8UN PASSAGGIO
PER L’INGHILTERRA
Era pomeriggio inoltrato
quando giunsero al piccolo borgo di St-Léonard, che si affacciava sulla baia
di Mont Saint-Michel. La guglia dell’antica abbazia, visibile dall’altra
parte della baia, li aveva accompagnati nell’ultima parte della loro strada.
Ora potevano vedere lo spuntone roccioso, che sembrava formare un unico
blocco con l’edificio. L’abbazia con il suo pinnacolo si drizzava verso il
cielo dall’immenso mare di sabbia, che la bassa marea aveva lasciato
scoperto. All’ingresso del paese
Daniel chiese dov’era la casa dei fratelli Caumont. Gli indicarono una
costruzione bassa, visibile in lontananza, a pochi metri dalla spiaggia,
lontano dalle altre abitazioni. La raggiunsero in dieci
minuti. La casa doveva essere stata un tempo una solida costruzione, assai
meno misera degli altri edifici del villaggio, ma ora sembrava non reggere
più al peso degli anni. Sulla soglia sedeva un’anziana donna, anch’essa
schiacciata dall’età. Aggiustava una rete, ma quando li vide avvicinarsi, li
guardò incuriosita. - Buongiorno, cittadina.
Abbiamo bisogno di parlare con i fratelli Caumont. È questa la loro casa, no? L’espressione della donna
cambiò, divenne diffidente. - Sì, per che cosa li
cercate? - Per un affare. Ma ne
possiamo parlare solo con loro. - Adesso non ci sono, sono
alla spiaggia. - Dove? Abbiamo una certa
fretta. Il mio padrone… Volevo dire, il mio amico vuole proporre un affare
urgente. François ammirò la
naturalezza con cui Daniel recitava la scena. Il finto lapsus era sembrato
perfettamente casuale, come se davvero lui fosse stato il padrone di Daniel,
che però non voleva farlo sapere. Sembravano davvero un nobile e il suo
servitore. La donna li squadrò un
buon momento. Daniel suscitava la sua diffidenza, ma François evidentemente
le apparve degno di fiducia, perché dopo averlo esaminato a lungo si alzò. - Venite con me. Arrivarono fino all’angolo
della casa. Con il braccio la donna indicò due punti lontani sulla spiaggia. - Sono là. - Grazie, cittadina. Quando si furono
allontanati dalla casa, François si rivolse a Daniel. - Perché l’hai chiamata
cittadina, come se fossi un repubblicano convinto? Non dovresti fingere di
essere il servitore di un nobile? - No, fingo di essere il
servitore di un nobile, che finge di essere un buon cittadino repubblicano.
Dato che sono un po’ coglione, mi sono lasciato scappare che il mio amico è
in realtà il mio padrone e ho cercato di convincerla della mia buona fede
repubblicana chiamandola di nuovo cittadina. Lei ovviamente non mi ha
creduto, perciò si è fidata. Se ero troppo convincente come repubblicano, non
si fidava di noi. Se facevo vedere troppo che ero il servitore di un nobile,
poteva sospettare che mentivo. - Che casino! - Ma no, è semplicissimo. - Sarà. Avvicinandosi, videro che
i due uomini stavano lavorando su una barca tirata in secco. I due finsero di
non badare al loro arrivo, ma a François non sfuggì che li tenevano d’occhio.
Erano entrambi neri di capelli, con la pelle bruciata dal sole, ma uno dei
due, che doveva essere sulla quarantina, aveva una folta barba nera e grigia
e gli occhi verde-azzurro, mentre l’altro, che non superava i venticinque,
aveva occhi scuri e non portava la barba. - Buongiorno, cittadini. - Buongiorno. - Siete i fratelli
Caumont, vero? I due non risposero. Il
maggiore si limitò a dire: - Vi serve qualche cosa? Daniel si schiarì la voce,
come se si sentisse raschiare in gola. - Sono il cittadino
Daubert e questo è il cittadino Gunod. Ci fu un momento di
esitazione, poi Daniel abbassò la voce, come se avesse paura che qualcuno
potesse sentirli. Non c’era nessuno intorno e la spiaggia era visibile per
miglia e miglia. - Mi dicono che voi
accompagnate… persone che hanno bisogno di… trascorrere un periodo… lontano… I due fratelli si
guardarono e poi guardarono Daniel, senza rispondere. Daniel fece un passo
avanti e parlò, a voce ancora più bassa, ma in fretta, come se gli costasse
fatica e volesse togliersi il peso il più rapidamente possibile: - Il mio amico ha molta
fretta. Ha dei problemi. Sapete… è giovane… un affare di donne… qualcuno gli
sta dietro. Il maggiore dei due
pescatori parlò. Ora la sua voce era aspra. - Non facciamo nulla del genere.
