5. PARTE III - TESTAPELATA
UN DUELLO CON IL PIRATA TESTAPELATA
- Bene, Felipe, adesso sei
sulla Liberté. È la mia nave e spero che ti
ci troverai bene. Non sei obbligato a rimanerci, entro quindici giorni conto
di fare rotta su Port-Royal, per cui, se vuoi,
potrai scendere. Per il momento sei ospite di Testapelata.
Ospite di riguardo. Ti devo la vita. - Mica tanto. Ti avevo
catturato io. - Questo è vero. Ed
infatti te la farò pagare. Mi hai catturato mentre ero disarmato, non in un
leale duello. Con un movimento rapido
estrasse la spada che portava al fianco e gliela puntò contro il petto. - In guardia, Felipe. Petit-Jean, dagli una spada. Sorrideva, ma sembrava
davvero deciso a sfidarlo. Felipe era disorientato, mentre senza riflettere
prendeva la spada che un pirata gli porgeva. Vedendolo perplesso,
Michel gli sorrise di nuovo. - Avanti, Felipe. Non
intendo mica ammazzarti. E nemmeno ferirti. Santiddio!
Voglio solo vedere come combatti. Secondo me sei un avversario temibile: se
sulla Black Gull
ti chiamavano Spadaccino, qualche motivo c’era. Felipe era davvero bravo,
perché gli avevano insegnato l’uso della spada quando ancora era bambino. Ma
sapeva benissimo che Testapelata era più forte. Felipe si mise in guardia. - Pronto? - Pronto. Testapelata si scagliò contro di lui e cominciò ad
incalzarlo, senza dargli tregua. Felipe si difese con decisione, riuscendo a
rintuzzare gli attacchi. Ma non attaccava, perché non voleva ferire Michel. I pirati si erano disposti
intorno ai due duellanti e non si perdevano un colpo. Per un po’ rimasero in
silenzio, poi incominciarono a rumoreggiare. Quando Felipe riuscì a parare
all’ultimo istante una stoccata, sentì una voce che gridava, in francese: - Bravo! Così si fa. Dagli
filo da torcere. Altri si unirono all’uomo,
incoraggiando Felipe. Parlavano tutti francese, una lingua che Felipe
conosceva benissimo. Ma con lui Michel aveva sempre usato lo spagnolo. Michel corrugò le
sopracciglia, come se i commenti dei suoi uomini lo irritassero. Poi borbottò: - E dire che sono i miei
uomini! Aggiunse, a voce alta, in
francese: - Farabutti! Da che parte
state? Gli rispose una voce
squillante: - Contro di te, come
sempre. Michel sorrise e scosse la
testa, mentre si slanciava in un nuovo attacco, che mise Felipe in una brutta
situazione. Tentando di parare i colpi che gli grandinavano addosso, Felipe
scattò di lato, cercando di tenere Michel lontano con la punta della spada.
Il risultato fu che la lama incontrò la spalla di Michel. La spada aveva toccato di striscio, ma
Felipe si fermò sbigottito, osservando le macchie di sangue sulla manica
della camicia, e Michel dovette frenare l’allungo, per evitare di ferire (in
modo assai più serio) Felipe. - Forza, Felipe, è solo un
graffio. Te ne farò anch’io uno, prima della fine di questo duello. È la
seconda volta che versi il mio sangue, ma adesso non la farai franca. Felipe si rimise in
posizione, lanciando ancora un’occhiata alla spalla di Michel. Era davvero
soltanto un graffio, erano uscite poche gocce. Michel lo attaccò, con uno
slancio ancora maggiore e nuovamente Felipe si trovò a difendersi. Non
avrebbe retto a lungo. Doveva reagire. Michel era in grado di parare i suoi
colpi. Si scosse dalla sua
inerzia ed incominciò ad attaccare ogni volta che Michel glielo permetteva. A
tratti era lui ad incalzare Michel, che bloccava i suoi colpi con sicurezza,
ma era talvolta costretto ad arretrare. A volte era Michel a metterlo alle
strette ed a costringerlo sulla difensiva. Felipe sentiva la fatica
del duello, che ormai proseguiva da un bel pezzo, tra le grida di
incoraggiamento degli uomini. La camicia di Michel era zuppa di sudore ed il
viso era bagnato. Felipe si disse che il pirata Testapelata
era davvero bellissimo ed in quel momento Michel lo travolse con un nuovo
attacco. Felipe perse l’equilibrio mentre cercava di schivare il colpo e mise
un ginocchio a terra. Prima che potesse sollevare nuovamente la spada, Michel
gli puntò l’arma sul cuore. - Bene. Puoi dire le tue
preghiere. Come promesso, sto per versare il tuo sangue. Per un attimo Felipe
temette che davvero Michel lo uccidesse, ma sentì appena una scalfittura
all’altezza del cuore e guardandosi vide due gocce di sangue scendergli sul
torace, scivolando sul sudore. Michel gli tese la mano: - Bravo, Felipe. Non mi
ero sbagliato. Sei molto bravo. Felipe prese la mano e
Michel lo aiutò ad alzarsi. - Sarò anche bravo, ma tu
mi hai battuto. - Se non lo facevo,
perdevo la faccia. Questi manigoldi non vedono l’ora che qualcuno mi batta. Con la testa indicò i suoi
uomini, che si stavano allontanando, discutendo del duello, tutti fingendo di
essere molto delusi dal risultato e criticando spietatamente i colpi di
Michel, con battute del tipo: - Si è lasciato ferire
come un novellino. Non ha neanche saputo parare il colpo. - L’altro faceva appena
finta, eppure l’ha messo in difficoltà. UN INVITO
Fu solo allora che Felipe
vide l’elsa della spada di Michel. Era davvero bellissima: era costituita da un
elegante intreccio di linee, segmenti di acciaio arcuati, che delineavano
l’impugnatura, senza coprire del tutto la mano. - Che meraviglia: non ho
mai visto una spada così. - Anche a me è piaciuta
moltissimo la prima volta che l’ho vista. Ormai sono anni che la uso. Ci
tengo davvero molto e non me ne separerei per nulla al mondo. L’ho
conquistata sfidando a duello il suo proprietario, un ufficiale spagnolo. - L’hai ucciso? - Ucciso?! No, perché mai?
Mi sono limitato a batterlo ed a fargli saltare via la spada. Non ucciderei
mai un uomo per togliergli l’arma. Per chi mi prendi? Felipe si rese conto di
aver detto una scemenza. Quell’uomo di certo non uccideva per una spada.
Cercò di deviare il discorso. - Gli sarà certo spiaciuto
vedersi togliere un simile gioiello. - Sì, ma si è lasciato
consolare, ha trovato un’altra arma che lo ha soddisfatto. Il sorriso ironico di
Michel non lasciava dubbi sull’arma che aveva soddisfatto l’ufficiale
spagnolo. Felipe sorrise. Questa avventura di Testapelata
nessuno gliel’aveva mai raccontata, anche se sui gusti dei pirati circolavano
molte voci e la sua esperienza personale già la diceva molto lunga. - Ed a proposito, Felipe, mi piacerebbe
molto che tu venissi nella mia cabina. Non sto parlando di fare due chiacchiere,
credo che tu l’abbia capito. Vorrei rivedere ciò che abbiamo fatto sulla Black Gull, una
settimana fa: mi è sfuggito qualche cosa e mi piacerebbe ripassare insieme.
Ne hai voglia? Felipe fu sorpreso. Non
della proposta, che non aveva nulla di strano, ma del modo in cui era stata
fatta: sulla Black Gull
si era abituato a proposte più dirette. Tanto più che ora era sulla nave di
Michel e faceva parte del bottino di un arrembaggio. In una situazione del
genere sulla Black Gull
gli avrebbero ordinato di abbassare i pantaloni, che peraltro non aveva: non
si era ancora rivestito. Sulla Black Gull non gli avrebbero certo chiesto se ne aveva
voglia. Vedendolo tacere, Michel
riprese: - Se non vuoi, non sei
obbligato. Non hai debiti. Tu mi hai salvato la vita, io te l’ho salvata.
Siamo pari. Non sei un prigioniero, per cui se non vuoi... - Certo che voglio… Le parole gli erano venute
alle labbra senza che riflettesse. Lo voleva? Sì, senza dubbio. Il suo corpo
lo voleva e stava già reagendo al pensiero di stringere di nuovo la carne di
Michel, con un’intensità che lo mise in imbarazzo. Senza uno straccio
addosso, difficile fingere. Michel rise
fragorosamente. - Sì, vedo che vuoi.
Andiamo. NELLA CABINA DEL COMANDANTE: PRIMO
APPROCCIO
La cabina di Testapelata non aveva niente a che vedere con quella di
Barbanera. Più che una cabina, sembrava la stanza di una villa, una bella
stanza, non molto grande, certo, ma confortevole. Un tavolo, due sedie, un
armadio, una cassapanca e un ampio letto costituivano l’arredamento. Su uno
scaffale, qualche cosa che Felipe non aveva mai visto né sulla nave di
Barbanera, né sulla Black Gull: libri, un buon numero di libri. La finestra era
aperta e l’aria salmastra invadeva la stanza. Non c’era nessun odore
sgradevole. - Che lusso! Hai una
cabina splendida. - Passo la maggior parte
della mia vita su questa nave ed intendo trattarmi bene. Michel chiuse la porta. E
si fermò a guardare Felipe. - Ho voglia di vederti
mentre facciamo l’amore. Una voglia folle. È stato molto bello anche farlo al
buio. Sentirti con le mani, con il corpo, con la lingua, con il naso, non
vederti. Adesso voglio vederti. Felipe si sentiva
terribilmente confuso. L’unica idea chiara era che desiderava Michel. - Spogliami, Felipe. Felipe guardò Michel,
perplesso. Non aveva mai spogliato un uomo, non per fare l’amore almeno. Ma
l’idea lo stuzzicava. Si avvicinò a Michel e gli
mise le mani sulla camicia, per sollevarla e sfilargliela, ma in quel momento
Michel lo prese a tradimento e lo baciò sulla bocca. Felipe chiuse gli occhi.
Gli sembrava che il mondo avesse preso a vorticare, come se una tempesta
stesse scuotendo la nave. Ma c’era appena una brezza leggera ed il mare era
tranquillo. E poi, di colpo, la lingua
di Michel si infilò tra le sue labbra. Felipe aprì la bocca, non per
accogliere la visitatrice inattesa, ma per la meraviglia. L’intrusa ne
approfittò per entrare nella bocca di Felipe come se fosse stata casa sua:
fece un bel giro, sopra e sotto, avvolgendo la lingua che abitava in quella
bocca e che mai in vita sua aveva immaginato di accogliere un giorno un
ospite della stessa specie. Intontito, sbalordito,
senza fiato, Felipe lasciò che la lingua ospite proseguisse la sua visita e
quando infine la sentì allontanarsi, provò una sensazione acuta di rimpianto.
