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 BRUTTI INCONTRI
  Camminarono in silenzio
  per alcune ore. Dessart evitava le strade e
  prendeva sentieri secondari, procedendo con molta prudenza. François si
  rendeva conto che non potevano correre il rischio di imbattersi in una
  pattuglia e anche incontrare qualche ribelle sarebbe stato pericoloso. È vero
  che erano vestiti come contadini, ma se li avesse fermati un gruppo di
  ribelli, non sarebbe stato facile trovare una scusa convincente. Comunque
  François era sicuro che Dessart aveva previsto
  anche questa possibilità. Era quasi mezzogiorno
  quando si ritrovarono ai margini della strada che da Rennes
  porta a Fougères, non lontano dal bivio per il castello
  di Roussière. François pensò che se avessero preso
  quella strada a Rennes, sarebbero arrivati ore
  prima. Poi, riflettendo meglio, si disse che se avessero seguito quella via,
  probabilmente non sarebbero mai arrivati.  Dessart si fermò in una macchia di alberi vicino
  alla strada. - Bene, Girod. Non siamo più così lontani dal castello. Io voglio
  andare in perlustrazione per capire qual è la situazione. Tu rimani qui, ben
  nascosto in questa macchia, e non ti muovere per nessuna ragione. Per ogni
  evenienza tieni le pistole in mano, ma non usarle se non è assolutamente
  necessario. François si nascose dove
  gli aveva detto Dessart. L’idea di rimanere da solo
  lo rendeva inquieto. Dal punto in cui si era fermato poteva vedere sia la
  strada, sia i campi coltivati che si estendevano dall’altra parte. Invece,
  sul lato in cui si trovava il terreno era in pendenza e interamente boscoso,
  per cui il suo sguardo non poteva giungere molto oltre.  Era fermo da un buon
  momento, quando vide in lontananza un cavaliere che galoppava in direzione di
  Fougères. Man mano che si avvicinava, François
  poteva distinguere i tratti del cavaliere e si avvide, con un certo stupore,
  che si trattava di una giovane donna. Che ci faceva una donna a cavallo,
  certamente una borghese, se non una nobile, da sola? Quando passò davanti a
  lui, François ebbe modo di vederla bene: aveva un bel profilo e folti capelli
  rossi, che teneva legati dietro la nuca. La donna aveva percorso
  appena una trentina di metri dopo aver superato François, quando dalla
  foresta uscirono due uomini armati di fucile, che le sbarrarono la strada. La donna cercò di
  evitarli, spostandosi su un lato, ma uno dei due le puntò contro il fucile e
  le urlò di fermarsi, minacciando di abbatterla. La donna allora bloccò il
  cavallo. L’uomo si avvicinò e le intimò di scendere, sempre tenendola sotto
  tiro, mentre il suo complice prese le redini, in modo da tener fermo il
  cavallo. Dalla sua posizione
  François poteva vedere bene la scena, anche se, ora che l’uomo non urlava
  più, le voci arrivavano indistinte e non si riusciva a capire che cosa
  dicessero.          Uno dei due uomini legò il
  cavallo all’albero, l’altro parlava con la donna. Quando il primo uomo ebbe
  finito, entrambi posarono i fucili contro un albero e afferrarono la donna.  La giovane si dibatteva e
  gridava, ma uno dei due uomini le tappò la bocca. L’altro le mise le mani sul
  petto, lacerando l’abito. Per un attimo François
  rimase incerto. Dessart aveva detto di non muoversi
  per nessun motivo. Dessart doveva ritrovarlo lì
  quando sarebbe tornato. Dessart… In culo a Dessart, non poteva vedere violentare una donna. Non
  poteva far finta di essere al cinema: il cinema non lo avevano ancora
  inventato. Con le due pistole in mano
  François corse tra gli alberi fino ad arrivare al punto dove i due uomini
  stavano cercando di tenere ferma la donna, che si dibatteva.   Con un salto François fu
  sulla strada. - Mollatela subito o vi
  ammazzo come cani. I due uomini si
  bloccarono. François impugnava le pistole e a due metri di distanza non avrebbe
  certo mancato il colpo. Loro erano disarmati. Quello che le aveva aperto il
  vestito si ritirò subito. Quello che le chiudeva la bocca esitò un momento,
  ma François era troppo vicino. Anche lui mollò la presa. La donna richiuse
  rapidamente l’abito. François stava cercando di capire che cosa fare. Doveva
  ritornare al posto convenuto con Dessart,
  altrimenti non si sarebbero più ritrovati e senza Dessart
  le sue probabilità di cavarsela erano pericolosamente vicine allo zero.
