3.

 

PARTE II – SULLA NAVE DEL GALLEGO

 

NEI CARAIBI

 

A Norfolk ci furono subito dei problemi per la divisione della ricompensa prevista per l’uccisione di Barbanera: Maynard voleva che essa venisse divisa solo tra gli uomini che avevano combattuto, ma la sua proposta provocò la reazione di coloro che avevano preso parte alla spedizione senza combattere. Felipe non voleva aspettare che la faccenda venisse risolta (aveva ragione: ci vollero quattro anni) e Maynard gli anticipò una parte della sua quota. La somma non era grande, ma sufficiente per raggiungere le Antille e vivere per un po’, senza l’assillo di trovare immediatamente un lavoro per sopravvivere.

C’era una nave che sarebbe partita due giorni dopo. Era diretta a Port-Royal, nella Giamaica. Felipe sapeva che nella città un tempo si ritrovavano i pirati di tutte le Antille, ma la situazione era cambiata: i pirati non erano più i benvenuti nemmeno a Port-Royal, anche se molti vi soggiornavano ancora.

Comunque fosse, non aveva importanza. Felipe contava di non aver nulla a che fare con i pirati per il resto della sua vita. Il viaggio fino alla Giamaica presentava ancora qualche rischio: il Gallego e Testapelata incrociavano in quell’area e lui non ci teneva ad incontrare nessuno dei due. No, neppure Testapelata, che pure aveva molto ammirato, un tempo, prima di conoscerlo direttamente: quell’animale che aveva visto all’opera nel bordello non aveva proprio voglia di conoscerlo più da vicino. Lui con Testapelata non voleva avere più niente a che fare.

Lui alla Giamaica non contava di rimanere  a lungo: l’isola non era lontana da Cuba o dal possedimento spagnolo di Santo Domingo e Felipe contava di trovare un secondo passaggio, anche se i contatti tra i domini inglesi e quelli spagnoli erano rari. Comunque non erano tempi di guerra, per cui in qualche modo sarebbe riuscito ad arrivare, magari con una nave di contrabbandieri, se occorreva. Dopo di che, basta con i mari e con le navi: vita sedentaria. Qualunque lavoro, purché a terra.

Il viaggio fino a Port-Royal si svolse senza incidenti di nessun tipo ed il mare fu quasi sempre abbastanza tranquillo. Felipe vi lesse un segno di buon augurio.

Come aveva fatto arrivando a Norfolk, si mise alla ricerca di un lavoro. Questa volta aveva un po’ di denaro, ma non voleva spenderlo tutto: doveva ancora pagarsi un viaggio e nella sua nuova patria, a Cuba o a Santo Domingo, doveva essere in grado di vivere fino a quando non avesse trovato un lavoro.

Cominciò perciò a girare per taverne e locande, dove un uomo come lui, che aveva una certa esperienza e conosceva più lingue, poteva servire.

Ed infatti trovò lavoro facilmente, la sera stessa del giorno in cui era arrivato, alla taverna del Marinaio ubriaco: avrebbe incominciato il giorno dopo e per quella notte avrebbe potuto dormire nella bettola. Anche questo apparve a Felipe un segno favorevole del destino, ma il suo lavoro ed il destino favorevole durarono entrambi molto poco: meno di ventiquattr’ore.

E dopo l’esperienza Felipe divenne molto più diffidente nel leggere i segni del destino.

 

LA TAVERNA DEL MARINAIO UBRIACO

 

Il Marinaio ubriaco era una taverna tra le più malfamate di Port-Royal, il che è come dire una delle zone più aride del Sahara. Se Felipe aveva trovato subito lavoro, era perché i servitori duravano poco: qualcuno, più avveduto, se ne andava molto in fretta, appena capiva che aria tirava; qualcuno si beccava una coltellata in una delle frequenti risse e cambiava lavoro o usciva dalla porta con i piedi in avanti, diretto al camposanto; qualcuno spariva senza che si sapesse dove era finito.