Mandò subito la sua lingua a cercarla. La raggiunse in fretta, perché la
vicina aveva lasciato la porta aperta. Cominciò ad accarezzarla, ad
avvilupparla, poi, incuriosita, la sua lingua si mise ad esplorare l’abitazione
della sorella: scivolò sulla superficie dura dei denti, uscì per accarezzare
le labbra, rientrò, timorosa di rimanere chiusa fuori. Uscì un'altra volta,
perché una nuova sensazione si stava facendo strada in Felipe: le mani, le
mani di Michel. Le mani di Michel sulla sua schiena, le mani di Michel sulla
sua nuca, le mani di Michel tra i suoi capelli, tra i peli della sua barba,
le mani di Michel sul suo culo, due dita di Michel che scivolavano lungo il
solco segreto, le dita che stringevano vigorose le natiche, strappando a
Felipe un gemito (mentre la solita lingua approfittava di quella bocca aperta
per infilarsi e colpire a tradimento, mentre tutta l’attenzione del
proprietario era concentrata altrove). Di colpo Michel lo lasciò
e fece un passo indietro. La porta del paradiso si era richiusa. Ma il
paradiso era vicino, nel sorriso ironico di Michel, mentre gli diceva: - Ma insomma, non dovevi
spogliarmi? Felipe annuì, troppo
intontito per cogliere l’ironia, per replicare a tono. Troppo eccitato per
ragionare. Le sue mani afferrarono la
camicia di Michel e la sollevarono, mentre Michel alzava le braccia per
facilitare il compito. Ora la camicia era a terra
e Felipe fissava abbagliato il torace di Michel. Gli sembrava di non aver
visto mai nulla di più bello. Aveva già visto Michel nudo, quando lo avevano
spogliato sulla Black Gull.
Ma non lo aveva guardato veramente. Era un corpo ben tornito, perfettamente
proporzionato. Il fisico robusto ed asciutto di un uomo che fa una vita molto
attiva, la pelle scurita dal sole, ma non eccessivamente: Michel aveva la
carnagione chiara dei biondi e la sua pelle era di un colore ambrato che
ricordava il miele. Una peluria leggera, spruzzata intorno ai capezzoli e che
al centro del torace formava una striscia più densa e più chiara che scendeva
sul ventre. Felipe sarebbe rimasto per
sempre a guardarlo, ma Michel lo afferrò e si gettò a terra con lui. Michel era su di lui ed il
calore della pelle di Michel contro la sua era una sensazione anch’essa
nuova, che aveva provato fugacemente nella notte in cui i loro corpi si erano
incontrati per la prima volta. Ora quella pelle che si sfregava contro la sua
incendiava il suo corpo, moltiplicava il suo desiderio, lo tendeva fino allo
spasimo. Michel rotolò sul pavimento della cabina, fino a trovarsi sotto
Felipe e ne spostò il corpo in modo da avere il petto all’altezza delle
labbra. Fu appena uno sfiorare
della lingua, una carezza umida che scivolava su un capezzolo, ma il vaso
traboccò, il desiderio non fu più contenibile e Felipe sentì che dal suo
ventre una fiamma calda saliva, irrefrenabile. Con un gemito, quasi di
dolore, Felipe venne, mentre il suo seme si spandeva sul torace di Michel.
Michel si limitò a stringergli le natiche, fino a fargli male. Felipe chiuse
gli occhi. NELLA CABINA DEL COMANDANTE: PIÙ IN
PROFONDITÀ
- Impaziente, eh? La voce di Michel riscosse
Felipe. Felipe si spostò in modo da poter guardare negli occhi Michel. Quegli
occhi azzurri erano un mare, un mare in cui voleva perdersi. - Grazie, Michel. Non era in grado di dire
altro, non riusciva ad esprimersi. Ma Michel non sembrava
avere bisogno di parole. Nuovamente ruotò, stendendo Felipe sul pavimento e
gli si mise sopra, ma senza stendersi su di lui: aveva le gambe su quelle di
Felipe, ma si teneva sollevato, con le braccia tese. Felipe guardò le
goccioline chiare tra i peli vicino ai capezzoli e lo schizzo più grande
sopra l’ombelico. Istintivamente, senza capire, allungò una mano per
toccarlo. - Eh no, questo ormai è
mio. Michel passò un dito sull’ampia chiazza umida e se lo mise in bocca, leccandolo avidamente. Felipe rimase allibito. Come si poteva desiderare di inghiottire lo sperma di un uomo? Eppure, una voce interna gli diceva che quando l’aveva fatto con Barbanera, quello che provava non era disgusto, se non all’inizio. Poi la sensazione di quella sostanza calda in bocca non gli era più parsa fastidiosa, anzi... Michel si ripulì con cura,
poi abbassò la testa e cominciò a passargli la lingua intorno ad un
capezzolo. Felipe sussultò. Era di nuovo una sensazione fortissima. La lingua
si muoveva esperta, solleticando, avvolgendo, premendo, dando piccoli colpi.
Poi la bocca si abbassò ed i denti strinsero. Un morso delicato, ma Felipe
sobbalzò. Michel alzò il capo, lo
guardò negli occhi e gli sorrise, poi riprese con l’altro capezzolo. Dopo che
la lingua ebbe terminato il suo lavoro, fu di nuovo il turno dei denti: al
primo morso, atteso, desiderato, ne seguirono altri, più forti, che fecero
trasalire Felipe. Quando Michel ebbe finito e lo fissò, Felipe si rese conto
che era nuovamente eccitato. - Non hai neanche finito
di spogliarmi, pigrone! Felipe sorrise, ma la
sensazione che aveva dentro era oscura. Sì, voleva spogliare Michel, voleva
vederlo nudo. Voleva vedere… Che cosa? Che cosa
voleva vedere? Perché? La sua mente ricacciò
indietro i dubbi e la mano di Michel che gli accarezzava il petto cancellò
ogni altro pensiero. Con un guizzo rovesciò Michel e si mise in ginocchio.
Gli sfilò gli stivali e poi gli tolse i pantaloni. E rimase senza parole. Il suo sguardo si era
bloccato sul sesso di Michel. Lo guardava come un uccellino fissa il serpente
che lo incanta, senza riuscire a distogliere gli occhi nemmeno per un
secondo. Gli sembrava che quella lama, sguainata sulla peluria di un biondo
scuro del ventre, fosse perfetta, con quella punta rosso fiamma che emergeva
dalla pelle più scura. E perfette erano le due sfere. Michel lo prese di
sorpresa, afferrandolo e baciandolo nuovamente. Ora Felipe avvertiva il
contatto tra i loro due corpi, dalle bocche ai sessi ugualmente tesi. Michel mollò la sua bocca
e gli morse una spalla, sgusciò sotto di lui e gli morse un capezzolo. Felipe
rimase un attimo disorientato, poi a sua volta cercò di mordere Michel, che
si sottraeva ridendo. Due volte Michel gli sfuggì, ma la terza Felipe lo
bloccò e gli morse il braccio. Poi lo baciò, lo abbracciò stretto e lo mollò
per guardarlo. Si disse che non aveva mai visto un uomo così bello. Era bellissimo baciarsi,
abbracciarsi, mordersi, stringersi, guardarsi. Ed il suo desiderio saliva,
saliva. Michel gli morse una
natica, a fondo, facendolo gemere di dolore. Felipe cercò di bloccarlo, ma
Michel, si divincolò, girandosi. Felipe si gettò sulla sua schiena, premendo
con il proprio peso per impedirgli di sgusciare via. E d’improvviso vide il
culo di Michel. Questa volta la scossa fu
ancora più forte, una scarica che lo attraversò e lo lasciò senza parole. Quel culo era la cosa più
bella che avesse mai visto. Quella carne scurita dal sole, coperta da quella
peluria bionda, leggera, morbidissima. Quel solco perfetto tra le due
rotondità. Non capì più nulla, non si
chiese più nulla. Si distese su Michel, entrò con tutta l’urgenza di un
desiderio troppo impetuoso per permettergli di ragionare. - Cristo, Felipe! La voce di Michel lo
ricondusse alla realtà, il tono di rimprovero raggelò l’entusiasmo di Felipe.
Michel rincarò la dose. - Ma che ti prende? Non
sono un pollo da infilare allo spiedo, anche se hai uno spiedo di tutto
rispetto. Un po’ di leggerezza. Felipe ritirò la sua arma,
vergognandosi come un ladro. Aveva infilzato Michel come Barbanera aveva
fatto con lui, fregandosene di quello che Michel poteva provare o desiderare. Michel si era voltato e, guardandolo
in faccia, esplose in una risata. - Felipe, non essere così
mogio. Non è successo niente. Sei stato troppo brusco, ma non è colpa tua.
Direi che non devi avere avuto un buon maestro in queste cose. Non mi
stupisce: sulla Black Gull
non possono averti insegnato niente che valesse la pena. LEZIONI PER PRINCIPIANTI
- Prima di attaccare,
bisogna preparare il terreno. Michel si voltò nuovamente
sulla pancia. - Ora potresti mordermi un
po’ il culo. Felipe avrebbe voluto
ridere, ma la vista di quelle due natiche che gli si offrivano gli toglieva
ogni voglia di ridere. Avvicinò la bocca a quella carne soda e, cercando di
trattenersi, morse. Delicatamente. Due, tre, quattro volte. Poi morse con più
forza. - Così va bene, spostati
un po’, ogni volta. È meglio se non sai dove arriva il morso. E mordi ora
piano, ora forte, più forte di così. All’osservazione di
Michel, Felipe piantò un morso deciso, che strappò a Michel un: - Orgh! - Così va bene, ma cambia
anche la forza dei morsi. Devi esplorare tutto il terreno, ma l’avversario
non deve mai sapere dove colpirai e con quanta forza. Puoi colpire più volte
piano e poi forte e magari forte di nuovo. Felipe eseguì. Ma quei
morsi che infliggeva, quei segni rossi dei denti che rimanevano nella carne, per
poi svanire lentamente, aumentavano il suo desiderio. E nuovamente il
desiderio divenne troppo forte. - Non ce la faccio più,
Michel. Non posso aspettare ancora. - Va bene. Allora
inumidisci il buco. Passaci la lingua o due dita con un po’ di saliva. L’idea di passare la
lingua fece inorridire Felipe. Si mise due dita in bocca, le inumidì e le
passò tra le natiche. - Premi un po’ di più sul
buco, devi inumidire anche lì. Felipe eseguì, mentre una
gocciolina usciva dalla punta del suo spiedo. - Ed ora bagnati anche il
cazzo, in modo che entri scivolando. Divarica un po’ il culo. E poi
accomodati. Felipe eseguì, cercando di
sfiorare appena la cappella incandescente: se si fosse toccato con più
energia, sarebbe certamente venuto. E non voleva venire così. Voleva entrare
dentro Michel, possedere Michel. Voleva infilzarlo. Allargò le natiche e,
mentre un senso di vertigine lo afferrava, avvicinò la punta dello spiedo
all’apertura. Spinse con delicatezza, poi con maggiore decisione. Sentì
l’arma penetrare, mentre la carne lo avvolgeva. - Così va bene. Vai pure
deciso ora. Felipe diede una spinta e
gemette per il piacere. Avrebbe voluto godere più a lungo di quel contatto,
ma non era più in grado di controllarsi. Spinse una seconda volta e tutto il
suo corpo venne attraversato da un’ondata di voluttà. Allora incominciò a
incalzare con più forza, con tutte le sue forze, mentre il piacere lo
sommergeva ed il seme nuovamente usciva da lui, per affondare nelle viscere
di Michel. Stava venendo, venendo in culo a Michel. Il piacere lo portò in
alto, sempre più in alto, nel cielo, per poi lasciarlo lentamente ricadere,
completamente svuotato, su quel corpo magnifico. Anche per Michel la
sensazione doveva essere stata forte, perché rimase anche lui in silenzio per
un buon momento. Poi si rivolse a Felipe: - Bravo Felipe. Hai un
buon talento. Va solo affinato, ma sono sicuro che con un po’ di esercizio… - Sì, voglio fare
esercizio. L’esercizio è necessario. Facciamo ancora esercizio? Michel rise. - È bello avere un allievo
che ha voglia di imparare. Va bene, facciamo esercizio. Rimani dentro, ma
mettiamoci su un fianco. Ruotarono, rimanendo
uniti, in modo da mettersi sul fianco sinistro. - Ed ora accarezzami. Felipe prese le parole di Michel
per un invito a fargli una sega e si mise all’opera, con molto slancio, ma
venne immediatamente redarguito: - Ma no, accidenti a te,
Felipe. Hai fretta? Hai un appuntamento? Vuoi uscire? Felipe si bloccò,
vergognandosi, mentre Michel rideva di nuovo. - Non devo maltrattarti,
scusami. È che vai sempre di corsa. La fretta è una pessima consigliera.