  Perciò era bene che quei tre scomparissero al più presto. Si rivolse alla donna. - Salga a cavallo e corra
  via. Io penso a questi due. La giovane non se lo fece
  ripetere due volte. Corse al cavallo, lo slegò, vi salì sopra e gli urlò un
  grazie, mentre si lanciava al galoppo. Anche lei non sembrava avere molta
  voglia di fermarsi. E ora? Con quei due che lo
  fissavano torvi? Bah, era armato, sarebbe ben riuscito a difendersi. - Voi due, voltatevi e
  prendete il sentiero tra i campi, senza girarvi indietro.  Uno dei due uomini sorrise,
  un ampio sorriso che metteva in mostra una bocca in cui mancavano diversi
  denti. - Ma certo, subito. Nessuno dei due uomini si
  voltò, ma rimasero a fissare un punto alle spalle di François. Questi si
  sentì a disagio, ma prima che riuscisse a capire, un violento colpo alla
  testa lo fece cadere. Si ritrovò per terra e in un attimo gli furono addosso,
  in tre. Nella caduta aveva perso una pistola e un calcio ben assestato lo
  costrinse a mollare l’altra. - Questo stronzo ci ha
  fatto scappare la preda. - Pezzo di merda. Il cortese epiteto fu
  accompagnato da un calcio alle costole, per fortuna non troppo violento,
  perché François era ancora troppo intontito dalla botta ricevuta per cercare
  di parare i colpi. L’uomo che aveva parlato per secondo continuò: - Sparagli subito, Sette-Colpi.  Sette-Colpi alzò la canna e François fu certo che la
  sua ora era arrivata, ma l’altro uomo, quello che aveva parlato per primo,
  intervenne: - No, fermati, non vedi
  che è proprio un bel ragazzo? François non capì il senso
  di quella frase e ancora meno quello delle parole che pronunciò Sette-Colpi: - Sì, è proprio un bel
  ragazzo. Spacca-Schiena ha ragione, guarda che
  bella bocca, Piedi-Grossi. L’uomo che si chiamava
  Piedi-Grossi era il primo che aveva parlato, quello che voleva François morto
  subito. Guardò François, poi con un calcio lo fece rotolare sulla pancia. - Sì, Sette-Colpi,
  hai ragione, bella bocca e bel culo. Possiamo sempre sparargli dopo. L’idea che gli sparassero
  dopo non sapeva bene che cosa era comunque più interessante della prospettiva
  che gli sparassero subito, per cui François fu contento della proposta di Spacca-Schiena, che riprese la parola.  - Prima è meglio
  allontanarci. La frase non fece piacere
  a François. Anche se aveva la netta sensazione che ciò che intendevano fargli
  non dovesse essere precisamente piacevole, almeno se fossero rimasti lì,
  prima o poi Dessart sarebbe arrivato e sarebbe
  intervenuto. Vero che loro erano in tre, ma Dessart
  valeva tre di quelli. E se invece se ne fossero andati, Dessart
  non l’avrebbe mai più trovato. - Alzati, stronzo,
  muoviti. Conscio di non avere molte
  alternative, François cercò di ubbidire, ma non riusciva ad alzarsi, la testa
  gli girava.  - Questo non riesce ad
  alzarsi, fai che finirlo subito. Le parole di Piedi-Grossi
  diedero a François la forza per alzarsi, sia pure barcollando. - Mani dietro la nuca e
  avanti, muoviti. Un calcio in culo ben
  assestato diede la spinta necessaria a François. Presero un sentiero che si
  addentrava nel bosco.  Man mano che il tempo
  passava e il dolore alla testa si calmava, François diventava sempre più
  pessimista. Dessart non lo avrebbe mai più
  ritrovato. Era disarmato e non poteva certo cavarsela con quei tre. Cominciò
  a guardarsi intorno per vedere se esisteva qualche possibilità di fuga, ma
  dietro di lui erano in due, con le armi in pugno. Dopo una mezz’ora
  arrivarono a una cascina. Un uomo stava spaccando legna e li salutò. - Ma che razza di
  selvaggina avete catturato? Non eravate a caccia di una bella femmina? Fu Spacca-Schiena
  a rispondere: - La femmina ci è
  sfuggita, ma il maschio ha una bella bocca e un bel culo. Ci darà
  soddisfazione, non pensi, Quercia-Rossa?  Quercia-Rossa sbottò in
  una grassa risata, che non piacque neanche un po’ a François. Cominciava
  vagamente a capire e quello che stava capendo non gli andava a genio, proprio
  per niente. Quello che stava per vedere gli sarebbe piaciuto ancora meno: - Guardate un po’ che cosa
  ho trovato. Sentendo la voce alle loro
  spalle, tutti si voltarono e François vide Dessart.
  Per un attimo il cuore gli si dilatò dalla gioia e gli sfuggì un: - Dessart! Di colpo però si rese
  conto della situazione e ogni speranza crollò. Dessart
  era prigioniero di un uomo, che lo teneva sotto il tiro del fucile. - Questo bel tipo vi stava
  seguendo. Gli è andata male che l’ho visto. - Come l’hai chiamato, eh?
  Dessart? Dite un po’, dev’essere
  il capitano dei repubblicani. - Quel figlio di puttana?
  Che bella pesca ho fatto!  Sette-colpi si avvicinò a Dessart
  e lo guardò fisso. - Bene, bastardo, stai per
  crepare. E sei talmente brutto che non vale neanche la pena di farti fare il servizietto che ci farà il tuo amico. Dessart non disse nulla. Sembrava impassibile. In quel momento una donna
  uscì dalla cascina, ma Quercia-Rossa la apostrofò duramente: - Torna dentro, tu, non
  sono affari tuoi. Non uscire, anche se senti spari. E tieni sotto chiave
  Anne. Sette-Colpi si rivolse all’uomo che aveva catturato Dessart: - Faccia-di-rospo,
  prendi questo e fallo fuori, dietro il pollaio. Noi intanto ci divertiamo un
  po’ con quest’altro.  François guardò smarrito Dessart, che gli sorrise, come se volesse rassicurarlo.
