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LA CAMERA DEL COMANDANTE

 

Hulot decise di tornare subito a Rennes, a cavallo: voleva assicurarsi che la situazione fosse sotto controllo ed essere pronto a intervenire, se fosse stato necessario. L’eliminazione dei quattro re rendeva probabilmente superflua la sua prudenza, ma Hulot preferiva non correre rischi.

Bel-Piede e Dessart lo accompagnarono e Girod si unì a loro. In realtà, in quanto soldato semplice, avrebbe dovuto ritornare a piedi con i suoi compagni. Ma, con la scusa ufficiale delle fatiche di quei giorni e del ruolo svolto nell’uccisione di Vilhoet, Hulot lo fece rientrare con loro, sicuro di far piacere a Dessart. E poi, come disse Philippe, François era ormai un caporale, se non un sottotenente: la nomina era solo questione di ore.

François non era un grande cavaliere, ma se la cavò e arrivò a Rennes un po’ indolenzito, ma contento di essere di nuovo in caserma, senza la prospettiva di qualche impresa pericolosa in cui era facile lasciare le penne. Frequentare Daniel era alquanto rischioso. Anche se ne valeva la pena.

In serata, dopo aver mangiato, Daniel e François erano nel refettorio. François, per quanto stanco per una notte insonne, prima di andare dormire aveva intenzione di passare un po’ di tempo con Daniel.

- Non possiamo fare un salto in camera tua?     

Daniel sorrise.

- Non ora, aspetto Hulot. Aveva una mezza intenzione di fare anche lui… un salto in camera.

- Hulot? Ma  è vecchio!

Daniel sorrise, un sorriso ironico.

- Non come sembra. Anche se dice sempre di essere un vecchio e ha i capelli grigi, non deve avere più di quarant’anni ed è forte come una quercia.

- Hulot! Sarà vero, ma sembra un vecchio e con i segni della varicella sul viso, è proprio brutto.

Daniel scoppiò a ridere, poi gli disse:

- Voltati.

François si voltò, già sospettando la tragica verità: la scena di quel mattino nella foresta di Liffré si era ripetuta e questa volta era stato Daniel a intrappolarlo. Daniel! Non si stupì vedendo Hulot alle sue spalle, ma il calore del suo viso era superiore a quello del fuoco su cui avevano cucinato il pasto.

Daniel si rivolse a Hulot:

- Non devi prendertela, dieci giorni fa, in circostanze analoghe, mi ha definito uno scimmione nasuto.

- Beh, se ti ha definito così solo dieci giorni fa, allora promette bene.

Daniel corrugò la fronte e fissò il comandante.

- Cittadino comandante, non vorrai mica fare concorrenza a un povero capitano?

- Capitano? No, mio caro. Venivo giusto a dirti che è arrivata la tua nomina ad aiutante generale, che avevo richiesto dopo l’imboscata al castello di Roussière.

Se Daniel era contento della notizia, non lo diede a vedere.

- Non cambiare discorso. La differenza di grado rimane forte e fare concorrenza in queste condizioni non è leale.

- Se si tratta di questo, mi sembra che tu abbia armi tali da rendere impossibile una competizione.

Daniel rise. Hulot riprese il discorso.

- Allora, Dessart, Bel-Piede e io volevamo sapere se ci tieni compagnia, questa sera. Anche Girod è invitato, naturalmente, sempre che non gli faccia troppo schifo.

Se François avesse potuto farsi trasportare con un gesto in America meridionale o in Australia, non avrebbe esitato un attimo. Anche l’Antartide gli sarebbe sembrata un’ottima possibilità, se solo ne avesse conosciuto l’esistenza. Ma purtroppo non aveva un genio a disposizione, non era un personaggio de Le mille e una notte e dovette rassegnarsi a rimanere presente e visibile, bofonchiando un:

- Ma certo!

- Bene, se François è d’accordo, per me va benissimo. È una rappresentazione teatrale?

- No, è in piena libertà. Venite subito?

- Agli ordini, comandante.

Mentre andavano, François sussurrò a Daniel:

- Che cosa volevi dire? Che cos’è una rappresentazione teatrale?

- È Bel-Piede che ha queste idee, sua madre era un’attrice di una compagnia girovaga. Ogni tanto ne inventa una, è divertente. Ma non è per questa volta.

La spiegazione era insufficiente e aumentò la curiosità di François, ma ormai erano arrivati.

La camera del comandante era vicino al corridoio su cui si aprivano le stanze degli ufficiali. François non avrebbe saputo dire che funzione aveva avuto nel convento, ma era molto più grande delle altre.

Bel-Piede li aspettava, seduto su una sedia. François lo guardò. Sapeva che aveva la sua stessa età, ma era già sergente e aveva ucciso la marchesa di Montauran l’anno prima. Aveva un corpo snello, ma muscoloso. Si accorse che François lo stava osservando e lo salutò:

- Abbiamo un nuovo acquisto, questa sera. Carne fresca, se il capitano, volevo dire l’aiutante, non l’ha consumato tutto.

Il viso di François non aveva ancora completamente ripreso il suo colore normale, per cui non ci furono cambiamenti significativi.

- Non intendo consumarlo! Per quel che mi riguarda, spero che duri il più a lungo possibile!

François sorrise alle parole di Daniel. Anche lui ci teneva a durare il più a lungo possibile, con Daniel.

Daniel prese l’iniziativa.

- Posso spogliare il capo-brigata?  

Fu Bel-Piede a rispondere.

- Mi sembra un’ottima idea, io ne approfitto per scoprire meglio questo bel soldatino.

Bel-Piede si avvicinò a François, che lo guardò. Sul viso dai tratti regolari vi era, come sempre, un’espressione un po’ ironica. Bel-Piede gli mise una mano dietro la nuca e gli avvicinò la testa alla sua. Le loro labbra si incontrarono, la lingua di Bel-Piede prese l’iniziativa, ma quella di François rispose baldanzosa.

La mano dalla nuca scese alla vita e forzò il corpo di François ad aderire completamente a quello di Bel-Piede, poi scese fino al culo e diede un forte pizzicotto, che fece sussultare François. Bel-Piede allontanò la bocca, fischiò e disse:

- Ti dovrebbero chiamare Bel-Culo, è il nome adatto a te.

- Non sono d’accordo, non è bello solo di culo. Mica è come te che chiamano Bel-Piede perché tutto il resto fa pena.

La battuta di Daniel era immotivata: Bel-Piede era un gran bell’uomo. François guardò in direzione di Daniel e lo vide inginocchiato, di fronte a Hulot, completamente nudo. Daniel stava lavorando di lingua, ma quello che colpì François fu il corpo del comandante. Era un corpo robusto, con due grandi chiazze di peli grigi sul petto, intorno ai capezzoli, e una folta striscia di peli ancora neri che scendevano fino al ventre.

Non aveva mai visto il comandante nudo, non aveva mai pensato che l’avrebbe visto. Lo spettacolo lo affascinava.

Bel-Piede si era accorto dello sguardo di François.

- Mi sa che il nostro soldatino spera di comprarsi una promozione pagando il comandante...

La battuta ferì François, che si rabbuiò. Bel-Piede se ne accorse.

- Scherzavo, tesoro mio. Per me va bene. Se tu ti prendi il comandante, a me rimane il capitano ed è un ottimo affare.

Hulot replicò, fingendo di essere seccato, anche se era evidentemente piuttosto divertito:

- Come sarebbe a dire, un ottimo affare?

- Comandante, il capitano ha delle virtù nascoste.

- Nascoste?

Questa volta fu Daniel a fingere di arrabbiarsi.

Quel che seguì si svolse molto rapidamente. Daniel mollò Hulot e con due salti fu addosso a Bel-Piede, che fece cadere per terra. Nella sua caduta Bel-Piede trascinò anche François, mentre Hulot si avvicinava ridendo.

Ora Daniel sovrastava Bel-Piede e il suo ventre premeva sul viso del sergente.

