3 SOTTO ACCUSA
La luce del primo mattino
svegliò François. Per un attimo non capì dove si trovava, poi gli ritornò in
mente tutto ciò che era accaduto la sera prima. Non sentiva più il russare
dell’aiutante, per cui si girò per vedere se dormiva ancora. L’aiutante generale Auray era disteso sul lenzuolo a fianco di François, ma
alla luce dell’alba François vide che quel corpo nudo aveva un pugnale
piantato nel cuore. Istintivamente François tese la mano a toccare quel
corpo. Era freddo: Auray era morto da diverse ore. François rimase un buon
momento paralizzato dal terrore, poi si alzò di scatto e arretrò verso la
parete, allontanandosi dal letto, senza smettere di fissare il corpo di Auray. L’aiutante generale Auray era stato assassinato, nel convento che serviva da
caserma. Un antico convento di clausura, in cui non era certamente facile
entrare. Chi era stato? A quella domanda mille altri pensieri lo assalirono.
L’assassino avrebbe potuto uccidere anche lui, senza difficoltà. Perché non
l’aveva fatto? In ogni caso doveva
avvisare subito il comandante. Ma Auray era stato
ucciso mentre lui dormiva nello stesso letto…
l’avrebbero sospettato. Doveva andarsene. No, l’avevano visto entrare. Dio,
in che casino si era ficcato! In che stramaledetto casino di merda si era
cacciato! Di colpo capì che cosa
doveva fare: doveva chiamare subito Dessart. Lui
avrebbe saputo che cosa fare. Si rivestì rapidamente e uscì. Arrivato di
fronte alla camera del capitano, alzò la mano per bussare, ma si fermò,
bloccato da un pensiero molesto: non gli aveva chiesto scusa, la sera prima. Era una stupidaggine, non
doveva badare a quello, Dessart non ci avrebbe
badato. Da quello che aveva detto la sera prima, era evidente che non se
l’era presa. Doveva bussare, ma si
vergognava. No, meglio andarsene, far
finta di niente. Tornare in camerata e mettersi a dormire come se niente
fosse. La camerata in cui dormiva
non era molto lontana. Con il cuore in gola, sperando che nessuno lo vedesse,
raggiunse la camerata. Il suo pagliericcio era all’altra estremità dello
stanzone. Merda! Si sporse per vedere se
qualcuno era già sveglio. Tutti sembravano ancora dormire. La sera prima
avevano festeggiato il successo di Roussière e molti
si erano coricati tardi. Rapidamente attraversò la camerata, cercando di
muoversi il più silenziosamente possibile, e raggiunse il suo letto. Si
spogliò e si coricò. In quel momento sentì un rumore: in un letto non lontano
Guillaume Lons si stava alzando. François sperò che
non lo avesse visto entrare. Non riuscì a prendere
sonno, ma indugiò a letto anche dopo che gli altri avevano cominciato ad
alzarsi, fingendo di dormire. Non se la sentiva di affrontarli. Quando
diedero la sveglia, si alzò di malavoglia. Si diresse alla latrina.
Stava pisciando quando vide entrare Philippe, che gli sorrise. - Allora, Girod, ti sei divertito ieri sera? In un altro momento
sarebbe arrossito, ma ora la paura che gli stringeva le viscere era più forte
di ogni altra emozione. Non riusciva a rispondere. - Dai, scopa bene Auray? Cinghiale, che l’ha provato, dice che non è un
granché. Avresti fatto meglio a venire da noi. Ci siamo divertiti. Dessart è formidabile, anche nello scopare. La tranquillità con cui
Philippe parlava della sera prima, mentre altri soldati andavano e venivano,
sconcertava François, ma un altro pensiero frullava ora nella sua testa:
sapevano che aveva dormito con Auray. Avrebbero
pensato a lui, quando avessero trovato il cadavere. - Auray
non è proprio un granché. Ci sono rimasto poco. - Ah sì? Non ti abbiamo
sentito uscire. Ma eravamo occupati. E Philippe scoppiò in una
grassa risata, gli mollò una pacca sul culo, si riabbottonò e se ne andò. François si sentiva
morire. Tornò in camera e cominciò a vestirsi. Era pronto per la colazione,
quando il caporale Moréac venne a chiamarlo. - Il comandante ti vuole. François sentì che le
forze gli mancavano, ma cercò di controllarsi. - Eccomi. Che cosa c’è? Moréac aveva un’espressione torva e rispose
sbrigativamente. - Te lo dirà lui. Hulot era seduto dietro la scrivania. Dessart era in piedi alle sue spalle. Entrambi avevano
un’espressione preoccupata. - Girod,
dove hai dormito questa notte? François non si aspettava
una domanda così diretta. Aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì nulla. - Allora? - Nella camerata, con i
miei compagni, cittadino comandante. - Quando sei andato a
dormire in camerata? - Nella notte, non so a
che ora, cittadino comandante. - E prima, dove sei stato? François respirò a fondo.