Ma tutto questo Felipe non fece in tempo a scoprirlo, non prima almeno che il suo posto di lavoro diventasse nuovamente disponibile.

 

Nel pomeriggio la taverna si era animata ed era difficile trovare un posto a sedere. Quel primo giorno di lavoro c’erano già state due risse, fortunatamente concluse con un bilancio molto limitato: un buon numero di lividi, qualche labbro spaccato, tre denti in meno, una certa quantità di sangue, ma proveniente da nasi o labbra.

Felipe si stava chiedendo se non fosse meglio trasferirsi a Kingston, che non era lontana, dove forse la situazione era un po’ più tranquilla, quando entrò un uomo massiccio, che si sedette ad un tavolo, spingendo da parte l’avventore che stava tranquillamente bevendo. Questi fece per reagire, ma quando vide l’uomo in faccia, cambiò idea.

L’uomo urlò che voleva del rhum e Felipe glielo portò. Sentì che l’uomo urlava al proprietario:

- Un nuovo servitore, Jules?

- Già, fresco fresco dalla Virginia.

Felipe non badò all’uomo e continuò con il suo lavoro, che diventava frenetico. Non era facile stare dietro a tutti, in quel caos di urla e bestemmie.

Un po’ più tardi vide che l’uomo stava guardandolo, mentre parlava con Elisabeth, ed annuiva. Poco dopo, quando Felipe gli passò vicino, dopo aver portato una bottiglia, l’uomo lo bloccò per il polso.

- Siediti a bere con me, ragazzo.

A Felipe quel contatto diede fastidio. Inoltre non poteva certo sedersi con un cliente: il padrone lo avrebbe pelato vivo. E quell’uomo non gli ispirava nessuna fiducia.

- Non posso sedermi mentre sono al lavoro. Il padrone non vuole.    

Cercò di liberare il braccio, ma l’uomo sorrise e si rivolse al padrone.

- Jules, vero che il tuo servitore può bere un bicchiere con me?

Con stupore di Felipe, il padrone non disse di no. Pose invece un’altra domanda, di cui Felipe non colse il senso.

- Come al solito?

- Certo!

Lo scambio di battute tra i due lo lasciò perplesso.

- Siediti, ragazzo.

Felipe non aveva nessuna voglia di parlare con quell’uomo, ma due minuti di riposo non erano una cattiva idea.

- Allora, come mai sei venuto a Port-Royal?

Non aveva nessuna intenzione di raccontare a quel tipo i suoi progetti. Alzò le spalle.

- Un posto vale un altro.

- Un uccellino mi ha detto che vuoi andare all’Havana.

Felipe lanciò un’occhiataccia ad Elisabeth. La vecchia Beth aveva davvero la lingua troppo lunga, ma lui non poteva lamentarsi: era stato uno sciocco a confidarsi con lei. Ma Beth era gentile, lui si sentiva molto solo e gli aveva fatto piacere scambiare due parole.

- Io posso aiutarti. Lavoro su una nave che è diretta proprio all’Havana e c’è bisogno di un mozzo. In questo modo non devi neppure pagare il passaggio.

L’offerta era quanto mai allettante, ma provenendo da quel ceffo da galera, Felipe non si fidava. Decise di rimanere sul vago.

- Grazie, ci penserò.

- La nave partirà questa notte. Non puoi pensarci molto.

- Allora grazie, ma la risposta è no. Sono appena arrivato, preferisco rimanere qualche giorno qui.

- Non sono molte le navi che vanno direttamente all’Havana: i contatti tra le colonie inglesi e quelle spagnole sono ostacolati dai governi.

- Grazie, ma non ho fretta. Ora però devo tornare a lavorare.

Felipe si alzò. L’uomo lo guardò, poi sorrise e disse:

- Se hai tanta fretta di lavorare, non ti trattengo, ma almeno bevi un altro bicchiere con me.

