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L’ALBA

 

La porta si aprì con fracasso. Dormivano entrambi, eppure era già giorno. Béage entrò, li guardò e scoppiò a ridere.

- Su prendetelo, al muro, al muro.

Gli uomini afferrarono Daniel, che si dibatteva, e lo trascinarono fuori. Lasciarono la porta aperta. François li seguì, stupito che nessuno facesse caso a lui.

Misero Daniel contro un muro del cortile. C’erano dodici soldati.

Béage urlò:

- Fuoco!

I primi sei soldati, in ginocchio, spararono. Sul petto di Daniel si aprirono sei buchi da cui il sangue scorreva copioso.   

A un nuovo ordine di Béage anche l’altro gruppo sparò. Sul ventre di Daniel si aprì una serie di fori rossi e un altro apparve tra i suoi occhi. Daniel si appoggiò alla parete e il corpo cominciò a scivolare a terra.

François cominciò a correre verso di lui, urlando il suo nome, ma i soldati non lo lasciavano passare. François urlava, urlava.

 

- François, François!

La voce di Daniel lo riportò alla realtà. Tutto era immerso nel buio.

- François, stai bene?

François respirava affannosamente ed era tutto sudato. L’immagine della fucilazione di Daniel gli appariva nitidissima.

- Sì, ora sto bene.

- Che cosa ti è successo?

- Ho avuto un incubo, Daniel.

- Gridavi il mio nome come se ti stessero scannando.

- Ho avuto un incubo.

 Si voltò verso Daniel e affondò il viso sul suo petto. Daniel gli accarezzò la testa, con delicatezza.

Stretto contro Daniel, François sentì che il battito del suo cuore si calmava.

- Baciami, Daniel.

Daniel gli prese la testa tra le mani e la avvicinò alla sua. Le loro labbra e le loro lingue si incontrarono, ma François soffriva troppo per riuscire ad abbandonarsi al piacere. Si voltò nuovamente e si rannicchiò contro il corpo di Daniel.

- Scusami, Daniel, non ti lascio neppure dormire.

- Già, temo che questa sera avrò sonno.

François non riuscì a trattenere un gemito.

- Porcodd…, François! Era una battuta! Non hai il senso dell’umorismo.

François si tese. Adesso basta. Aveva fatto soffrire Daniel abbastanza. Invece di consolarlo, di alleviare in qualche modo il suo dolore, si era fatto confortare da lui. Con uno sforzo cercò di dare alla sua voce un tono allegro:    

- Se vuoi farmi ridere, devi fare battute migliori. Questa era scadente.

- Vediamo tu che cosa sai fare.

- Che cosa so fare?

- Sentiamo le tue battute.

- Ah, quello?

- Che cosa avevi capito?

- Altro, altro.

Mentre diceva quelle parole, François si era girato, allontanandosi da Daniel. Poi nel buio la sua bocca aveva cercato lungo il corpo di Daniel, fino a trovare quanto desiderava. Prese in bocca la punta dell’arma.

- È un’ottima idea, ma aspetta, François, devo pisciare.

Per un attimo François pensò di dire a Daniel che poteva farlo nella sua bocca, ma si vergognò. Lasciò che Daniel si alzasse e provvedesse. Sentiva lo scroscio del getto nel bugliolo. Poi Daniel tornò e si stese sul tavolaccio.

François si inginocchiò tra le sue gambe divaricate e riprese dal punto a cui erano arrivati.

Ora aveva la cappella in bocca e la sua lingua la stuzzicava. La sentiva inturgidirsi tra le sue labbra e man mano che cresceva la sua bocca faceva sempre più fatica a contenerla. La lasciò andare e cominciò a scorrere con le labbra lungo l’arma, fino alla base. Risalì verso la cappella e, cedendo a un impulso improvviso, morse con decisione la grande arma puntata verso l’alto.

Daniel sussultò. Poi rise.

- Lasciamelo intero, mi serve ancora.

François protese la lingua e cominciò a percorrere l’arma fino alle palle, dove si perse. Ora sentiva anche la propria eccitazione crescere, ma si concentrò su quell’arma tesa sul ventre di Daniel, sulle sensazioni che gli trasmettevano la sua lingua, le sue labbra, la sua bocca, quando accolse nuovamente la cappella. La lasciò con uno schiocco e riprese a lavorare con la lingua.

D’improvviso sentì le mani di Daniel sulla sua testa, in una carezza, ora delicata, ora brusca.

Morse nuovamente, con decisione, tre, quattro volte. Inghiottì i coglioni, uno per volta, poi la sua lingua risalì fino alla cappella e le labbra ripresero a lavorarla con cura. Lavorò a lungo, fino a che sentì le parole di Daniel:

- François, sto per venire.

Non mollò la presa, ma aspettò, con tutto il suo corpo in tensione, il fiotto che gli inondò la bocca. Era un fiotto caldo, che gli parve leggermente acido. Continuò a succhiare con le labbra, non voleva perdere una goccia di quel liquido.

- Basta!

Le mani di Daniel lo forzarono a lasciare la preda e a stendersi sopra di lui. Nuovamente sentì il calore di quel corpo che lo accoglieva. La mano di Daniel cercò il suo uccello, ma l’aveva appena sfiorato, che François sentì uno spasimo al ventre e il volo ebbe termine: il getto uscì, ricadendo su Daniel.

Rimasero un buon momento abbracciati, poi Daniel parlò:

- Bravo, ci sai fare.

François non disse nulla. Sapeva che i suoi tentativi erano poca cosa.

- Daniel, tu sai che ieri è stata la mia prima volta?

- L’ho capito. È stato bello?

- Non credevo che potesse essere così bello. Daniel, non sono mai stato così felice come ieri.

- Vedrai, è molto bello, se lo fai con qualcuno con cui hai davvero voglia di farlo.

François avrebbe voluto dire che non ci sarebbe mai stata un’altra volta per lui, ma si rendeva conto che era una sciocchezza e soprattutto che Daniel l’avrebbe rimproverato. Tacque.

Rimasero ancora un buon momento così, fino a che la voce di Daniel non lo trafisse:

- Non manca più molto, ormai. Tra poco è l’alba.

- Non è possibile! È ancora buio pesto.

- Il cielo ha già cominciato a schiarirsi, come puoi vedere dalla finestrella. E se si vede già da quella finestra, che dà sul cortile, l’alba è vicina.

François si sentì trapassare da un nuovo spasimo, di puro dolore. Singhiozzò.

- Niente più lacrime, François. Dopo, se vorrai. Ora voglio prepararmi.