Ora non poteva più tirarsi
indietro. Dessart sapeva benissimo. E se era lì, lo
doveva a Dessart, senz’altro. Appena avevano
scoperto l’omicidio, quel fottuto scimmione nasuto aveva spiattellato tutto. - Con l’aiutante generale Auray, comandante. - Dove? - In camera sua. - E a che ora te ne sei
andato? - Non so, prima di
mezzanotte, comandante. - Ne sei sicuro? C’era una tale minaccia in
quella voce, che François sentì che le gambe non lo reggevano. La bocca era
secca. - Sì, comandante. Hulot lo fissò un momento in silenzio, poi si
rivolse a Dessart. - Fallo mettere in una
delle celle. François aprì la bocca,
cercando le parole. Sapevano, non aveva più senso mentire. Ma era innocente.
Si trovò a balbettare: - Ma, perché…
io. Io… - Davvero non lo sai? Allora François ritrovò la
voce e gridò: - Non l’ho ucciso io! Non
sono stato io! La voce di Hulot era gelida: - Credevo che non sapessi
niente di quello che è successo. François chiuse gli occhi.
Era stato inutile, anzi: dannoso. Se aveva una possibilità di cavarsela, se
l’era giocata. Chinò la testa e si lasciò condurre in una cella senza
parlare. Dessart lo accompagnò in silenzio, ma al momento
di lasciarlo, gli disse: - Passerò a parlarti più
tardi. François si sedette sul
tavolato che serviva da letto. Guardò il pavimento della piccola cella e di
colpo cominciò a piangere. Quando le lacrime si
furono calmate, cercò di analizzare la sua situazione. Sapevano che era stato in
camera di Auray. Adesso sapevano anche che lui era
a conoscenza dell’assassinio di Auray. Se qualcuno
l’aveva visto tornare il mattino, era fottuto. E se nessuno l’aveva visto,
era fottuto lo stesso, perché la sua confessione di poco prima era più che
sufficiente. Assassinio, di un ufficiale, per giunta. Giudizio immediato e
plotone di esecuzione. Condanna da eseguire subito. Passarono diverse ore. A
un certo punto sentì la chiave girare nella serratura. Guardò la porta
aprirsi, combattuto tra la speranza di sentire buone notizie e il terrore di
essere portato via per il processo. Nulla di tutto questo: gli portavano da
mangiare. François non toccò cibo. La stessa attesa
angosciosa si ripeté nel tardo pomeriggio, quando sentì nuovamente la chiave
girare nella serratura, ma questa volta era Dessart,
che entrò nella cella e si sedette sulla sedia, di fronte a lui. - François Girod, ho bisogno di parlarti. Sei stato visto entrare in
camera di Auray con lui. Sei stato visto rientrare
in camerata all’alba. Sapevi che Auray era stato
ucciso. Tutto porta a concludere che l’hai ucciso tu. François non disse nulla. Che cosa avrebbe potuto dire ? - Girod,
io non credo che tu sia colpevole. Però tu devi raccontarmi tutto quello che
è successo. Le parole di Dessart scossero François dal suo torpore. Se lui lo credeva
innocente, forse c’era una speranza. Ma all’idea di raccontare l’accaduto
François si sentiva sprofondare. Non riusciva a parlare. Abbassò gli occhi a
terra. - Girod,
guardami in faccia. François sollevò lo
sguardo. - Non hai ucciso Auray, vero? François scosse la testa,
poi abbassò lo sguardo. Non osava fissare Dessart:
aveva voglia di piangere e se ne vergognava. - Girod,
non voglio fucilarti domani. È brutto fucilare un uomo, non è come uccidere
in battaglia, quando si è ad armi pari e lotti per la tua pelle. È brutto
fare dodici buchi rossi in una camicia, vedere la smorfia di un uomo che
muore e che hai ucciso senza che avesse la possibilità di difendersi. François lo guardò.