  Intanto Faccia-di-Rospo puntò nuovamente il fucile
  contro la schiena di Dessart e gli disse: - Muoviti. Dessart ubbidì e i due scomparvero dietro
  l’angolo del pollaio. François era annichilito. Dessart stava per morire, per colpa sua. Lo aveva seguito
  per salvarlo e ora lo avrebbero ucciso. Il colpo di fucile che risuonò in
  quel momento lo svuotò completamente. Dessart era
  morto. E lui stava per seguirlo nella morte. - Tu, tirati giù le
  braghe. Non capì subito la frase
  di Sette-Colpi. - Muoviti. François lo guardò,
  inebetito. Cominciava a intuire. Spacca-Schiena gli
  si avvicinò da dietro, gli passò le mani intorno alla vita e gli aprì i
  pantaloni. In quel momento Quercia-Rossa intervenne. - Stronzo, c’è mia moglie
  e pure mia figlia là dentro, vuoi mica metterti a chiavare questo pezzo di
  merda di fronte a loro? - Quercia-Rossa ha
  ragione. - Andate dietro al
  pollaio. Vado a dire a mia moglie di non muoversi e vi raggiungo. Quella è
  curiosa. È capace di venire a spiarci. Dietro il pollaio vi era
  un ampio spazio, con un grande mucchio di letame. Il cadavere di Dessart giaceva prono su una carriola piena di letame.
  Sulla schiena non si vedevano ferite o tracce di sangue, ma il braccio che
  penzolava inerte era completamente rosso e gocciolava ancora: sembrava che la
  mano fosse stata immersa in una bacinella di sangue. François si sentì
  sommergere da una tristezza infinita. Anche la sua vita sarebbe finita, di lì
  a poco, ma in quel momento provava pena solo per Dessart.
  Il capitano aveva dato la sua vita cercando di salvarlo. Se avesse seguito le
  sue istruzioni, sarebbero stati entrambi ancora vivi. Eppure, ripensando allo
  sguardo di quella donna, non si pentiva del suo gesto. No, di quello no, ma
  di non essere stato più attento, di essersi lasciato sorprendere, di questo
  sì. - Questo sacco di merda se
  n'è andato e tra poco lo raggiungerai, dopo che ci saremo divertiti un po’
  con te. Il commento di Sette-Colpi lo riscosse. Replicò: - Era l'uomo migliore che
  ho conosciuto.    Non aveva molto senso
  dirlo. Forse non era nemmeno quello che pensava. E comunque non aveva molto
  senso dirlo lì, in quel momento, a quei due assassini. Eppure gli sembrava
  che Dessart non potesse essere insultato così,
  senza che qualcuno lo difendesse, ora che non era più in grado di farlo da
  solo. - Ci piscio sopra, sul tuo
  uomo migliore. Sette-Colpi aprì i pantaloni e tirò fuori una mazza
  di dimensioni rispettabili. Un getto di piscio scuro irrorò la camicia di Dessart. Intanto Sette-Colpi si
  guardava intorno: - Quel coglione di Faccia-di-rospo, che fine avrà fatto? Ha eliminato questo
  e poi? Ha persino lasciato il fucile. - Gli sarà scappato di
  cagare.  - E non poteva farlo
  qui?    - Lascia perdere, che te
  ne frega? - Sì, hai ragione,
  provvediamo ad accontentare questo stronzetto. Sette-Colpi si rivolse a François e sorrise. - E adesso ci divertiamo
  un po’ con te. Mettiti a quattro zampe. Piedi-Grossi e Spacca-Schiena forzarono François a inginocchiarsi, poi Spacca-Schiena gli afferrò i capelli e lo tirò in avanti.
  Ora François era carponi. Nonostante l’angoscia che lo attanagliava, una vaga
  inquietudine si stava impadronendo di lui. Aveva capito che cosa volevano
  fargli. Non gli importava, il dolore e l’umiliazione non sarebbero durati a
  lungo, presto sarebbe morto. Ma perché Dessart
  l’aveva tirato fuori dalla cella? Perché due sere prima non era entrato nella
  camera e non aveva scopato anche lui con gli altri? Perché non era stato più
  attento?  Perché? Che senso avevano
  tutti quei perché? Stava per morire. La voce di Sette-Colpi lo riportò alla realtà: - Io comincio con il culo.
   Piedi-Grossi replicò: - Io con la bocca. - Lo sapevo! Muovetevi,
  non fatemi aspettare troppo. Spacca-Schiena, che aveva parlato per ultimo, si mise
  contro il mucchio di letame per pisciare, dando la schiena a François. Piedi-Grossi era davanti a
  François e si aprì i pantaloni. François vide, a pochi centimetri dalla sua
  bocca, la mazza del contadino. - Su, succhia, altrimenti Sette-Colpi ti fa una carezza ai coglioni. François guardò quella
  mazza che ora gli sfiorava la bocca, poi abbassò la testa e fissò il suolo.