- Posso rimanere accanto a te, Daniel?

- Grazie, François, per me è il modo migliore di trascorrere quanto mi rimane.

François esitò. Poi rispose:

- Grazie a te, Daniel. Grazie di tutto.

Non dissero più nulla. Rimasero stretti uno all’altro, mentre la luce dell’alba cominciava a penetrare nella cella. Nella penombra ora François riusciva a vedere la sagoma di Daniel al suo fianco e man mano che passavano i minuti poteva distinguere meglio i suoi lineamenti. L’angoscia l’attanagliava.

Quando sentirono la sveglia, Daniel parlò:

- Devo vestirmi, François. Non posso presentarmi nudo.

Si alzò, si infilò i pantaloni e gli stivali. Pisciò ancora. Poi tornò a sedersi sul tavolaccio. François si infilò i pantaloni e si strinse a lui.

Sentirono i passi nel corridoio. François si staccò, ma la sua mano strinse spasmodicamente quella di Daniel.

Tirarono il catenaccio. La porta si aprì.

Entrò il sergente Falcon, detto Bel-Piede, un uomo della brigata di Hulot. Non disse nulla fino a che il soldato che l’aveva accompagnato non fu uscito. Poi fece il saluto militare.

- Capitano Dessart!

- Non più capitano, sergente Falcon.

- Forse, il grado di aiutante generale ti arriverà presto, capitano.

François sentì che il cuore gli saltava nel petto: le parole di Falcon gli davano una folle speranza.

Dessart non si turbò.

- Sarà difficile che arrivi più in fretta delle pallottole del plotone.

- Non ci sarà nessun plotone. Sono arrivato da Rennes due ore fa. Ho viaggiato nella notte, per ordine di Hulot.

- Hulot? È vivo?

- Sì, vivo e vegeto, sarà qui in serata.

Daniel lanciò un urlo di gioia. Poi riprese:

- Ma Béage aveva detto che Hulot era morto.

- Hanno cercato di assassinarlo, ma non ci sono riusciti. Hulot ha lasciato che la voce della sua morte si spargesse nella speranza che i responsabili dell’attentato si tradissero. In serata è arrivata una comunicazione di Béage che annunciava la vostra cattura, il sequestro di lettere importanti e la tua fucilazione per oggi. Hulot mi ha fatto partire questa notte per avvisare Béage che se ti toccavano un capello al plotone finiva lui. Oggi verrà Hulot, viaggiando in carrozza perché nessuno lo veda, e poi partiremo insieme per andare a dare il benvenuto a Vilhoet: un bel dessert alla Dessart, per intenderci. Probabilmente, anche se gli è giunta notizia della vostra impresa, credendo Hulot morto, Vilhoet si sentirà abbastanza al sicuro e non rinvierà lo sbarco.

- Dove avverrà?

- Vicino a Saint Léonard, dopodomani mattina, stando a quanto mi ha fatto vedere Béage.

François faceva fatica a seguire. Un unico pensiero gli martellava in testa: Daniel non sarebbe stato fucilato. Daniel non sarebbe morto. Non sentì più che cosa diceva Bel-Piede. Colse soltanto la conclusione del discorso.

- Voi due rimarrete in cella. Ordine di Hulot: tutti devono credere che la tua fucilazione è stata solo rimandata e nessuno dei soldati deve saperne di più: meglio evitare chiacchiere che potrebbero far fallire il piano.

Daniel sorrise.

- Non c’è problema, sappiamo come passare il tempo, vero, François?

Il leggero rosa che quelle parole diffusero sulla faccia di François si trasformò in un rosso scarlatto alla sonora risata di Falcon, che aggiunse:

- Non ne dubito, capitano, non ne dubito. Beati voi.

Bel-Piede diede due colpi contro la porta e il soldato di guardia gli aprì. Bel-Piede uscì e il soldato portò la colazione. Poi se ne andò, richiudendo la porta.

François guardò Daniel e scoppiò a piangere.

- Di nuovo?!

Daniel scosse la testa, poi gli mise un braccio sulle spalle e lo strinse contro di sé. Al contatto con quel corpo, il pianto di François cominciò a calmarsi, fino a che, tirando su con il naso, egli fu in grado di parlare:

- Scusami.

- Adesso basta, o penserò che preferivi vedermi al plotone.

François affondò il viso in quel vello e, con un colpo a tradimento, morse un capezzolo del capitano.

- Traditore, io ti abbraccio e tu mi mordi. Adesso mangiamo, dopo colazione facciamo i conti.

Si sedettero per mangiare, ma dopo aver preso il pane, Daniel guardò François e gli disse:

- Spero che Hulot arrivi tardissimo.

François gli sorrise. Anche lui lo sperava. Il suo aquilotto cominciava già ad alzare la testa.

 

 

L’ATTESA

 

Mangiarono, guardandosi e ridendo. A François non sembrava possibile che quell’incubo fosse finito.

- Daniel, è vero? Non ho sognato? Daniel! Dimmi che è vero!

Daniel lo strinse con forza, togliendogli il fiato.

- Il mio piccolo François piagnone.

Nuovamente François gli morse un capezzolo.

- Disgraziato, adesso ti faccio vedere io.

Gli afferrò i capelli, costringendolo a tirare indietro la testa, poi lo rovesciò sul tavolaccio e in un attimo gli fu sopra, schiacciandolo con il proprio peso. Gli morse il collo, poi la nuca: erano morsi lievi, che stuzzicavano in modo piacevole. Li accompagnavano parole in libertà.

- Brutto animale feroce, che ti permetti di mordere un ufficiale, un tuo superiore. Per punizione cinquanta morsi al culo.

Le mani di Daniel gli stavano slacciando i pantaloni, che vennero tirati verso il basso con un colpo secco. Poi la bocca di Daniel cominciò a mettere in atto la minaccia: un violento morso sulla natica destra, che fece urlare François, fu seguito da un secondo, non meno deciso, poi da una lunga serie, ora delicata, ora violenta.

- Giù, giù!

François cercava di alzare la testa, ma le mani di Daniel la tenevano premuta contro il tavolaccio.

- Giù, giù, soldato! Guai a chi manca di rispetto a un ufficiale!

François rideva e si dibatteva, quella violenza che lo schiacciava e lo imprigionava suscitava nuove sensazioni di piacere. Cercò di scivolare sotto Daniel, per provocarlo, sfuggendogli, ma Daniel gli fu addosso e gli strinse le braccia intorno al corpo, bloccandolo in una morsa implacabile.

- Dove pensi di andare, soldatino? Non hai ancora finito di pagare il conto!