Cercava di riemergere. In fondo alla gola trovò delle parole. - Tu l’hai già fatto?
Voglio dire, hai già fucilato qualcuno? - Sì, ma erano traditori,
gente che aveva complottato per far morire qualcuno di noi e che riceveva
quello che si meritava. Oppure ribelli presi con le armi in mano: e questo
non mi è piaciuto, anche se so che a noi capita la stessa cosa, se finiamo
nelle loro mani. Girod, per favore, raccontami
tutto, dall’inizio. François si raddrizzò,
appoggiò la testa al muro e cercò le parole. - Ero venuto a chiederti
scusa, per… per quella maledetta frase. Non me la
sentivo di continuare a evitare di guardarti… per… Dessart annuì: - Va bene, prosegui. - Arrivato davanti alla
porta della tua camera, ho visto che tu… che c’era
Cinghiale. E Gaspard, che stavate…
che… François non sapeva come
continuare, era mortalmente imbarazzato, nuovamente sentiva il sangue
affluire al viso, che ormai doveva essere rosso brace, ma Dessart
non sembrò turbato. - …che
stavo scopando con loro due. - Sì, non osavo entrare a
chiedere scusa, non era il momento e… - E…? François cominciava a
pensare che forse la fucilazione era meno spiacevole di quel dialogo in cui
lui, dopo aver insultato Dessart, rivelava che
l’aveva spiato mentre scopava. Cercò di proseguire. - Non riuscivo a entrare,
né ad andare via… Dessart capì il suo imbarazzo e intervenne: - Girod,
è perfettamente normale se sei rimasto lì a guardare e ad ascoltare. Se mai
toccava a noi chiudere la porta, ma non ci abbiamo neanche pensato, non ce ne
fregava niente. Nell’esercito, quando si passano mesi senza poter toccare una
donna, anche quelli che amano le gonnelle si divertono con i compagni. Quanto
a me, non ho difficoltà ad ammettere che preferisco un bel culo a una fica,
quando posso scegliere. La franchezza di Dessart colpì François, ma non gli rese molto più facile
il compito. - Quando…
quando sono arrivati Philippe e David, mi sono nascosto davanti alla porta di
Auray e poi… - E poi? - E poi sono ritornato a
guardare, fino a che ho sentito arrivare Auray. - Sei rimasto lì un bel
momento, quindi. François si era sentito
arrossire sempre più, ma alla semplice replica di Dessart,
che pure era stata pronunciata senza nessuna sfumatura di rimprovero, si rese
conto che altro sangue affluiva alla faccia: doveva essere ormai sul viola
melanzana. - È proprio necessario
continuare? Dessart sorrise. Un sorriso da lupo, con quei
canini aguzzi, in quella faccia da orco, eppure non cattivo. - Dai, rosso per rosso,
meglio questo che quello dei buchi dei proiettili. La battuta non fece ridere
François, che però riuscì a riprendere il racconto. - Ho sentito arrivare
qualcuno, mi sono nascosto ed era Auray. Mi ha
visto e mi ha detto di entrare. Avrei voluto andarmene, ma avevo sentito
quello che dicevano, ho visto che mi guardavano e… - Non volevi che
pensassero che sei una verginella ritrosa. François annuì, grato a Dessart della comprensione. - E poi? Perché questa è
la parte più importante. - Auray
si è addormentato subito. - L’hai steso! Neanche questa battuta
fece ridere François. - No, non si è
addormentato dopo, ma prima… Si è fatto togliere
gli stivali, si è spogliato e si è buttato sul letto, sprofondando in un
sonno di piombo. - Che sciagura! E tu non
l’hai svegliato? François si rendeva conto
che Dessart ironizzava per ridurre un po’ la
tensione, ma non riusciva a sorridere. - Ci ho provato, ma poi ci
ho rinunciato. Non ero più tanto sicuro di volerlo. - E poi? - E poi mi sono svegliato
all’alba e l’ho visto morto, con il pugnale nel cuore. - E allora? - Ho pensato che mi
avrebbero accusato di averlo ucciso e sono corso in camerata. - E ti sei scavato la
fossa da solo! Ma perché non sei venuto da me, porcodd…!? La bestemmia colpì
François che, pur non essendo credente, era stato allevato in un ambiente
piuttosto religioso. - Ci ho pensato, ma mi
vergognavo. Non ti avevo chiesto scusa. - Per questo non sei
venuto? Cazzo, François Girod, sei una testa vuota! François non disse nulla. Dessart aveva ragione. Era davvero una testa
vuota. Ora era avvilito e umiliato, sentiva le lacrime salirgli agli occhi.