- Nascoste? Ti faccio vedere io le virtù nascoste!

Bel-Piede, per quanto a terra, non si intimidì e rispose assestando un morso deciso al grande rigonfiamento che gli schiacciava la faccia.

- Ahia! Mordi? E allora mangia!

Si sedette sul torace di Bel Piede, aprì i pantaloni e liberò il cazzo. Poi si protese in avanti, premendo con la cappella sulle labbra di Bel-Piede. Questi aprì la bocca e accolse con gusto l’offerta.

François era semi-sdraiato a terra, di fianco ai due, e osservava la scena, che gli faceva un certo, prevedibile, effetto. In quel momento si accorse che Hulot era in piedi sopra di lui. Visto da sotto, la sciabola tesa verso l’alto appariva ancora più promettente. François guardò le gambe muscolose, le braccia forti, l’ampio torace e dalla sua espressione doveva essere evidente che il comandante non gli faceva certo ribrezzo. Hulot gli tese una mano, François la prese e si lasciò sollevare. Hulot gli sfilò la giacca, poi la camicia, senza che i loro corpi si toccassero, ma quando François fu a torso nudo, gli afferrò entrambi i capezzoli, stringendoglieli con forza. François spalancò la bocca in una smorfia di dolore e di piacere, e sentì la lingua di Hulot che vi entrava con forza. Poi le mani di Hulot lasciarono i capezzoli e strinsero le natiche. Erano strette decise, che strappavano a François piccoli gemiti.

Quando Hulot gli calò i pantaloni, si trovarono faccia a faccia, entrambi pronti.

Il comandante gli mise le mani sulle spalle e lo forzò a inginocchiarsi. Ora François aveva di fronte agli occhi la sciabola di Hulot, la cappella incandescente. Era leggermente inclinata a destra e appariva minacciosa.

François imitò Bel-Piede e prese in bocca l’arma. Hulot lasciò che la bocca e la lingua di François lavorassero un po’, poi gli allontanò la testa. François alzò il viso per guardarlo, chiedendosi che cosa Hulot volesse da lui, ora, ma il comandante guardava di lato, verso Bel-Piede e Daniel. François seguì il suo sguardo. Erano entrambi a terra, Bel-Piede cercava di accogliere il più possibile nella sua bocca il pennone della bandiera che Daniel gli porgeva, ma il pennone era troppo grande.

Hulot si spostò e cominciò a togliere a Daniel gli stivali. François fece lo stesso con Bel-Piede. Le manovre di Hulot e François finirono per separare Daniel e Bel-Piede, che furono spogliati, piuttosto ruvidamente.

Ora Daniel e Bel-Piede erano anch’essi nudi, stesi a terra. Daniel ironizzava.

- Per il culo di san Sebastiano, non si può scopare in pace in questo paese.

Hulot sorrise.

- Riprendete pure.

Ma Daniel si levò a sedere di scatto, strinse con le mani le natiche di Hulot, strappandogli un mezzo urlo, e gli morse la sciabola come se volesse divorarla. Hulot lanciò un secondo urlo strozzato. Intanto Bel-Piede si alzava e passava dietro al comandante, appoggiandosi contro di lui.

- A quattro zampe, capitano, no, aiutante!

L’ordine di Hulot era stato perentorio. Daniel mollò la presa, si voltò e si mise carponi, presentando il culo al comandante. Questi si inginocchiò, staccandosi da Bel-Piede, e cominciò a passare la lingua tra le natiche di Daniel. Bel-Piede intanto passò davanti a Daniel, avvicinandosi fino a toccarlo. Daniel alzò il viso e prese in bocca la picca di Bel-Piede.

François guardava, affascinato e sconcertato. Ognuno si muoveva liberamente. E lui, che cosa poteva fare?

Hulot si alzò e François lo vide avvicinare la sciabola al culo di Daniel. Si mise in modo da poter vedere meglio. Le mani di Hulot allargavano le natiche, mettendo in mostra l’incavo, umido di saliva, e l’apertura invitante. La cappella rosso fiamma si avvicinava all’apertura, la sfiorava e poi, con un colpo violento, senza pietà, la sciabola vi penetrava fino in fondo, trapassando il corpo. François vide la testa di Daniel mollare la presa e sollevarsi. Hulot doveva avergli fatto un male cane.

Daniel riprese l’opera, Hulot si sdraiò su di lui e cominciò a imprimere al suo culo un movimento a stantuffo, mentre François si chiese che cosa fare. Si sentiva abbandonato.

In quel momento Daniel interruppe il suo lavoro, voltò la testa e lo guardò. Gli sorrise e gli tese la mano. François si avvicinò. Daniel lo guidò a mettersi davanti a lui, al posto di Bel-Piede. A François un po’ spiaceva per Bel-Piede, che rimaneva escluso, ma la sensazione della bocca di Daniel che accoglieva il suo uccello, lo riscaldava, gli leccava le piume, era troppo intensa. Peggio per Bel-Piede, che sarebbe rimasto da solo.

La pressione del corpo di Bel-Piede gli fece capire che non sarebbe successo così. Tra le natiche sentì la mano del sergente. Timoroso che Bel-Piede fosse violento come Hulot, François mormorò:

- Piano!

Ma la carne calda che premeva, forzando l’ingresso del suo culo, esercitava una pressione delicata.

Non aveva mai scopato con due uomini contemporaneamente e il gioco di sensazioni lo sopraffece. Davanti la bocca di Daniel, la lingua di Daniel, i denti di Daniel, calore e umidità, un solleticamento leggero, qualche morso, ora delicato, ora feroce, e il tendersi del suo uccello che cercava di spiccare il volo. Dietro un ariete che cercava l’ingresso, che ora lo trovava, che entrava vittorioso, scavando al suo interno. Le sue mani accarezzavano la testa di Daniel, le dita di Bel-Piede martoriavano il suo culo, stringendo con forza, pizzicando.    

Ora Bel-Piede spingeva con più forza e il piacere era nuovamente misto al dolore. Le mani di François stringevano la testa di Daniel, che staccò un attimo le labbra per borbottare:

- Piano, non voglio diventare calvo.

François sorrise, ma l’intensità delle sue sensazioni gli impedì di badare alle parole di Daniel. Le sue mani scesero ad accarezzare la barba di Daniel, ma le nuove spinte di Bel-Piede e il lavoro deciso delle labbra di Daniel gli tolsero ogni capacità di controllarsi. Sentì il movimento violento di Bel-Piede e, contemporaneamente, il guizzare in alto del suo uccello che si librava in volo, amorevolmente raccolto dalla bocca di Daniel.

Si afflosciò e sarebbe caduto se Bel-Piede non lo avesse sostenuto. Appoggiato contro di lui, si sentiva sospeso, felice di sentire il calore di quel contatto, felice di sentire la lingua di Daniel che percorreva ancora il suo corpo. 

Man mano che il suo sguardo tornava a mettere a fuoco gli oggetti, guardò la testa di Daniel davanti a lui e subito sopra la testa di Hulot. Il comandante continuava con il movimento, ma anche lui doveva essere quasi giunto alla conclusione. Una rapida serie di spinte violente mise fine all’azione e Hulot si lasciò andare su Daniel.

François alzò le mani per accarezzare la testa di Daniel e si rese conto che tra le dita aveva i peli della barba di Daniel. In quel momento Bel-Piede uscì da lui e si allontanò. François lo vide infilarsi sotto Daniel, che era rimasto a quattro zampe e intuì che riprendeva l’opera interrotta prima. Lavorava con alacrità e François comprese, al mutare dell’espressione del viso di Daniel, che anche per lui la meta era vicina.

François accarezzò i capelli di Daniel, la sua mano scese sul collo e in quel momento vide la bocca aprirsi in uno spasimo e gli occhi velarsi.