Accarezzami, accarezzami dappertutto. Stringimi un
po’ i capezzoli, pizzicami il culo, mordimi la spalla o quello che hai a
portata di bocca. C’è tempo per arrivare al dunque. Felipe si mise al lavoro.
Era sempre stato un ottimo allievo, il suo precettore era molto contento di
lui. Ora voleva che anche il suo nuovo insegnante fosse contento ed era
sicuro che ciò che stava imparando gli avrebbe dato più soddisfazione del
latino. Cominciò ad accarezzare il
corpo di Michel, passandogli la destra sul torace, sul ventre, sulle braccia.
Ed il contatto con quella pelle accendeva in lui un nuovo desiderio. Era
bellissimo far scorrere le dita, leggermente, oppure premere con il palmo, e
sentire la pelle calda, la carne forte. Quando, molto lentamente, la sua
carezza giunse a fianco dell’asta tesa di Michel, si rese conto che anche la
sua era ritornata in posizione di tiro, dentro quella caverna calda che da
tempo l’accoglieva. Pensò che avrebbe voluto rimanere per sempre così ed in
culo a tutto il resto (espressione metaforica: in senso letterale era
esattamente il contrario). Scese delicatamente ai
coglioni di Michel, li afferrò, li strinse un po’, con cautela. Era bello
sentirli nella mano, grandi, compatti e forti. - Sotto. Felipe, subito
sotto. Felipe non capì
immediatamente, poi realizzò. La sua mano scese dietro la sacca dei coglioni
e stuzzicò la pelle tra le gambe. Michel ebbe un sobbalzo e Felipe ripeté l’operazione,
provocando un nuovo guizzo. Allora Felipe sentì il
corpo di Michel tendersi. La destra di Michel gli afferrò la sua e la portò
sul suo sesso, che già pulsava. Felipe lo afferrò saldamente e lo sentì
percorso da una serie di scosse, mentre il seme sgorgava abbondante. La sensazione gli mozzò il
fiato. Continuò ad accarezzare il sesso di Michel, ma non appena questi ebbe
finito, lo voltò sulla pancia e cominciò a spingere. Quasi immediatamente
sentì che stava per venire. Afferrò con le mani le natiche di Michel,
stringendolo con tutte le sue forze, e lasciò che le spinte lo portassero in
alto, sempre più in alto, dentro il corpo di Michel in cui riversava il suo
seme. Era la terza volta che
veniva, ma non era sazio. Voleva stringere ancora quel corpo meraviglioso,
voleva abbracciarlo, baciarlo, sì, baciarlo. VARIAZIONI SUL TEMA
Con un certo rammarico
Felipe uscì dal corpo di Michel e si mise in ginocchio. Poi cominciò a
baciare Michel, a baciare quel bellissimo culo che lo aveva accolto. Baciava,
poi, ricordandosi della lezione di Michel, piantava un morso traditore, che
faceva sobbalzare il pirata. Poi baciava di nuovo ed alternando baci e morsi
proseguiva, arrestandosi poi per accarezzare il culo e tutto il corpo. Era
bello accarezzare, era bello anche pizzicare, facendo sussultare Michel.
Baci, carezze, morsi, pizzicotti. E mentre baciava pensò che poteva anche
leccare e provò a percorrere con la lingua il collo di Michel. Il brivido di
Michel gli si trasmise e passò nuovamente la lingua sul collo, poi toccò
all’orecchio, che morse. Voltò Michel, mettendolo a
pancia in aria e lo baciò sulla bocca, nella bocca, passò la lingua sui suoi
occhi, gli morse un capezzolo, poi l’altro, li leccò e…
sentì le mani di Michel che gli pizzicavano il culo. - Brutto porco! Non si
fanno queste cose! Ma Michel lo aveva buttato
a terra, era su di lui, stava percorrendo con la lingua la sua faccia, una
carezza umida, stava stuzzicandogli i capezzoli, li stava mordendo,
strappandogli gemiti, scendeva sul ventre, mentre le mani scivolavano sui
fianchi, passavano sotto, martoriavano nuovamente il culo. La bocca di Michel
mordicchiava il cazzo, che già risollevava la testa, la lingua di Michel
scorreva lungo i coglioni, li avviluppava, le mani di Michel gli torturavano
i capezzoli, i denti di Michel gli stringevano il cazzo, la bocca di Michel,
le labbra di Michel, i denti di Michel, le mani di Michel, Michel, Michel… Con uno strattone Felipe
si liberò di Michel e si alzò. Non sapeva che cosa voleva, era stato un
movimento istintivo. Michel si alzò e gli si mise davanti, sorridendo. Felipe
gli fu addosso e lo spinse contro la parete, baciandolo, infilandogli la
lingua in bocca. Poi lo voltò, si inumidì due dita e le passò nel solco tra
le natiche, fino a trovare l’apertura già dilatata dal precedente ingresso ed
ampiamente lubrificata. Michel allargò le gambe. Si abbassò un po’, per
mettere la sua arma in posizione, L’accostò e spinse. Quando fu del tutto
dentro, quando sentì che i suoi coglioni battevano contro il culo di Michel,
appoggiò il suo corpo su quello di Michel. Poi, travolto da un
crescendo di sensazioni, cominciò a spingere, estraendo ogni volta l’arma per
poi infilzare Michel più forte, sempre più forte. Sentì che la coscienza
svaniva in un delirio di piacere e si abbandonò completamente sul corpo di
Michel, aggrappandosi con le mani alle sue spalle per non precipitare nel
gorgo che si apriva sotto di lui. Restò così, boccheggiante
ed esausto. Si sentiva del tutto svuotato, ora, ma il contatto con quel corpo
caldo era bellissimo. Voleva rimanere così. Michel non si mosse.
Quando infine Felipe ebbe recuperato la piena coscienza, arretrò, estraendo
la sua arma. Michel si voltò e, con un movimento simultaneo, i due si
baciarono. Felipe si rese conto che, per quanto esausto, quella bocca gli
trasmetteva ancora i brividi. Felipe si sedette a terra,
incapace di reggersi ancora. Michel si sedette davanti a lui, un sorriso
sulle labbra. Felipe lo guardò e pensò che non aveva mai visto un uomo così
bello. Poi rise. - Sai una cosa, Michel? I
miei compagni avevano ragione. Sei un porco e dato che ti ho fottuto tre
volte, sei proprio un porco fottutissimo. - Non ancora. Per il
momento sono solo un porco fottuto. Per arrivare al fottutissimo dovrai
metterti d’impegno nei prossimi giorni. Oggi no, perché il culo ormai mi fa
male. Felipe rise nuovamente. Da
quanto tempo non rideva? Non aveva avuto molte occasioni di ridere sulla Black Gull o con
Barbanera. - Farò del mio meglio. - Però adesso potremmo
cambiare le parti, che ne dici? Felipe si contrasse.
Michel capì immediatamente. - Se non ti va, nessun
problema. Felipe si sentì a disagio. - No, io…
- Davvero, Felipe, ognuno
fa quello che ha voglia di fare, se l’altro è d’accordo. Felipe annuì. Poi deviò il
discorso, cercando di riparare: - Ma non è giusto, io sono
venuto quattro volte e tu solo una… - Due. Michel indicò con la testa
la parete su cui era appoggiato poco prima. L’ampia chiazza umida non
lasciava dubbi. Felipe si sentì orgoglioso all’idea di aver fatto godere
Michel e felice che Michel avesse goduto insieme a lui. Michel riprese: - Non è mica uno scambio
commerciale. Va bene così. A me è andata bene così. Benissimo. Mi piaci da
impazzire, Felipe. Felipe chinò la testa,
vergognandosi. - Non mi prendere in giro,
Michel, so che non sono bello. Non sapeva perché aveva
detto quella frase. Probabilmente perché desiderava che Michel lo smentisse.
E fu ciò che avvenne. - A me piaci moltissimo,
Felipe. Felipe alzò la testa e lo
guardò negli occhi. - Sei l’uomo più bello che
abbia mai visto, Michel. Michel rise. - Con questa cicatrice? Felipe annuì. Poi,
sentendosi in imbarazzo, cambiò argomento: - Come te la sei fatta,
Michel? - È un regalo del Toro.