Meglio che Dessart se ne andasse e lo lasciasse in
pace, lui e la sua testa vuota, ad aspettare la morte. Perché continuava a
tormentarlo? Parlò senza guardarlo, gli occhi bassi: - Sì, hai ragione. Sono
una testa vuota. Un po’ di piombo mi farà bene, me la riempirà. - François! La voce di Dessart nel pronunciare il suo nome era stata un ruggito,
che lo fece sobbalzare. Alzò la testa, spaventato. Dessart
tese le braccia e, con un gesto improvviso, gli prese la testa tra le mani.
La delicatezza con cui le mani gli scorrevano sulle guance lo colpì: era una
carezza, che sembrava improbabile per quelle mani erculee. Il calore di
quelle due mani lo turbò e si rese conto che non riusciva più a trattenere le
lacrime. Ora la voce di Dessart era completamente diversa, quasi tenera. - Non devi dire così. Mi
dispiace. È che sono preoccupato per te, perché non so come tirarti fuori da
questo pasticcio. Scusami, non volevo ferirti. Hai già abbastanza motivi per
essere depresso. Ma non devi scoraggiarti. François non riusciva a
parlare, le lacrime continuavano a scorrere. - Fatti coraggio,
François. Farò tutto quello che posso. Facendo appello a quel
tanto di dignità che gli era rimasta, François tirò su con il naso e cercò di
asciugarsi le lacrime. - Tu credi alla mia innocenza? - Sì, so che mi hai
raccontato tutta la verità. - Dessart! - Che cosa c’è? - Non so se potrai fare
qualche cosa o meno. Grazie perché ci provi, ma… - Ma? - Scusami per quella
frase. Dessart sorrise. Un sorriso un po’ beffardo. - Forse non è la cosa più
importante, adesso. - Per me lo è, se domani
non potrò più chiederti scusa. Non voglio andarmene con un conto in sospeso.
E se sei tu che comandi il plotone, non voglio che tu pensi: uno stronzo di
meno. Dessart scosse la testa. - Sei un bravo ragazzo,
François. Non ci sarà quel plotone. In un modo o nell’altro ti tirerò fuori
di qui. Ora cerca di riposare un po’. Quando Dessart
se ne fu andato, François si stese sul tavolaccio. Si sentiva sfinito, ma
meno angosciato di prima. - Sarà anche uno scimmione
nasuto, e cazzuto, - pensò - ma si dà davvero da
fare per i suoi soldati. L’EVASIONE
Una mezz’ora dopo la
visita di Dessart, gli portarono da mangiare.
Mentre posava il cibo sul tavolo, Forte-Braccio gli disse: - Dessart
mi ha raccomandato di dirti di mangiare tutto. François annuì. Non aveva
appetito, ma la morsa che gli stringeva lo stomaco si era un po’ allentata.
Si mise a mangiare, come si metteva a eseguire un compito di pulizia non
gradito. Doveva farlo e lo faceva. Punto e basta. Poi si stese, ma non
riusciva a prendere sonno. Sarebbe stato ancora vivo, la sera seguente? Erano passate forse due o
tre ore, quando François sentì la voce di Dessart. - Allora, Cléguerec, come va il turno di guardia? - Tutto bene, capitano.