Prima che Felipe avesse potuto dire di no, fece un segno al proprietario, che portò due bicchieri di vino. Felipe rimase un po’ stupito. Si vede che quel tipo doveva essere davvero amico del proprietario.

Bevve il suo bicchiere, mentre l’uomo lo guardava e sorrideva.

- Ora devo proprio andare.

L’uomo gli sorrise, mentre tracannava il vino ed una goccia gli scendeva dall’angolo della bocca. Posò il bicchiere, si asciugò il mento con il dorso della mano e rimase a guardarlo, sempre sorridendo. Felipe fu un po’ stupito che l’uomo non cercasse di proseguire la conversazione, in fondo gli aveva pagato un bicchiere di vino per farlo stare ancora un momento. Salutò e riprese il lavoro.

Si sentiva stanco, però, più di prima. L’essersi seduto qualche minuto doveva aver tirato fuori tutta la stanchezza della giornata. Niente di strano, aveva lavorato tutto il tempo ed era arrivato solo il giorno prima. Ma la stanchezza andava rapidamente crescendo. Che cosa gli succedeva? La testa gli girava e faticava a reggersi in piedi.

Si rese conto che c’era qualche cosa d’anomalo. Guardò verso l’uomo che aveva bevuto. Stava fissandolo e rideva. Nel vino ci doveva essere qualche cosa. Ce lo doveva aver messo il padrone. Fece in tempo a mormorare:

- Quel bastardo…

Non completò la frase, perché tutto roteava vorticosamente intorno a lui. Si appoggiò ad un tavolo, ma non riusciva a reggersi.

Qualcuno vicino a lui rise e disse:

- Carne fresca per Sbatti-culo!

Mentre scivolava per terra, si rese conto che l’uomo si era avvicinato e lo stava prendendo tra le braccia.

 

LE APPARENZE INGANNANO

 

Sabbtic3

 

Sbatti-culo uscì dall’osteria tutto contento. Aveva alleggerito il borsellino, sganciando al suo compare Trafficone, il proprietario del Marinaio ubriaco, due belle monete d’oro, ma sulle spalle portava una merce di valore. Quel giovane gli era piaciuto subito. Aveva un gran bel culo, stretto, con le natiche muscolose, e doveva essere sicuramente vergine. Non era il tipo da farselo mettere in culo, quello.

Su Trafficone si poteva sempre contare: era un asso per procurargli un po’ di carne fresca. Li assumeva come piacevano a lui: giovani, magari non belli di faccia, quello non aveva importanza, ma con un bel corpo. Che gliene fotteva della faccia? Lui li stendeva a pancia in giù e la faccia mica si vedeva. Trafficone era proprio un maestro nel fornirgli la selvaggina già cotta al punto giusto. Ed anche quel ragazzo gli era caduto in grembo senza difficoltà.

Mentre camminava per la strada con la sua preda in spalla, come fosse un sacco di patate, Sbatti-culo si guardava intorno. Qualcuno osservava incuriosito il peso che lui si portava, ma nessuno diceva niente. Sbatti-culo sapeva che la sua faccia scoraggiava gli impiccioni e ne era ben contento.

Al porto incrociò due guardie, che si avvicinarono. Sbatti-culo le conosceva e sapeva che quei due non avevano nessuna voglia di mettersi nei guai. Lo fermavano per dimostrare che facevano il loro dovere, ma niente di più.

- Chi è quest’uomo?

Sbatti-culo sfoderò il suo sorriso, non precisamente smagliante per la mancanza di diversi denti ed il colore tra il giallo ed il marrone degli altri.

- Un amico mio che si è ubriacato. È giovane, il ragazzo, non regge il vino. Gliel’ho detto io di non bere troppo, ma a quell’età, gli entra da un orecchio e gli esce dall’altro. Lo riporto alla nave. Non potevo mica lasciarlo alla taverna, povero cristo!

La guardia più anziana, che lo conosceva bene, fece un sorriso ironico, per fargli capire che non era stupido ed aveva mangiato la foglia.