Rimasero un buon momento così, poi Bel-Piede si alzò e passò dietro a Hulot. François vide che il suo attrezzo era nuovamente pronto per l’uso. Non fece complimenti, non chiese permesso: afferrò le natiche del comandante, le allargò, avvicinò la punta dell’attrezzo e lo immerse, vigorosamente.

Hulot sollevò la testa, poi la riabbassò e morse Daniel sul collo, mentre le mani gli martoriavano i capezzoli. Daniel emise un gemito.

Bel-Piede lavorava alacremente il terreno del comandante con la sua vanga e François vide il corpo di Hulot tendersi, mentre una rapida successione di colpi completava l’opera.

Bel-Piede si alzò, sorridente. Hulot mollò il corpo di Daniel e si sollevò. Anche Daniel si rimise in piedi, con una smorfia.

- Ci hai dato dentro, comandante!

- Il capitano non si tira mai indietro, no?

Intervenne Bel-Piede:

- E gli tira sempre!

François sorrise. Daniel lo attirò a sé e François gli poggiò la testa sulla spalla. Il corpo di Daniel era madido di sudore e caldissimo.

- Bel-Piede, non mi hai rovinato il soldato Girod?

- Sono stato delicato come una farfalla.

Daniel ebbe un sorriso ironico.

- Non come il tuo comandante.

François chiuse gli occhi. Aveva sonno, ma più forte del sonno era l’odore di sudore che emanava da Daniel. Quell’odore risvegliava il suo desiderio.

- Porto a dormire il mio soldato preferito. Dai, François, rivestiamoci.

- Potete anche non rivestirvi, di qui a camera tua non troverete nessuno.

- No, non si sa mai.

Le parole di Bel-Piede turbarono François. Avrebbe dormito con Daniel? Non c’era cosa che desiderasse di più al mondo, ma fino a ora avevano dormito insieme in situazioni in cui non c’erano alternative. Adesso lui avrebbe dovuto dormire in camerata, sul pagliericcio, e Daniel in camera sua. Non era un problema di pagliericcio o di letto, ovviamente: François avrebbe scelto un tavolaccio come quello della cella, purché fosse con Daniel, piuttosto che il letto con baldacchino del marchese a Roussière, da solo o con chiunque altro.

- Sveglia, François! Non sei ancora nel letto.

A malincuore François si staccò dal suo capitano. Si rivestirono e uscirono. Daniel si diresse direttamente alla propria camera. Sulla porta François esitò.

- Muoviti, che cosa aspetti?

François entrò: se Daniel dava per scontato che avrebbero dormito insieme, perché mai avrebbe dovuto avanzare obiezioni? Daniel cominciò a spogliarlo.

- Tu stenditi, io mi do una lavata.

- No!

- Come, no?

- Non lavarti…

François si vergognò e si interruppe. Daniel lo guardò e gli sorrise.

- Come vuoi.

Si stesero nel letto, su un fianco. Daniel lo strinse tra le sue braccia.

- Non sapevo che Hulot e Bel-Piede…

François si interruppe, non sapeva bene come concludere, ma l’osservazione era sufficientemente chiara.

- Hulot non ama mettere in mostra le sue relazioni e fa bene, è il capo-brigata, deve essere riservato. Anche se tutti lo sanno.

- È molto che sono legati?

- Hulot aveva rapporti molto… diretti con il suo aiutante Gérard e il capitano Merle, ma furono entrambi assassinati nell’agguato della Vivetière. Fu un brutto colpo per lui, tanto più che poco dopo il giovane Gudin, con cui aveva appena iniziato una relazione, venne assassinato dalla moglie di Montauran, il capo della rivolta dell’anno scorso.

François rimase sorpreso: così Gudin, che lui conosceva bene, era stato l’amante di Hulot. Chi l’avrebbe mai detto? Intanto Daniel proseguiva:

- Io in quel periodo ero in missione e quando tornai lo trovai profondamente sofferente. Per fortuna Bel-Piede ha saputo come prenderlo.

- Sì, vedo che sa come prenderlo.

- Non intendevo questo, bestia.

- No?

- Beh, anche! Ma adesso dormiamo.

- Daniel…

- Che cosa c’è?

- Entra dentro di me, vuoi?

- Non sei sazio? Crollavi dal sonno, un minuto fa!

- Sì, ma ti voglio più vicino. Non voglio scopare. Voglio solo che tu entri dentro di me. Voglio addormentarmi così.

Daniel gli passò una mano lungo i fianchi, poi premette contro di lui. François sentì il grande membro che esercitava una pressione crescente. Daniel lo accarezzò ancora, poi, con estrema lentezza, entrò dentro di lui.

François arretrò il culo in modo da aderire completamente a quel corpo il cui calore lo avvolgeva e inspirò per sentire quell’odore di sudore. Sorrise beato e si addormentò.

 

 

FESTEGGIAMENTI

 

Il mattino seguente François si svegliò tardissimo. Lui e Daniel infatti erano stati esentati dal doversi alzare al suono della sveglia, perché potessero recuperare il sonno perso nelle giornate precedenti.

La prima sensazione fu sgradevole, come di freddo, anche se qualcuno aveva steso una calda coperta sul letto. François non ebbe difficoltà a capire: Daniel non era con lui. Si era alzato senza svegliarlo, lo aveva coperto ed era uscito.

A François dispiacque: avrebbe voluto svegliarsi a fianco di Daniel, magari fare un piccolo bis… Aveva sempre voglia di scopare. Si chiese se era normale. Si disse di sì, in fondo doveva ancora compiere diciannove anni e stava esplorando un mondo nuovo. Con un’ottima guida.

Indugiò nel letto, pensando a Daniel. Aveva sempre voglia di scopare, ma aveva anche sempre voglia di Daniel.

Sperava che Daniel ritornasse in camera, ma non accadde, perciò finì per alzarsi, quando ormai era ora di pranzo. Daniel era uscito su ordine di Hulot, per motivi che nessuno seppe spiegargli. François non poteva certo chiedere al comandante, perciò si rassegnò ad aspettare.

I compagni rimasti a Rennes lo assalirono per farsi raccontare la nuova impresa e tutte quelle precedenti e François fu ben contento di avere una nuova occasione di fare bella figura. Gli sguardi di sincera ammirazione che gli rivolgevano i compagni e i loro commenti solleticavano la sua vanità e il sentirsi oggetto di lodi gli fece piacere. Ma, avendo imparato dall’esperienza, evitò di chiamare Dessart con il nome di battesimo. Tutti erano sicuri che sarebbe stato presto promosso e infatti nel primo pomeriggio Hulot gli comunicò che lo aveva nominato caporale. I compagni gli dissero che avrebbe dovuto diventare almeno sottotenente, ma in realtà François, considerando che era stato arruolato poco più di un mese prima, non poteva certo lamentarsi. 

Daniel arrivò nel tardo pomeriggio, con i soldati che avevano partecipato alla spedizione ad Avranches.

Nella confusione del momento, tra festeggiamenti, saluti, abbracci, domande, racconti, François non riuscì ad avvicinarsi a Daniel, ma il sorriso che questi gli fece fu più che sufficiente. François si sforzò di rimanere con i suoi compagni, evitando di avvicinarsi a Daniel, anche se gli pesava. D’altronde con l’arrivo dei compagni dovette nuovamente raccontare tutto da capo, perché c’era sempre qualcuno che gli chiedeva di narrare un episodio, di spiegare un dettaglio: nessun altro sapeva tutto quanto era successo. Il caporale Girod assaporava il suo piccolo trionfo personale. Quando raccontò del viaggio in barca e dell’uccisione del re di cuori, Fischietto era vicino a lui. Chiamando ogni volta Daniel “il capitano” o “Dessart”, François guardava di sottecchi Fischietto, che lo fissava con un sorriso ironico. Ma non ci furono battute.