È proibito. Noi rispettiamo la legge. Daniel fece un altro passo
in avanti, fino a trovarsi a una spanna dall’uomo. - Ci ha fatto il vostro
nome una persona per bene. Ci avrebbe anche dato di che farci riconoscere
come amici suoi, ma… La voce di Daniel divenne
un sussurro. - …quei figli di puttana
lo hanno ammazzato. L’uomo guardò fisso
Daniel, senza che l’espressione del suo viso tradisse un qualunque
sentimento. - Chi sarebbe questa
persona per bene? Daniel guardò François con
un’espressione smarrita, come se fosse incerto e aspettasse una sua
autorizzazione prima di proseguire. Come erano rimasti d’accordo, François
gli fece un cenno d’assenso. La voce di Daniel era
appena percepibile, ora, mentre pronunciava il nome. - Il conte di La Boussac,
che il buon Dio lo accolga tra i suoi santi. - Amen. Era una brava
persona, per quello che ne so. Ma non possiamo aiutarvi. L’uomo riprese a lavorare,
come se non ci fosse più nulla da dire. Il fratello lo guardò, poi sussurrò: - Maurice… Maurice Caumont alzò lo
sguardo sul fratello, che con la testa gli indicò la loro casa. Maurice
abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore. - Il mio amico ha assoluto
bisogno di partire… Al nuovo intervento di
Daniel, Maurice Caumont lo scrutò, poi rivolse il suo sguardo a François. Per
un buon momento ci fu un silenzio carico di tensione. François si chiese se
avrebbero superato l’esame. Poi la voce del pescatore risuonò, decisa. - Avete di che pagare? Daniel annuì. François si
stupì di come riuscisse a dare a quel viso così deciso un’espressione
servile. - Certo. Quanto volete? La cifra richiesta era
molto alta. Daniel guardò di nuovo incerto François, che annuì, cercando di
dare al suo viso un’espressione irritata, come se gli desse fastidio
l’esitazione del suo servitore. - Va bene. Ma dobbiamo
partire presto. Molto presto. Quegli assassini lo cercano. - Questa notte una barca
arriverà per scaricare merce e voi potrete salire. Arriverete… lontano. - Va bene. Dove ci
troviamo e quando? - Dopo che è suonata
mezzanotte, a quella casa abbandonata. Maurice Caumont indicò una
casa un centinaio di metri più in là. - Ci caricheranno qui? - No, andremo a
incontrarli in barca. Che bagaglio avete? - Solo questa borsa. Siamo
dovuti partire in fretta. Molto in fretta. - Meglio così, viaggeremo
più leggeri. - Siamo d’accordo, ci
vediamo questa notte. - Portate i soldi.
Pagherete prima di salire. - Va bene, ma niente
scherzi. - Se avete parlato con il
conte, sapete che siamo persone oneste. Daniel annuì. Si voltarono
e se ne andarono. Quando furono
sufficientemente distanti, François chiese: - Che te ne pare? - Ci hanno creduto. Il
problema ora è non commettere errori. Lo scambio tra noi e Vilhoet avverrà in
alto mare e questo non ci voleva. La presenza di Hulot diventa inutile. A
meno che non li facciamo arrestare a terra, ma in questo caso siamo al punto
di partenza. Se non parlano, siamo fottuti e perdiamo Vilhoet. Se saliamo con
loro sulla barca, ci troviamo in una bella situazione: o li facciamo fuori
non appena si avvicina l’altra barca, ma quando ci vedono, i loro complici
inglesi, se inglesi sono, capiranno che c’è qualche cosa che non va; o
aspettiamo che arrivi Vilhoet, ma allora saremo solo due contro… non sappiamo
quanti. E non possiamo neppure andarcene in Inghilterra, mentre Vilhoet
sbarca tra le braccia di Hulot. - E se non ci presentiamo
all’imbarco? Tanto se partono da quella vecchia casa, ritornano anche lì. - Sì, ma se non ci
presentiamo, sospettano qualche cosa e magari sbarcano da un’altra parte. Non
devono sospettare nulla. - E allora? François era curioso e
impaziente, sicuro che Daniel avesse già una risposta. - E allora, François
Girod, se hai una soluzione, dimmela, altrimenti lasciami pensare! François ammutolì, mortificato. Rispettò
il silenzio del capitano e, uno a fianco dell’altro, percorsero senza parlare
il lungo tratto che li separava dall’osteria di Vains. Un’occhiata
all’interno del modesto locale fu sufficiente per vedere che Bel-Piede non
era ancora arrivato: c’erano solo due avventori, seduti a uno dei tavoli di
legno. Si sedettero a un tavolo
vicino alla finestra e ordinarono da mangiare e da bere. Mentre aspettavano Daniel
guardò fisso François e gli sorrise. - Non te la prendere, François. Non
volevo maltrattarti. Il sorriso di Daniel
rappacificò François con il mondo. - Per scusarmi di averti
maltrattato, ti propongo un viaggio in Inghilterra. Che ne dici? François lo guardò
perplesso. Stava scherzando? Forse sì, forse no. - Sì, io e te prendiamo il
posto di Vilhoet e ce ne andiamo verso l’Inghilterra. - E poi? - Adesso te lo spiego. Daniel cominciò a esporre
il suo piano e François ascoltò con attenzione. Semplice, efficace e, se gli
inglesi non erano in troppi, abbastanza sicuro. L’osteria andava riempiendosi.