  Non intendeva collaborare. Facessero pure quello che volevano, non poteva
  impedirlo, ma non contassero su di lui. - Dai, apri la bocca, che
  io ti apro questo bel buco di culo! Dopo aver parlato, Sette-Colpi gli passò la mano tra le cosce e gli sfiorò i
  testicoli, ma prima che le dita potessero afferrare e stringere, risuonò uno
  sparo e subito dopo François si sentì schiacciare sotto un peso che lo fece
  cadere al suolo.   Non capì che cosa stesse
  succedendo. Cercò di liberarsi del corpo che lo premeva contro il terreno e alzandosi
  vide che nella schiena di Sette-Colpi era infilato
  un forcone. Si guardò intorno: il cadavere di Piedi-Grossi era steso davanti
  a lui, un buco all’altezza del cuore. Anche Spacca-Schiena
  era a terra, schiacciato da Dessart. Non capiva, non era
  possibile. La voce di Dessart lo riscosse. - Il coltello, François! Girod, prendigli il coltello. In un attimo François fu a
  fianco di Spacca-Schiena, sfilò il coltello che
  l'uomo aveva al fianco e lo porse a Daniel, che con un gesto rapido lo prese
  e l'infilò nel collo dell'uomo. Spacca-Schiena
  emise un gorgoglio mentre il sangue zampillava dallo squarcio. Dessart lo mollò e Spacca-Schiena
  riuscì con un ultimo movimento a sollevarsi sulle braccia, ma le forze gli
  mancarono, cadde di lato e rimase inerte, disteso su un fianco. François fece per parlare,
  ma Dessart si mise un dito sulla bocca e in due
  salti fu alla parete del pollaio, acquattandosi subito dietro lo spigolo. In
  quell’attimo si sentì la voce di Quercia-Rossa: - Ehi, perché avete
  sparato? L’avete mica fatto fuori? Voglio chiavarmelo anch’io.  Mentre diceva queste
  parole, svoltò l’angolo. Si fermò, vedendo François in piedi tra i corpi
  degli altri, ma prima che avesse il tempo di capire, Dessart
  lo afferrò e con un gesto deciso gli tagliò la gola. Nuovamente François vide
  il sangue sgorgare copioso, in un getto che raggiungeva il suolo.
  Quercia-Rossa si dibatté un momento, poi si afflosciò e Dessart
  lasciò che il cadavere cadesse a terra. L’intera scena era durata
  un minuto. Ora nello spiazzo c’erano quattro cadaveri. François li guardò in silenzio.
  Piedi-Grossi aveva la mazza fuori e quella di Sette-Colpi,
  anch’essa allo scoperto, era bell’e pronta, ma non l’avrebbe mai più usata. François era stupefatto,
  faceva ancora fatica a capire. L’unica cosa che riuscì a dire, fu: - Dessart,
  non eri morto? Si rese conto che forse
  non aveva detto la cosa più intelligente, ma era troppo scombussolato. Daniel Dessart
  scoppiò a ridere. - No, ho preferito
  ammazzare quello che voleva farmi fuori. Ma adesso è meglio che io e te ce ne
  andiamo, rapidamente. Recuperiamo le pistole e via.  Dessart prese i fucili, poi ritornarono
  sull’aia, ripresero le loro pistole e si allontanarono velocemente.     Dopo un centinaio di metri
  arrivarono vicino a uno stagno e Dessart vi buttò i
  fucili.  - Perché butti i fucili? - Sono troppo ingombranti,
  troppo visibili. Non ce ne possiamo servire. - Ma perché li hai presi,
  allora? - Per evitare che la
  vedova li usasse.  - La vedova? - La vedova di
  Quercia-Rossa. François sorrise. Ora che
  stava recuperando la lucidità, mille domande gli frullavano in testa.  - Come hai saputo che ero
  qui? Com’è che non ti ha ammazzato? Come hai fatto? - Sono arrivato alla
  strada che ti stavano portando via. Vi ho seguiti a distanza, ma per sua
  sfortuna Faccia-Di-Rospo mi ha sorpreso. Quando mi
  ha portato al letamaio per farmi fuori, sono stato più rapido di lui. Ho
  finto di cadere e gli ho afferrato il fucile. Il colpo è partito, ma a vuoto.
  Abbiamo lottato e alla fine gli ho infilato il suo coltello nello stomaco,
  poi gli ho tagliato la gola. Ho ricaricato il fucile e ho preso il forcone,
  ma ho sentito che stavate venendo anche voi dov’ero io. Ho gettato il
  cadavere di Faccia-Di-Rospo dietro il letamaio e ho
  finto di essere morto per prenderli di sorpresa. Avevo il fucile e il forcone
  a portata. Ho atteso il momento giusto e… il resto
  lo sai. François era sbigottito.
  Raccontato così, sembrava semplicissimo. Ma non lo era, per nulla.  In breve furono di ritorno
  al punto in cui François era rimasto ad aspettare Dessart.
  Qui ritrovarono la sacca. - Capitano, mi spiace aver
  lasciato il mio posto. Ho messo in pericolo la vita di entrambi. Dessart lo guardò negli occhi: - Come mai non sei rimasto
  qui? François gli raccontò
  quello che era successo. Era un po’ in ansia, timoroso del giudizio del
  capitano, ma vide che annuiva e che non sembrava arrabbiato. Quando François
  ebbe finito, Dessart gli disse: - Hai fatto benissimo, Girod. Era esattamente quello che dovevi fare. Bravo!