No, non era stupido, non tanto stupido da mettersi contro Sbatti-culo e l’equipaggio della Black Gull, tranquillamente ancorata poco fuori dal porto, nonostante le flotte di almeno quattro regni le dessero la caccia.

- Va bene, puoi andare!

Certo che poteva andare, lo sapeva benissimo. Non lo fermavano certo loro!

Salì sul piccolo battello con cui lui ed alcuni compagni erano scesi a terra. Pedro e il Sanguinario erano già arrivati e chiacchieravano con Black Jack. Il Toro ed il Gallego erano ancora a terra, ma quelli al casino passavano le ore.

- È andata bene la caccia, eh, Sbatti-culo?

- Certo, carne fresca, bella soda. Non come i vostri culi, tutti frolli a forza di farvi fottere.

Pedro rise. Il Sanguinario fece solo una smorfia.

- Piantala, Sbatti-culo. O ti sbatto io.

- Sai che paura, Sanguinario. E dovresti ringraziarmi, che porto la carne fresca anche per voi.

Mentre parlava, Sbatti-culo depose il suo fardello sul ponte, a pancia in giù. Gli stava venendo duro. Aveva voglia di farselo. Una voglia matta. Voleva assaggiare quel culo che nessuno aveva mai assaggiato. A lui piaceva sverginare. Era una sensazione inebriante, sfondare una porta che non era mai stata aperta. Sulla Black Gull c’era carne a volontà: gente come Ormeño, Lapo o Pedro era ben felice di farsi infilzare allo spiedo e nei lunghi periodi in cui rimanevano in mare senza fare scalo, diversi altri aprivano il culo volentieri. Anche lui ne approfittava, ma la carne fresca era un’altra cosa.

Quando tornavano il Toro ed il Gallego? Lui non aveva nessuna voglia di attendere. Guardò il ragazzo ancora addormentato e decise che non era il caso di aspettare di essere sulla Black Gull.

Gli sfilò la camicia. Sì, proprio un bel corpo, come piaceva a lui. Poi gli tolse le scarpe ed i pantaloni. Davvero un signor culo, degno di rispetto. E lui lo rispettava nel modo migliore, dimostrandogli tutta l’attenzione che meritava: prima gli faceva visita, esplorandolo a fondo, poi gli regalava la cosa più preziosa che aveva, cioè una bella quantità di sborro.

Allargò ben bene le gambe della sua preda, afferrò le natiche con le mani e le aprì, osservando il bel buchetto che gli si presentava davanti. Con la lingua sfiorò il buco, poi risalì, leccando con cura il solco sopra il buco, infine riscese, ripassando sopra la cavità e percorrendo con la lingua l’area sottostante.

Quel primo assaggio risvegliò l’appetito. Ripercorse la stessa strada, più e più volte. Quando raggiungeva l’apertura, la lingua si spingeva avanti, prima con piccoli colpetti, poi insinuandosi con lentezza, quasi supplichevole.

Ora l’arma era in tiro ed era giunto il momento di sverginare quel bel culetto, appena velato da una leggera peluria nera.

La punta dell’arma si soffermò un attimo sulla soglia, poi entrò, decisa a sfondare, vincendo ogni resistenza.

Entrò senza incontrare resistenza e la carne, per quanto soda, lo accolse senza sforzo. Merda! Quel ragazzo non era vergine. Un altro forse, godendosi il calore di quella cavità e la sua consistenza, si sarebbe ingannato, ma non Sbatti-culo: aveva violato troppe porte per non saper riconoscere quando altri erano già entrati. Merda! Un bel culo, ma non valeva le due monete che aveva sganciato a Trafficone.

Era incazzato, ma il fodero che accoglieva la sua sciabola era caldo e della misura giusta, con pareti compatte. Maledicendo Trafficone che lo aveva imbrogliato e rimpiangendo le monete, Sbatti-culo tenne fede al suo nome con un impegno profuso per una buona mezz’ora. E dopo aver profuso anche una considerevole quantità di seme, si ritirò, cristonando contro l’apparenza ingannevole e contro la gioventù di quei tempi, così poco attenta a conservare quel gran valore che è la verginità.