Quasi tutti i tavoli vennero occupati. Bel-Piede arrivò all’imbrunire, mentre
a occidente stracci di nubi rosse sembravano incendiare il cielo. Chiese da
bere a gran voce e sembrava già ubriaco. Daniel non guardò nella sua
direzione neppure una volta. François invece ogni tanto lo guardava. Era
davvero ubriaco? In servizio, con un compito importante come quello di fare
da collegamento tra loro e Hulot? Impensabile. - Che hai da guardare,
stronzo, non ti piace la mia faccia? François sobbalzò. Bel-Piede
era in piedi davanti al loro tavolo, il viso torvo, e lo fissava con odio. Daniel si alzò e si mise
in mezzo. - Piantala, sei ubriaco. - Levati dai coglioni,
pezzo di merda. Non sto parlando a te, ma a quello stronzo lì, che non ha
nemmeno i coglioni per alzarsi. François assisteva
disorientato a quella scena. Era talmente convincente che gli veniva da
pensare che Bel-Piede avesse davvero perso la testa. Gli avventori stavano
fissandoli tutti. - Siediti e smettila. Bel-Piede voltò la testa
di lato e sputò per terra. - Ti ho detto di levarti
dai coglioni o ti do una lezione. - Vediamo, vieni fuori. Daniel fece un cenno con
la testa, indicando la porta. Bel-Piede strinse gli occhi, come per riuscire
a metterlo a fuoco. - Non mi fai paura, pezzo
di merda. Ti spacco quel grugno di porco. - Meno chiacchiere e
muoviti. O adesso te la stai facendo addosso? Bel-Piede fece una smorfia
disgustata e si rivolse a François: - Con te facciamo i conti
dopo. Dopo che ho fatto abbassare la cresta a questo spaccone di merda. Poi si avviò, barcollando,
verso la porta. Uscirono. Il giorno declinava e a oriente il cielo era già
blu scuro. Lo scontro fu rapido e
senza storia. Due colpi di Daniel stesero Bel-Piede, che crollò lungo
disteso. Poi Daniel si rivolse agli avventori che erano usciti a vedere: - Lo spettacolo è finito,
mi spiace. Io provvedo a scaricare il sacco di letame. Sollevò Bel-Piede come se
fosse davvero un sacco, se lo mise in spalla e si allontanò verso il retro. Tutti rientrarono
nell’osteria. Daniel arrivò poco dopo. A
François disse solo, ad alta voce: - Non si può stare un
momento tranquilli! Poi aggiunse, pianissimo: - Ho trasmesso le
informazioni. Tutto a posto. Rimasero un po’ di tempo
nell’osteria, poi uscirono e ripresero la strada per St-Léonard. Era ormai
notte. Dopo aver superato il
paese si stesero sull’erba, non lontano dalla casa abbandonata. Il cielo era
nuvoloso, brandelli neri correvano, spinti dal vento, lasciando apparire ogni
tanto qualche stella solitaria. François cercò la mano di Daniel e gliela
strinse. Stava bene, così. Era bello rimanere a fianco di Daniel. Quando sentirono suonare
mezzanotte, raggiunsero la casa. I Caumont arrivarono subito. - Siamo qui. - Avete portato i soldi? - Certo, eccoli. Alla luce di una lampada schermata,
il maggiore dei due fratelli contò le monete, poi le intascò - Seguiteci. Camminarono in direzione
della barca, entrando in acqua. François notò che Maurice Caumont zoppicava.
Con l’alta marea la spiaggia si era ridotta e la barca ora galleggiava.
Quando vi arrivarono, avevano l’acqua alle cosce. Salirono uno dopo l’altro,
in silenzio. Maurice Caumont si mise al
timone, il fratello alla vela. François e Daniel si sedettero vicini. Daniel
teneva tra le ginocchia la sacca, in cima alla quale aveva messo le pistole.
François si rese conto che la stava aprendo, in modo da avere le pistole a
portata di mano. Preferiva essere pronto. Navigarono alcune ore, poi
si fermarono. Potevano vedere alcune luci in un punto lontano della costa. Il maggiore dei fratelli
accese una lanterna, la coprì e la scoprì tre volte. Poi si sedette e
rimasero tutti in silenzio. Poco dopo sentirono il
rumore di un’altra imbarcazione che fendeva l’acqua e si avvicinava. - Sant’Anna d’Auray. Alla voce che sembrava
provenire dal nulla, rispose il maggiore dei fratelli. - San Giorgio. Le due imbarcazioni ora
erano vicine. I marinai parlavano sottovoce, ma nel silenzio notturno le loro
voci arrivavano nitide. - Tutto bene? - Sì, nessun intoppo. La voce che rispondeva
dall’altra barca aveva un forte accento straniero. - Sono con voi? - Sì. - Abbiamo due ospiti anche
noi, che vogliono fare il viaggio contrario. - Questo non era previsto.
Stessa somma? - Sì. - Allora ognuno si tiene
quel che ha ricevuto. - Come sempre. - Procediamo. Sulla barca ci fu un
movimento. Poi il panno che copriva la lampada venne leggermente sollevato e
alla fioca luce poterono vedere una barca a fianco della loro, con due
marinai e due uomini. Dovevano essere Vilhoet e un suo servitore o amico. Il
trasbordo fu rapido. Vilhoet li guardò, ma non disse nulla. Anche loro
rimasero zitti. Si sedettero nella stessa
posizione in cui erano sull’altra barca. Poi i due marinai si misero ai loro
posti e le barche si allontanarono. IL RE DI CUORI
Non passarono nemmeno dieci
minuti. François sentiva la tensione crescere. Sapeva che il momento di agire
era arrivato. Sentì Daniel che frugava nel sacco e tese le mani. Prese le
pistole e le strinse. La sensazione del calcio delle pistole nelle mani lo
tranquillizzò. Il cielo era meno coperto ora e le sagome dei marinai erano
abbastanza visibili. Un buon bersaglio. Ma quei due erano sulla loro barca e
sapevano come manovrarla. Quali armi avevano? Daniel intanto si era
spostato verso l’uomo al timone. François lo sentì chiedere: - Dove sbarcheremo? - Vicino a Torbay. Ci fu un attimo di