Abbiamo avuto da dire, una volta, ed ognuno ha lasciato all’altro un
ricordino. - Raccontamelo. - Ho spesso avuto a che
fare con molti pirati della Black Gull, prima che passassero al comando del Gallego e
del Sanguinario. Non erano tutti quei fottuti bastardi assetati di sangue che
diventarono poi. Ma promettevano già bene, devo dire. Ho viaggiato con alcuni
di loro perché erano amici di Pedro. Un’ombra passò sul volto
di Michel, poi Felipe lo vide scuotere la testa ed il discorso riprese: - Una volta nacque una
feroce discussione tra me ed il Toro. Avevamo catturato una nave e ci eravamo
spartiti il bottino. Il Toro voleva prendersi un ragazzino, che non aveva più
di sedici anni. Io non ho mai potuto sopportare la violenza. Mi misi di mezzo
e litigammo. Si stabilì che avremmo deciso la questione con la spada. A sera
scendemmo a terra: credo che tu sappia che ogni questione personale va
risolta a terra. Ci stavamo preparando a combattere, ma il duello non era
ancora cominciato. Quel figlio di puttana del Sanguinario, che già si stava
facendo strada, diede il segnale d’inizio mentre mi sfilavo la camicia. Il
Toro avanzò e mi calò la spada sulla testa. Per mia fortuna riuscii a
schivare in parte il colpo, non mi prese in pieno, se no non sarei qui a
raccontartelo. Ma poco mancò che ci rimanessi: il sangue mi accecava. Non
vedevo più niente. Allora mi gettai a terra, afferrai la mia spada e gli
vibrai un colpo da sotto. Non avevo né il tempo né la possibilità di mirare,
ma lo presi bene: gli infilai la spada tra le gambe e nel colpo gli tagliai
anche uno dei suoi famosi coglioni. Cadde a terra urlando. Se la cavò, ma da
allora rimase con un solo coglione. La sua celebrata potenza non diminuì. Ed
io rimasi sfregiato. - Questa cicatrice ti
rende ancora più bello. Era vero. Il viso di
Michel aveva tratti molto regolari, troppo, la cicatrice costituiva un
elemento di bellezza. Michel sorrise, si protese
in avanti e, prendendo con delicatezza la testa di Felipe, lo baciò sulla
bocca. - Bene, ora rivestiamoci
ed andiamo a vedere come vanno le cose. DUE NUOVI ACQUISTI
Quando uscirono dalla
cabina, trovarono un pirata che aspettava. - Era ora! Pensavo che
avreste passato tutta la giornata a scopare. Felipe rimase allibito a
sentire un uomo rivolgersi così a Testapelata, ma i
rapporti sulla Liberté dovevano essere assai
diversi da quelli che regnavano sulla nave di Barbanera. Michel replicò, con un ghigno
stampato in faccia: - Potevi darti da fare
anche tu, Louis. O nessuno vuole più la tua vecchia carcassa? Louis non doveva avere più
di venticinque anni e la sua “vecchia carcassa” appariva quanto mai
appetibile, ma il pirata non replicò. Felipe lo vide solo fare una smorfia,
prima di rispondere: - Aspettavo di parlarti,
perché c’è una novità. Michel non disse nulla, si
limitò a guardarlo interrogativamente. - Due marinai della Santiago
dicono che vogliono unirsi a noi. Michel non parve molto
contento della notizia. - Dove sono? - A prua. - Va bene, andiamo a
vedere. I due spagnoli erano
entrambi non molto alti, con capelli neri, ma uno dei due non doveva avere
più di venticinque anni, mentre l’altro ne aveva almeno dieci in più. Michel
si rivolse ai due, in spagnolo: - Così voi vorreste unirvi
a noi? Il più giovane dei due
parlò: - Sì, capitano. Abbiamo
sentito parlare molto del grande Testapelata. Per
la Vergine Maria, tutti i Caraibi conoscono il più grande dei pirati. Noi
vogliamo navigare con lei, vero, Diego? L’altro annuì e rincarò la
dose: - Non ne possiamo più
della vita nella marina militare. Sempre punizioni, lavoro duro e paga da
fame. Michel li fissò. Non
sembrava convinto. - Badate a quello che
fate. Se vi catturano i vostri ex- compagni, è la forca. Ed anche se cercate
di tradire noi o se non fate il vostro dovere, è la forca. Senza nessuna
pietà. I due si guardarono ed
annuirono. Il più giovane parlò per entrambi: - Va bene, comandante.
Siamo ai suoi ordini. Agli ordini del magnifico Testapelata.
Per la Vergine Maria, che onore! Michel lo guardò ancora ed
era evidente che il suo sguardo metteva a disagio il marinaio. - Non si torna indietro.
Siete sicuri? - Sì, sì, capitano Testapelata. Non dubiti. - Va bene, allora. Ma
lascia perdere il lei, su questa nave non ci sono signori. Sapete parlare
solo spagnolo? - Sì, comandante, sa, non
abbiamo mica studiato. - Va bene, alcuni degli
uomini parlano spagnolo e ci sono anche tre spagnoli nell’equipaggio. - Grazie, comandante, le
saremo grati. Per la Vergine Maria, lei è davvero un grande capitano. - E piantala con il lei o
ti sbatto in mare! Detto questo, Michel
affidò i due nuovi venuti a Louis, che cominciò a spiegare loro il
regolamento di bordo. Uno dei due, quello che si
chiamava Diego, venne subito soprannominato Barba-di-capra
per la lunga barbetta che gli pendeva dal mento. All’altro, che nelle sue
esclamazioni invocava spesso la Madonna, venne affibbiato il soprannome di Virgen María. Michel disse subito a
Felipe: - Non ti fidare di quei
due. Non mi convincono. - Ma allora perché li hai
presi? - Perché se li rifiutavo e
volevano davvero unirsi a noi, i compagni appena arrivavano a terra li
facevano impiccare. Li metteremo alla prova. Felipe realizzò solo
allora che dovevano esserci diversi marinai spagnoli prigionieri: Testapelata non era certo il tipo da far ammazzare tutti
gli uomini catturati. - Ci sono molti
prigionieri sulla nave? - No, quelli che abbiamo
catturato prendendo la Madre de Dios li ho
già lasciati a terra, a parte due feriti gravi. In due giorni di marcia
raggiungeranno un centro abitato. Quelli della Santiago li lascio a
terra domani. - Non chiedi mai un
riscatto? - Per quei morti di fame
dei marinai? No. E neppure per gli ufficiali, di solito. Qualche volta mi è
capitato. - Che ne è stato degli
ufficiali delle due navi? - Alcuni sono morti in
combattimento, ma i più sono stati fatti prigionieri. Uno l’ho impiccato. Felipe rimase senza
parole. Michel si rese conto del suo stupore. - Sì, l’ho spogliato, ho
lasciato che i miei uomini lo inculassero e poi l’ho impiccato nudo, esattamente
come hanno fatto con quelli della Black Gull. Era un figlio di puttana e meritava di morire,
Felipe: aveva dato in pasto ai suoi uomini la moglie ed il figlio di un
pirata che aveva catturato. Aveva lasciato che i suoi uomini li violentassero
tutti e due e poi li aveva fatti impiccare, una donna che non aveva fatto
nulla di male ed un ragazzo che aveva quindici anni. Si meritava di essere
inculato, poi di crepare impiccato e finire agli squali. E comunque, Felipe,
io sono un pirata, non un santo. Felipe sorrise. - A me va bene come sei! Michel tornò a sorridere: - E poi devo dire che è un
po’ anche grazie a lui che sono arrivato in tempo a salvarti. - Che cosa intendi dire? - Quando l’abbiamo gettato
in pasto ai pescecani, uno degli altri ufficiali ci ha urlato che ci
avrebbero impiccato tutti, prima o poi, come i loro compagni stavano per fare
con quelli della Black Gull. Così ho scoperto che cos’era successo e mi sono
messo sulle vostre tracce. SULLA LIBERTÉ
La sera stava scendendo e
i pirati mangiarono un buon pasto: avevano imbarcato anche le provviste della
Santiago e il cibo certamente non mancava. Dopo la cena i pirati
incominciarono a dedicarsi alle loro solite attività serali che, come Felipe
scoprì quella prima sera, non erano molto diverse da quelle in uso tra gli
uomini di Barbanera o del Gallego. A vedere i pirati che
allegramente si divertivano, anche Felipe, nonostante l’intensa attività di
qualche ora prima, cominciò ad avvertire nuovamente appetito, ma il piatto di
carne che desiderava in quel momento era occupato altrove. Felipe rimase a
guardare, alla fioca luce delle stelle, il viluppo di ombre che si
avvinghiavano e si scioglievano, con l’accompagnamento sonoro di gemiti, rantoli,
sospiri e grida. E intanto si diceva che quando fossero tornati in cabina,
lui e Michel… - E il nostro Spadaccino
dal bel culetto non ha voglia di unirsi a noi? La proposta di un pirata, di cui Felipe poteva a malapena distinguere la faccia, lo lasciò allibito. Non aveva riflettuto sull’argomento, ma aveva pensato che in qualche modo lui era legato a Michel e che quindi nessun altro si sarebbe fatto avanti. Ma, come aveva già avuto modo di notare, Testapelata non era Barbanera. E infatti il pirata
riprese: - Testapelata
è il migliore in tutto, ma anche noi ce la caviamo. Non hai voglia di
intingere il biscotto? Felipe riuscì a tirare
fuori dalla gola un patetico: - No, grazie!
Lo salvò Michel, che stava
arrivando ed aveva sentito il secondo invito: - Ma non c’è più rispetto
su questa nave. Non posso lasciare solo Spadaccino un momento, che subito gli
ronzate intorno come mosconi. Mano-larga, io ti
appendo per il collo! Il pirata non sembrò molto
intimidito, perché replicò: - C’è posto anche per te, Testapelata. Se vuoi io e ed il Marsigliese ti mettiamo
in mezzo e facciamo un lavoretto a tre. - Fatelo con un pescecane,
il lavoro a tre. - Con te non si può mai
parlare! La cosa finì lì. Michel si
appoggiò alla murata e si mise a guardare il mare. Era una notte serena, in
cielo c’era un’infinità di stelle ed il mare era appena increspato da un
vento leggero. Il caldo della giornata aveva lasciato posto ad una deliziosa
sensazione di frescura. Felipe si mise di fianco a
Michel. Non occorreva scopare, era bello anche solo stare così. Era perfetto
stare così, di fianco a Michel. Felipe si disse che
sarebbe stato bello essere al fianco di Michel in qualsiasi posto della Terra
e di colpo ebbe paura. Lui doveva andarsene, fondare una famiglia, crescere
dei piccoli Llera. La voce di Michel lo
ricondusse al presente: - Non hai mai risposto
alla mia domanda su come ti sei trovato a bordo della Black
Gull. Ti hanno catturato? Felipe esitò un attimo, ma
non aveva motivo per nascondere la verità. - Lavoravo a Port-Royal, al Marinaio ubriaco e… - Al Marinaio ubriaco?
Allora conosco il resto della storia: è stato quel figlio di puttana di Sbatti-culo, va sempre a caccia di nuove prede in quel
lurido posto, d’accordo con quell’altro figlio di puttana del proprietario,
Trafficone lo chiamano. Quello si fa pagare per vendere carne fresca. A
proposito, che ne è stato di Sbatti-culo? - L’hanno gettato agli
squali, ancora vivo. - La fine che si è
meritata. Ed uno di questi giorni la faccio fare anche a Trafficone. Felipe sorrise. Sì, vedere
divorato dagli squali quel figlio di puttana che lo aveva venduto, non gli
sarebbe spiaciuto, per niente. La voce di Michel era più
bassa, ora: - È per quello che non vuoi… Felipe esitò. - Non solo quello… Non se la sentiva di
rivelare la verità, non conosceva Michel abbastanza. - Non devi raccontarmelo.