Dovettero interrompere per mettersi a tavola, ma anche durante il pasto François fu al centro dell’attenzione e dovette raccontare, precisare, aggiungere particolari, spiegare punti oscuri. Di tanto in tanto lanciava un’occhiata in direzione di Daniel, che era anche lui al centro dell’attenzione e stava narrando agli ufficiali. Due volte però i loro sguardi si incrociarono e il sorriso aperto di Daniel fu di nuovo un balsamo.

Dopo che ebbero mangiato, soldati e ufficiali si dispersero. Philippe, David, Cinghiale e Forte-Braccio si avvicinarono a Daniel. François li seguì. Se si avvicinavano loro, poteva farlo anche lui, senza dare troppo nell’occhio.

Si unì al gruppo e Philippe gli cedette il posto di fianco a Daniel.

Daniel gli mise un braccio intorno alla vita e François fu felice di quella manifestazione di intimità. Si accorse che il gesto del capitano non era sfuggito agli altri.

Daniel stava rispondendo a una domanda che gli era stata posta:

- D’accordo, allora questa sera si fa bisboccia in camera mia. Ci vediamo tra un’ora.

I soldati si allontanarono, ma il braccio di Daniel bloccava François, che peraltro non aveva nessuna voglia di andarsene.

- Vuoi andartene?

- Figurati! Non chiedo di meglio che restare qui.

- Questa sera si festeggia. Non mi sarebbe dispiaciuto festeggiare solo con te, ma mi sembra brutto tirarmi indietro solo perché…

Daniel non completò la frase. A François spiacque. Avrebbe voluto sapere che cosa intendeva dire Daniel.

- A te va bene?

François annuì.

- Ascoltami bene, François. Quando ci si ritrova come questa sera, ognuno è libero di chiedere tutto quello che vuole e ognuno è libero di dire di sì o di no. Non devi sentirti obbligato a fare quello che non hai voglia di fare solo perché qualcuno te l’ha chiesto. E non hai nessun diritto di criticare se qualcun altro ti dice di no o se ti chiede qualche cosa che non vuoi fare.

François ripensò ai giudizi formulati su André e si vergognò. Chinò il capo.

- Ho imparato la lezione, Daniel.

Daniel gli sorrise, rappacificandolo con il mondo. Poi si alzò.

- Ora devo andare. Ci vediamo in camera mia. Tu puoi venire quando vuoi. Tra mezz’ora sono in camera.

     

Trascorsa la mezz’ora, François si diresse alla camera del capitano. Daniel non c’era ancora, ma arrivò quasi subito.

- Allora, caporale, come è andata la giornata?

- Male, capitano.

- E perché mai?

François avrebbe voluto dire che Daniel gli era mancato, ma non trovava il coraggio. Alzò le spalle.

- Ma la serata si preannuncia interessante.

- Credo di sì.

Ora erano in mezzo alla camera e Daniel lo attirò a sé, lo strinse tra le braccia e lo baciò sulla bocca. Poi staccò le labbra, tirò indietro la testa, lo guardò e lo baciò di nuovo. Questa volta la sua lingua si fece strada tra i denti.

- Ma bravi! Noi arriviamo in anticipo e voi avete già incominciato i bagordi.

La voce di Philippe fece sobbalzare François, ma Daniel continuò con la sua opera, senza badargli. Solo dopo aver percorso la bocca di François, la lingua si ritrasse e Daniel, voltando la testa verso i due nuovi venuti, ma senza mollare François, disse:

- Hai paura che non ti rimanga nulla?

David rise. Philippe rispose:

- No, so che non ci sono problemi, però non è corretto. Anche se ho capito che François ha un diritto di precedenza.

- Hai capito bene, Philippe.

David intervenne:

- Adesso che siamo qui, capitano, ci spieghi bene come hai fatto a liberarti nei sotterranei del castello? C’è qualche cosa che non mi convince nella spiegazione che ha dato il caporale Girod.

François arrossì leggermente, ben conscio di aver barato.

Daniel guardò David.

- Che non ti convince? Che cosa, Vai-sicuro?

- Essenzialmente le sue esitazioni e l’imbarazzo se qualcuno gli pone qualche domanda più precisa. Possiamo sapere tutto sulla fuga dal castello, sul ritrovamento delle carte, su quel pezzo di merda di Béage, ma su quello che si è svolto nei sotterranei il nostro François è un po’ evasivo. Com’è che sei riuscito a liberarti e a uccidere il marchese?

- Semplice. Il marchese amava farselo mettere in culo e io l’ho provocato fino a che non ha voluto provare. Mentre gli davo una dimostrazione della potenza dell’esercito repubblicano, ho segato le corde sfregandole contro il bordo del tavolo e ho concluso l’opera con le mani.

- È morto mentre lo inculavi?

- Sì, venendo.

- Beato lui!

- Vuoi provare?

David rise.

- Non ci tengo. Intendevo soltanto dire che, se proprio devo morire, crepare mentre il capitano mi scopa mi sembra il modo migliore.

- Pazienza, ti scoperò senza strozzarti.

David cominciò a spogliarsi, gettando i suoi indumenti in un angolo.

- Cominciamo subito, capitano. Se no finisce come l’altra notte, che mi fai aspettare un’ora.

- Impaziente, eh?

Intervenne Philippe:

- Tanto impaziente che ha voluto arrivare in anticipo.

- Non mi dirai che lo tieni a stecchetto, Philippe? Mi sembra che non perdete occasione, voi due.

- Figurati! Ma sai com’è, non tutti hanno le stesse misure.

Mentre Philippe e Daniel si scambiavano queste battute, David si era avvicinato a Daniel e aveva cominciato a spogliarlo. Dopo aver concluso l’opera, avvicinò la bocca alla picca del capitano e si mise a leccarla di gusto, soffermandosi in particolare sulla punta. Mentre la picca si sollevava, David ne prese la punta tra le labbra e si mise a succhiare.

François stava guardando, affascinato, quella picca che si alzava, quando sentì due mani che si posavano sulle sue natiche. Sussultò. La voce di Philippe era un sussurro:

- E noi stiamo a guardare? Vero che se ben ricordo a te piace guardare. A Liffré…

François rise.

- Mica solo a Liffré. Anche la sera prima.

- Ah, maiale, questo non lo sapevo.

Mentre parlava, Philippe gli aveva aperto la giacca e la camicia. Gli fece scivolare via la giacca, poi le sue dita cominciarono a darsi da fare con la cintura. Gli passò le mani sui fianchi, prese la camicia e la sollevò, sfilandogliela. Mentre alzava le braccia per permettere a Philippe di spogliarlo, François sentì un morso deciso al culo. Lanciò un: -Ahi!

Le mani di Philippe si muovevano sicure e i suoi gesti erano carezze. Philippe interruppe la sua attività per un momento, poi François sentì il corpo del compagno contro il suo. Philippe si era spogliato e al contatto con quella pelle calda un’onda di piacere percorse François, facendolo fremere.

Philippe lo strinse tra le braccia, come faceva Daniel, fino a che i loro corpi non aderirono completamente, poi le sue mani cominciarono a muoversi. Una si spostava verso l’alto, premeva sul petto, stringeva un capezzolo, saliva al collo, lo accarezzava, saliva ancora, sulla guancia, sulla bocca, sfuggendo ai morsi di François, ritornando per riceverne ancora, sfuggendo nuovamente, per poi salire tra i capelli, scompigliarli, tirarli, poi un dito scendeva lungo l’attaccatura dell’orecchio, la mano tornava alla bocca, risaliva dall’altra parte, afferrava i capelli alla nuca, strappando un gemito, ridiscendeva al collo. L’altra mano invece si abbassava, pizzicava con forza una natica, scendeva lungo la coscia, poi risaliva, sempre rimanendo all’esterno, si spostava sul ventre, scendeva fino a smarrirsi tra i peli, fingendo di ignorare l’uccello proteso verso l’alto, scendeva ancora per afferrare le palle, un dito si infilava da sotto vellicando l’area retrostante, la mano tornava davanti, questa volta percorreva l’uccello, con delicatezza, poi lo afferrava con energia, lo scuoteva, strappando dalla bocca di François un gemito che l’altra mano spegneva.