silenzio. Poi si sentì la voce del marinaio: - Che cosa vuoi? François non distolse lo
sguardo dalla sagoma scura dell’altro marinaio, ma il cambiamento nel tono
rivelava che Daniel era passato all’azione. Vide che la figura davanti a lui
si muoveva e parlò: - Sei sotto il tiro di due
pistole. E due ne ha il mio amico. Non ti conviene muoverti. Nuovamente cadde il
silenzio. Poi la voce di Daniel: - Non ho nessuna
difficoltà ad ammazzare due inglesi, nemici della mia patria. Ma non lo farò,
se non è necessario. Adesso tu giri il timone e ci riportate a riva, dove
siamo partiti. E rapidamente. Altrimenti ti trovi una pallottola nello
stomaco. François sentì che la
barca virava e si tese, temendo che i due marinai tentassero una manovra
disperata. Poi sentì la voce del timoniere: - Se ci ammazzate, non ce
la fate ad arrivare a terra. - Questo non lo so, ma so
che se non ci porti, tu sei un uomo morto. Se ci scaricate a St-Léonard senza
cercare di giocarci scherzi, prometto che vi lascio ripartire senza
trattenervi e vi potete tenere i soldi che vi ha dato Vilhoet. - Arriveremo che sarà
quasi mattina. Rischio grosso. - Non così grosso. E in
ogni caso questo viaggio ti ha fatto guadagnare il doppio del previsto. Devi
pure meritartelo. - Va bene, ma non è il
caso che mi tieni quella canna contro lo stomaco. - È solo perché non ti
vengano brutte idee. - Comunque siamo
irlandesi, non inglesi, e per quel che ci riguarda, gli inglesi possono
andare tutti a farsi fottere, prima è, meglio è. Le ore che seguirono non
furono piacevoli. François sentiva la stanchezza assalirlo, ma sapeva che non
doveva abbassare la guardia. Ogni tanto Daniel gli parlava o parlava ai due
marinai. François si rendeva conto che lo faceva per evitare che a lui
venisse un colpo di sonno. Ai marinai chiese notizie su quando e dove avevano
imbarcato Vilhoet e poi sull’uomo che lo accompagnava. Secondo i due era un
servitore. François rifletteva. L’altra
barca aveva non più di venti minuti di vantaggio. Sarebbero arrivati che
Vilhoet era già stato catturato. Con il passare del tempo
si rilassò. I due marinai non sembravano intenzionati a tentare colpi di
mano. A che pro? Avrebbero rischiato la vita per nulla. Erano
contrabbandieri, non patrioti. Di Vilhoet non poteva importargli nulla. La sagoma del marinaio
diventava più nitida. Il cielo si stava schiarendo a oriente, dietro la costa
della Normandia che appariva non lontana. Il vento ora era più forte e la
barca filava rapida. Cominciava a distinguere i tratti del marinaio, un uomo
non più giovane, i cui lunghi capelli bianchi svolazzavano al vento. Lanciando una rapida
occhiata all’orizzonte, François distinse la guglia di Mont Saint-Michel in
lontananza, appena visibile contro il cielo ancora scuro. Dalla parte opposta
una striscia rosa annunciava l’alba. Li stavano portando a destinazione. Trascorsero ancora alcuni
minuti. Ora il cielo era chiaro, il vento soffiava ancora più forte e la
barca filava verso la riva, ormai vicina. Poteva vedere bene il marinaio:
aveva gli occhi chiari e gli sorrideva. Gli mancavano alcuni denti, ma era un
sorriso simpatico. Rispose al suo sorriso e si rilassò. Forse le loro
precauzioni erano state eccessive, ma non poteva esserne sicuro. Meglio
premunirsi che pentirsi. In quel momento sentirono
una raffica di spari. Guardò verso riva, ma la costa normanna era in ombra. - Ci volete fare
ammazzare? Era il timoniere che aveva
parlato. Daniel gli rispose: - Nessuno vi ammazza,
garantisco io. Chi deve essere morto è il vostro passeggero e se è così, ha
avuto quello che si meritava. - Accostiamo qui vicino,
se cerchiamo di avvicinarci ancora a St-Léonard, finisce che ci incagliamo,
c’è la bassa marea. Siete a non più di un miglio. - Va bene, ma niente
scherzi. La barca virò e puntò
diritto verso la riva alla loro sinistra. Si fermò a una cinquantina di metri
dalla costa. Daniel arretrò. - Di’ all’altro marinaio
di venire a mettersi davanti a me. Il marinaio anziano
ubbidì, senza che François avesse bisogno di parlare. - François, controlla la profondità dell’acqua. A François bastò uno
sguardo per vedere che l’acqua non era profonda, al massimo sarebbe arrivava
alla vita. - Si può scendere. - Va bene, scendi e passa
da questa parte, tenendo i nostri due amici sotto tiro. François si calò in acqua.
Gli arrivava all’inguine. Camminò lungo la barca fino a che non fu in
posizione da poter tenere sotto tiro i due uomini. - Come vedete, ho
mantenuto i patti. Buon viaggio di ritorno. Con queste parole Daniel
afferrò la sua borsa e scese in acqua.
Il marinaio riprese
rapidamente il suo posto e la barca virò e prese ad allontanarsi, lottando
contro il vento sfavorevole. Daniel e François rimasero
a guardarla fino a quando furono sicuri di non avere più niente da temere da
parte dei marinai, poi si voltarono e si diressero verso la riva. In quel
momento sentirono di nuovo uno sparo, poi un altro, poi ancora altri due.
Provenivano dalla riva, sulla loro destra, nella direzione in cui si doveva
trovare St-Léonard. - Qualche cosa è andato
storto. Merda! Accelerarono il passo.
Quando finalmente furono fuori dall’acqua, Daniel si mosse rapidamente verso
una duna coperta da una rada vegetazione, che si alzava dietro la spiaggia.
In pochi minuti arrivarono in cima e guardarono in direzione di St-Léonard.