Dimmi piuttosto qualche cosa di te. Sei nato a Cuba o dove? - Sono nato in Spagna. - Ah! E come mai sei
venuto in America? Felipe esitò. Preferiva
non narrare la sua storia, per prudenza, ma gli dava fastidio raccontare
frottole a Michel. Decise di fornire una mezza verità: - Sono venuto in America a
cercare fortuna. - Ho notato che parli
molto bene il francese. - Ho avuto a che fare con
molti francesi. Felipe era a disagio.
Stava mentendo a Michel e, poiché questo gli dava fastidio, mentiva male.
Michel alzò le spalle e disse: - Bah, sono affari tuoi. Rimasero così un buon
momento. Felipe continuava a sentire gemiti e sospiri che risvegliavano certe
voglie anche in lui. Alla fine non fu più in grado di resistere e disse a
Michel: - Michel, che ne diresti
di raggiungere la tua cabina… Era troppo buio per vedere
l’espressione di Michel, ma Felipe era sicuro che stesse sorridendo, mentre
gli rispondeva: - Si può fare anche qui,
ma se vogliamo un po’ più d’intimità… per me va
bene. Solo per farti contento, comunque. NELLA CABINA DEL COMANDANTE: RIPRENDENDO L’ARGOMENTO Michel accese una lampada.
Lo guardava sorridendo. Lentamente, molto lentamente, cominciò a spogliarsi.
Era bello vedere quel corpo illuminato dalla luce della lampada: i movimenti
ora proiettavano ombre sul corpo, ora lo scoprivano ed il gioco di ombre
scolpiva il petto di Michel, il suo ventre, il suo sesso, le sue gambe. Felipe era rimasto
incantato a guardarlo, senza spogliarsi. Quando fu nudo, Michel restò
immobile un buon momento. Felipe si disse che era la stessa situazione del
mattino, ma a ruoli invertiti: allora era stato lui ad essere nudo e Michel
con gli abiti. Poi Michel si avvicinò a
Felipe, gli mise due mani sulle guance e lo baciò. Rapide le mani di Felipe
scesero sul culo di Michel, lo afferrarono e strinsero senza pietà. Poi la
stretta si trasformò in una carezza che saliva lungo la schiena. Michel aspettò che Felipe
si fosse fermato, poi fece un passo indietro, lo guardò e, con la stessa
lentezza con cui si era svestito, incominciò a spogliarlo. Gli mise le mani
intorno alla vita per sollevargli la camicia, ma di colpo lo strinse a sé,
tanto forte da togliergli il respiro. Infilò le mani sotto la tela, ma invece
di sollevare, si mise ad accarezzare il corpo di Felipe, poi lo graffiò.
Baciò di nuovo Felipe sulle labbra, poi si ritrasse e sollevò la camicia.
Quando l’indumento fu sulla testa di Felipe, Michel afferrò il nostro eroe e
lo fece cadere. In un attimo fu su di lui. Felipe non poteva vedere nulla, le
braccia e la testa imprigionate nella camicia, che Michel gli impediva di
togliersi. - Fermo, Felipe, fermo. Felipe ubbidì. Non sapeva
che cosa Michel volesse fare, ma aveva piena fiducia in lui. Il morso al capezzolo
destro non incrinò la fiducia, per quanto fosse doloroso, mentre la
voluttuosa carezza della lingua sull’addome gli diede un brivido. Si
abbandonò completamente a quel contatto. Le mani di Michel gli
torturano i capezzoli, strappandogli gemiti di dolore e di piacere, le mani
di Michel accarezzavano, stringevano. Le mani di Michel erano sulla cintura,
la slacciavano. Le mani di Michel scorrevano lungo i suoi fianchi,
abbassandogli i pantaloni. La lingua di Michel scendeva dall’ombelico verso
il suo sesso. Lo trovò subito, perché l’uccello aveva già aperto le ali. La
lingua di Michel percorreva l’asta tesa, facendo rabbrividire Felipe. La
lingua di Michel indugiava alla base dell’asta, risaliva, scendeva ancora,
accarezzava uno dei testicoli, colpiva l’altro, con piccoli colpi leggeri,
risaliva. D’improvviso ogni contatto
finì e Felipe si sentì abbandonato. Michel gli stava sfilando gli stivali ed
i pantaloni. Era nudo, ora, a parte la camicia sulla testa. Michel lo voltò sulla
pancia. Felipe si irrigidì. - Non temere, Felipe, non
farò nulla che tu non voglia. Felipe si rilassò. Era in
buone mani. Il morso al tallone lo
fece sussultare, non se lo aspettava, come non aveva previsto il morso alla
natica destra, le carezze che seguirono, alternate a pizzicotti ed al lavoro
della lingua. Michel gli aveva allargato
le gambe ed ora la sua lingua aveva preso a scorrere lungo il solco tra le
natiche. Raggiungeva l’apertura e la solleticava leggermente, ma non
indugiava, scendeva fino ai testicoli, risaliva. Felipe sapeva che non ci
avrebbe messo molto a venire, ormai. Anche Michel doveva averlo
capito, perché lo voltò sul dorso e gli prese in bocca la cappella
incandescente. Bastò poco, molto poco. - Sto per venire, Michel! Confusamente aveva pensato
che Michel si sarebbe ritratto, ma non fu così. La bocca di Michel non mollò
la presa e quando l’orgasmo esplose incontenibile, Michel accolse il seme.
Succhiò e leccò ancora, avidamente, fino all’ultima goccia. Solo
allora tolse la camicia dalla testa di Felipe, che ritornò a vedere. Il volto
di Michel era vicino al suo, ma quasi completamente in ombra. Istintivamente,
Felipe gli afferrò la testa, l’avvicinò alla sua e lo baciò sulle labbra. UNA SPEDIZIONE PERICOLOSA
Le due navi facevano vela
verso levante. All’orizzonte si scorgeva il profilo di Hispaniola,
appena un’ombra azzurra più scura tra il cielo ed il mare. Michel guardava verso la
costa, concentrato nei suoi pensieri. Felipe non osava parlare, aveva paura
di disturbarlo. Michel si rivolse a Petit-Jean: - È ora, fate segno a
quelli della Madre de Dios di avvicinarsi. Poi Michel si rivolse a
Felipe: - Questa sera e questa
notte io non ci sarò, come pure la maggior parte dei miei uomini. Tu puoi
dormire nella mia cabina e se vuoi divertirti un po’, tra gli uomini che
lascio non manca l’occorrente. Michel sorrideva, ma
Felipe ignorò l’ironia. - Come mai non ci sarai?
Che cosa pensi di fare? - Un mio uomo è stato
catturato e so che è prigioniero al Pendón del Rey, vicino a Barahona. Hai mai
sentito parlare di questa fortezza? Felipe scosse la testa. - È una roccaforte
imprendibile. - E tu intendi prenderla? Michel sorrise. - No, Felipe, intendo solo
riprendermi il mio uomo. Non voglio che finisca impiccato o fucilato. - E come conti di fare? - Ho una nave spagnola e
diverse divise da ufficiale spagnolo. In più una certa fantasia e molta
faccia tosta. Mi travesto da capitano spagnolo e vado al forte con tre
uomini. Ci provo. Mal che vada, invece di impiccare solo Pierre,
impiccheranno anche me ed altri tre dei miei. Ma su questa nave il motto è
tutti per uno, uno per tutti. L’evidente plagio dai Tre
moschettieri sfuggì a Felipe, che non aveva letto il romanzo (solo perché
non era ancora stato scritto: in Spagna Felipe era un grande lettore). Invece
l’idea che Michel rischiasse la vita lo spaventò. Era assurdo, non aveva
nessun senso: Testapelata rischiava la vita ogni
giorno e di certo non si risparmiava, ma ora che era al suo fianco Felipe non
poteva sopportare l’idea di dover attendere un giorno ed una notte prima di
sapere se tutto era andato bene. Dover aspettare, senza poter intervenire se
qualche cosa fosse andato storto. Parlò, senza riflettere: - Voglio venire con te! - No, Felipe. In primo
luogo è pericoloso, in secondo luogo, se tutto andrà bene, ci saranno altri
che ti avranno visto, che ricorderanno la tua faccia. Questo per un pirata
non è un problema, tanto, se ci prendono, ci impiccano comunque; ma tu non
sei un pirata, puoi ritornare a vivere da comune cittadino, in territorio
spagnolo. Felipe non intendeva
rassegnarsi. - Non ti posso essere
utile, Michel? Michel esitò un attimo,
prima di rispondere: - Non voglio che tu
rischi. Non conosci nemmeno Pierre. - Dato che ti posso essere
utile, voglio venire con te. - Non ho detto che… Felipe interruppe Michel,
temendo di perdere il vantaggio ottenuto: - L’ho capito da me.
Spiegami che cosa devo fare. - Felipe, io… - Allora, ti serve uno
spagnolo? Nessuno è più autentico di me. Non hai nessuno su questa nave che
sappia parlare lo spagnolo come me. Vuoi mica far passare Petit-Jean
per un ufficiale spagnolo? O il Marsigliese? Non è credibile. - Ho tre spagnoli nella
ciurma. E poi posso sempre usare Virgen María o Barba-di-capra. Felipe si disse che ce
l’aveva fatta. Quei due di certo Michel non contava di usarli, di questo era
sicuro. - Hai detto che di loro
non ti fidi. E poi quelli possono passare per marinai, non certo per
ufficiali. Si vede lontano un miglio che sono due zotici. - Sei testardo, eh? - Sì, e visto che lo sono,
non perdiamo tempo e spiegami che cosa intendi fare. Michel lo guardò un attimo,
scuotendo la testa. Poi disse: - E va bene, sergente
Gomez. Come preferisce. Se le piace camminare sulla corda, sarà accontentato.
Con il rischio di trovarsi a ballare ad un’estremità della corda. Ma forse
no, i condannati a morte vengono fucilati, non impiccati: solo sulle navi,
per divertire i marinai, qualche comandante fa impiccare i pirati, nello
stile inglese. Comunque, se ci tieni, affari tuoi. Vediamo se c’è una divisa
anche per te. Come ufficiale spagnolo sei l’unico davvero credibile, su questa
nave. IL PENDÓN
DEL REY
Era ormai sera quando la Madre
de Dios puntò verso la costa di Hispaniola. Una pioggia, breve ma intensa, aveva lavato
il cielo e riacceso i colori. Il profilo dell’isola era diventato molto più
nitido ed ora che la nave si avvicinava Felipe poteva scorgere le alte
scogliere della costa e, in cima ad uno sperone roccioso, una costruzione
massiccia e squadrata. Michel era di fianco a lui
e guardava nella stessa direzione. - Il Pendón
del Rey. Nessuno è mai riuscito a conquistarlo, né
dal mare, né dalla terra, anche se molti ci hanno provato. È una fortezza
poderosa. - È una prigione? - No, non ci sono
prigionieri, abitualmente. Pierre è stato portato lì perché è stato catturato
nelle vicinanze. Io l’ho saputo dagli uomini che ho catturato su questa nave.