 

DALLA PADELLA…

 

Felipe aprì gli occhi, ma non riuscì subito a mettere a fuoco. La testa non funzionava a dovere. Si sentiva intontito. Il mondo continuava ad oscillare.

Cercò di ricordare. Doveva essersi ubriacato, eppure non gli sembrava di aver bevuto. Sì, aveva accettato di prendere un bicchiere con quell’uomo. Quell’uomo… lo aveva narcotizzato.

Si mise a sedere e poi cercò di alzarsi, ma le gambe non lo sostenevano. Non vedeva niente, doveva essere in una stanza senza finestre, ma la testa gli girava. Gli sembrava che il mondo oscillasse come su una nave. Si sforzò di uscire dal torpore in cui si trovava immerso. Fece un secondo tentativo di alzarsi e questa volta riuscì a mettersi in piedi, ma non era stabile sulle gambe. Si disse che, da come tutto continuava a ballare, sembrava di essere in mare.

E allora la verità si fece strada come un lampo nel buio: era in mare, era su una nave. Una nave che avanzava su un mare agitato.

Una luce dall’alto inondò la stanza e mentre Felipe istintivamente socchiudeva gli occhi, per ripararsi dal chiarore, sentì una voce che diceva, in spagnolo:

- Ehi, Sbatti-culo, il ragazzo si è svegliato.

La faccia di Sbatti-culo fece capolino oltre la botola. Ora Felipe era lucido e si ricordava tutto. Quello era l’uomo che lo aveva addormentato e poi… Che cosa era successo dopo? Dove si trovava adesso? Che cosa volevano da lui? La voce di Sbatti-culo fornì una risposta alla seconda domanda. E non era una bella risposta: non fu per niente gradita, anche se Felipe ebbe nuovamente il piacere di sentire parlare spagnolo.

- Su, sali! È ora di lavorare. Sulla Black Gull non c’è spazio per gli scansafatiche.

Era sulla Black Gull, la nave del feroce Gallego! Felipe sentì una stretta allo stomaco. Da Barbanera al Gallego. Non era possibile! La voce lo riscosse:

- Muoviti!

C’era un tono di minaccia e Felipe si disse che non aveva molta scelta: doveva ubbidire. Si diresse verso la scaletta che portava al ponte della nave, dove lo aspettava Sbatti-culo. Ma non appena si mosse, avvertì una fitta al culo, che fu la risposta alla sua prima domanda. Ora sapeva che cosa era successo: quel figlio di puttana lo aveva narcotizzato, per poterlo portare alla nave e poi violentarlo.

Felipe salì le scale e si trovò di fronte Sbatti-culo. Non disse niente: si era abituato a nascondere quello che provava.

Sbatti-culo aveva un ghigno stampato in faccia e Felipe pensò che gli avrebbe volentieri fatto saltare i denti rimasti, ma non disse nulla.

- Adesso sei sulla Black Gull. Ma se preferisci tornare a fare il cameriere, se non ti va la vita del pirata, non c’è problema, ti lasciamo andare.

Felipe lo guardò, diffidente. Non occorreva essere acuti osservatori per capire che di uno come Sbatti-culo non c’era da fidarsi.

- Mi lasciate andare?

- Certo, puoi tuffarti e raggiungere Port-Royal a nuoto.

Sbatti-culo indicò con il braccio e Felipe guardò in quella direzione. All’orizzonte appariva, poco più di un puntino, il profilo di un’isola.

Felipe sentì l’angoscia assalirlo. Di nuovo. Di nuovo su una nave pirata, in balia di uomini infami. Ma di quali colpe si era macchiato per meritarsi un destino simile?

- Allora, non ti tuffi? Va bene, allora devo portarti dal comandante. È lui che decide.