  Sono orgoglioso di te. Quelle parole di lode
  provocarono in François una fortissima sensazione di piacere: era magnifico
  sentirsi elogiare dal capitano! Sperò vivamente che gli capitasse ancora
  qualche occasione per meritarsi il plauso di Dessart:
  il suo amor proprio, alquanto strapazzato in quei giorni, ne aveva bisogno. Ripresero a camminare. Ora
  François guardava Dessart, che faceva strada. La
  camicia bagnata dal piscio di Sette-Colpi aderiva
  alla schiena e si vedeva in trasparenza la peluria scura. Sulla camicia
  c’erano numerose macchie di sangue, soprattutto sul lato destro. La mano e il
  braccio erano insanguinati. François provava repulsione per quello che
  vedeva, eppure ne era affascinato. Quasi intuisse i suoi
  pensieri, a un certo punto Dessart si voltò: - Dimenticavo, da
  scimmione nasuto a uomo migliore mai conosciuto dal soldato Girod, mi sembra di aver fatto un bel progresso, in sole quarantott’ore! Il viso di François
  divenne rosso ribes. RITORNO AL CASTELLO
  Dopo un altro tratto di
  strada, Dessart si fermò nuovamente. - Il castello è a meno di
  un’ora da qui ed è ancora presto. Dobbiamo aspettare che faccia buio.
  Cerchiamoci un posto tranquillo e uno stagno, che mi do una lavata.  Guardò François con un
  sorriso ironico e aggiunse: - Non devo essere un
  pervertito: farmi pisciare addosso non mi è piaciuto. François non disse nulla e
  questa volta la sua faccia non andò oltre il rosa lampone.   Giunsero ben presto a uno
  stagno in mezzo al bosco. - Ecco il posto ideale.   Dessart posò la sacca e cominciò a spogliarsi. François rimase a
  guardarlo. Fissò il torace erculeo che emergeva dalla camicia: un torace da
  lottatore, come erano da lottatore quelle mani forti, quelle braccia
  possenti. Mentre Dessart si calava i pantaloni un
  vago senso di vertigine afferrò François. Dessart
  era di schiena e poteva vedere il culo, grosso e peloso, ma che rispetto al
  torace appariva stretto, le gambe nerborute. E ovunque quel velo, talvolta
  sottile, quasi sempre spesso e denso, di peluria nera. Dessart si voltò verso di lui e François cercò
  di evitare che il suo sguardo scendesse dal torace al ventre, ma non ne fu
  capace. Tutta la peluria del corpo sembrava convergere nella grande macchia
  nera del basso ventre, vera foresta da cui scendeva, potente anche a riposo,
  il cazzo del capitano, accompagnato da due non meno imponenti coglioni. Il
  senso di vertigine aumentò. Dovette appoggiarsi a un albero per sostenersi. - Tu non vieni? François scosse la testa. - Non stai bene? Sei
  pallido. François avrebbe voluto
  parlare, ma non ce la faceva. Scosse ancora la testa. - Che cos’hai alla tempia? Mentre parlava Dessart si era avvicinato e con delicatezza gli sfiorava
  la tempia destra, dove François era stato colpito da Sette-Colpi. La vicinanza di quel
  corpo, l’odore che ne emanava, il calore della mano che passava intorno alla
  zona colpita, mille sensazioni diverse stordivano François. Se Dessart fosse rimasto ancora un momento così, non sarebbe
  più riuscito controllare il desiderio di toccarlo, di immergere le mani in
  quella peluria nera, di stringere quel cazzo che a riposo sembrava quasi più
  grande del suo quando era bello duro… - Girod,
  tu stai male. Siediti. Dessart lo forzò a sedersi. François trovò la
  forza per parlare. - Non è niente, è dove mi
  hanno colpito, ma non è niente. Sono solo stanco. Dessart era chino su di lui e lo guardava. Con
  uno sforzo violento François cercò di non guardare il grosso cazzo che
  sembrava sporgersi anch’esso verso di lui, verso la sua bocca, e di fissare Dessart negli occhi. - Tu lavati pure, io
  magari vengo dopo. - Come vuoi. Sicuro di
  stare bene? François annuì. Quando Dessart entrò in acqua, tirò un sospiro di sollievo. Lo stagno era poco
  profondo e al centro l’acqua arrivava solo alla vita. Dessart
  si immerse completamente due volte, nuotò un po’, poi uscì, prese la camicia
  e la immerse in acqua. François si stese sulla
  pancia. La violenza della sua erezione era tale che temeva di non riuscire a
  nasconderla. Seguiva ogni movimento di Dessart, non
  riusciva a staccare gli occhi da quel corpo atletico. Spiava ogni momento in
  cui quel cazzo emergeva dall’acqua, per nulla sminuito dal freddo. E mentre la sua
  eccitazione cresceva ancora, François considerava con stupore come
  quell’uomo, che soltanto tre giorni prima gli appariva repellente, ora lo
  attraesse con tale intensità. Dessart uscì dall’acqua, stese la sua camicia
  tra i rami di un albero e venne a mettersi di fronte a François,
  accosciandosi. François si ritrovò a una spanna da quel grande cazzo che lo
  ossessionava. Gli venne l’acquolina in bocca e sentì l’impulso di
  inghiottirlo, ma le parole di Dessart lo scossero. - Allora, Girod, come stai? - Adesso va abbastanza
  bene, ma è meglio che riposi un po’. - Hai ragione. Cerca di
  dormire. Abbiamo ancora due o tre ore. Dessart si alzò e si allontanò, scomparendo dal
  suo campo visivo. François rimase prono fino a che l’eccitazione non si fu un
  po’ calmata, poi si stese su un fianco e cercò di dormire. Non sentiva Dessart e si voltò per vedere dov’era. Era a pochi passi
  da lui, con addosso i pantaloni e gli stivali. Quando François si voltò, gli
  sorrise. François ricambiò il sorriso, si rigirò e si addormentò.  Sognò che Dessart cercava di abbracciarlo, ma lui si allontanava,
  anche se lo desiderava. A un certo punto infine il capitano riusciva a
  stringerlo, ma, prima che François potesse abbandonarsi a quell’abbraccio, la
  mano di Dessart sulla spalla lo riscosse dai suoi
  sogni. Dessart si era rivestito completamente. - Sei pronto, Girod? Adesso comincia la parte difficile.  Come se fino a quel
  momento avessero scherzato! François si alzò. - Sono pronto. - Bene. Dimentica di avere
  la bocca, ora. Meno di un’ora dopo
  arrivarono in vista del castello. Dessart non aveva
  seguito la strada, ma l’aveva costeggiata, tenendosi in alto, e ora, dal
  punto in cui erano giunti, avevano una visione d’insieme degli edifici. Era
  ormai sera, ma c’era ancora luce sufficiente per vedere: doveva essere più o
  meno l’ora a cui erano arrivati la volta precedente, tre sere prima. Il
  castello era di fronte a loro. Poco oltre cominciava il lago. Sulla sinistra c’erano
  gli edifici agricoli. François poteva vedere il fienile in cui erano stati
  alloggiati, il grande spiazzo antistante. Apparentemente tutto era come tre
  giorni prima, a eccezione del carro da fieno, che non era più nello spiazzo.