Come mai qui? François si alzò e andò
allo spioncino. Poteva vedere Dessart, un candela
in mano, che parlava con André Cléguerec, di
guardia davanti alla cella. - Sono stato all’osteria e
prima di andare a dormire ho deciso di fare un salto a vedere se tutto andava
bene. Il prigioniero dorme? - Non so, penso di sì, non
ho sentito rumori. - Bene. Domani lo aspetta
una giornata difficile. - Ma, capitano…
tu pensi che lo ha ucciso lui? - No, sono sicuro di no. A François quelle parole
fecero piacere. Sapeva già che Dessart credeva alla
sua innocenza, ma il sentirlo ripetere lo rassicurava. - Ma tutte le prove… - Lascia perdere le prove.
È meglio se vado a dormire, ora. E devo andare a pisciare. Ho bevuto come una
spugna, se non piscio scoppio. - Capitano, non mi farai
lo scherzo di sprecare quel ben di Dio nel cesso? Dessart esplose in una sonora risata. - Anche quando sei di
guardia, André Cléguerec? - Il prigioniero è nella
cella, le chiavi le ho attaccate ai pantaloni e se rimango qui non può certo
uscire. Capitano, non mi dire di no. - E va bene, André. Ma
sarà meglio che quei pantaloni tu te li tolga, come pure tutto il resto. È la
divisa. - Certo, non voglio mica
passare qualche guaio. François non capiva il
senso di quel dialogo. Guardò perplesso André che si spogliava: si tolse
rapidamente la giacca e la camicia, mostrando un torace muscoloso, ma snello.
Poi si sfilò i pantaloni. Aveva un bel corpo, sottile, con una leggera
peluria bionda, che copriva appena i pettorali e il ventre, dove i peli
diventavano quasi rossi, sopra il sesso. Anche Dessart
si era spogliato. François era troppo concentrato a osservare André e non lo
aveva notato. Ora che i due erano vicini, il contrasto tra loro era
stridente: Dessart superava André in altezza di una
spanna, era molto più massiccio e la sua fitta peluria nera metteva in
risalto il corpo quasi glabro e armonioso dell’altro. Al viso barbuto del
capitano si opponeva il profilo regolare del soldato, le guance appena velate
da una corta barba chiara. François si chiedeva che
cosa sarebbe successo ora. Si chiedeva perché mai Dessart
dovesse mettersi proprio davanti alla sua cella, proprio con il carceriere, a
fare… che cosa? Non lo sapeva, ma il suo corpo
stava già reagendo. Ancora una volta, il sangue gli affluiva all’uccello, la
bocca gli si seccava e un vago senso di nausea lo assaliva. Dessart e André si guardavano negli occhi,
sorridenti, ma seri. Poi, senza che il capitano dicesse nulla, il soldato si
inginocchiò davanti a lui. Chinò la testa e la strusciò tra le gambe di Dessart, poi l’alzò fino a che il cazzo e i coglioni del
capitano furono tra i suoi capelli. François guardò la dimensione di quel
cazzo, che anche a riposo era imponente, e di quelle bocce, quasi delle
piccole mele. André rovesciò il capo per
portare il viso a contatto con la bocca da fuoco di Dessart
e la baciò sulla punta, poi aprì la bocca e l’accolse, ma la tenne solo un
momento: la liberò e si sedette sulle gambe. Pose le mani a conca intorno al
suo archibugio, che cominciava a sollevarsi, e alla sacca dei proiettili. Con
i pollici si accarezzò lentamente lo schioppo, mentre fissava l’arma poderosa
del capitano. L’archibugio del soldato stava crescendo vigoroso, a vista
d’occhio. Ora André aveva
un’espressione quasi sofferente. Chiuse gli occhi, assaporando un piacere che
si avvicinava. François non capiva: si stava facendo una sega davanti al
capitano? Era solo questo? La risposta ai suoi dubbi venne allora. André aprì
la bocca e parlò: - Ora capitano, ora. E spalancò la bocca. Dessart aveva allargato leggermente le gambe.