Il piacere lo stava travolgendo. Non vedeva più che cosa facevano Daniel e David, anche se erano davanti a lui. Appena avrebbe potuto dire che David era a quattro zampe, che Daniel era sopra di lui.

Bruscamente, la voce di Philippe lo riscosse.

- Ben arrivato!

François voltò la testa per vedere chi era il nuovo arrivo. Era Cinghiale.

- Lascia che lo lavori un po’ io.

- D’accordo.

Philippe lasciò la presa e passò davanti a François.

François avrebbe voluto continuare, stava bene con Philippe, ma si rassegnò. In quel momento sentì la lingua di Cinghiale che scivolava tra le sue natiche, decisa. Quando si fermò all’apertura e cominciò a premere, a François sfuggì un gemito. Intanto Philippe si inginocchiava davanti a lui e alzava le mani attanagliandogli i capezzoli. E la bocca di Philippe si metteva al lavoro. 

Le due lingue, le due bocche lavoravano ora in sintonia, ora in opposizione. Ora la lingua di Cinghiale correva sulla superficie del culo, mentre quella di Philippe si spostava velocemente tra le palle e la base dell’uccello. Ora la bocca di Cinghiale mordeva, con ferocia, strappando a François piccoli gemiti, lasciando i segni sulle natiche, mentre la bocca di Philippe succhiava con delicatezza le palle, la cappella, tutto il gagliardo uccello. Ora invece era la bocca di Cinghiale a baciare con delicatezza il culo, mentre i piccoli morsi di Philippe provocavano nuovi lamenti. François stringeva con la destra i capelli lisci e neri di Philippe, con la sinistra quelli rossi e ricci di Cinghiale.

Di colpo si rese conto che stava per venire. Anche i suoi due compagni se ne accorsero. La lingua di Cinghiale premette con forza, mentre la bocca di Philippe accolse lo zampillo.

Barcollò, ma Cinghiale lo sostenne e lo strinse. Aveva braccia pelose, come quelle di Daniel. Ma Daniel aveva peli neri lunghi e fitti, quelli di Cinghiale erano rossi e meno lunghi. Era bello essere stretto da quelle braccia. François voltò la testa verso Cinghiale e lo baciò sulla bocca, poi reclinò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi.

La voce di Forte-Braccio, che non aveva neppure sentito entrare, lo riscosse.

- Cazzo, capitano! Che ti hanno fatto alla schiena?

Guardò in direzione di Daniel, che copriva David. Forte-Braccio era dietro di lui. Philippe si stava avvicinando per vedere.

- Nulla, Forte-Braccio. Vilhoet ha presentato un conto e io l’ho pagato. Poi gli ho presentato il mio. E anche lui l’ha pagato. Io l’ho fottuto e ho goduto, lui si è fatto fottere e ha goduto. Quindi siamo pari.

- Non so se i conti tornano, visto che tu sei qui e lui marcisce sotto terra, ma va bene così!

François guardò Forte-Braccio. Una trentina d’anni, più o meno l’età di Daniel, basso, ma possente, grandi mani che sembravano pale, braccia nerborute, ampio torace. Lo sguardo di François scese fino al ventre e guardò la verga, corta ma robusta.

In quel momento Cinghiale gli sussurrò:

- Posso trombare l’uomo del capitano?

François annuì, sorridendo a quella definizione, mentre prendeva coscienza della pressione di una massa cocente che si incuneava tra le sue natiche.

Sentì la pressione di quella massa alleggerirsi, i loro corpi si allontanarono per un attimo, poi la massa tornò a premere, ma questa volta in un punto preciso. Agevolata dall’ampia quantità di saliva profusa da Cinghiale, la massa non fece fatica a trovare la strada e François la sentì dentro di sé. Fu preso da un tremito.

Cinghiale lo sosteneva con le braccia e si muoveva avanti indietro, lentamente. Non aveva fretta. Sentì un gemito.

Guardò davanti a sé. David era scosso da un fremito e gemeva, sempre più forte.

- Basta, capitano, non ce la faccio più!

David cercava di sottrarsi. Daniel si ritirò e si alzò. François fissò affascinato quell’arma senza pari e desiderò prenderla in bocca. David si alzò, zoppicando e si spostò. Lo sostituì Philippe e Daniel riprese la sua opera, su un nuovo soggetto. Dietro Daniel c’era ancora Forte-Braccio, ma ora la sua verga era il fusto di una bombarda, più corto del cannone di Daniel, ma non meno voluminoso. E quella bombarda minacciava il culo del capitano, lo stuzzicava, lo colpiva, infine trovava un punto debole in cui insinuarsi e allora si addentrava decisa. Daniel interruppe il suo andirivieni all’interno di Philippe, per agevolare l’opera della bombarda.

Due o tre spinte furono sufficienti: la bombarda stava già sparando i suoi colpi, mentre la canna della pistola di Cinghiale, meno ingombrante, continuava la sua attività dentro François. Forte-Braccio si ritrasse, si avvicinò a David, che stava disteso sul pavimento e lo strinse a sé. David lo abbracciò.

Mentre Cinghiale proseguiva la sua opera, François osservava quei corpi che si muovevano intorno a lui. Era bello. Una sensazione di calore lo avvolgeva, sentiva che tra di loro nasceva un’intimità nuova.

Le spinte più vigorose della pistola di Cinghiale lo scossero dai suoi pensieri, dilatarono nuovamente il suo piacere. Con le braccia cinse dietro la schiena Cinghiale. Non voleva che se ne andasse.

Il suo uccello aveva nuovamente sollevato la testa, ma non c’erano nidi accoglienti. O forse sì. Forte-Braccio si era avvicinato a lui. Una mano vigorosa lo stringeva, scorrendo verso l’alto, poi verso il basso, prima lentamente, poi rapidamente. François lanciò un gemito e si afflosciò tra le braccia di Cinghiale. Il grido appena contenuto di Philippe gli fece sapere che anche Philippe era venuto. Lui e Daniel erano rotolati a terra, abbracciati.

Daniel si alzò e si avvicinò. Cinghiale continuava a stringerlo, Forte-Braccio era seduto ai suoi piedi. François tese le mani e Daniel si avvicinò, baciandolo sulla bocca.

 

Ormai tutti erano sazi e stanchi. Il sonno prendeva il sopravvento. Era ora di andarsene.

François contava di rimanere per ultimo e di fermarsi a dormire con Daniel. Sperava che i suoi compagni non si accorgessero della manovra, perciò le parole di David lo presero di sorpresa:

- Tu ti fermi a dormire qui, no, François?

François si sentì avvampare. Era quello che voleva. Ma si vergognava. E poi avrebbe voluto che glielo chiedesse Daniel.

- No, vengo in camerata.

Philippe intervenne, rincarando la dose:

- Ma come, preferisci il pagliericcio della camerata al letto del nostro capitano, anzi: aiutante generale?

- Ma no…

François non sapeva come difendersi. David diede la stoccata finale:

- E soprattutto preferisci dormire da solo piuttosto che a portata di… mano dell’aiutante?

- No, io…

Le sue guance dovevano essere ormai rosso-porpora. Daniel intervenne a salvarlo.

- Vai-sicuro, Philippe, smettetela di punzecchiarlo. Fa quello che vuole.

I due tacquero, ma François si sentì più che mai sulle spine. Faceva in fretta Daniel a dire: - Fa quello che vuole!

Non se la sentiva di fare quello che voleva, così, davanti a tutti. Avevano scopato insieme, ma non era ancora abbastanza sicuro, di se stesso e di loro, per non aver paura delle loro critiche.

- Torno in camerata.