  Due volte videro uomini passare nel piazzale e ritornare verso gli edifici
  agricoli e una volta un servitore uscì dal castello, parlò con due uomini e
  rientrò. Dessart non disse nulla e François rispettò il
  silenzio del capitano. Stava diventando buio in fretta, il cielo era nuvoloso
  e la luce della sera si affievoliva. Presto sarebbe scesa la notte. François
  sentiva una certa inquietudine. Nelle prossime ore si sarebbe giocata la sua
  vita. Quando fu completamente
  buio, Dessart gli mise una mano sul braccio e gli
  sussurrò: - Una pistola in mano e assoluto
  silenzio. Poi cominciò a scendere.
  François lo seguì, cercando di non fare rumore. Raggiunsero la siepe
  dietro a cui si erano nascosti i soldati tre sere prima. Dalla siepe guardarono il
  castello. Al primo piano, la sala sopra la porta era illuminata. Era la
  stessa sala in cui aveva pranzato Auray.  Mentre stavano osservando
  il castello, sentirono il rumore di un cavallo al galoppo. Poco dopo apparve
  un cavaliere. Arrivato al portone, smontò e bussò. La porta si aprì immediatamente:
  doveva essere atteso. Un servitore prese in consegna il cavallo e scomparve
  verso le scuderie, mentre la porta si richiudeva. Dessart bisbigliò all’orecchio di François: - Ora! Si slanciò verso il
  castello, seguito da François, che aveva il cuore in gola. Era buio pesto, ma
  qualcuno avrebbe potuto vedere le loro sagome. In un attimo furono sotto
  il balcone. Dessart cercò un appiglio e cominciò a issarsi,
  fino a che raggiunse il balcone e vi si aggrappò. François cercò di imitarlo,
  ma dopo essersi issato fino a metà strada, non riuscì più a trovare una
  sporgenza a cui afferrarsi per proseguire. Brancolò alla ricerca di un
  appiglio, fino a che incontrò la mano di Dessart,
  che gli strinse il braccio e lo issò a forza. Si trovò aggrappato al balcone e
  in breve scavalcarono entrambi la balaustrata. Dessart
  impugnò le due pistole e François lo imitò. 
   Diverse finestre che
  davano sul balcone erano aperte. Dessart e François
  si avvicinarono a una di esse. Al tavolo, non lontano dalla finestra, erano
  seduti due uomini e una donna. Uno dei due uomini, sui trentacinque anni,
  doveva essere quello appena arrivato: i capelli avevano il colore del grano
  maturo, ma la mascella squadrata e gli occhi grigi davano al suo viso
  un’espressione dura, quasi crudele. L’altro era molto più giovane, non doveva
  avere più di diciotto anni, ma era alto quanto Dessart
  e nella fronte alta e negli occhi azzurri ricordava il conte di La Boussac. La donna era la figlia del sedicente Argentré, quella che secondo Dessart
  era la marchesa di Vilhoet. Indossava un abito
  nero, che faceva risaltare la sua carnagione chiara e i capelli, di un nero
  corvino, incorniciavano l’ovale perfetto del suo viso: era davvero una gran
  bella donna.  Potevano sentire i
  discorsi dei tre. Ora a parlare era l’uomo che era appena arrivato. - Non mi sarei mai
  aspettato una simile tragedia.  Gli rispose l’uomo più
  giovane. - Avevamo preparato tutto
  con cura, ma hanno fiutato la trappola. La donna parlò: - Poco è mancato che anche
  Henri non venisse ucciso. Fortunatamente papà l’aveva mandato a prendere
  contatti con il cavaliere del Vissard, che si unirà
  a noi. - Quella di vostro padre è
  una perdita molto grave per la causa: la sua autorità era molto forte. Temo
  che più d’uno potrebbe tirarsi indietro, ora. - Gli uomini dei La Boussac non si tireranno indietro: io li guiderò e ti
  garantisco la loro fedeltà. - Tu sei molto giovane,
  Henri, e manchi dell’esperienza che aveva tuo padre. Molti sono stanchi e
  convinti che la nostra lotta sia inutile. La morte di tuo padre è un duro
  colpo.     Ci fu un momento di
  silenzio, poi l’uomo riprese. - Comunque l’arrivo di mio
  fratello dall’Inghilterra rianimerà la rivolta. Sapete che ha un grande
  seguito, più di me, anche se è più giovane. Ma la casa dei Vilhoet ha trovato in Adolphe
  l’erede più agguerrito ed eloquente. Il re di cuori ci raggiungerà presto. Ora François sapeva che
  quell’uomo era il marchese di Vilhoet, il genero
  del conte di La Boussac, detto il re di picche per
  la sua ferocia. Henri, conte di La Boussac, era
  invece il re di fiori, un nome di cui François non avrebbe saputo spiegare
  l’origine: probabilmente era stato scelto solo per completare i semi delle
  carte, in quanto tra quel gigante e i fiori non sembrava esserci niente in
  comune. In quella stanza erano riuniti due dei capi della rivolta e un terzo