Davanti a loro potevano vedere un buon tratto di costa: la grande spiaggia
che la bassa marea aveva creato appariva deserta. In lontananza però c’erano
dei puntini, un gruppo di uomini, probabilmente. Daniel guardò verso
l’interno, coperto da una vegetazione bassa. D’un tratto corrugò la fronte. - Giù, in silenzio. Si gettarono a terra,
dietro un cespuglio. Daniel tese la mano e, seguendo la direzione indicata, François
vide un uomo che si avvicinava correndo tra la vegetazione. Daniel puntò le
pistole, ma la distanza era eccessiva. Anche François si preparò a sparare. Rimasero in silenzio
mentre l’uomo si avvicinava rapidamente. Ogni tanto si voltava indietro a guardare
e in effetti in lontananza ora erano visibili altri uomini, che portavano le
uniformi dell’esercito francese. François guardò Daniel. C’era
un sorriso su quelle labbra, un sorriso di una gioia feroce. Un sorriso che
non era bello. L’uomo continuava a
correre, tra poco sarebbe stato alla loro altezza. Daniel gli sussurrò. - Tu rimani a terra, non
ti muovere. Spara solo se mi colpisce. All’idea di vedere Daniel
cadere, François si sentì gelare. Ma perché quegli stronzi dei suoi compagni
non avevano catturato o ammazzato Vilhoet? Perché tutto il lavoro lo doveva
sempre fare Daniel? Perché Daniel doveva rischiare anche questa volta? Vilhoet era ormai vicino,
ai piedi del piccolo rilievo. François poteva vederne il viso arrossato, le
mani che stringevano due pistole. In quel momento Daniel si
alzò. - Fermati, Vilhoet, o ti
ammazzo. Prima ancora che avesse
finito la frase, Vilhoet si era girato verso di lui e aveva alzato una
pistola. Daniel lo teneva già sotto
tiro, Vilhoet l’aveva appena visto, doveva ancora prendere la mira. François
non si stupì di sentire il colpo che partiva e di vedere l'uomo vacillare
prima ancora che avesse individuato il nemico. In pochi salti Daniel fu ai
piedi della duna, dove Vilhoet si contorceva nella sabbia, tenendosi il ventre
con le mani che si arrossavano rapidamente. Le pistole giacevano abbandonate
di fianco a lui. Daniel gli si accostò e lo
fissò. L’espressione di odio del suo viso colpì François. - Buona ultima giornata,
cittadino Vilhoet. Sono Daniel Dessart, non so se ti ricordi di me. Il
fratello di Catherine. Non ti dice nulla questo nome? Vilhoet lo fissò e nei
suoi occhi passò la luce di un ricordo. - Dessart… hai avu…to la tua …ven…det…ta. - Due giorni fa ho fatto
conoscenza con tuo fratello e ho il piacere di dirti che crepi marchese. Eri
l’ultimo che mi mancava dei quattro re di carte: i due La Boussac sono morti
per mano mia e tuo fratello l’ho strozzato mentre lo fottevo. Quanto alla tua
amante, credo proprio che finirà ghigliottinata. Vilhoet chiuse gli occhi,
come se volesse cancellare l’immagine di Daniel. François guardava,
confuso. Era un Daniel che
non conosceva, quello, un Daniel feroce, che quasi gli faceva ribrezzo. - Fini...scimi. Daniel lo guardò. Ora lo
sguardo di odio era scomparso. - Sì, è inutile farti
soffrire ancora. Crepa, fottuto bastardo. Alzò la seconda pistola e
mirò al cuore. Al colpo Vilhoet sussultò, alzò il capo, aprì la bocca come se
avesse voluto parlare, ma ne uscì solo un fiotto di sangue. La testa ricadde
al suolo. Daniel lo fissava. Ora
c’era un’espressione diversa sul suo viso, un dolore violento. François si stupì di quel
dolore, come si era sorpreso prima dell’odio dimostrato. Non voleva vederlo
soffrire. Gli mise una mano sulla spalla. Daniel si voltò e lo
guardò, come se si rendesse conto solo ora di averlo al suo fianco. - Mi spiace, François. So
che ti ho mostrato il lato peggiore di me stesso. Ma… Ci fu una pausa. Poi la
voce riprese. Usciva con sforzo, lottando contro la sofferenza di un ricordo: - Mia sorella lavorava come
cameriera a Nantes, nell’osteria di mio padre. Lui l’aveva notata: era una
bella donna, come dicono che era mia madre. Lui era abituato a prendersi
tutte le donne che voleva e cominciò a infastidire mia sorella. Catherine
ignorò le sue offerte, ma il parroco l’attirò in una trappola e quel porco la
violentò. Era il conte, tutto gli era permesso. Io volevo ammazzarlo, ma
quando mi presentai per chiedergli conto della sua azione, mi fece bastonare
dai suoi uomini. Ci fu un nuovo silenzio. - Mia sorella rimase
incinta di lui e morì di parto. Le volevo bene. È stato l’unico essere al
mondo che mi ha veramente amato. Ci fu una nuova pausa. - Pochi mesi dopo scoppiò
la rivoluzione e io mi arruolai nell’esercito. Ho aspettato per dieci anni
questo momento. François aveva le lacrime
agli occhi. Non riusciva a parlare. Avrebbe voluto dire a Daniel che
Catherine non era l’unico essere che lo avesse amato, che anche lui lo amava,
perché ora sapeva di amarlo, ma non ce la faceva, la vergogna gli chiudeva la
bocca. Con la mano strinse la spalla di Daniel. - Grazie, François. QUEL CH’È FATTO È RESO
In quel momento arrivò
Hulot con un gruppo di soldati. François tolse la mano dalla spalla di
Daniel. Hulot scosse la testa,
incredulo. - E chi altri, se non
Dessart? Partito per l’Inghilterra, ma tornato per far fuori Vilhoet! E
quattro. Dessart, sei riuscito a eliminare tutti e quattro i re. Se non
diventi aiutante generale ora, mi mangio le palle. Daniel lo guardò. Si stava
riprendendo. - Com’è che vi è sfuggito? - Si sono accorti della
nostra presenza alla vecchia casa. Una segnalazione della vecchia, credo.