Verrà trasferito a Santo Domingo entro pochi giorni. L’unica possibilità di
salvarlo è liberarlo ora. - Perché non l’hanno
fucilato subito? - Perché contano di
servirsene per prendere me. E magari ce la fanno, questa sera. Sei sicuro di
voler venire, Felipe? - Ho imparato a memoria la
mia parte, ho persino studiato lo spagnolo per recitarla. A questo punto se
dai la parte a qualcun altro, mi paghi lo stesso. - Vediamo se sarai
altrettanto allegro quando ti appenderanno per il collo. Felipe alzò le spalle. Non
sottovalutava il rischio, ma gli sembrava che a fianco di Testapelata
non potesse succedergli niente. Ora che si stavano
avvicinando, il Pendón del Rey
appariva in tutta la sua imponenza. Era sulla punta di un promontorio, che si
staccava dalla costa salendo progressivamente fino ad un centinaio di metri
dal suolo. Di lì la costa precipitava in una scogliera verticale, che neppure
una scimmia avrebbe potuto scalare. La grande costruzione
sembrava non avere aperture, se non quelle da cui si affacciavano i cannoni.
Le mura sembravano continuare la scogliera e si distinguevano solo perché
costruite con una pietra più scura. La Madre de Dios si avvicinò a terra, dirigendosi verso il punto
in cui il promontorio si staccava dalla costa. Lì venne calata una scialuppa
e Michel, vestito da capitano, Felipe, con la divisa da sergente, e due
marinai spagnoli raggiunsero la riva ed incominciarono a salire a piedi lungo
il sentiero, ampio ma ripido, che portava al forte. Michel camminava
lentamente, costringendo i suoi uomini a seguire la sua andatura. Una
fasciatura copriva interamente la parte superiore della sua testa e tutto il
lato sinistro, quello sfregiato dalla cicatrice, chiudendo un occhio. Anche
la mano destra era fasciata. Le bende erano macchiate di sangue e nessuno,
vedendolo, avrebbe sospettato che l’uomo che camminava lentamente, a tratti
appoggiandosi ad un soldato, fosse sano come un pesce e mortalmente pericoloso. Dopo un breve tratto,
vennero raggiunti da due uomini a cavallo, un ufficiale ed un soldato, che
scendevano dal forte. Michel si presentò, parlando con una certa fatica, come
il capitano della Madre de Dios, e disse che aveva
bisogno di vedere il comandante del forte per comunicazioni della massima
importanza. Vedendolo male in arnese,
l’ufficiale lo invitò a salire sul cavallo del soldato. Michel accettò, ma
sembrava troppo debole per riuscire a salire. Infine l’ufficiale, Felipe ed i
tre uomini riuscirono ad issarlo in sella. Michel si scusò con l’ufficiale,
sempre parlando piano, con frequenti pause: - Mi spiace, ma la ferita… mi ha indebolito, a tratti mi gira la testa… Anche la mano mi fa male…
e dire che è solo un graffio! Già scendere la scaletta della nave… per raggiungere la barca…
è stata un’impresa… - Non era il caso che
scendesse, signor capitano, poteva mandare un marinaio a chiamare qualcuno di
noi. - Devo assolutamente
parlare al comandante… in persona…
Ho da comunicare cose molto gravi… Oltre a un
invito. E qui Michel sorrise, un
sorriso stanco. - Toccava a me muovermi… e non sarà certo qualche ferita a impedirlo...
Il sangue versato per il Re non si rimpiange. L’ufficiale, vedendo che
il supposto capitano della Madre de Dios faceva
fatica a parlare, non disse più nulla e si limitò a fare strada. Man mano che si
avvicinavano alla fortezza, Felipe si sentiva sempre più a disagio.
L’edificio sembrava diventare sempre più grande ed ora che erano quasi ai
suoi piedi, le mura apparivano vertiginosamente alte. Di certo, un uomo
rinchiuso lì dentro non ne sarebbe mai uscito vivo, non senza il consenso del
comandante della rocca. E loro quattro si stavano andando a ficcare proprio
lì dentro. La luce stava affievolendosi e tra poco sarebbe diventato buio. Il
Pendón nella semi-oscurità sembrava ancora più
inquietante. Un fossato correva intorno
alla parte della fortezza che non sorgeva a picco sulla scogliera. Passarono
sul ponte ed entrarono attraverso una grande porta in un androne buio. Mentre
la porta che dava sul cortile interno veniva aperta, quella da cui erano
entrati venne chiusa. Ogni via di fuga era sbarrata. Ora erano davvero nelle
fauci del lupo. NELLE FAUCI DEL LUPO
Il comandante Hembrado li aspettava nel cortile interno: avendo visto
dagli spalti che il visitatore era il capitano della nave, aveva deciso di
accoglierlo personalmente. Era un uomo piuttosto basso e corpulento, con una
faccia larga e la testa quasi completamente calva. Felipe fu colpito dalle
grandi orecchie: non aveva mai visto dei lobi così grandi. Ci fu un saluto formale,
seguito da un breve scambio di convenevoli, mentre la piccola comitiva
entrava nell’edificio principale del forte. Poi il comandante chiese il
motivo urgente che aveva spinto il capitano della Madre de Dios a presentarsi al forte, nonostante le sue condizioni
di salute. Michel, seduto su una
sedia di fronte al comandante, mentre Felipe e l’ufficiale spagnolo
rimanevano in piedi, a rispettosa distanza, rispose: - Non credo che lei sappia
ancora… ma ci sono grandi notizie…
Dio è stato misericordioso… e ci ha permesso di
liberare questi mari… da due flagelli in due soli
giorni. - Cosa mi dice? Davvero… - Sì, due giorni fa la Madre
de Dios e la Santiago hanno affrontato… i pirati del Gallego, sulla Black Gull… Dio ci ha dato la vittoria… tutti i pirati sono rimasti uccisi durante la battaglia… o sono stati impiccati subito dopo… - Questa è davvero una
splendida notizia. - Sì, ma Dio ci ha concesso… un altro segno del suo favore…
Ieri mattina abbiamo incrociato la Liberté… - La nave di Testapelata! Vuol dire… - Sì! La Liberté è stata affondata…
Testapelata è stato catturato…
Sia lode a Dio! - Davvero sia lode a Dio.
Il mare dei Caraibi finalmente ripulito dalla feccia che lo infestava. Lei è
davvero latore di buone notizie. - Sì, ma…
mi scusi, ma… non riesco…
Gomez… continui lei… Felipe si avvicinò ed
intervenne: - Una ventina di uomini
della Liberté riuscirono a sfuggire alla
cattura e raggiunsero l’isola, approfittando della distruzione della Santiago,
il prezzo che pagammo per la cattura di Testapelata
e l’affondamento della Liberté. Il capitano
ritiene che, essendo quei pirati sbarcati lungo questa costa, essi possano
spingersi in questa direzione. Voleva avvisarla e chiederle di allertare le
altre guarnigioni, in modo che si riesca a catturare quegli infami e ad
assicurarli alla giustizia. - Sarà certamente fatto.
Li cattureremo, non ne dubiti. Michel riprese a parlare. - Un’ultima cosa… Domani mattina… per
grazia di Dio… impiccheremo…
Testapelata... Volevo invitarla…
di persona… Sono anni che aspettavo questo momento. Il comandante si alzò in
piedi e cominciò a camminare avanti e indietro, incapace di contenere la sua
eccitazione. - Non mancherò, come
potrei? È una soddisfazione immensa per tutti noi. Vedere impiccare Testapelata. Che meraviglia! Domani mattina. Certamente. Michel annuì e sorrise,
senza replicare, come se fosse stato troppo stanco per riuscire ancora a
rispondere. - A proposito, capitano,
sa che abbiamo un uomo di Testapelata qui? È stato
catturato a Neiba. Contavamo di portarlo a Santo
Domingo, perché gli strappassero qualche informazione utile per catturare Testapelata. Ma ora è superfluo. Possiamo fucilarlo anche
domani. Michel annuì e riprese: - Sì…
giustiziamoli… insieme… - Facciamo in questo modo.
Domani mattina, prima di tornare alla nave…, perché
questa notte dormirà qui, è ovvio, non è in condizioni di tornare alla nave,
domani mattina fuciliamo qui l’uomo di Testapelata,
poi sulla sua nave impicchiamo Testapelata. Michel annuì. - Va benissimo. Felipe era un po’
perplesso, ma si guardò bene dall’interferire. Se avessero fucilato quel
Pierre in mattinata, a nulla sarebbe servito portare il comandante del forte
sulla nave. Che cosa aveva in testa Michel? Probabilmente l’idea giusta.
Sarebbe stato a vedere. IL PRIGIONIERO
Michel e Felipe mangiarono
con il comandante e gli ufficiali, mentre i due pirati si sorbivano il cibo,
non precisamente entusiasmante, della truppa. Michel sembrava mangiare a
fatica, ma dopo il pasto si alzò con maggiore energia. - Mi sento meglio, ora…
Comandante, mi piacerebbe vedere questo prigioniero, l’uomo di Testapelata. - Ma certo, sarà un
piacere. Michel, Felipe, il
comandante ed un ufficiale, un certo Ruiz, scesero
nei sotterranei della fortezza. Nel suo insieme il Pendón del Rey non era certo un
posto accogliente, ma a Felipe, che non aveva mai visto una prigione, i
sotterranei apparvero quanto di più sinistro si potesse immaginare. Solo la
torcia portata da un soldato illuminava il corridoio, il cui soffitto era
tanto basso che Ruiz, il più alto del gruppo, lo
sfiorava con la testa. Nessuna apertura lungo il corridoio, se non le porte
delle celle. Entrarono nella terza
cella, uno stambugio maleodorante. Alla luce della torcia poterono vedere
contro la parete il prigioniero, Pierre. Era un uomo, piuttosto alto e
snello. Indossava una camicia lercia, ridotta a brandelli, ed un paio di
pantaloni scuri, anch’essi rotti in più punti ed infangati. Era seduto a
terra, le catene ai piedi, le mani dietro la schiena. Quando li vide entrare
Pierre si alzò, con una certa fatica. Felipe lo vide in viso. Era bellissimo,
di una bellezza maschia, selvaggia, che lo lasciò senza parole. Senza capire
il perché, Felipe si sentì inadeguato. Michel si mise davanti a
Pierre, ad una spanna. Felipe gli si mise di fianco, in modo da impedire agli
altri di avvicinarsi e di sentire ciò che Michel avrebbe potuto sussurrare.