Daniel lo stringeva sempre più, fino a fargli male, ma François non chiedeva di meglio. Poi Daniel lo lasciò andare e si sedette su di lui, sfilandosi stivali e pantaloni. François rideva, ma cercava di liberarsi. Approfittò del momento in cui Daniel, per togliersi i pantaloni, sollevò il culo dalla sua schiena, per guizzare di lato, alzarsi e fuggire, tenendosi i pantaloni con una mano. Daniel ghignò:

- Dove credi di andare? Ti aspetta la tua punizione.

E con la mano si indicò il grande cazzo, che non funzionava ancora a pieno ritmo, ma aveva già proporzioni di tutto rispetto.

- Prima devi prendermi.

- Niente di più semplice.

La cella non era molto ampia. François si mise dall’altra parte del tavolo, ma Daniel vi saltò sopra.

Ora, a gambe larghe sul tavolo, il terrificante cazzo duro, le mani protese, appariva gigantesco e François si sentì piccolo e smarrito. Daniel saltò verso di lui. François riuscì a voltarsi, ma dovette fermarsi contro la parete. Daniel gli fu addosso e il suo corpo lo schiacciò contro il muro.

Il peso di quel corpo che lo bloccava gli tolse il respiro, ma la sensazione dominante era un’altra: il monumentale cazzo che premeva contro il suo culo. Di colpo, perse ogni forza e il desiderio avvampò.

- Ora Daniel, ora!

Avvertì che Daniel esitava. Aveva paura di fargli male, probabilmente.

- Ora Daniel, mettimelo dentro, ora.

Daniel si staccò da lui e François ne approfittò per girarsi e morderlo al petto, con forza.

- Ah, carogna! Adesso la paghi!

Daniel gli prese i capelli, lo costrinse a mollare la presa, lo voltò contro il muro, lo tenne schiacciato con la destra. François sentì tra le natiche la mano umida di Dessart: due dita scorrevano e penetravano all’interno. Una vertigine prese François.

Ora la testa di Daniel era dietro la sua, la sua bocca gli mordeva l’orecchio, la nuca, la spalla.

- Ora paghi il conto, bel soldatino.

Sentì il calore tra le natiche, poi la bestia umida e calda che si apriva la strada, sicura, trionfante. Nuovamente il dolore, più forte, questa volta, e nuovamente la frenesia dei sensi. Il peso di Daniel lo schiacciava contro il muro e le spinte, leggere, ingigantivano il dolore e il piacere.

- Non ti faccio troppo male?

- Tutto qui il conto? Speravo di più.

Le due spinte successive furono più decise e gli strapparono un gemito. Daniel rallentò.

- Forza, spingi!

Nuovamente due spinte violente. Questa volta il dolore lo sommerse, per un attimo fece arretrare il piacere, lo cancellò. Ma Daniel smise di spingere e nuovamente il dolore si annullò, mentre l’onda del piacere tornava a salire alta, sempre più alta, incontenibile.

- No, no!

François non avrebbe voluto venire, non ora. Voleva prolungare quel momento di piacere infinito. Ma il suo uccello vibrava le ali contro la parete della cella, percorso da una serie di movimenti inarrestabili. Daniel spinse ancora e lo accompagnò nell’orgasmo.

François reclinò il capo sulla spalla di Daniel.     

- Tutto a posto?

- Sì, tutto a posto.

Daniel estrasse il cazzo, allontanandosi, poi si chinò con un movimento rapido e morse il culo a François. Questi gemette, si voltò verso di lui, gli carezzò la testa e si abbandonò su di lui. Daniel lo prese in spalla come fosse stato un sacco e lo portò fino al tavolaccio, dove lo stese.

Ora François sentiva gli occhi che gli si chiudevano.

- Vuoi riposare?

François annuì.

Erano entrambi esausti: per troppe notti avevano dormito poco o nulla. Ora che la tensione era crollata, la stanchezza ebbe il sopravvento. François scivolò dolcemente nel sonno, tra le braccia di Daniel che lo stringevano.

Si svegliò quando il sole era ormai alto in cielo: doveva essere pomeriggio.  Daniel era già sveglio.

- Quanto ho dormito!  

- Ne avevi bisogno. Anch’io ho dormito parecchio.

François si strusciò contro il corpo di Daniel e lo sentì già pronto.

- Ma non sei mai sazio?

- Ho appena finito di dormire e che cosa c’è di meglio di una buona scopata, dopo una buona dormita. Comunque se non vuoi…

Mentre parlava, Daniel mise la mano sull’uccello di François. François mosse un po’ il culo assaporando la pressione di quell’animale caldo e potente; le sensazioni che gli trasmettevano la mano e l’ingente cazzo di Daniel ridestarono anche il suo animale.

François pregustava un altro incontro ravvicinato, quando si sentirono i passi nel corridoio. Rapidamente Daniel si scostò e gettò la coperta sui loro corpi.

Un attimo dopo, la porta si aprì ed entrò Hulot.

- Comandante!

Con un gesto brusco, Daniel gettò via la coperta, scoprendoli entrambi. In un attimo saltò a terra, con il cazzo titanico proteso verso l’alto, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e si fece incontro al capo-brigata, tendendogli entrambe le mani.

François rimase nudo e inerme, con l’uccello che tendeva le ali. Sentì il sangue affluire al viso, che assunse rapidamente un colore rosso ciclamino, con una sfumatura di viola.

Hulot strinse con calore le mani di Dessart tra le sue, poi le lasciò e commentò:

- Vai in giro con le armi spianate… vedo che non vi annoiate.

Dessart si strinse nelle spalle:

- Cosa vuoi, cittadino comandante, bisogna pure passare il tempo in qualche modo.

Hulot scoppiò a ridere. François continuava a guardare il pavimento, sperando vivamente che si aprisse una voragine in cui saltare. Un terremoto gli sembrava l’evento più auspicabile, in quel momento, ma il crollo dell’intero edificio poteva costituire una valida alternativa.

Il fatto che nessuno dei due ufficiali sembrasse minimamente in imbarazzo finì per sollevarlo un po’ e non appena Hulot e Dessart si misero a parlare, François si impadronì dei suoi abiti e si rivestì.

- Hanno cercato di ucciderti, comandante?

- Sì, quello stesso Bruz che ha assassinato Auray, ma mi ha mancato.

- L’avete preso, questa volta?

- No, quel maledetto ci è sfuggito. Ma lo troveremo.

- Sì, lo voglio trovare anch’io: è un conto che ho in sospeso, visto che era me che voleva uccidere.

- Te?