Sorrise e si portò le mani alla cappella: con un gesto deciso ritirò il
cappuccio e un getto di piscio centrò la bocca di André. André spalancò ancora di
più la bocca, quasi non volesse perdere neppure una goccia di quel nettare e
bevve avidamente, mentre le mani continuavano ad armeggiare con l’archibugio.
Poi chiuse la bocca e il getto di piscio lo prese sulle labbra. Dessart, portando due dita sotto il cazzo, lo alzò in
modo da inondargli tutta la faccia e poi scese sul torace fino al ventre,
fino all’arma di André, ora rossa e tesa. La bocca di André si spalancò
nuovamente, in un mugolio di piacere, mentre sborro e piscio si mescolavano
sul suo ventre, lottando uno per scendere, l’altro per salire. Il torace era
scosso da un respiro affannoso. André chiuse gli occhi e
lentamente il respiro si calmò. François guardava il viso,
il torace e il ventre bagnati di piscio, la pozza che si era formata ai piedi
del giovane. Si diceva che gli faceva schifo, ma la sua erezione non accennava
a diminuire. Perché quel porco di Dessart era venuto lì a pisciare addosso a quell’altro
maiale? Non poteva aspettare un altro momento? - Grazie, capitano,
grazie. - Di nulla, André. È
sempre un piacere. - Ti faccio un pompino,
capitano? - No, vado a dormire, sono
stracco morto. Prima di rimetterti la divisa, è bene che tu vai a darti una
lavata. Rimango qui io. - Va bene, capitano.
Grazie. André si alzò e si diresse
verso il fondo del corridoio. Appena scomparve, Dessart
si chinò sui pantaloni, prese le chiavi della cella e aprì la porta. Vedendolo avvicinarsi,
François era arretrato. Non voleva che Dessart
capisse che aveva seguito tutta la scena. - Presto, Girod, vieni qui. In un attimo François fu
davanti a lui. - Seguimi. Dessart fece strada, nella stessa direzione in
cui era scomparso André. Portava la candela davanti a sé e da dietro il suo
corpo era solo una sagoma nel buio. Svoltato un angolo, lo fece entrare in
una stanzetta, che François non ebbe il tempo di vedere, perché Dessart scomparve subito, portando con sé la candela. - Rimani qui in silenzio. François rimase al buio.
Era confuso. Ora era fuori dalla cella e presto sarebbe stato fuori dalla
caserma, su questo non aveva dubbi. Che cosa sarebbe successo poi, non poteva
immaginarlo. Ora era nelle mani di Dessart. Il
pensiero gli diede un leggero brivido. Rivedeva la scena di poco prima. Che
uomo era quello? Sentì i passi di André e il
suo fischiettare allegro. Il giorno dopo André sarebbe stato molto meno
allegro, dopo la scoperta della fuga del prigioniero. Dessart arrivò poco dopo. Si era rivestito, ma
si tolse subito la divisa. Per un attimo François non capì e lo guardò
disorientato. Che cosa voleva quell’uomo? Voleva ripetere la scena di poco
prima? Poi vide che su un tavolo erano posati degli indumenti. Dessart ne prese alcuni e li porse a François, facendogli
un cenno. Poi indossò quelli rimasti sul tavolo, mentre François si toglieva
la divisa e si vestiva con quei nuovi panni. Ora sembravano entrambi
contadini. Dessart prese ancora una sacca che stava
anch’essa sul tavolo e avvicinò la bocca all’orecchio di François. - Seguimi
e non fare rumore. Uscirono e Dessart salì per una scala fino ad arrivare a una
finestra. François non capiva che cosa volesse fare. Le finestre di quella
parte del convento davano su uno strapiombo e avevano tutte un’inferriata.