Ma Michel parlò ad alta voce: - E così, questo è… un uomo di Testapelata. Il comandante, che era
rimasto indietro, rispose: - Sì, anche se nega. Michel rise, una risata
aspra, che finì in una tosse convulsa. Sembrò impiegare un bel momento prima
di rimettersi. - Ragazzo, domani sarai fucilato… I tuoi compagni… sono
tutti morti… E domani impiccheremo Testapelata… È sulla mia nave…
L’ho catturato io. Pierre fissava Michel. Non
aveva dato segno di riconoscerlo, ma sicuramente sapeva benissimo chi aveva
di fronte. Si stava solo chiedendo come doveva fare, per assecondare il gioco
del suo capitano. Michel glielo sibilò, con
un tono di voce tale che neppure Felipe udì pienamente: lo lesse piuttosto
sulle labbra. - Non è vero. Insulti.
Sputi. Pierre lo guardò un
momento con odio, poi cominciò ad urlare: - Non ci credo, lurido
porco bastardo. Non ci credo. Testapelata non può
essersi fatto fottere da uno come te. È un trucco, maiale di merda. Non ci
credo. Poi Pierre sputò in faccia
a Michel, che fece un passo indietro e si passò il dorso della mano sulla guancia.
Ruiz balzò in avanti e mollò a Pierre un pugno
nello stomaco. Pierre emise un gemito e
si piegò in due. Michel alzò la mano,
facendo cenno a Ruiz di non infierire. - Lasci stare... Non mi
preoccupo per così poco… Andiamo. Uscirono. Il comandante
era mortificato. Mentre un soldato chiudeva la cella, disse: - Mi spiace. Domani, prima
di fucilarlo lo facciamo frustare. Michel parve rimanere
pensieroso un momento, poi scosse la testa. - Ho un’idea migliore… Portiamolo sulla nave…
Niente di peggio per lui… che vedere il suo capo impiccato… prima di affrontare il plotone…
Che ne dice? Oppure lo… impicchiamo…
sulla nave. Il comandante annuì. - Sì, mi sembra una buona
idea. Felipe si disse che Michel
era un genio. Era fatta. UN IMPREVISTO
Tornando indietro,
ripassarono davanti alle altre due celle. Il comandante scosse la testa e
disse: - Questo è un altro bel
problema! Michel si fermò e gli
chiese: - Che cosa? - Due miei uomini, un
ufficiale, dico: un ufficiale, e un soldato semplice. Li ho fatti incarcerare
proprio questa mattina. - Che cosa hanno fatto? Il comandante fece una
smorfia di disgusto. - Ruiz
li ha sorpresi insieme. Sodomia. L’orrore che si dipinse
sulla faccia di Michel gli sarebbe senz’altro valso un Oscar per la migliore
interpretazione drammatica, se solo fosse vissuto un due secoli dopo. Felipe
fece fatica a non mettersi a ridere. - Ma è orrendo…
Non avrei mai pensato… che Dio ci perdoni… - L’ufficiale, Valenciano, è una testa calda, uno che non ha il senso
della disciplina, sempre dalla parte dei soldati. Un elemento pericoloso. Sapevo
che prima o poi sarebbe finito ai ferri. Ma questo è peggio. - Che cosa conta di fare? - Li ho condannati ad
essere fustigati. Duecento frustate. Felipe sentì un brivido
corrergli lungo la schiena. Michel annuì. - Sì, duecento frustate… non reggeranno… la
morte è la punizione giusta… per un tale peccato… degradante… le loro
anime andranno all’inferno… Che Dio abbia pietà di noi… che vergogna per il Re… Il comandante annuì, lieto
della comprensione dimostrata da Michel, che doveva apparirgli sempre più
un’ottima persona. - Il problema è che Valenciano è molto popolare tra gli uomini. Temo che la
punizione possa creare agitazione: chi eseguirà l’ordine, provocandone la
morte, avrà tutti gli altri contro. Ma questi due devono morire, non può
essere altrimenti. L’esempio è necessario. E poi quel Valenciano
va eliminato, in ogni caso. - Ho un’idea… forse possiamo… - Sì? Che cosa pensa? - Domani mattina… portiamo anche loro sulla nave…
li faremo fustigare lì... Da uno dei miei uomini…
Le garantisco… che non arriveranno vivi… alla centesima frustata. Se Dio vuole…
li getteremo in mare… come Testapelata…
Ai suoi uomini dirà… che noi li portiamo…
alla capitale… per il processo… - Mi ha risolto il
problema! Capitano, lei è un genio! Felipe fu contento di
sapere che il comandante la pensava come lui. Anche se aveva il sospetto che
il giorno seguente il comandante non sarebbe stato altrettanto soddisfatto
della genialità di Testapelata. Michel si appoggiò a lui,
come se fosse esausto. Il comandante li accompagnò nella camera che aveva
messo a loro disposizione. Il fedele Gomez avrebbe dormito con il suo
capitano, per aiutarlo, nel caso si fosse sentito male. Il capitano della Madre
de Dios finì la sua recita scusandosi: - Spero…
di non disturbare questa notte… quando mi stendo… il dolore … diventa intollerabile…
Ogni movimento… mi lamento spesso. - Non si preoccupi,
capitano, i muri sono spessi e non sarà certo qualche gemito a toglierci il
sonno. Piuttosto, siamo tutti talmente impazienti di vedere impiccare Testapelata, che probabilmente non dormiremo. NOTTE AL PENDÓN DEL REY
Nella stanza Michel e
Felipe continuarono a parlare spagnolo: era estremamente improbabile che
qualcuno potesse ascoltare i loro discorsi, ma Michel aveva dato istruzioni
precise a Felipe, per non correre rischi. - L’aiuto a spogliarla,
capitano. - Grazie, sergente… Non è un compito per un ufficiale…
ma non sono in condizione di rifiutare… E con un gesto, appena
accennato, ma sufficientemente chiaro per Felipe, Michel indicò il rigonfio
promettente della patta. Felipe aiutò un Michel
molto acciaccato a togliersi gli indumenti, lasciandogli però la biancheria.
Dopo essersi spogliato a sua volta, Felipe spense la candela. Al buio finì di
spogliarsi. Felipe si avvicinò al
letto su cui si era steso Michel. - Ha bisogno di qualche
cosa, capitano? - Ho un dolore alla schiena… ma non so se può aiutarmi… Felipe tese la mano e
incontrò le pelle di Michel. La sensazione di calore che gli trasmise quel
contatto fu molto piacevole e lo scoprire, passando la mano, che quella pelle
apparteneva al culo del suo capitano gli fece ancora più piacere. Accarezzò un po’, poi
mordicchiò, poi morse deciso, strappando due gemiti. - Soffre molto, capitano? - No, no, scusi se la
tengo sveglio… lei ha bisogno di dormire… Felipe lavorò un po’ la
morbida materia che aveva tra le mani: pizzicotti e morsi si susseguirono,
mentre Michel gemeva più forte. - È così doloroso,
capitano? - Non ce la faccio più… Felipe capì l’antifona e
si inumidì due dita. Preparò con cura il terreno, memore delle lezioni. Poi
si affacciò sull’uscio posteriore, trovò la porta aperta ed entrò. Michel gemette, ma non era
un gemito di dolore. - Soffre molto, capitano? - È duro, è duro. Sì, era effettivamente
duro. Felipe sorrise nel buio e spinse più a fondo, strappando nuovi gemiti. - Posso fare qualche cosa
per lei, capitano? - No, non si preoccupi… per me… È molto duro… Felipe non poteva che
essere d’accordo, lo sentiva anche lui che era duro, molto duro, e scivolava
dentro quella carne avvolgente e calda come una lama di coltello nel burro. Ogni tanto Felipe
mordicchiava una spalla del suo capitano o il collo. Talvolta stringeva con
decisione il culo, talvolta accarezzava. Ed intanto il desiderio urlava
dentro di lui e la sua arma avanzava ed arretrava, spingendosi in profondità
e poi lasciando quasi libero il campo. Quando infine il desiderio
divenne troppo incalzante, Felipe si mise a spingere con tutte le sue forze,
strappando una serie di gemiti al povero capitano sofferente. Il piacere esplose, con
una violenza che per un attimo gli sembrò accendere scintille nel buio della
stanza. Strinse con decisione il culo del suo capitano, provocando un nuovo
lamento. Abbandonato su Michel,
esausto, Felipe gli sussurrò: - Capitano, soffre ancora
molto? L’ho sentita gemere. - Ora è meno duro… Ma è ancora forte… Non se
ne va facilmente. Mi tiene stretto… Proseguirono a lungo ed i
gemiti del povero capitano furono sentiti anche nelle stanze vicine. Solo diverse ore dopo
Felipe ritornò nel suo letto. - Mi spiace…
le ho impedito di dormire.. con i miei gemiti… - Capitano, non si
preoccupi. Per darle sollievo sarei disposto a tutto… ALTRI IMPREVISTI
Il tenente Ignacio Valenciano non aveva
dormito quasi nulla, quella notte. Aveva sentito la conversazione avvenuta
davanti alla sua cella, tra il comandante della fortezza ed il capitano di
una nave. L’angoscia lo stringeva.
Stava per morire, una morte orrenda. E la stessa morte sarebbe toccata a Ramón. L’idea che Ramón morisse
lo faceva soffrire più del pensiero della propria fine. Era colpa sua,
avrebbe dovuto pensare che i suoi superiori diffidavano di lui e cercavano
solo un’occasione per impiccarlo. Ruiz in
particolare lo odiava, perché lui difendeva i soldati dai suoi soprusi. Aveva commesso una
bestialità ad abbracciare la carriera militare. Ed ora pagava, ma pagava
anche Ramón. Sentì i passi nel
corridoio. I soldati fecero uscire prima il pirata. Nei giorni in cui l’uomo
era stato prigioniero, Ignacio si era trovato più
volte a porsi domande. Aveva sentito parlare molto di Testapelata.