  stava per arrivare. Quando?   Henri di La Boussac fece la domanda che si poneva François. - Quando arriverà? - Tra tre giorni. Ho qui
  con me la lettera in cui mi comunica i dettagli dello sbarco, che avverrà la
  mattina presto. Domani sera partirò per andare a riceverlo. Preferisco
  viaggiare di notte. Ci fu nuovamente un
  momento di silenzio, poi la marchesa, che non aveva più ripreso la parola,
  osservò: - Non è meglio bruciare
  quella lettera? - No, preferisco tenerla,
  la metterò nello scomparto segreto, in camera mia, dove tengo tutta le carte.
  Il giorno in cui il re avrà nuovamente il trono, grazie a noi, voglio che
  tutti noi possiamo dimostrare qual è stata la nostra parte. Nelle mie carte
  ci sono i nomi di chi ha accettato di rischiare la vita per la Francia e dei
  vili che invece hanno preferito rinunciare. - Se quelle carte
  cadessero nelle mani sbagliate… - Nessuno conosce quel
  nascondiglio: solo io e Henri. Ci fu una pausa, poi la
  marchesa riprese, rivolta al fratello: - Dovremo vendicare nostro
  padre: il suo assassino deve morire! Le rispose il marchese: - Certamente! Per sapere
  come colpirlo ci serviremo del nostro uomo a Rennes,
  Bruz. È un uomo ingegnoso e saprà aiutarci. - È già intervenuto, con
  grande audacia, ma ha sbagliato bersaglio. - Come? È mai possibile? - Sì. Quei maledetti hanno
  festeggiato a casa del sindaco, la sera successiva, e l’aiutante generale Auray si è vantato di aver fatto fallire l’imboscata e di
  aver ucciso nostro padre. Quella stessa notte Bruz
  è entrato nel convento che quei miscredenti hanno trasformato in caserma.
  Aveva con sé una botte di vino e ha detto che la mandava il sindaco, perché
  durante la cena gli ufficiali avevano mostrato di apprezzare molto quel vino.
  Con questa scusa è entrato, ha portato il vino nella cantina, poi, prima di
  uscire, ha raggiunto la camera di Auray e lo ha
  ucciso nel sonno. Auray dormiva con un soldato,
  quel pervertito, e Bruz ha fatto in modo che la
  colpa ricadesse su di lui. - Un uomo eccezionale. Ma
  perché dici che ha sbagliato bersaglio? - Auray
  era un povero imbecille, che era caduto nella trappola senza sospettare di
  nulla. Il vero responsabile è un altro ufficiale, il capitano Dessart, che ha subodorato l’agguato e ha organizzato la
  difesa, uccidendo nostro padre. Bruz l’ha scoperto
  solo il giorno dopo. - Quel Dessart
  farà la fine che si merita. Te lo garantisco.   François guardò Dessart, ma al buio non riuscì a vederne i lineamenti.
  Che cosa pensava, come si sentiva, in quel momento, nella tana del lupo?
  Sicuramente era perfettamente padrone di se stesso. François si rendeva conto
  di non esserlo altrettanto. In quel momento la
  marchesa si alzò.  - Visto che vuoi tenere
  tutte le carte, ti do anche la lettera che Bruz mi
  ha inviato, attraverso una persona fidata. Anche lui è un uomo che merita una
  ricompensa. Nel buio François vide che
  Dessart annuiva. Non poteva distinguere i
  lineamenti, ma era sicuro che sorridesse. Sì, Bruz
  avrebbe avuto la sua ricompensa. La marchesa uscì e i due
  uomini rimasero soli. Il marchese si rivolse al cognato. - Henri, sono felice di
  essere di nuovo qui.  Mentre parlava, il
  marchese si sporse in avanti, fino a che la sua mano toccò il petto del
  conte, poi scese e scomparve dietro la tovaglia. François non poteva vedere
  dove fosse ora, esattamente, ma non faceva fatica a immaginarla appoggiata
  sulla patta del conte. Questi sorrise e disse: - Questa notte, Amédée. Andrò a coricarmi presto, sono stanco, ho
  cavalcato tutto il giorno. Cavalcherò anche questa notte. Il marchese rise, poi
  ritirò la mano e riprese la sua posizione. La marchesa rientrò poco
  dopo, con la lettera. I tre conversarono ancora
  a lungo, ma di argomenti assai meno interessanti per François e Dessart. A un certo punto, però, ritornando alla morte
  del conte, la marchesa osservò: - Il capitano che l’ha
  ucciso è una vera bestia, non un uomo. Ha un aspetto repellente, peggio di un
  bifolco. Gli ufficiali della repubblica la rappresentano bene, ne sono
  l’insegna. François sorrise. Aveva
  pensato qualche cosa del genere anche lui, ma molto tempo prima: dovevano
  essere passate quasi ventiquattr’ore da quando si
  era detto per l’ultima volta che Dessart era una
  bestia. Ora condivideva solo l’ultima parte della frase: gli ufficiali della
  repubblica la rappresentano bene, ne sono l’insegna. Chi meglio di Dessart avrebbe potuto rappresentare la repubblica?