- Sì, ha agito per vendicare la morte del re di quadri, La Boussac: credeva che l’avesse ucciso Auray. Lo troverò, ma adesso non è l’affare più urgente. Che cosa intendi fare?

- Ho mandato gli uomini a riposare. Appena farà buio partiremo in gran segreto: nessuno deve vederci e soprattutto nessuno deve sospettare che andiamo ad accogliere il cittadino Vilhoet.

Dessart rise.

- Che ormai ha ereditato il titolo di marchese, ma non lo sa ancora e se lo godrà ben poco!

- Ho visto il tuo lavoro. Molto efficace. Ma ora rivestiti e discutiamo del piano.

Dessart si voltò per raccogliere i pantaloni. Allora Hulot gli vide la schiena.

- Per san Robespierre, che ti hanno fatto?

Dessart alzò le spalle, mentre si infilava i pantaloni.

- Niente di speciale, la testa del maggiore dei Vilhoet aveva un certo prezzo, sai com’è, dopo tutto il lavoro che ha fatto la vedova, le teste dei nobili sono diventate merce rara e i prezzi sono saliti. Ma sono contento di averla presa, pagando il giusto.

Hulot lo fissò, poi rispose:

- Forse è meglio che tu rimanga qui, mentre noi andiamo ad aspettare l’altro Vilhoet. Non puoi venire, in queste condizioni.

François colse una scintilla di ironia nello sguardo di Hulot, ma quando Dessart si voltò per guardarlo, il volto del comandante ritornò impassibile. Daniel invece appariva chiaramente preoccupato.

- Non dirai sul serio, cittadino comandante? Non puoi farmi questo! No, non puoi farmi questo!

- Intenderesti discutere gli ordini del tuo superiore?

- No, comandante, no. Cioè… Sì, porcodd…, sì: ci siamo procurati quelle lettere rischiando la pelle, non puoi tenermi fuori. Non con il conte di Vilhoet.     

Hulot scoppiò a ridere:

- Credi davvero che lascerei fuori il mio uomo migliore?

Daniel sorrise, ma poi bofonchiò, scotendo la testa:

- Che razza di scherzi fai, comandante!

Intanto François aveva finito di rivestirsi ed era felice di essere ignorato, ma Hulot lo vide,

- Girod, ma come diavolo sei vestito? Sembri un damerino.

Fu Dessart a rispondere:              

- Le nostre giacche e camicie sono state ridotte a stracci e François si è servito nel guardaroba del marchese. Io non ho potuto farlo.

Hulot borbottò, rivolto a François:

- Ti farò dare una divisa. E anche a te, Dessart.

Hulot si sedette sul tavolaccio, di fianco a Dessart.

- In base alla lettera, Vilhoet arriverà dopodomani mattina, su un battello di contrabbandieri, dall’Inghilterra. Lo accompagnerà uno dei suoi uomini. Sbarcherà nei pressi di St-Léonard, dove l’aspettano due pescatori, i fratelli Caumont.

- Sappiamo il luogo esatto dello sbarco?

- No, nella lettera non è indicato: il marchese si doveva recare dai Caumont per accogliere il fratello. Noi ce lo faremo dire dai Caumont, con le buone o con le cattive.

Dessart rifletté un momento.

- Se posso fare una proposta, è meglio se Girod tiene i vestiti del marchese e se anch’io mi metto abiti civili, da servitore.

- E perché mai?

- Un uomo ben vestito, forse un giovane nobile in fuga, con il suo servitore, desta meno sospetti e magari ottiene di più di un gruppo di soldati. Se questi Caumont sono dei fanatici, sono capaci di farsi fucilare pur di non tradire Vilhoet e rischiamo di perdere il quarto re. È vero che possiamo cercare di prenderlo a terra, prima che lasci la zona, ma è più difficile.

- Va bene, spiegami che cosa intendi fare.        

- Non lo so ancora, ci devo pensare. Intanto dimmi, quanti siamo?

- Sono venuto solo con una ventina di uomini, ma se credi che serva, posso prenderne altri qui e ad Avranches.

- No, se tutto va come deve, venti uomini saranno sufficienti. Di più rischiano di dare troppo nell’occhio. Ma…

- Che cosa c’è?

- Béage non viene con noi, spero.

Il viso di Hulot si rabbuiò.

- Ho detto a Béage tutto quello che pensavo di lui, davanti ai suoi uomini. So che non avrei dovuto farlo, ma quel coglione se l’è meritato. Ora vieni con me, voglio che mi racconti tutto quello che è successo. Tu, Girod, rimarrai qui fino alla partenza.

François annuì, ma quando vide Daniel scomparire e la porta si richiuse, si sentì triste e abbandonato. Si distese sul tavolaccio.

Ripensò alle ultime giornate, alle ultime ventiquattr’ore, soprattutto. Nelle ore precedenti non aveva avuto modo di pensare. Tra le braccia di Daniel, aveva provato sensazioni troppo forti: non c’era lo spazio per porsi domande, per riflettere. Poi, dopo il piacere, l’angoscia per l’imminente fucilazione di Daniel aveva ugualmente reso impossibile ogni riflessione. Dopo il sonno ristoratore era arrivato Hulot, a interrompere i suoi pensieri.

In realtà Hulot non aveva proprio interrotto i suoi pensieri, aveva interrotto altro…

Ora François pensava. I dubbi di poche sere prima si erano dissolti: sapeva benissimo che cosa desiderava. Desiderava il corpo di un uomo, un uomo che lo abbracciasse, lo stringesse, lo accarezzasse, lo penetrasse. E il corpo che desiderava era quello di Daniel Dessart.

E intanto, ripensando alla sera in cui aveva spiato Daniel che faceva l’amore con i suoi compagni, altre sensazioni lo assalivano. Era curioso. Curioso di conoscere quei corpi, di capire se anch’essi erano in grado di trasmettergli le sensazioni che gli dava Daniel. Curioso di provare.

Curioso. Anche Daniel aveva certamente molto da insegnargli, ma con lui non c’era solo la curiosità, il desiderio, il gioco. 

François non avrebbe saputo dire che cosa provava per Daniel, per quello scimmione nasuto – e cazzuto – che solo pochi giorni prima gli appariva repellente. Ma al pensiero di Daniel, di quel corpo erculeo, di quel viso feroce, di quel cazzo superlativo, di quel sorriso da lupo, di quei coglioni monumentali, di quelle labbra avvolgenti, di quel culo irsuto, qualche cosa si muoveva dentro di lui, molto in profondità.