Rientrò con gli altri e si stese sul pagliericcio. Era irritato. Con David, perché non si faceva i cazzi suoi; con Philippe, per lo stesso motivo; con Daniel, che aveva lasciato a lui la scelta, senza liberarlo dal fardello di decidere; con se stesso, soprattutto: era stato un coglione a farsi condizionare dalle battute degli altri.

Quello che voleva era dormire con Daniel, dormire tra le sue braccia. Era quello che avrebbe fatto. Era stupido lasciarsi condizionare.

Si alzò, senza preoccuparsi se qualcuno poteva vederlo, e raggiunse la camera di Daniel. La porta era chiusa. Non filtrava nessuna luce. Forse Daniel stava dormendo. Forse era contento di essere rimasto da solo, di non averlo tra i piedi. Forse…

Che cazzate stava pensando!? Daniel era contento di stare con lui, su questo non poteva avere dubbi. Ma forse ora dormiva.

Decise di tornare in camerata, un po’ irritato, un po’ dispiaciuto. Ci sarebbero state altre notti. Era solo un piccolo rinvio. Sarebbe rimasto con lui la sera successiva.

Ma François non avrebbe dormito con Daniel la sera successiva.

 

LA REGINA DI PICCHE

 

Il mattino seguente Hulot e Dessart ebbero un lungo colloquio, al termine del quale quasi tutti gli uomini disponibili ricevettero l’ordine di prepararsi a partire entro una mezz’ora.

Quando furono tutti pronti, nel cortile del convento, Hulot si rivolse loro.

- La ribellione è domata, ma ora dobbiamo chiudere i conti con chi ha contribuito ad alimentarla. Partiremo tra dieci minuti per raggiungere il castello di Roussière, dove forse ci aspetta una battaglia.

La decisione di Hulot non sorprese nessuno: era logico che il capo-brigata volesse estirpare definitivamente il focolaio della rivolta, arrestando la marchesa e scoprendo il nascondiglio di Bruz, l’uomo che aveva ucciso Auray e cercato di eliminare lo stesso Hulot. Probabilmente Bruz era nascosto al castello o comunque la marchesa sapeva dove si era rifugiato. E la marchesa aveva cercato di attirarli in una trappola mortale, da cui nessuno di loro sarebbe tornato, se non fosse stato per Dessart.

Partirono in tarda mattinata. Mentre procedevano, discutevano su quanto li aspettava. 

- Secondo me la marchesa non si arrenderà fino a che non l’avremo uccisa.

- Non credo, Guillaume. Dopo la morte dei quattro re, i suoi uomini devono essersela data a gambe. Io dico che troviamo il castello abbandonato.

- Figurati, Charles, quella donna ha i coglioni, né più né meno dei quattro re. Ci aspetta uno scontro a fuoco.

- O qualche trappola. Non dimenticate che ha già cercato una volta di massacrarci tutti.

- Non sparare cazzate, Victor. Questa volta non può pensare di intrappolarci con l’astuzia. Sappiamo benissimo con chi abbiamo a che fare. E lo sa anche lei, ormai, Dessart l’ha conosciuto.

Le parole di Lucien Guerlédan fecero piacere a François. Era sempre contento di sentire lodare Daniel. Lo cercò con gli occhi. Era avanti, scrutava con attenzione i radi boschi che costeggiavano quel tratto di strada. Rivide, come dieci giorni prima, quel viso di profilo, il grosso naso, la barba fitta. Il suo scimmione cazzo-nasuto. Dieci giorni prima quell’uomo gli sembrava repellente, ora il suo cuore traboccava di tenerezza guardandolo.

Si accorse che Philippe lo fissava con un mezzo ghigno e distolse lo sguardo. Per prevenire una battuta, intervenne nella discussione.

- Non ho capito perché non siamo partiti di notte. Avremmo potuto prenderli di sorpresa.

- François, quelli si aspettano il nostro arrivo, come noi ci aspettavamo di andare al castello. Anche se ci fossimo avvicinati di notte, certamente le loro sentinelle ci avrebbero visto. Un gruppo così numeroso non passa inosservato.

- Ma perché allora non mandare un piccolo gruppo?

- Un gruppo ridotto non riuscirebbe a espugnare il castello, se quei bastardi ci aspettano con le armi in mano.

              

Nel primo pomeriggio giunsero vicino alla meta. La loro marcia ora procedeva con grande lentezza: esploratori venivano inviati in avanscoperta, per assicurarsi che non ci fossero ribelli in agguato.

Tutto appariva tranquillo.

Approfittando di una pausa, in attesa del ritorno di quattro uomini mandati in perlustrazione, François si avvicinò a Daniel.

- Allora, secondo te che cosa ci riserva la regina di picche?

- Di picche?

- Ma, non è la moglie del re di picche?

- La vedova del re di picche, l’amante del defunto re di cuori, l’orfana del re di quadri e la sorella del defunto re di fiori. Non mi stupirei che quella donna fosse la vera anima della ribellione. Sua sorella è stata l’amante di Montauran e la responsabile della strage della Vivetière, dove un anno fa hanno ammazzato tanti dei nostri soldati, compreso il capitano e l’aiutante generale di allora. È una famiglia di fanatici.

- Secondo te è al castello?

- Forse. In ogni caso, non rinuncerà a vendicarsi. Fa’ attenzione, François.

- Tutti dobbiamo fare attenzione, no?    

- Sì, certo, ma al castello sanno che tu e io abbiamo decapitato Vilhoet e La Boussac. Chi riuscirà a farti un bel buco rosso qui – e Daniel premette il dito contro il petto di François, all’altezza del cuore – avrà certamente un premio speciale. Non esporti troppo: sei la preda più ambita.

L’idea non piacque per nulla a François, ma un’altra idea, ancora più sgradita, lo colpì:

- La preda più ambita sei tu, Daniel.

Daniel alzò le spalle. In quel momento ritornarono gli ultimi due esploratori e, prima che François potesse aggiungere altro, i soldati si mossero verso il castello.

François era preoccupato. Non aveva pensato al rischio che correva Daniel. Perché quel cretino di Hulot non l’aveva lasciato a Rennes? Probabilmente perché Daniel si sarebbe opposto. Ma quello stronzo di Hulot non poteva imporsi? Era o non era il capo-brigata?

     

Poco dopo giunsero al castello. Il grande edificio e i fabbricati più bassi che sorgevano su un lato apparivano del tutto deserti, privi di ogni segno di vita. La porta e le finestre erano chiuse, come se la costruzione fosse stata abbandonata.

Hulot li fece disporre dietro la stessa siepe dove si erano nascosti la sera dell’agguato e diede ordine di tenere sotto tiro le finestre e la porta del castello. Poi mandò due gruppi di soldati a esplorare i dintorni e in particolare i bassi fabbricati. Non c’era traccia di presenza umana. Altri uomini furono mandati più lontano, lungo la riva del lago e sul fianco della collina, ma nessuno di loro trovò nulla.

Tutto appariva svuotato, era scomparso persino il fieno, che alla loro prima visita si trovava in grande quantità nel fienile.

Non c’era davvero più nessuno? O sarebbero stati accolti da una scarica di fucile, quando si fossero avvicinati?

François si sentiva sempre più inquieto. Si guardava intorno, ma il suo sguardo tornava sempre a posarsi sul castello, che gli appariva ogni volta più carico di minaccia.

Hulot stava dando ordini ad alcuni uomini. Ma la sua voce non arrivava fino a lui.

Con un colpo al cuore, vide che Daniel avanzava rapidamente, seguito da altri cinque uomini, verso la porta del castello. Perché si esponeva così? Perché, se proprio lui era il bersaglio preferito? Perché?

Conosceva la risposta. Perché Daniel era Daniel, sempre in prima fila.

Ora erano davanti all’ingresso. Sotto il grande balcone. Nessuno aveva sparato. Adesso erano in una buona posizione: il balcone li riparava e se qualcuno si fosse affacciato dalle finestre laterali, si sarebbe esposto al tiro di tutti i soldati. Ma una volta che avessero aperto la porta? Che cosa li aspettava dentro?