Quando Dessart aprì la finestra, François capì: due
sbarre erano state segate e dall’inferriata pendeva una lunga corda. Il primo a scendere fu Dessart. Subito dopo venne François, che sudava
abbondantemente: il salto era più che sufficiente a mandarlo all’altro mondo
in un amen, se solo avesse mollato la presa un secondo. Quando fu a terra, tirò un
sospiro di sollievo e disse, badando a parlare sottovoce: - Non hai scelto la via
più facile, capitano! La voce di Dessart era anch’essa bassa, ma piuttosto aspra: - Volevi che uscissimo
dalla porta principale? In questo modo siamo usciti dal convento e dalla
città. Il convento infatti era
situato lungo le mura di Rennes e, calandosi da una
delle finestre sulla scarpata, François e Dessart
erano usciti dalla città, senza dover passare per una delle porte, tutte
chiuse la notte e sempre sorvegliate da sentinelle. François non disse nulla. - Vieni, dobbiamo andarcene
rapidamente. C’è troppa luce. La luna era ancora quasi
piena e illuminava i campi che si stendevano ai piedi delle mura. Dessart fece strada e François lo seguì, in
silenzio. Ora che era fuori, cominciava a porsi delle domande. Dove sarebbero
andati? Che cosa avrebbero fatto? Che cosa aveva in mente il capitano? Dessart taceva e François non osava dire nulla.
Non voleva attirarsi un altro rimprovero. Dopo che ebbero camminato per
alcune ore, si fermarono nel bosco. - È meglio che dormiamo
qualche ora, altrimenti domani saremo troppo stanchi. Il capitano era abituato a
dormire poco e a sopportare marce e fatiche: era invece François ad avere
bisogno di riposo. Ma Dessart non l’aveva
sottolineato. Si stesero e François si
addormentò quasi immediatamente. Come due sere prima, l’idea di avere il
capitano al suo fianco lo tranquillizzava. Dessart lo chiamò quando cominciò ad albeggiare. - Mi spiace, Girod, ma dobbiamo metterci in cammino. Aprì la sacca e diede a
François due pistole. - Sono cariche e devi
essere pronto a usarle. Non credo che sia necessario dirtelo, ma preferisco
essere ben chiaro: non dirigerle mai contro i soldati della Repubblica. - Contro i miei compagni?
Perché mai dovrei farlo? - Perché loro potrebbero
usarle contro di te. - Non capisco. Dessart sbuffò: - Per la santa vedova, Girod! Tu sei un soldato sospettato di omicidio ed evaso.
Io sono un disertore e ti ho aiutato a fuggire. Credi che se una pattuglia ci
incrocia ci accoglie a braccia aperte? Prima della fuga, François
non si era chiesto in che modo Dessart lo avrebbe
liberato. Come facevano i suoi commilitoni, si era semplicemente fidato di lui.
Era certo che sarebbe riuscito a cavarlo da quel guaio, visto che glielo
aveva promesso. Durante la fuga, la sera
prima, François si era domandato che cosa avrebbero fatto, ma non aveva
riflettuto molto sulla loro situazione e sul fatto che i suoi compagni
avrebbero dovuto arrestarli, se li avessero incontrati. - Ma…
allora… Dessart, tu… non sei più capitano… Aveva formulato la frase
in un modo idiota, ma aveva le idee confuse. - No, ufficialmente no. Hulot sa tutto, ma nessun altro. Se tutto va bene e
riusciamo a fare quello che ho in mente, torneremo con le prove della tua
innocenza e si saprà che siamo stati mandati in missione da Hulot stesso, in segreto. - E se non va tutto bene? Dessart alzò le spalle: - In guerra si rischia di
morire ogni giorno. E questa è una guerra. Cerchiamo solo di non farci
prendere dai nostri. Non ho voglia di farmi fucilare dai miei soldati. Non farebbe
piacere né a me, né a loro. Così come gli veniva
presentata, la situazione non piaceva molto a François, ma era comunque
meglio che essere dentro la cella in attesa del plotone. - E che cosa conti di
fare? - Torneremo al castello di
Roussière. - Al castello? Ma… se ci vedono… Dessart rise. - Certamente se ci beccano
non ci accoglieranno a braccia aperte, ma non aspettano una nostra visita.