 

 

NUOVE PROSPETTIVE PER IL CITTADINO GUNOD

 

Quando divenne buio, un soldato venne ad aprirgli la porta e lo accompagnò dai suoi compagni. C’erano Philippe e David, Fischietto, Segno-della-Croce, Lingua-Franca e diversi altri. Tutti gli furono subito intorno e François dovette raccontare le sue avventure.

Vederli pendere dalle sue labbra, fu una rivincita non da poco: finalmente non lo consideravano più un pivello, privo di esperienza e di capacità! Interrotto da domande ed esclamazioni di stupore, procedette, sempre più ringalluzzito, fino al finale:

- E adesso che andiamo ad accogliere l’ultimo re rimasto, quello di cuori, mi tocca una parte importante, insieme a Daniel. Per questo ho conservato l’abito del marchese.

Lingua-Franca intervenne:

- Daniel? Chiami il capitano Daniel? Si vede che siete proprio diventati… amici!

Philippe e David scoppiarono a ridere, Fischietto lanciò uno dei suoi fischi squillanti e la faccia di François raggiunse rapidamente un bel colorito rosso corallo.

Philippe gli mise un braccio intorno alle spalle:

- Non te la prendere. In fondo ti invidiamo tutti.

François non sapeva se essere grato a Philippe per le sue parole o se mollargli un pugno nello stomaco, adesso che l’aveva a tiro. Non riuscì a dire nulla e non fece nulla. Fortunatamente in quel momento entrò Daniel: gli altri gli furono intorno in un attimo, felici di ritrovare il loro capitano, e François respirò.

- Capitano, che piacere ritrovarti!

- Sapevamo che non eri un disertore, ma ci chiedevamo che cosa stavi combinando! Ora lo sappiamo!

- Due re in un colpo solo! Grandioso!

- Per non parlare di altri risultati…

La battuta di Lingua-Franca diede alla faccia di François quelle sfumature violacee che non erano ancora apparse.

Dessart guardò Lingua-Franca, poi François e sorrise, ma non disse nulla sull’argomento.

- È ora di andare. Avete già le istruzioni. Non una parola, che sia una!     

Partirono. Attraversarono in silenzio la città, fino alla porta, che fu aperta dalle sentinelle. Uscirono e cominciarono a camminare rapidamente. Il cielo era coperto, ma il vento trascinava le nuvole e a tratti apparivano squarci di un blu stellato.

François rimase nel gruppo dei soldati, vergognandosi di mettersi vicino a Daniel, anche se lo desiderava più di qualunque altra cosa.

Camminarono di buon passo, con poche soste, fin quasi all’alba, quando raggiunsero Pontorson. Qui si separarono, con l’accordo che Bel-Piede, travestito da civile, li avrebbe attesi in serata all’osteria del paesino di Vains, tra Avranches e St-Léonard, per studiare insieme la mossa successiva.

Daniel e François proseguirono in direzione di Avranches. I loro compagni entrarono nella cittadina di Pontorson, dove erano attesi dalla piccola guarnigione; muovendosi in assoluto silenzio, raggiunsero la caserma senza che nessuno si accorgesse del loro ingresso in città.

François era molto stanco e l’idea di marciare ancora a lungo non gli sorrideva, ma era felice di ritrovarsi solo con Daniel, di poter camminare al suo fianco. Daniel gli spiegò che cosa dovevano fare.

- Entriamo ad Avranches in mattinata, come due cittadini qualsiasi. Cittadino Gunod e cittadino Daubert. Alloggiamo alla locanda e lì passiamo qualche ora, riposandoci. Nel pomeriggio raggiungiamo St-Léonard, ma di questa parte parleremo dopo. L’essenziale è che chi ci vede deve crederci un cittadino ricco, magari un nobile, e il suo fedele servitore.

- E se lo credono anche i soldati e ci fermano?

- Ho una lettera di Hulot, per cui se ci arrestano, ci liberano subito, ma è meglio se non succede.

Proseguirono in silenzio e in mattinata giunsero ad Avranches, dove presero alloggio alla locanda.

Salirono nella loro camera e si stesero. Dopo una notte di marcia, a François l’idea di riposare in un letto appariva molto allettante, ma c’erano altre possibilità che gli frullavano per la testa. Stendersi su un letto con Daniel rendeva il sonno una seconda scelta.

- Ci mettiamo a letto?

- Sì, è meglio che riposiamo un po’. Abbiamo camminato tutta la notte e credo che passeremo anche questa notte in bianco.

François ci rimase malissimo, ma si rassegnò. Si tolse gli indumenti, tenendo solo le mutande, e si stese sul letto. Daniel si spogliò completamente e si stese al suo fianco, dandogli la schiena. François sapeva benissimo che per mettersi a dormire avrebbe dovuto imitare Daniel e voltare la testa da un’altra parte, ma sapeva anche, altrettanto bene, che non avrebbe potuto dormire con tutto quel ben di Dio a portata di mano.

Il suo sguardo percorreva la schiena, i cui muscoli possenti erano ben visibili sotto la strato di peluria nera, poi scendeva fino al culo, un culo forte, due natiche vigorose, percorse dalle striature rosse delle frustate in tutta la parte superiore.

Senza neppure rendersene conto, protese la mano. Le sue dita sfioravano appena il culo, una carezza leggera, che seguiva la traccia ora di una frustata, ora di un’altra. Poi il dito medio, come mosso da una volontà propria, cominciò a scorrere lungo l’incavo tra le natiche, fino ad arrivare all’apertura. Esitò un attimo, poi cominciò a cercare di entrare.

Daniel non reagiva, come se fosse del tutto indifferente a quel contatto. La mancanza di reazioni imbaldanzì François e il suo dito si trovò, senza che il proprietario se ne rendesse neppure ben conto, ad aprirsi una strada. Non incontrava resistenza e François lo vide scomparire all’interno di quel culo, come se fosse il dito di un altro.

François tolse il dito e, movendosi rapidamente, avvicinò il viso al culo del capitano e lo morse con forza. Daniel sussultò.

- Se hai fame, scendiamo subito a mangiare, ma non mi mangiare il culo.   

François ignorò la battuta. Mollò la presa, ma solo per colpire nuovamente, con più forza. Questa volta i suoi denti affondarono dove c’era ancora il segno di una frustata e Daniel ebbe un movimento convulso.

- François!

Quel nome gridato così era un rimprovero. François mollò la presa, a malincuore. Daniel si girò sulla pancia. In un attimo François fu tra le sue gambe divaricate e riprese a mordere, con forza, badando però a non affondare i denti dove la carne era stata martoriata. Quando mollava la presa, vedeva il segno dei suoi denti nella carne. I segni si moltiplicavano e guardandoli François si sentiva sempre più forte e risoluto. Si interruppe e per un momento contemplò quel culo che gli si offriva.

