che riguarda un personaggio secondario di questa storia, Philippe Ménéac. Nel 1825 Philippe accompagnò negli USA il marchese de Lafayette e in quell’occasione ebbe modo di conoscere un bambino, un certo Walter Whitman. Stabilitosi negli USA, Philippe rincontrò il giovane Walter quando questi lavorava come tipografo a Brooklyn e intrecciò una relazione con lui. L’ormai cinquantacinquenne Philippe ritrovò nel sedicenne Walter un vigore e una disponibilità al piacere che non aveva più incontrato da tempo. In uno dei loro primi rapporti, rivivendo le sensazioni violente provate in una notte di trentacinque anni prima, a Rennes, ripeté più volte quel suo grido: - Oh capitano, mio capitano! –, che François aveva ascoltato dietro la porta.  Il giovane Walter fu colpito da quell’esclamazione e diversi anni dopo se ne servì come incipit di una delle sue più famose poesie, dedicata ad Abraham Lincoln e inserita nella raccolta Foglie d’erba. Tale importante informazione purtroppo non appare in nessuna delle edizioni critiche delle opere di Withman. Siamo perciò felici di colmare questa lacuna.

 

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