L’entrata era sprangata e riuscirono a forzarla solo dopo parecchi tentativi. Alla fine, Daniel fece segno ai soldati di mettersi di lato e spalancò la porta con un calcio, poi saltò anch’egli di lato.

Non successe nulla.

Daniel saltò all’interno. François si sentì stringere il cuore. Temeva di sentire uno sparo. Si accorse che stava sudando. Le mani gli tremavano.

Sentì il tocco leggero della mano di Philippe sulla spalla e sussultò.

- Non temere, François, sa quello che fa.

François non disse nulla, ma con un incerto sorriso ringraziò Philippe.

Poco dopo Daniel riapparve sulla porta e fece segno ai cinque uomini di entrare.

Trascorsero pochi minuti e Daniel uscì nuovamente e fece un segno.        

Hulot si rivolse ai suoi uomini:

- Voi, da Fischietto a Forte-Braccio, rimanete qui con me e non perdete d’occhio un solo momento il castello e gli altri edifici. Gli altri, dentro il castello, con il capitano.

François era nel gruppo che doveva rimanere dietro la siepe, ma la sofferenza era troppo acuta.

- Comandante, posso andare anch’io?

Aveva parlato senza pensare. Hulot gli lanciò un’occhiataccia, poi parve riflettere un momento e disse:

- Vai.

In un attimo François fu in piedi e raggiunse il gruppo che si stava muovendo. Arrivarono davanti alla porta. François vide che Daniel lo guardava e che una smorfia di irritazione gli compariva sul viso. Daniel fece segno agli uomini di entrare nel castello. Quando François gli passò vicino, Daniel sibilò tra i denti:

- Sei una testa di cazzo, François!

François fu ferito dalle parole, anche se sapeva che Daniel era infuriato perché era preoccupato per lui. Chinò il capo e sussurrò.

- Non potevo rimanere là fuori, mentre tu eri qui dentro.

Daniel non rispose ed entrarono anch’essi.

L’interno era immerso nella penombra e per loro che venivano da fuori appariva completamente buio. Ci volle un buon momento prima che i loro sguardi si abituassero all’oscurità e potessero vedere ciò che li circondava.

Dalla grande sala d’ingresso, che nella visita precedente François non aveva visto, una scala saliva ai piani superiori, ma era ingombra di mobili e cataste di legno, che bloccavano completamente il passaggio. François e i suoi compagni guardavano confusi: qualcuno aveva spostato i mobili e accumulato legname, costruendo una barricata per impedire di salire ai piani superiori.

François si chiedeva che senso avesse uno sbarramento del genere. Avrebbe potuto capirlo se i difensori del castello avessero cercato di tenerli lontani sparando e avessero costruito quella barricata come ultimo baluardo, nel caso che gli attaccanti fossero riusciti a penetrare all’interno. Ma così?

La voce di Daniel lo distolse dai suoi pensieri.

- La scala al fondo del corridoio è sgombra. Lingua-Franca e voi quattro, scendete nei sotterranei. Pontivy e voi quattro, esplorate questo piano. Gli altri con me. Girod, sta’ dietro di me.

Salirono al primo piano lungo la scala che Daniel e François avevano percorso la notte in cui erano stati imprigionati nei sotterranei. Il primo piano era immerso nel buio.

- Lons e voi quattro, esplorate questo piano, noi saliamo all’ultimo.

Ripresero a salire la scala e in breve giunsero al secondo piano. Era anch’esso immerso nel buio. François si sentiva sempre più inquieto. Chi si nascondeva in quell’ombra spessa? La luce che filtrava da alcune finestre permetteva appena di distinguere le sagome dei mobili.

Daniel si avvicinò con decisione a una finestra che dava sul corridoio e cercò di aprirla. Le ante erano bloccate. Daniel fece scorrere la mano lungo la struttura in legno.

- Merda! Inchiodate!

Avanzarono con cautela. François si rese conto che stava sudando, un sudore ghiacciato che gli scendeva lungo la schiena. Avrebbe voluto essere fuori da quel fottutissimo castello. Ma non senza Daniel.

Entrarono in un primo locale e Daniel controllò una seconda finestra. Anch’essa era inchiodata.

- Angles, scendi sotto e informati su quello che hanno trovato. Chiamali, attento a non farti sparare dai tuoi compagni.

- Vado.

Gaspard Angles scomparve.

Proseguirono l’esplorazione. Tutte le finestre erano state inchiodate. Nelle stanze, nessun segno di vita.

- Capitano!

La voce di Angles risuonò nel corridoio.

Uscirono dalla stanza che stavano esplorando.

- Allora?

- Nessuno. Molte stanze sono state svuotate dei mobili, tutte hanno le finestre inchiodate, a parte quelle con le inferriate, al primo piano e nei sotterranei, dove c’è un’enorme quantità di fieno e paglia. Ne hanno fatto un fienile.

- Fieno e paglia? Merda! Fieno e paglia!

Daniel cominciò a urlare.

- Fuori, presto, fuori, fuori tutti! Scendete, di corsa, scendete!

François non capiva, nessuno capiva, ma tutti ubbidirono. Si precipitarono per la scaletta, mentre Daniel gridava il suo ordine a pieni polmoni.

- Lingua-Franca, Pontivy, Lons, fuori con i vostri uomini! Fuori, presto!

Nel silenzio che regnava nel castello, la sua voce rimbombava. Si sentirono i passi degli altri soldati che accorrevano.

Capirono solo quando arrivarono al piano terreno. Dai sotterranei si innalzavano lingue di fuoco che illuminavano la scala ma non impedivano ancora il passaggio. Uscirono nel corridoio. La catasta di mobili e legno della scalinata centrale aveva cominciato a bruciare e le fiamme si moltiplicavano e crescevano di minuto in minuto.

Daniel continuava a urlare:

- Fuori, presto, fuori tutti!

Non avevano più bisogno di quell’ordine, ormai. La velocità con cui le fiamme si propagavano, slanciandosi già verso il primo piano, era spaventosa: la catasta doveva essere piena di materiale infiammabile. Uscirono dal castello di corsa e si allontanarono verso la siepe.

François respirò con sollievo, come i suoi compagni. Se l’erano cavata, per un pelo. Grazie al loro capitano, ancora una volta. Ma il loro capitano li guardava, un’espressione angosciata sul viso.

Lanciò un urlo:

- Porcodd…, Lingua-Franca e i suoi uomini sono ancora dentro! Sono in trappola!

Tutti si guardarono sgomenti. Mancavano cinque uomini. Tutti volsero lo sguardo verso il castello. Attraverso la porta aperta si vedevano le fiamme guizzare.

 Daniel Dessart buttò per terra il suo fucile e si diresse verso il castello. François lo seguì. Arrivati a pochi passi dalla porta, Daniel scartò, corse lungo la parete e si diresse verso il lago. Con un salto si gettò dentro, immergendosi completamente, poi si slanciò di nuovo verso il castello. François si immerse nell’acqua fredda, poi si buttò all’inseguimento di Daniel.

Il capitano era già dentro il castello, ormai invaso da un fumo nero. Lingue di fuoco sbarravano il passaggio, ma con un salto le superarono. Sui loro abiti bagnati le fiamme non attecchivano.

- François, vattene ! François !

- Io vengo con te.

Daniel non replicò e corse verso il fondo del corridoio, dove la scala portava ai sotterranei. Arrivarono alla scala, da cui saliva altro fumo. In basso si vedeva il fuoco che divampava.

- François, per favore! Non seguirmi!

Daniel si slanciò per la scala. François corse dietro di lui. Non gli importava se stavano andando a morire. Gli importava solo di non separarsi da Daniel.

Per un momento, che a François parve infinito, camminarono tra le fiamme, poi furono oltre, nei sotterranei invasi da un fumo denso, che li faceva tossire. Daniel cominciò a camminare chino e François lo imitò.