Un nuovo desiderio lo guidò. La sua lingua cominciò a percorrere le tracce delle frustate, da dove esse comparivano fino a dove terminavano. In uno di questi viaggi la lingua si trovò di colpo sospesa sopra lo spazio tra le due natiche, dove la traccia si interrompeva. Attratta dall’oscurità di quello spazio protetto, la lingua sprofondò e cominciò a scorrere, dall’alto in basso, dal basso in alto, senza interruzione. Poi, giunta ancora una volta sopra l’apertura, si fermò e spinse con forza. Sentì la carne cedere.

Una vertigine lo prese, un desiderio irrefrenabile. Il suo uccello era teso, avido, come mai prima, di trovare un nido accogliente e quella carne che si apriva davanti a lui era il nido che cercava. Sentiva che la tensione andava salendo e presto sarebbe stata incontenibile. Desiderava intrufolarsi in quel culo più di qualunque altra cosa al mondo, ma nello stesso tempo aveva paura. Non sapeva se era possibile, ma non avrebbe potuto farne a meno.

Sulle mutande una macchia umida era apparsa sopra il gonfiore del sesso. François gridò:

- Daniel!

Era un grido confuso, una domanda inespressa, ma Daniel capì, perché rispose:

- Fai quello che vuoi, tutto quello che vuoi, François.

François si abbassò le mutande con un gesto deciso, strinse le natiche di Daniel tra le mani e le allargò, senza badare alle ferite delle frustate, avvicinò la punta del suo uccello al piccolo foro che ora era perfettamente visibile tra la peluria e spinse con decisione. Voleva forzare l’ingresso, conquistare di prepotenza la postazione, entrare da padrone, a testa alta. Entrò e scivolò verso l’interno, fino a che il suo ventre non premette contro il culo di Daniel. La violenza di quella sensazione lo sopraffece e si lasciò andare sul corpo del capitano. Chiuse gli occhi. Ora il suo uccello era il centro del mondo, un mondo caldo, che lo portava in trionfo, lo innalzava verso il cielo.

Desiderava prolungare all’infinito quel momento di piacere assoluto, ma un bisogno imperioso lo spinse a sollevarsi sulle braccia, a ritrarre il suo uccello fino a che quasi uscì dal nido, a reintrodurlo con forza, una, due, tre, quattro volte, finché il mondo esplose in una serie di lampi e scintille che cancellarono la sua esistenza.

Urlò nuovamente il nome di Daniel, gli strinse la testa tra le mani e ricadde, inerte sul suo corpo. Sentiva il battito selvaggio del suo cuore, ma tutto era buio, un vuoto in cui le sensazioni che ancora salivano dal suo ventre brillavano come scie luminose.

Non sapeva quanto tempo era passato. Lentamente riaffiorava in superficie. Le sue mani stringevano i capelli di Daniel. Aprì le mani e si accorse che dalla destra diversi fili neri scivolavano sul letto. Gli aveva strappato i capelli nella violenza dell’orgasmo.

Avrebbe voluto scusarsi. Non riusciva a parlare. Il piacere lo aveva svuotato.

Il suo uccello lasciò il nido, a testa bassa, ma tutt’altro che umile. 

François passò le braccia sotto il torace di Daniel e lo strinse con tutta la sua forza.

- Daniel, Daniel.

- Soddisfatto?

- Daniel, Daniel.

- Spero che voglia dire sì.    

- Daniel, Daniel!

Non era in grado di dire altro. Solo più tardi fu in grado di articolare una frase:

- Scusami Daniel. Non volevo strapparti i capelli.

- Nessun problema, ma se continui così, mi ritroverò calvo prima del tempo.

- Per me va bene anche se sei calvo.

- Troppo buono.

François si lasciò scivolare sul letto a lato di Daniel, che lo guardò sorridente.

- Ora dormiamo un po’?

Vagamente François si rendeva conto che aveva preso senza preoccuparsi di dare, che Daniel probabilmente non aveva goduto, ma la stanchezza che lo assaliva dopo il piacere era più forte di tutto. Si strinse contro il corpo di Daniel e si lasciò scivolare nel sonno, mormorando:

- Daniel, Daniel.

     

Una mano che lo scuoteva lo riscosse dal suo sonno. Daniel era in piedi accanto al letto, vestito di tutto punto.

- Ora di mangiare, sveglia, dormiglione!

François si alzò e guardò Daniel, felice di vederlo davanti a sé. Era bello svegliarsi e trovarsi uno scimmione nasuto e cazzuto davanti. No, non uno scimmione qualsiasi, quello scimmione nasuto e cazzuto.

Si rivestì. Avrebbe voluto chiedere a Daniel di prima, se aveva goduto, se gli aveva fatto male, ma si vergognava. Non disse nulla.   

Scesero le scale e si misero a tavola.

A portare la minestra era un ragazzo che doveva avere sedici o diciassette anni. Era un bel giovane, i corti capelli riccioluti erano biondissimi e gli occhi avevano il colore del mare nei giorni sereni.

Il ragazzo guardava François mentre serviva la minestra. Quando ebbe finito, rimase accanto alla tavola. Sembrava incapace di staccarsi.

François lo fissò.

- Come ti chiami?

- Michel.

- Sei il figlio dei locandieri?

Il ragazzo scosse la testa.

- No, lavoro qui. Sono di Granville. Vado a prendervi il vino.

François guardò il ragazzo allontanarsi. Era piccolo di statura, ma camminava diritto e aveva un bel culo.

- Ti piace, eh?

La voce di Daniel lo fece sobbalzare. Si vergognò. Sentì che il viso avvampava. Chinò il capo.

- Mi sembra naturale. A chi non piace uno così? François! Non devi provare vergogna! È bello quasi quanto te e te lo porti a letto, perché è chiaro che a lui piaci almeno quanto lui piace a te.

François alzò la testa e guardò Daniel negli occhi. Aveva una domanda in testa, ma non riusciva a definirla. Daniel gli sorrise e proseguì, ma non era una risposta alla sua domanda.

- Lo invito a venire in camera.

François abbassò di nuovo lo sguardo e, per darsi un contegno, cominciò a mangiare la minestra. Desiderava il ragazzo? Certo, su questo non aveva dubbi. E allora che cosa lo turbava? Quel ragazzo sapeva quello che voleva, come lui. Doveva avere pochi anni in meno, due o tre al massimo. Che cosa c’era che non andava? Lanciò una rapida occhiata a Daniel che stava mangiando. Daniel. Daniel gli aveva detto che l’avrebbe invitato a venire in camera. Daniel…

Quando il ragazzo portò il vino, Daniel gli parlò:

- Dopo pranzo, puoi venire in camera a portare una bottiglia di vino per il mio padrone?