Il comandante della Black Gull era il Gallego: di lui dicevano che non era coraggioso come Barbanera, ma era ancora più feroce. Era considerato il più infame dei pirati: tutti lo temevano e lo disprezzavano. Quando fu davanti a lui, Felipe lo guardò con una certa curiosità.

Doveva essere sui trent’anni, forse poco più, ma la parte superiore della testa era completamente calva. In compenso portava i capelli lunghi, legati con un cordino, ed aveva folte sopracciglia nere e barba e baffi. Il naso largo e piatto, con narici dilatate, gli occhi stretti e la bocca dalle grandi labbra carnose contribuivano a dargli un aspetto vagamente bestiale. Lo sguardo ed il sorriso mettevano a disagio, perché non era difficile leggervi la ferocia. Non era alto, ma era piuttosto tarchiato, con due braccia potenti ed un ampio torace su cui si stendeva una folta peluria nera.

Sbatti-culo gli si rivolse:

- Gallego, questo ragazzo è salito sulla nave perché vuole unirsi a noi.

Felipe sapeva benissimo che era inutile mettere i puntini sulle i: in quella piccola recita, il copione non lo scriveva lui. Gli altri gli avrebbero porto le sue battute, di questo era sicuro.

Il sorriso del Gallego si allargò e Felipe si sentì rabbrividire.

- Un clandestino sulla nave! Ragazzo, come sai, i clandestini vengono gettati agli squali.

Felipe non disse nulla. Non sarebbe servito a niente. E poi era scoraggiato: gli sembrava che il destino si accanisse su di lui in un modo inverecondo. In fondo, non era mica il protagonista di un romanzo del marchese de Sade. Il divin marchese, peraltro, doveva ancora nascere!

Il Gallego riprese:

- Comunque, sarò generoso con te. Invece di considerarti un clandestino, ti tratterò come una parte del bottino.

 

… NELLA BRACE: OVVERO, CHE SUCCEDE DEL BOTTINO SULLA BLACK GULL

 

Promessa12c

     

Felipe non disse, non chiese. Avrebbe saputo presto che cosa gli sarebbe toccato e non era ansioso di scoprirlo: vista la piega che avevano preso gli avvenimenti, per non dire visto il modo in cui andava la sua vita, di una cosa poteva essere sicuro: non sarebbe stato piacevole.

Il Gallego si aspettava una replica, ma di fronte al silenzio di Felipe, proseguì:

- Bene, ragazzo. Il bottino viene diviso tra tutto l’equipaggio. Quindi direi che tutti noi, tutti quelli che lo vogliono, almeno, potranno prendersi quello che Sbatti-culo si è già preso. Ed anche qualche cos’altro. Spogliati.

Felipe guardò un attimo il Gallego. Non aveva molte scelte. Poteva buttarsi in mare e farla finita: questa era forse la soluzione migliore, che avrebbe almeno messo fine alle sofferenze ed alle umiliazioni. Oppure poteva ubbidire e cercare ancora una volta la sua vendetta: in fondo con Barbanera c’era riuscito, nel migliore dei modi. Magari sarebbe riuscito a vedere anche il cadavere di questi pirati, prima di morire.

Il pensiero di Barbanera lo convinse ad ubbidire all’ordine. Si tolse la camicia ed i pantaloni: altro non aveva, perché Sbatti-culo non si era dato la pena di rivestirlo completamente.

Il Gallego lo guardò ed annuì:

- Sì, va bene. Non c’è male. Gerald, Catalano, portate qui due sacchi.

I due uomini che il Gallego avevano chiamato portarono due grandi sacchi e li misero sul ponte, uno contro l’altro.

- Inginocchiati sui sacchi.

Felipe eseguì. Si sforzò di non pensare, di eseguire senza riflettere. Se si fosse messo a pensare, avrebbe urlato. Di rabbia, di dolore, di disperazione.

Ora era appoggiato sui due sacchi, i piedi a terra, le ginocchia un po’ sollevate. I sacchi gli tenevano il culo in alto.