E gli sembrava che quell’uomo fosse molto migliore dei suoi superiori. Ora stavano aprendo la
cella di Ramón, di fianco alla sua. Il giorno prima
non erano riusciti a parlarsi: quei muri erano troppo spessi per permettere
di comunicare. Avrebbe dovuto urlare per farsi sentire da Ramón
e l’unico risultato sarebbe stato quello di essere percosso e di far
percuotere anche Ramón. Stavano aprendo la sua
cella, ora. Bene, era giunto il momento di morire. Vide appena di schiena Ramón, che cercò di voltarsi, ma fu spinto in avanti da
uno dei soldati. Senza permettere loro di
fermarsi, li portarono fino all’ingresso, dove intanto stavano arrivando
anche il comandante, Ruiz, quell’altro bastardo di Vella ed alcuni soldati. Li guardò. Doveva averli scelti Ruiz, perché erano i più pavidi, incapaci di disubbidire
ad un ordine. L’ufficiale che arrivava a
cavallo doveva essere il capitano della nave. Era bendato e sembrava reggersi
a fatica. Quello almeno doveva avere combattuto, non era come quel poltrone
vigliacco di Hembrado. Le porte del forte vennero
aperte e la comitiva si incamminò. I cinque ufficiali a cavallo, loro tre
prigionieri a piedi, scortati ognuno da quattro soldati. In più due marinai
che non aveva mai visto, che certamente erano arrivati con il capitano della
nave. Ignacio si chiese se non cercare di fuggire: gli
avrebbero sparato, ma almeno l’avrebbe fatta finita. Ma era assurdo: era
legato e l’avrebbero fermato senza bisogno di sparargli. Scendendo verso la
spiaggia, vide che dalla nave si staccava una scialuppa. Arrivarono rapidamente in
riva al mare. I soldati imbarcarono i tre prigionieri, poi scesero e rimasero
sulla riva, mentre gli ufficiali ed i due marinai salivano. Ramón era seduto dietro di lui, la schiena
contro la sua, per cui non poteva vederlo, ma sentiva il calore del suo
corpo. Le loro mani si intrecciarono. Per l’ultima volta. Hembrado continuava a parlare: era evidentemente
felice. Ignacio avrebbe voluto farlo tacere, non lo
sopportava. - Non sa quanto le sono
riconoscente, capitano, per la sua disponibilità. La Spagna le deve molto. Ed
io le sarò sempre grato. Ignacio guardò il capitano della nave. Poteva
vederlo bene, ora. Aveva la testa tutta bendata, ma i lineamenti e
soprattutto lo sguardo dell’occhio non fasciato esprimevano forza e determinazione.
Non doveva essere un uomo da poco, quello. Arrivati alla nave, il
capitano fece salire per primo il suo ufficiale. Poi fu il turno di Hembrado ed infine del capitano stesso, che, con estrema
fatica, aiutato da uno dei suoi uomini, si arrampicò per la scaletta. Ci mise
molto tempo. Ignacio si disse che era un po’ di tempo in più
che gli restava da vivere. Ma era soltanto un’altra tortura. Poi salirono Ruiz e Vella e finalmente Ignacio poté voltarsi. Anche Ramón
si voltò ed i loro sguardi si incrociarono. - Mi spiace, Ramón, andiamo alla morte. Ramón gli sorrise, scuotendo la testa. In quel momento uno dei
marinai gli tagliò la corda che gli legava le mani dietro la schiena e gli
sussurrò: - Non temere. Il prigioniero era già in
piedi, anche lui con le mani libere. Ignacio si
chiese se non gettarsi in acqua e cercare di fuggire. Ma a riva c’erano i
soldati, sulla nave i marinai erano armati e poi le parole del marinaio gli
avevano fatto nascere una folle speranza. Il prigioniero gli indicò
con un cenno la scaletta e Ignacio si arrampicò
velocemente, seguito da Ramón, dal prigioniero e
dai due marinai. Sul ponte della nave
c’erano molti marinai ed alcuni ufficiali. Hembrado sorrideva. - Allora, possiamo vedere
il famoso Testapelata? Sono impaziente. - La soddisfo subito,
comandante. La voce del capitano era
diversa, ora, forte, senza incertezze. Ed altrettanta sicurezza c’era nel
movimento con cui estrasse il pugnale e si tagliò le bende che gli coprivano
il volto. Ignacio intuì immediatamente e la sua prima
sensazione fu di ammirazione. Poi provò sgomento di fronte alla potenza di
quell’uomo, ma non paura. Inchinandosi leggermente
di fronte a Hembrado, il falso capitano si
presentò: - Eccole, come promesso,
il pirata Testapelata, in persona. Gli uomini di Testapelata avevano già bloccato Ruiz,
Valle e Hembrado, che era rimasto senza parole. A reagire fu Ruiz, mentre cercava di divincolarsi: - Vigliacco, ci hai
catturato a tradimento! Testapelata rise. - Certo, sono un pirata,
non un guerriero, io. Ruiz continuava a dimenarsi, cercando di
sfuggire agli uomini che lo tenevano saldamente fermo: - Non sei leale, sei un
vigliacco. Battiti con me, se hai il coraggio. Testapelata gli si avvicinò: - Bada, può costarti caro. - Se non sei un vigliacco,
battiti. - Va bene. Ci batteremo.
Se vinci tu, avrai la libertà, anche se mi uccidi. Ma se vinco io, pagherai
un prezzo salato. Ignacio era sicuro che Testapelata
avrebbe vinto. Ruiz era forte e deciso, ma era
anche un presuntuoso e si sopravvalutava. Ad un cenno di Testapelata gli uomini lasciarono Ruiz
e gli resero la spada, mentre Testapelata estraeva
la sua. Ruiz si scagliò su di lui come un toro alla
corrida, ma Testapelata scartò appena, deviando la
lama con facilità. Quell’unico scambio fu più che sufficiente per Ignacio: era un duello chiaramente impari. Testapelata lasciò che Ruiz
si scagliasse su di lui, limitandosi a parare senza sforzo i colpi. In breve Ruiz fu tutto sudato, mentre Testapelata
non mostrava segno di fatica. Poi, mentre Ruiz si slanciava su di lui, con un movimento rapido Testapelata lo ferì alla mano, gli fece saltare via la
spada e gli puntò la propria alla gola. Testapelata non disse nulla, fece appena un gesto ai
suoi uomini, che si impadronirono nuovamente di Ruiz. Ignacio si disse che ora le vite dei cinque
uomini del forte erano tutte nelle mani di un pirata, ma guardando Testapelata si sentì perfettamente tranquillo. Era in
buone mani e lui e Ramón non avevano niente da
temere. Invece non avrebbe voluto essere al posto di Hembrado
o di Ruiz. L’ESECUZIONE
- Spogliateli. Felipe osservò i suoi
compagni spogliare i tre ufficiali. In un attimo i tre furono nudi come
vermi. Il comandante era davvero
una palla di lardo, quasi completamente glabro. Ruiz
invece era robusto, ma non grasso, e molto peloso. Il terzo ufficiale, Vella, era magro e più giovane degli altri due. A Felipe
stava particolarmente antipatico perché durante la discesa dal forte lo aveva
sentito esprimere tutta la sua soddisfazione all’idea di assistere
all’impiccagione di Testapelata e poi alla
fustigazione fino alla morte dell’ufficiale e del soldato. - Legate il comandante
all’albero. Michel si avvicinò al
comandante, che era ancora troppo sbalordito per riuscire a spiccicare una
parola. - Comandante Hembrado, lei certamente mi riterrà poco cortese per il
trattamento che le infliggo dopo essere stato suo ospite. Devo dire che non
era mia intenzione umiliarla in questo modo, ma visto che lei ed i suoi
uomini volevano assistere ad un’impiccagione e a due fustigazioni a morte,
riterrei villano lasciarli andare via del tutto a bocca asciutta. Felipe si chiese quante
frustate avrebbe inflitto. Conoscendo Michel, si disse che non sarebbero state
molte: non intendeva uccidere, ma punire. Gros-Jean si tolse la camicia, mettendo in mostra
il suo torace villoso. Felipe pensò che nella parte di boia era perfetto. Michel gli disse qualche
cosa e Gros-Jean frustò con tutta la sua forza il
culo del comandante. Al quarto colpo il comandante si pisciò addosso. Gros-Jean continuò, fino al decimo colpo, tutti al culo.
Il grosso culo di Hembrado era attraversato da
strisce rosse ed in diversi punti il sangue colava dalla pelle lacerata. Fu poi il turno di Vella, che cercò di resistere mentre lo legavano e
maledisse tutti, assicurando che sarebbero presto morti, che li avrebbe
impiccati tutti lui stesso. Gli insulti proseguirono ancora durante i primi
quattro colpi, poi divennero gemiti ed infine, all’ottavo colpo, urla. Vella urlava, supplicava, chiedeva pietà, ma i colpi
continuarono, fino al quindicesimo. Già al tredicesimo Vella
perse il controllo degli sfinteri. Ruiz affrontò la fustigazione in silenzio.
Anche a lui spettarono quindici colpi sul culo. Quando però ebbe finito, Testapelata parlò: - Quest’uomo ha denunciato
un altro ufficiale ed un soldato per sodomia e contava di vederli morire qui,
oggi. Qualcuno vuole provare a convincerlo che non è poi un’attività così
riprovevole? Felipe non capì subito, ma
Gros-Jean, il Marsigliese e Paco si proposero
entusiasti. Il compito di sverginare
il culo di Ruiz spettò a Gros-Jean,
che già lo aveva fatto sanguinare abbondantemente con la frusta. Si calò i
pantaloni, mettendo in mostra un’arma già in tiro e, prima che Ruiz potesse rendersene conto, glielo infilò, lentamente,
ma in modo continuo. Felipe vide il corpo di Ruiz tendersi, cercando di sfuggire alla lama che gli
entrava nella carne. Gros-Jean si prese i suoi
tempi: sulla Liberté (e sulla Madre de Dios, da quando era in mano dei pirati) non capitava
spesso di sverginare. Dopo di lui si fece avanti
il Marsigliese e poi Paco completò l’opera. Paco aveva un arnese di
prim’ordine e ci diede dentro. Ma non si limitò ad entrare dall’ingresso
posteriore, lungo una via ormai già aperta e resa sdrucciolevole dai
precursori: avanzò deciso con le mani e cominciò a lavorare l’asta
dell’ufficiale, tra le risate dei pirati. Ad un certo punto a Felipe vide
nuovamente Ruiz tendersi ed intuì. Michel diede a
tutti la conferma. - Vede, sergente, che la
sodomia non è poi così male? Quando Paco fu venuto, Ruiz venne liberato. Teneva gli occhi bassi, ma la
macchia di sborro sul suo ventre e il turgore del suo membro non lasciavano
dubbi su ciò che era avvenuto. I tre ufficiali furono
accompagnati alla scaletta e scesero nella scialuppa. Si muovevano con non
minore fatica di Michel quando era salito, ma nel loro caso la difficoltà era
autentica. Guardando la costa, Felipe
si accorse che si erano allontanati abbastanza da riva: probabilmente per
essere al di fuori della portata dei cannoni del forte, anche se era
difficile che dal forte sparassero mentre il comandante era a bordo. Ora a quei tre toccava
remare fino a riva, un bel pezzo, senza nemmeno riuscire a sedersi. E poi
comparire davanti ai loro soldati nudi come vermi e con il culo a strisce
rosse. Tutto il forte avrebbe saputo ed avrebbe riso alle loro spalle.
Difficile comandare degli uomini che ti hanno visto nudo con il culo a
strisce. E probabilmente dal forte avevano seguito la fustigazione con un
cannocchiale ed avevano visto che Ruiz era stato
inculato. Felipe non li invidiava. Ma non li compativa neanche. Avevano avuto
quello che si meritavano. |