Michel guardò François, che gli sorrise.

- Certo, ma non subito, perché ora devo servire.

- Sì, ma entro un’ora, poi dobbiamo uscire.

- Va bene.

Dopo pranzo risalirono in camera.

- C’è qualche cosa che non va?

François scosse la testa.

- No, ma…

- Ma?

François cercò le parole.

- È solo che è la prima volta che…

Si vergognò, nuovamente, e tacque.

- Che è la prima volta puoi dirlo a chiunque altro, ma non a me. Dev’essere almeno la quinta o la sesta, se non ho perso il conto.

- No, stupido, non è questo. È la prima volta che… non è… con te.

Daniel scoppiò a ridere.

- Certo. E dovrai andarci un po’ più piano.

François si rese conto che stava nuovamente arrossendo.

- Mi spiace, Daniel. Io… non mi sono preoccupato di te… Non sei venuto, vero? Intendo dire… prima.

- No, ma questo non vuole dire niente. Un po’ doloroso, ma bello. È bello averti vicino, sopra, sotto, di lato, dentro: in qualunque posizione, purché molto vicino.

Daniel gli sorrise, quell’ampio sorriso che François amava. Poi proseguì:

- Comunque con il ragazzo devi essere un po’ più delicato.

- Certo, forse è la sua prima volta…

La sonora risata di Daniel lo fece sussultare.

- François! Non puoi essere così ingenuo. Non hai visto come ti fissava? Quello sa benissimo quello che vuole. E lo sa perché l’ha provato più di una volta. Questo però non vuol dire che tu puoi entrare senza neppure bussare alla porta.

Imbarazzato, François lanciò la sua richiesta:

- Che cosa devo fare?

Daniel sorrise, poi cominciò a dargli qualche suggerimento. François ascoltava, affascinato e stupito da quelle conoscenze, che gli apparivano enciclopediche.

 

Il ragazzo arrivò una mezz’ora dopo. Aveva una bottiglia di vino.

François, che indossava solo i pantaloni, si era steso supino sul letto, Daniel era seduto su una sedia, lì vicino.

- Ecco il vino.

Fu Daniel a rispondere. François non si sentiva di parlare. Le parole non sarebbero riuscite a farsi strada, la gola era bloccata.

- Bene, posalo sul comodino.

Il ragazzo si avvicinò al letto e posò la bottiglia sul comodino, senza distogliere lo sguardo neppure un minuto da François. François gli sorrise. Michel ricambiò il sorriso.

Quando il ragazzo ebbe posato la bottiglia, François tese il braccio verso di lui. Il ragazzo allungò la mano e François la strinse. Poi lo attirò a sé. Quando fu a lato del letto, gli passò le mani sui fianchi, gli sollevò la camicia e, forzandolo a chinarsi, gliela sfilò. Lo guidò a stendersi sul suo corpo.

La sua lingua scivolò sulle labbra del ragazzo, che si schiusero. Poi passò tra i denti ed entrò a incontrare la sua compagna. Le sue mani accarezzavano la testa di Michel, poi scesero lungo la schiena, fino ai pantaloni. Ritornarono al viso di Michel e lo sollevarono, separando le due bocche.

- Spogliati.

Il ragazzo scese dal letto ed eseguì. Aveva un corpo snello e armonioso, appena una traccia di peluria bionda sopra il sesso.

- Adesso spogliami.

Il ragazzo slacciò la cintura e fece scivolare i pantaloni, gettandoli a terra. Poi gli tolse le mutande. Guardò François un attimo, poi risalì sul letto e la sua testa si avvicinò al leoncino, ancora accovacciato, ma già pronto a scattare. François sentì il calore di quelle labbra che cercavano il muso del leoncino, che lo accoglievano. Poi sentì il contatto della lingua, che lo fece fremere. Ora il leoncino si sollevava, si ergeva imbaldanzito, arcuava la schiena, si tendeva. Non era più un leoncino, era un leone possente e feroce, deciso a ghermire la preda.

François prese la testa di Michel tra le mani e la costrinse a sollevarsi. Poi la attirò verso di sé e nuovamente le loro lingue si cercarono. Con un movimento brusco, mentre le loro bocche erano ancora unite, le sue mani tornarono a percorrere il corpo di Michel, spingendosi fino alle natiche, pizzicandole con forza, poi le sue dita scesero nell’incavo, fino a fermarsi sulla soglia di quel corpo. Sentì che il ragazzo si tendeva, in uno spasimo di piacere.

Allora François fece ruotare i loro corpi, in modo che Michel passasse sotto di lui. Si sollevò su di lui, mettendosi in ginocchio, a gambe divaricate. Poi lo fece nuovamente girare su se stesso: ora il ragazzo gli porgeva il culo.  

Il leone era impaziente di slanciarsi sulla preda e stava per tuffarsi, malgrado le lezioni, pratiche e teoriche, che François aveva ricevuto dal suo maestro. Ma il maestro intervenne.

- Piano, senza fretta. 

François sentì una piccola fitta. Con Daniel, prima di pranzo, aveva avuto fretta, aveva pensato solo a sé. Daniel con lui si era mosso in un modo diverso.

Cercò di ricordare gli insegnamenti. Non era facile. Le sensazioni provate con Daniel erano ancora vivissime nella sua memoria, ma ora la sua mente era accecata dal desiderio e il leone premeva per slanciarsi, per balzare sulla preda, sottometterla.

Si chinò, morse le natiche di Michel. Morsi leggeri. Con la lingua tracciò ghirigori sulla schiena, sul culo, sulle gambe. Nuovi morsi leggeri. Il corpo del ragazzo era scosso da piccoli sussulti. Un morso più deciso gli strappò un: – Sì!

Da allora i movimenti della lingua e i morsi furono accompagnati da una serie di esclamazioni soffocate, che tradivano un piacere crescente.

Ora era il momento. François fece passare ancora una volta la lingua tra le natiche, inumidì con cura l’apertura e il suo leone entrò prepotentemente. Ora era dentro di lui e risentì la sensazione di calore che lo aveva avvolto quando era entrato dentro Daniel. Daniel.