- Bene, comincio io. Ma se vuoi accomodarti dall’altra parte, Toro, puoi favorire.

Felipe teneva gli occhi bassi. Vide che un uomo si metteva davanti a lui. Gli poteva vedere le gambe, due tronchi d’albero. Poi l’uomo aprì i pantaloni e ne estrasse una mazza già pronta per l’uso. Felipe rimase a bocca aperta. L’arma era un po’ più corta di quella di Barbanera, ma il suo volume era impressionante: sembrava il fusto di un giovane faggio. Felipe si disse che in fondo era meglio prendersela in bocca: preferiva non pensare al momento in cui un’arma di quel tipo gli fosse entrata dalla porta posteriore. Per questa volta almeno, l’aveva scampata.

Felipe aveva sbagliato i conti, come al solito, ma questo lo scoprì un po’ più tardi. Per il momento fece appena in tempo a prendere in bocca, non senza sforzo, quel salame, che sentì la pressione dell’arma del Gallego contro il culo e poi all’interno. Il Gallego era robusto anche nelle parti basse e ci dava dentro, ma per chi era abituato a Barbanera non era niente di speciale. Il Toro invece lo costringeva ad aprire la bocca fin quasi a slogarsi la mascella. Il Toro non aveva bisogno di collaborazione da parte di Felipe: usava la bocca come un altro avrebbe usato il culo, spingendo avanti e indietro, avanti e indietro. Anche Barbanera faceva così. La differenza era di durata. Barbanera poteva scopare tre volte di seguito, ma dopo una decina di minuti veniva. Il Toro continuava a spingere a tutto spiano senza accennare a venire.

       

Il Gallego intanto si era ritirato, dopo aver svuotato il serbatoio, ed un altro aveva preso il suo posto. Dalle voci di incoraggiamento, Felipe capì che si chiamava Sanguinario. Ma non poteva vedere molto. Il suo orizzonte visivo non superava il viluppo castano scuro dei peli sul ventre del Toro, che ora erano a distanza di una spanna, ora erano contro la sua faccia, mentre i coglioni del marinaio gli toccavano il mento. Di girare la testa di lato, non si parlava.

Da quel punto di vista privilegiato, Felipe notò una grossa cicatrice sul ventre del pirata e vide che scendeva in basso. Fu solo quando il Toro si ritirò che Felipe scoprì che la cicatrice proseguiva sotto, nella sacca dei coglioni, e che il Toro aveva solo metà della dotazione normale. Metà come numero, ma il doppio come volume.

Questo però venne, dopo, parecchio dopo, quando ormai l’articolazione della mascella era dolorante.         

Intanto altri si davano da fare ed almeno due fecero sussultare Felipe di dolore. Ma il peggio doveva ancora venire. Il peggio fu costituito da Black Jack, un nero dotato quanto Barbanera, e poi dal Toro stesso: quando il Toro finalmente venne, inondò la bocca di Felipe di una tale quantità di sborro, che, malgrado l’abitudine, Felipe rischiò di soffocare. Poi però si mise dietro Felipe e, dopo nemmeno un minuto, entrò dal retro.

Almeno una dozzina di pirati avevano già aperto la strada, lubrificando in abbondanza, tanto che ogni qual volta uno si ritirava, dal culo di Felipe colava a terra un po’ di liquido denso. Ma l’ingresso del Toro quasi fece urlare Felipe, perché dilatò l’apertura oltre ogni limite e per tutto il tempo il dolore fu intollerabile.

Nella versione posteriore il Toro si dimostrò tanto resistente quanto nella versione anteriore e quando infine venne, dopo forse mezz’ora, riuscì nuovamente a spargere una quantità inverosimile di seme, che riempì le viscere di Felipe.

 

UN DUELLO SULLA BLACK GULL

 

Promessa13

 

Quando il Toro venne, risuonò nuovamente la voce del Gallego:

- Alzati!