- Lingua-Franca, Larelas, Cinghiale, Furetto, dove siete?

Sentirono le loro voci rispondere. Provenivano da uno dei locali che si affacciavano sul corridoio.

Ora erano davanti a una pesante porta, sbarrata dall’esterno. All’interno c’erano i loro compagni.

- Aiutami a spostare la sbarra.

La sbarra era pesantissima. Con fatica riuscirono a sollevarla. François era esausto, il sudore gli scorreva a rivoli lungo la schiena e sentiva che al calore del fuoco i suoi abiti si stavano rapidamente asciugando.

Infine la porta si aprì.

Alla luce delle fiamme Lingua-Franca e i suoi compagni apparvero di fronte a loro.

Prima che potessero esprimere la loro gioia, si sentì un boato: all’estremità del corridoio da cui erano appena arrivati Daniel e François, quella dove si trovava la scala, c’era stato un crollo e il corridoio era ora completamente ostruito.

- Che hai fatto, capitano! Per salvare noi ti sei perduto anche tu.

- Cerchiamo un’uscita. Questo locale non ne ha?

- No, le finestre hanno un’inferriata.

Avanzarono nel corridoio, in direzione opposta a quella da cui erano arrivati. Tossivano e respiravano a fatica per il fumo. Due volte attraversarono le fiamme. La seconda volta la giacca di Cinghiale prese fuoco. In un attimo Daniel fu su di lui, lo gettò a terra, lo fece rotolare e spense le fiamme.

Una trave incendiata cadde sulla spalla di Larelas, che crollò a terra con un grido. Nuovamente Daniel soffocò le fiamme che stavano attaccando gli abiti del soldato.   

Per quanto tempo ancora avrebbero potuto continuare? Non c’erano uscite, presto si sarebbero trasformati tutti in torce umane. François pensò che li aspettava una morte orrenda, ma non era pentito della sua scelta.

Una delle stanze era sbarrata da due travi inchiodate.

- Dobbiamo entrare. Dobbiamo sfondarla.

Nessuno capiva perché dovessero entrare proprio in quella stanza, ma, seguendo gli ordini di Dessart, si scagliarono tutti insieme contro la porta, prendendola a spallate. Al terzo tentativo la porta cedette, quando ormai le fiamme li stavano raggiungendo.

Nella stanza, completamente spoglia, c’era una finestrella, molto in alto, senza inferriata.

- Lingua-Franca, sali su di me e sfonda il vetro.

Daniel si appoggiò alla parete, sotto l’apertura, e mise le due mani a conca davanti. Lingua-Franca vi poggiò un piede e Daniel lo issò. Lingua-Franca mise prima un piede, poi l’altro sulle spalle di Daniel e quando fu ben sistemato sulle spalle del capitano, spaccò il vetro con il calcio del fucile. La finestrella era in alto e Lingua-Franca vi arrivava appena con le mani, ma a quel punto Daniel mise le mani sotto i piedi del soldato e alzò le braccia, sollevandolo di peso. Lingua-Franca poté aggrapparsi allo spigolo e uscire.

Uno dopo l’altro, seguirono tutti la stessa strada, aiutati da Lingua-Franca che dall’esterno protendeva la mano per afferrarli. La porta che avevano abbattuto aveva preso fuoco e la stanza si andava riempiendo di un fumo spesso e nero, mentre lingue di fiamme si avvicinavano.

François rimase indietro, mentre gli altri salivano. Ora era rimasto solo lui.

- François, muoviti.

- Tu come uscirai? Non puoi issarti fin lassù. Non ci sono appigli.

Fin da quando Lingua-Franca era uscito, François aveva cominciato a chiedersi come sarebbe uscito Daniel. Ma non aveva trovato risposta.

- Porcodd… Muoviti, il soffitto sta crollando.

- No, Daniel…

Non finì la frase, Daniel gli saltò addosso. Finirono a terra, François sotto, Daniel sopra. Su Daniel cadde una trave in fiamme. Daniel l’aveva spinto via, ma era stato colpito in pieno.

François vide le fiamme levarsi dalla giacca di Daniel. 

In un attimo Daniel fu in piedi, lo alzò, lo trascinò contro il muro. Si mise in posizione, mentre premeva la schiena contro la parete per spegnere le fiamme.

- Sbrigati, François!

- No, Daniel, no!

- Sali, porcod…, François, sali. Sei tutto ciò a cui tengo al mondo. Non farmi questo. Ti seguo! Ti seguo! Presto! Porcodd… Presto!

Fu l’incrinatura in quella voce, la violenza di quel dolore, a scuoterlo.

François avvicinò le sue labbra a quelle di Daniel, un bacio leggero, poi gli mise il piede sulla mano, salì sulle spalle e, con l’aiuto di Lingua-Franca uscì dalla finestra.

- Portalo via, Lingua-Franca, adesso!

François si voltò verso la finestra. All’interno il soffitto stava crollando e ora era impossibile avvicinarsi al muro. Daniel era in mezzo alla stanza e dalla divisa si alzava una fiamma. François non si accorse che anche la sua giacca aveva preso fuoco, ma due dei suoi compagni gli furono addosso con coperte bagnate. Cercò di guardare ancora dalla finestra, ma Lingua-Franca e gli altri due lo trascinarono via, lontano dalle mura del castello: l’edificio rischiava di crollare, perché ormai le strutture in legno stavano tutte bruciando.

François si dibatteva, continuando a fissare la finestra da cui era saltato insieme ai suoi compagni. Vedeva le fiamme guizzare e capiva che nessuno poteva essere vivo là dentro, ma continuava a guardare, sperando di vedere uscire Daniel.

Sentì i suoi compagni urlare. Seguì le loro braccia protese a indicare qualche cosa. Per un attimo di folle speranza si disse che Daniel aveva trovato via di fuga.

Non era questo.

Sul balcone del primo piano era apparsa la marchesa. Aveva le braccia alzate e urlava, ma François non riusciva a capire le parole. I suoi vestiti avevano preso fuoco. Era una torcia umana sullo sfondo di fuoco del castello.

In quel momento un fragore assordante coprì ogni voce e in una nuvola di fiamme e di fumo i piani sprofondarono: del castello rimasero solo i muri esterni.

François gridò, con tutte le sue forze:

- Daniel!

Svenne.

Si risvegliò quando lo caricarono su un carro pieno di fieno, insieme a Larelas. Hulot era vicino a lui. Non erano necessarie domande. L’angoscia sul viso di Hulot, il pianto di Philippe, che era al suo fianco e gli stringeva una mano, erano più che sufficienti. Ma la domanda gli venne alle labbra:

- Daniel, dov’è Daniel?

Hulot scosse la testa.

- È l’unico che manca all’appello.

François cominciò a piangere. Attraverso le lacrime vide che le fiamme si levavano ancora alte dal castello in rovina. Doveva essere rimasto svenuto pochi minuti.

 

Era ormai notte quando arrivarono a Rennes. Sprofondato nel fieno del carro, François guardava la volta stellata. Ormai erano passate le notti delle stelle cadenti, ma non erano così lontane: solo dieci giorni lo separavano da quando si erano accampati all’aperto e lui, incapace di dormire, aveva trascorso la notte a guardare il cielo.

Solo dieci giorni. Un’eternità. Ora sapeva che cosa avrebbe chiesto, con tutto se stesso, senza esitare un attimo: avrebbe voluto che Daniel fosse ancora vivo, per potergli dire che lo amava. O forse, se davvero era così difficile per lui trovare le parole, avrebbe almeno voluto essere tornato a dormire con lui la notte precedente, Daniel avrebbe capito. Ma lui non l’aveva fatto e non avrebbe mai più potuto dirglielo. Il suo unico desiderio era ormai irrealizzabile.

Non vedeva più le stelle. Si rese conto che stava di nuovo piangendo. Daniel aveva ragione: era un piagnone.

 

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