Cercò con gli occhi Daniel. Era al suo lato, che gli sorrideva. Provò un violento bisogno di toccarlo. Tese la mano e prese quella di Daniel, attirandolo verso il letto. Quando Daniel gli fu vicino, lo baciò sulla bocca. Infilò la lingua tra i denti, sentì la carezza della lingua di Daniel. Per un momento la sensazione fu più forte di quella che gli procurava il pasto del leone.

Poi si distese su Michel e cominciò a muoversi. Il leone ormai dominava la preda, si muoveva, ora rapido, ora lento, avanti e indietro, assaporando il suo potere, gustando la sua preda. Avanti e indietro, avanti e indietro.

Quel corpo, quella pelle liscia, quel culo stretto e sodo. Era bello. Era bello stare così. Eppure…

Voltò nuovamente la testa. Tese ancora la mano e prese quella di Daniel. La portò sul proprio culo, guidò le dita ad assumere la posizione che voleva. Sentì l’indice di Daniel che scorreva intorno all’ingresso, si affacciava, entrava, prima incerto, poi deciso. Sì, era quello che voleva. Questa era la perfezione.

Sentì che il leone cresceva ancora, ora era un capo branco vigoroso e possente, che sbranava la sua preda senza pietà. I movimenti decisi, avanti e indietro, furono accompagnati dalla sensazione di quell’indice dentro di lui, che moltiplicava il suo piacere.

Sentì il gemito acuto del ragazzo, il suo contrarsi, poi il leone si slanciò in un ultimo attacco e completò l’opera.

Si abbandonò sul corpo del ragazzo. Sentì, con un senso di struggimento, che il dito di Daniel lo lasciava.

Si sentiva sfinito, ma non come quando faceva l’amore con Daniel.

La voce del ragazzo lo sorprese.

- Lo sapevo che eri un nobile. Non ho mai incontrato nessuno bravo come te.

La voce di Daniel risuonò lontana:

- Non dire niente. Preferiamo non avere grane, anche se è tutto a posto.

François non disse nulla. Si alzò. Anche il ragazzo si alzò.

- Devo correre via, altrimenti il padrone si arrabbia. Mi spiace che rimanete poco. Tornerete?

- Forse.

Il ragazzo si rivestì in fretta, baciò ancora François sulla bocca e fuggì via, prendendo la moneta che Daniel aveva posato sul tavolo.

Daniel guardò François sorridendo.

- È inutile che ti chiedo se ti è piaciuto. 

- Moltissimo, Daniel.

- Sono contento.

François lo guardò negli occhi. C’era un pensiero che gli girava dentro.

- E tu, Daniel?

- Io cosa?

- A te non ha fatto nessun effetto?

L’osservazione era superflua: il gonfiore sul davanti dei pantaloni di Daniel era inequivocabile.

- Certo, vederti nudo mi fa sempre un certo effetto.

- E vedere nudo il ragazzo, no?

- Anche, ma di meno, molto di meno.

Quelle parole fecero piacere a François, un piacere violento.

- Daniel, vorrai mica partire così?

E con un cenno del capo indicò la massa che sembrava volesse esplodere da un momento all’altro.

- Non c’è problema. Mi passa. Appena ti rivesti, il signor di Mazzaferrata ritorna al suo posto, a capo chino.

- C’è anche un altro modo per farlo tornare al suo posto, no?

Daniel scosse la testa, sorridendo.

- François, tra pochi minuti dobbiamo andare.

- Si può fare anche in pochi minuti, no? Mica è necessario metterci un’ora ogni volta. Quel tanto che basta per fargli chinare il capo, a quel prepotente.

- Mi stai proponendo una sveltina?

- Non so bene che cosa sia, ma se è una cosa che facciamo io e te, preferibilmente tu sopra e io sotto, la risposta è sì.

Daniel scoppiò in un’altra delle sue sonore risate. Spalancava la bocca e le spalle sembravano scosse da un tremito, mentre il ruggito del suo riso echeggiava nella stanza.

- Sì, una sveltina si può fare così. Ma poi non ti lamentare se fai fatica a camminare.

In un attimo, prima che François avesse avuto il tempo di muoversi, gli fu addosso sul letto, lo forzò a stendersi prono, gli fu sopra. Gli fece scorrere la lingua lungo la colonna vertebrale e quel contatto umido diede un brivido di piacere a François. Poi la lingua arrivò tra le natiche, scivolò decisa nell’incavo, si allontanò un breve momento mentre due forti morsi facevano sussultare François, poi ritornò al suo posto, per essere sostituita, un attimo dopo, dalla mazza ferrata che forzava l’ingresso, premendo appena, ritirandosi, premendo più decisa, ritirandosi ancora, poi entrando, fermandosi, avanzando, fermandosi nuovamente, avanzando ancora con una potenza che strappò un gemito a François.

- Daniel, Daniel!

Ora la mazza scorreva liberamente avanti e indietro nella galleria, solleticando le pareti, facendole cedere, mentre la sensazione di piacere sopraffaceva quella del dolore, senza cancellarla.

Di colpo le spinte divennero violente e François alzò il capo, gemendo di nuovo. La sofferenza aveva ricacciato il piacere in un angolo, ma quello spasimo era esso stesso piacere.

- Daniel, Daniel!

C’era un urlo in quelle parole. Una nuova spinta, più violenta, lo annichilì. La testa gli ricadde sul letto, sentì le lacrime riempirgli gli occhi, per un attimo il dolore lo schiacciò. Poi si attenuò e il piacere ritornò prepotente mentre sentiva la scarica dentro di sé. Senza uscire da lui, Daniel lo girò sul fianco e la sua mano destra, potente, gli accarezzò le palle, risalì all’uccello, lo guidò rapidamente a salire in cielo, in un volo libero e selvaggio, fino a che anche dal suo corpo uscì il getto vitale.

François si abbandonò completamente, ancora una volta quasi svenuto.

Man mano che riemergeva, si rese conto che le braccia che lo stringevano erano coperte dalla camicia, che Daniel non si era spogliato, che solo i pantaloni erano stati abbassati quel tanto che bastava per permettere alla mazza di trovare la strada e colpire.

- Dobbiamo andare, François. Te la senti?

François annuì.

Daniel si staccò e con un sussulto di rimpianto François sentì che la mazza usciva da lui. Si alzò, ancora vacillando. Daniel lo guardò, scotendo la testa.

- Non ho mai incontrato nessuno con una reazione così forte al piacere. Ogni volta tu quasi svieni.

François annuì, ancora troppo scosso per parlare. Scopare con Daniel lo annientava.

Si alzò e si vestì. Daniel aveva ragione. Il culo gli faceva male. Ma non disse nulla. Stava troppo bene.

 

 

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