Certo non la visita di due soldati: al massimo una spedizione di almeno una
cinquantina di uomini, ma quella può essere avvistata da lontano. Il castello
è l’unico posto in cui possiamo sperare di trovare le prove della tua
innocenza o comunque di scoprire qualche cosa di interessante sul marchese e
sul conte di Vilhoet. Secondo me la marchesa è
ancora lì. L’idea di tornare al
castello non destava esattamente l’entusiasmo di François, che però non
vedeva molte alternative. E comunque Dessart sapeva
quello che faceva. Dessart concluse il suo discorso: - Quindi, non usare le
pistole contro i nostri compagni. D’accordo? - Certo. Dessart… - Che cosa c’è? - Mi spiace che tu ti sia
ficcato in questo pasticcio per me. Grazie. Dessart gli sorrise. Il suo sorriso da lupo, ma
questa volta François pensò alla tenacia e alla forza dei lupi. - Aspetta di vedere come finisce
questa storia, prima di ringraziarmi. - Grazie comunque per
avermi tirato fuori da quella cella… Dessart lo guardò con un sorriso ironico: - Beh, non è stata una
grande fatica, è stato anche divertente… François pensò alla scena
della sera prima e si rese conto che stava cominciando ad arrossire. - Non so proprio come hai
fatto. La sua bugia era risibile.
E infatti Dessart non la bevve: - Ma come, non mi dirai
che non hai seguito tutto dallo spioncino? Ti ho trovato già pronto! Una nuova vampata diede al
viso di François un bel colore rosso rubino. Inutile negare, ora. Disse la
prima cosa che gli passò per la testa: - Quell’André è proprio un
maiale! - E perché mai? - Ma come, farsi pisciare
addosso, in bocca? - Che male fa? - Come, che male fa? Bere… Ma fa schifo! - A te, evidentemente. Non
a lui. - Ma bisogna essere
pervertiti! - E perché mai? François si sentiva sempre
più a disagio. Avrebbe preferito non aver incominciato quel dialogo. Si
rendeva conto che dando del maiale ad André, lo dava anche a Dessart, che aveva partecipato a pari titolo all’azione.
Sentiva la necessità di far capire a Dessart che
non intendeva criticarlo. - Ma, non so. Mi sembra
che farsi pisciare addosso… Capisco che uno pisci
su un altro, se quello glielo chiede… Si stava cacciando in un
bel ginepraio e non sapeva più come uscirne. Dessart
replicò: - Ah sì? Mi spieghi perché
farsi pisciare in faccia è male e pisciare in faccia a uno non è male? - Tra i due mi sembra che
chi piscia sull’altro sia… più a posto. La stupidità della propria
argomentazione gli era perfettamente evidente. Ma non sapeva come andare
avanti e tornare indietro era impossibile. - Guarda che tra i due se
c’era uno che non era a posto, quello ero io. Mi sono servito dei suoi gusti
personali per fargli abbandonare il posto di guardia, approfittando della
fiducia che aveva nel suo superiore. - Ma l’hai fatto per
salvare me! - Cioè per far evadere un
uomo accusato di omicidio. Ho violato la legge e ogni regolamento militare.
Ma va tutto bene perché l’ho fatto per salvare te, mentre il povero Cléguerec è un pervertito perché rispetta le leggi, ma
ama farsi pisciare addosso. Girod, non è che credi
di essere il centro del mondo? François si sentì
mortificato e ferito. Abbassò il viso e mormorò, un po’ risentito: - Mi spiace che tu abbia
dovuto fare… Dessart lo interruppe: - No, Girod,
non mi hai capito. A me non spiace per niente avergli pisciato addosso e in
bocca. Mi sono divertito, anche. Lo trovo piacevole. E se torneremo vivi, sicuramente
lo farò ancora, se non altro per farmi perdonare per averlo ingannato. E non
mi spiacerà per nulla. François non replicò. Quell’uomo era una bestia, questa era la
semplice verità. Appena ebbe formulato il pensiero, si sentì in colpa:
quell’uomo, a cui stava dando della bestia, che aveva chiamato scimmione due
mattine prima, stava rischiando la vita e il suo onore di ufficiale. E lo
faceva per salvare lui. Forse era lui, a essere una bestia, non Dessart. Sì, lui era certamente una bestia, in un senso
diverso, ma sicuramente lo era. Quanto a Dessart… Dessart era Dessart e non era
facile capirlo. |
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