All’ultimo momento hanno virato, sono sbarcati più in là. Erano troppo
lontani: abbiamo catturato i due marinai, perché uno è zoppo e l’altro lo ha
aspettato, ma Vilhoet e il servitore si sono coperti la fuga sparando e sono
scappati. Ma a quanto vedo, a lui non è servito. - No, non gli è servito. La voce di Daniel era
quasi normale. Solo François vi lesse una nota di tristezza. Quattro soldati presero il
corpo di Vilhoet, mentre Daniel ricaricava le pistole. Poi tutti insieme
ritornarono verso il punto in cui era avvenuto lo sbarco. I fratelli Caumont
erano seduti sulla sabbia. Il più anziano aveva un braccio intorno alle
spalle dell’altro, che gli appoggiava la testa sul petto. François pensò che
lui e Daniel erano seduti nello stesso modo, in cella a Fougères, quando
aspettavano il plotone. Il pensiero gli diede una
fitta: era quello che non voleva, che temeva in quella guerra assurda. Vedere
o, peggio, dover dare la morte a poveri cristi come quei due. Hulot li guardò, poi,
mentre passavano loro davanti, borbottò a Dessart: - Adesso fuciliamo questi
due. Maurice Caumont strinse a
sé il fratello e lo guardò, il viso contratto in una smorfia di dolore.
François sapeva che soffriva all’idea non della propria morte, ma di quella
del fratello. Di nuovo pensò alla cella di Fougères. L’angoscia lo
attanagliò. Dessart non rispose subito
al capo-brigata. Aspettò di essere più lontano dai due prigionieri e parlò a
bassa voce. Solo François poteva sentire il dialogo. - È proprio necessario? - Hanno aiutato un
emigrato a rientrare clandestinamente, uno dei capi della rivolta che si
preparava, uno che ci ha accolto sparando. Non posso neanche escludere che abbiano
sparato pure loro. - No, non hanno sparato,
di questo sono sicuro. Lo fanno per vivere, non sono fanatici. Sono povera
gente. - Lo so, ma devo farli
fucilare lo stesso. O almeno portarli in tribunale. E finirebbe allo stesso
modo, solo ci vorrebbe più tempo e sarebbe peggio. - Non hanno opposto
resistenza. E poi abbiamo preso anche il quarto re. Possiamo essere
soddisfatti del risultato. Lasciali andare. Hulot lo guardò perplesso,
ma François si rese conto che neanche lui aveva nessuna voglia di far
fucilare quei due. Dessart ammiccò, Hulot
sorrise. - Ci pensi tu, però! A François si allargò il
cuore: avrebbe voluto saltare al collo di Daniel, di Hulot. Hulot chiamò i soldati e
disse a Dessart, ad alta voce: - Bene, noi andiamo. Voi
provvedete a questi due. Hulot e gli altri si
avviarono, portando con sé il cadavere. Dessart si mise di fronte
ai due pescatori, che lo fissavano. Il più giovane era spaventato, l’altro
ogni tanto abbassava lo sguardo sul fratello e la sua mano stringeva la sua
spalla. Dessart non disse nulla,
ma quando gli altri soldati furono lontani, Maurice Caumont parlò: - Ho organizzato io tutto,
se devi ammazzare qualcuno, ammazza me. Frédéric non c’entra, non sapeva
niente. Frédéric Caumont guardò il
fratello, angosciato. Fece per parlare, ma Maurice lo bloccò con uno sguardo.
Daniel sorrise. Non era un sorriso cattivo. - Penserai mica che me la
bevo? Il pescatore si morse il
labbro inferiore, tacque un momento, poi riprese. - Avevo bisogno di quei
soldi, se no, non lo facevo. Mia madre ha solo noi. Ammazzami pure, ma salva
almeno lui. Daniel scosse il capo. - Non ammazziamo nessuno.
La Repubblica sa essere generosa. Potete andare. Ci restituite i soldi, però,
anche se vi servono, sono soldi della Repubblica. I marinai lo guardarono increduli. Si
alzarono. Maurice mise la mano in tasca e gli diede la borsa con i soldi. - Non ti stai divertendo
con noi, cittadino? Non giochi come il gatto con i topi? Fissò Daniel un attimo,
poi sorrise, tranquillizzato. - No, tu hai una parola
sola. Grazie, perché sei stato tu a far cambiare idea al comandante. Daniel non confermò, ma
avvertì: - Ora potete andare. Ma
che non vi ripeschiamo. La seconda volta si paga anche per la prima. I due pescatori annuirono,
in silenzio. Maurice parlò ancora: - Grazie, capitano. E se
mai hai bisogno di qualche cosa, di qualunque cosa, i Caumont sono ai tuoi
ordini. Spero di poterti rendere il favore. - Forse. Chi può sapere?
Ora andiamo, François. Si voltarono e si mossero
nella direzione che avevano preso i loro compagni. Dopo pochi passi Daniel
parlò: - Sai una cosa, François? - Che cosa? - Quel ragazzo ha i tuoi
stessi occhi. E il fratello lo guarda come ti guardo io. Daniel non aggiunse altro.