  Forte, tenace, generoso, libero, fedele alla sua parola. François si disse
  che se continuava così avrebbe finito per trovare Dessart
  persino bello, ma quello non era proprio possibile, se non, forse, in una
  notte come quella, senza luna e con il cielo velato. Il conte si alzò,
  augurando la buona notte, e uscì dalla sala. Il marchese lo guardò uscire,
  poi scosse la testa e disse: - Henri è molto giovane e
  non può sostituire vostro padre. Non ne ha né l’intelligenza, né
  l’esperienza. Fida troppo nella sua forza fisica, ma non ha sugli uomini lo
  stesso ascendente che aveva vostro padre. - A questo punto non
  possiamo tornare indietro. - Non torneremo indietro.
  Speriamo solo che la morte di vostro padre non abbia sulla rivolta un effetto
  distruttivo, come la morte di Montauran sulla
  rivolta di un anno fa. Con queste parole il
  marchese si alzò. - Io vado a dormire. Mi
  hai fatto preparare la solita camera, suppongo?  - Certo. Lo videro uscire e andare
  a sinistra. Immediatamente Dessart avanzò lungo il
  balcone, nella stessa direzione, fino ad arrivare al cornicione.
  Dall’estremità del balcone rimase a osservare le finestre del piano, fino a
  che ne vide illuminarsi una. Allora salì sul cornicione e avanzò, superando
  due finestre buie, fino al balcone su cui si affacciava la porta-finestra
  illuminata. Era comparsa la luna e, anche se la facciata del castello era in
  ombra, la luce era sufficiente per vedere dove mettere i piedi. François, che non amava i
  giochi di equilibrio, stramaledisse Dessart e lo
  seguì, sperando vivamente di non schiantarsi al suolo: dal primo piano il
  salto non era tremendo, magari non si sarebbe neanche ammazzato, ma certamente
  lo avrebbero sentito e se lo avessero trovato davanti al castello, avrebbero
  provveduto a sistemarlo per sempre. Aveva appena superato la
  prima finestra, quando la seconda venne illuminata: qualcuno era entrato
  nella stanza. François si sentì gelare. Probabilmente anche se fosse passato
  davanti alla finestra, dall’interno non se ne sarebbero accorti, ma se in
  quel momento avessero guardato proprio in direzione dei vetri, forse
  l’avrebbero visto. E se qualcuno avesse aperto la finestra e avesse guardato
  fuori?  Si chiese se tornare
  indietro, ma l’idea di rimanere isolato rispetto a Dessart
  lo spaventava. Cercò con gli occhi il capitano. Era un’ombra scura sul
  balcone e muoveva la mano per fargli segno di stare fermo. Poi lo vide
  risalire sul cornicione, spostarsi fino a raggiungere un lato della finestra
  e sporgere appena la testa per guardare. Dessart gli fece cenno di avanzare e François si
  mosse. Lanciò un’occhiata nella stanza. Un servitore aveva aperto un armadio
  e stava cercando o riordinando qualche cosa. La mano di Dessart
  lo afferrò e in un attimo furono tutti e due sul balcone.  La porta finestra da cui
  proveniva la luce era aperta. Il marchese sarebbe potuto uscire in qualsiasi
  momento e li avrebbe visti. Questo non sembrava preoccupare Dessart, ma, mentre rimanevano nell’angolo del balcone,
  contro il muro, François vide che il capitano stringeva un coltello nella
  mano. Era meglio che il marchese non uscisse a prendere una boccata d’aria,
  meglio per lui.  Dessart avanzò con grande cautela fino alla
  porta e, come aveva fatto prima, sporse appena la testa per vedere. François
  lo vide tendersi, pronto a scattare se dall’interno lo avessero visto. Dessart rimase un buon momento in osservazione,
  poi fece segno a François di seguirlo ed entrò. Nella camera non c’era
  nessuno. Era un’ampia stanza, con un grande letto a baldacchino, tende a lato
  della porta-finestra, un armadio e un tavolo massiccio. Al centro di una
  parete un camino, senza fuoco. Dessart parlò sottovoce: - Dobbiamo procurarci quelle
  carte. Le ha messe nel tavolo, in uno scomparto. Tu rimani sulla porta e
  guarda se arriva. Ha lasciato il candeliere: non deve essere lontano. Tornerà
  presto. Mentre Dessart
  esaminava il tavolo, François si diresse alla porta. Non aveva neanche fatto
  a tempo ad arrivare sulla soglia, quando sentirono le voci del marchese e del
  conte che si avvicinavano. François fece un balzo
  indietro e seguì Dessart, che si nascose dietro la
  grande tenda a lato della porta-finestra.  | 
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