François sentiva muoversi dentro di sé qualche cosa che non avrebbe saputo
spiegare. Forse aveva voglia di piangere. Perché, non lo sapeva. Il grido di Frédéric
Caumont risuonò in quel momento: - Attenti, a terra! François non fece in tempo
a capire, che già Daniel lo aveva afferrato e cadevano al suolo. La prima
pallottola fischiò dove un attimo prima erano le loro teste, la seconda poco
sotto. Se non si fossero buttati a terra, ora avrebbero avuto ciascuno una
pallottola in corpo. Quando François girò la
testa per capire che cosa succedeva, Daniel si era già voltato e aveva la
pistola in pugno. Sparò, mentre François cercava l’uomo che aveva cercato di
ucciderli. Quando lo scorse, lo vide cadere al suolo: il colpo di Daniel non
era andato a vuoto. Daniel si alzò e si mise a
correre, François lo seguì. Quando raggiunsero l’uomo, questi non dava più
segni di vita: la pallottola lo aveva preso al cuore. - Il servitore di Vilhoet,
c’era da immaginarlo. Vediamo cos’ha nella sacca. Trovarono alcune lettere e
una pesante borsa con molto denaro, suddiviso in tanti sacchetti. - Bene, potrà servire. I Caumont arrivarono in
quel momento. Daniel sorrise. - Avevi ragione: mi avete
reso il favore. E ora ve ne faccio uno io. Visto che non avete intascato il
compenso per il viaggio, mentre i vostri amici irlandesi sì, vi pago: tanto i
soldi a Vilhoet non serviranno più e senza di voi Vilhoet sarebbe stato
vendicato. Daniel estrasse dalla
sacca la borsa con i soldi e diede a Maurice tre sacchetti di monete: una
cifra largamente superiore a quella che avevano pattuito per il trasbordo. Maurice gli sorrise. - Grazie, capitano. Di
questi soldi abbiamo davvero bisogno. Ma ora siamo di nuovo in debito, con
voi. - No, il passaggio ce
l’avete dato! - Comunque, quello che ho
detto è sempre valido. Se mai hai bisogno di qualche cosa, di qualunque cosa,
su noi puoi contare. - Lo so, grazie. Daniel tese la sua mano e
l’uomo la strinse. François si aspettava che le mani si separassero, ma
rimasero unite. I due uomini si stavano guardando negli occhi e sorridevano. Davanti a lui, Frédéric
Caumont sorrideva. François ricambiò il sorriso. Frédéric fece un passo
avanti, poi un altro. Ora i loro due corpi erano quasi attaccati. L’uomo
cercò le sue labbra e le sfiorò, poi gli baciò il collo. François ricambiò il
bacio. La pelle di Frédéric sapeva di sale e aveva il profumo del mare. Le mani di Frédéric
armeggiavano intorno alla sua cintura e la sfilavano. Poi, di colpo, Frédéric
si ritrasse e scappò via, con la cintura di François nella mano. François lo
inseguì lungo la spiaggia, reggendo i pantaloni con la mano. Infine lo
raggiunse e cercò di afferrare la cinghia, ma Frédéric alzò verso il cielo il
braccio che la stringeva e la fece roteare. François saltò per prenderla, ma
Frédéric era più alto e si sottrasse. Poi, di colpo, mollò la cinghia e lo
strinse tra le braccia. Ora i loro corpi
aderivano, le mani di Frédéric percorrevano la sua schiena e le sue natiche
in rudi carezze, la sua bocca gli percorreva il viso. Poi Frédéric gli tolse
la giacca e di nuovo lo mollò di colpo, fuggendo via con il suo trofeo.
François lo seguì e lo raggiunse, gli saltò addosso e rotolarono insieme
sulla sabbia. Questa volta fu lui a prendere l’iniziativa, sfilando la
camicia di Frédéric. Strinse quel torace muscoloso, fece scorrere la lingua
intorno ai capezzoli, li morse leggermente, poi diede un morso più violento,
si alzò di scatto e fuggì via con la camicia. Frédéric si mise a rincorrerlo.
Continuarono a inseguirsi
lungo la spiaggia, baciandosi, spogliandosi, abbracciandosi, mordendosi. Dopo aver tolto i
pantaloni a François, Frédéric, ormai nudo, non fuggì via, ma si stese di
fianco a lui e la sua bocca catturò il pesce di François. Allora questi si
girò su un fianco e cercò con le labbra il pesce del pescatore. Lo trovò ansioso
di tuffarsi nella rete e di venire divorato. Lo prese in bocca e cominciò ad
assaporarlo, curioso di scoprire se sapeva anch’esso di mare. Lo sentì
palpitare nella trappola dei suoi denti, avanzare e arretrare alla ricerca di
un’uscita. E lontano, a una distanza infinita, un altro pesce pulsava,
prigioniero di un’identica trappola, che lo martoriava: i denti sembravano
conficcarsi nel suo corpo, come piccoli arpioni, e la rete della lingua lo
avvolgeva. Il pesce si dibatteva, ma non voleva abbandonare la trappola. E infine, quasi
simultaneamente, i due pesci si agitarono negli spasimi dell’agonia, per poi
giacere inanimati nel fondo delle reti. Frédéric si alzò,
allontanandosi per recuperare i loro indumenti, sparsi lungo la spiaggia.
Allora François si accorse che il vento portava la voce di Daniel. Sollevò
leggermente la testa e vide Daniel e Maurice seduti sulla sabbia non lontano
da lui. Erano entrambi a torso nudo. Daniel era seduto davanti e Maurice
dietro e le sue braccia cingevano il capitano. - François ha
diciott’anni, quasi diciannove. E Frédéric? - Ventiquattro. È bello
vederli ruzzare così. Frédéric ha bisogno di muoversi, di correre, non di
stare con uno zoppo come me. - Frédéric ha bisogno di
te, Maurice. E lo sai. Daniel disse ancora qualche
cosa, che François non riuscì a capire. Sentì la risposta di Maurice. - Nove anni fa. Io gli
insegnavo il lavoro. Da sempre: suo padre è morto che lui aveva appena tre
anni. È stato più mio padre che suo: si è preso cura di me e mi ha insegnato
tutto e quando finalmente ha avuto il figlio che desiderava, è morto...
Quella sera il mare era agitato, ma noi uscimmo ugualmente. Non potevamo
permetterci di non lavorare. Si alzò il vento forte e scoppiò la tempesta.
Frédéric sbagliò una manovra, il vento spezzò l’albero. Mi cadde addosso e mi
ruppe la gamba. Rimanemmo due giorni in balia della tempesta. Ma non lo
rimpiango. - Fu allora, vero? - Sì. Frédéric era
disperato e io cercavo di consolarlo, abbracciandolo, baciandolo. La tempesta
si calmò e noi ci siamo ritrovati a fare l’amore, io non sentivo più nemmeno
il dolore della gamba. Dopo un momento di
silenzio, Maurice riprese. - A volte penso che lui è
giovane, che dovrebbe farsi un’altra vita, lasciarmi qui. Anche se so che ne
morirei. - Anche lui ne morirebbe,
Maurice. Il vento rallentò e le
parole smisero di arrivare. François si chiedeva perplesso come fosse
possibile una tale intimità tra Daniel e Maurice. Si parlavano da meno di
un’ora, eppure sembravano due amici di lunga data. Frédéric arrivò con i loro
abiti. Si rivestirono. François lo baciò ancora una volta. Quando si voltò
vide che anche Daniel e Maurice si erano rivestiti. - Andiamo, François. È
tardi e Hulot sarà furibondo. Arrivederci, Maurice, ci incontreremo ancora.
Arrivederci, Frédéric. Si salutarono e Daniel e
François si diressero di buon passo verso Avranches. Daniel era silenzioso.
Fu François a rompere il silenzio. - Hai fatto amicizia con
Maurice Caumont? - Ho trovato un fratello.
È una cosa rara. E molto bella. E tu, ti sei divertito con Frédéric? - Certo. Ma non come con
te. Tu scopi meglio. Daniel aprì la bocca, ma
non disse nulla. François gli lesse in viso che la sua risposta non gli era
piaciuta e ne fu sconcertato: aveva voluto fargli un complimento. Ci fu
nuovamente un silenzio, poi François riprese. - Tu ti sei divertito con
Maurice Caumont? - Non abbiamo scopato, se
è questo che vuoi sapere. Che cosa c’era che non
andava? C’era una certa asprezza nella voce di Daniel. Dove aveva sbagliato? - C’è qualche cosa che non
va, Daniel? - No, niente. È ora di
muoversi. Non c’era più asprezza,
ora, solo un velo di tristezza. François chinò la testa. Nuovamente si sentiva umiliato. La domanda gli venne alle
labbra spontanea. - Che cosa c’è, Daniel,
che cosa ho detto? - Lascia stare, François,
non hai detto niente di male. Sono io che sono stupido. Il cervello di François
cercava una risposta, senza riuscire a darsene una convincente. Eppure voleva
una risposta. Da Daniel non l’avrebbe avuta. Non direttamente. Doveva aggirare
l’ostacolo. Cambiare argomento e poi riprovare. - Sono ansioso di
ritrovare i miei compagni. - Tra un’ora saremo ad
Avranches e li rivedrai. - Sì, ho voglia di stare
un po’ con loro. François non sapeva che
cosa stava dicendo. Non aveva voglia di stare con i suoi compagni. Aveva
voglia di stare con Daniel. Ma forse sarebbe arrivato a una risposta. - Sì, certo, in questi
giorni non sei mai riuscito a stare un po’ con loro. Questa sera potrai
divertirti con loro. E magari troverai qualcuno che scopa meglio, con cui ti
diverti di più. Daniel aveva pronunciato
la frase con un tono neutro, ma aveva calcato un po’ più del dovuto su quel
“ti diverti”. Una lampadina si accese nel cervello di François, nonostante il
signor Edison non fosse ancora nato. Non ricordava le parole che aveva usato,
ma in qualche modo Daniel doveva aver pensato che era interessato a lui solo
perché scopava bene. Forse gli aveva dato fastidio che François avesse messo
sullo stesso piano la scopata con Frédéric e le scopate con lui. Forse prima
Daniel aveva pensato che François gli volesse bene, ma ora credeva di essersi
sbagliato. Forse. François pensò che forse
non aveva capito niente, si stava inventando tutto. In ogni caso non poteva
accettare che fosse così. - Daniel! Daniel non si fermò, non
si voltò. Si limitò a rispondere: - Che cosa c’è? - Non me ne frega niente
se c’è qualcuno che scopa meglio di te. Non credo che ci sia, ma non me ne
frega niente se c’è. Non aggiunse altro, perché
la temperatura del suo viso doveva aver raggiunto il punto di ebollizione
dell’acqua, ma Daniel aveva capito, perché si girò verso di lui e gli
sorrise. A Avranches Hulot li
aspettava, impaziente di ritornare a Rennes. - Non vi vedevo più
arrivare, cominciavo a pensare che aveste deciso di andare davvero in
Inghilterra. O di chiacchierare un po’ con i Caumont… Forse avevate molte
cose da dirvi… Daniel lo guardò con un
ghigno. - Abbiamo fatto anche la
seconda cosa, ma siamo in ritardo perché voi non riuscite mai a finire un
lavoro e tocca sempre a noi pensarci. - Come sarebbe a dire? - Sarebbe a dire che il
servitore di Vilhoet era ancora nei paraggi e ha cercato di vendicare il suo
padrone. Grazie ai Caumont non ci è riuscito, così ci siamo fermati a
ringraziarli… Hulot sorrise beffardo. - Immagino come. - Immagini bene. Comunque
qui ci sono i documenti che aveva il servitore. Forse servono. Hulot prese la borsa e
fece un primo esame dei documenti. Dalla sua espressione François capì che
effettivamente sarebbero stati utili. Quando ebbe finito alzò lo sguardo su
Daniel. - Dessart, se racconto
tutto quello che hai fatto, mi degradano e ti mettono al mio posto! Daniel rise. - Non ci tengo,
comandante. Mi vai benissimo come capo-brigata e mi basta quello che ho. La mano di Daniel scivolò
sopra quella di François e si fermò, stringendo lievemente. François pensò
che anche a lui bastava quello che aveva. |
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