Felipe si alzò. Dal culo gli colava a cascata il seme sparso dal Toro, lo stesso che aveva in abbondanza anche sul mento, perché non era riuscito ad inghiottirlo tutto.

- Bene. Ora, se vuoi unirti a noi, puoi farlo. Altrimenti, hai tutto l’oceano a tua disposizione.

Felipe non disse nulla. Forse era meglio l’oceano.

- Se vuoi unirti a noi, devi dimostrare di saper combattere. Dovrai affrontare in un leale duello il Lobo di Siviglia.

L’idea di poter affrontare in duello uno di quei luridi bastardi che lo avevano violentato restituì a Felipe la voglia di vivere. Avrebbe avuto una spada in mano e la possibilità di spedire a Satana uno dei suoi figli prediletti, magari due? Allora l’oceano poteva aspettare.

- Puoi rivestirti.

Felipe si rimise la camicia ed i pantaloni, anche se dal culo continuava a colare lo sborro del Toro (e dei suoi predecessori). Uno dei pirati, Lapo, che doveva avere la sua età, ma era piuttosto grasso, gli porse una spada, che Felipe prese con grande piacere.

Il Lobo di Siviglia era piccolo e magro, con denti aguzzi che spiegavano il suo soprannome di Lobo, lupo. Non appariva particolarmente robusto, ma doveva essere molto agile e quindi un avversario temibile.

Fu il Lobo ad attaccare, mentre Felipe si limitava a difendersi, studiando il modo di muoversi dell’avversario e cercando di capire quanto il proprio corpo fosse in grado di rispondere ai suoi comandi, dopo il narcotico e la violenza subita.

Si rese conto, con un certo sollievo, che il corpo rispondeva bene, anche se il culo gli faceva un male cane. Allora Felipe fece due o tre finti attacchi, per valutare le reazioni dei suo avversario. In breve ebbe un’idea precisa della situazione: il Lobo era un buon combattente, ma probabilmente gli era inferiore.

Felipe cominciò a vibrare attacchi decisi, costringendo il Lobo ad arretrare e presto vide che il suo avversario era in difficoltà e mirava soltanto più a difendersi. Era solo questione di tempo, ora: prima o poi Felipe sarebbe riuscito a vincerne la resistenza ed a ferirlo. Quello che ancora lo frenava era il dubbio su che cosa gli convenisse fare. Ferirlo soltanto, fidandosi della promessa dei pirati, o ucciderlo e poi cercare di ammazzarne almeno un altro, per vendicarsi, magari il Gallego?

Improvvisamente però il Lobo si scagliò contro di lui con rinnovata energia, forzandolo ad arretrare. Forse Felipe non avrebbe sospettato nulla, se non avesse assistito al duello tra Barbanera e Nasone. Ma l’impeto con cui il Lobo ora si gettava su di lui ed un vago ghigno che gli sembrò di cogliere sulle facce degli spettatori lo misero in guardia. Invece di arretrare, saltò di lato ed un’occhiata gli bastò per confermare i suoi sospetti: se fosse indietreggiato, sarebbe inciampato in Tricheco, uno dei pirati, che si era accovacciato sul ponte, dietro a dove lui si trovava un attimo prima.

Furibondo, Felipe si gettò sul Lobo, che era rimasto disorientato dalla reazione del suo avversario. Con un affondo veloce riuscì a fargli saltare via la spada e gli puntò la propria arma al cuore. Sarebbe morto, ammazzato da quegli infami, ma almeno non sarebbe morto da solo.

E davvero avrebbe ucciso il Lobo, se la voce del Gallego non lo avesse fermato:

- Fermati, ragazzo. Hai vinto e puoi davvero unirti a noi. 

Felipe continuò a tenere la spada puntata contro il petto del Lobo.

- Perché mai dovrei fidarmi della vostra parola? Se questa è la vostra lealtà…

- Puoi scegliere di non fidarti, ammazzare il Lobo e farti ammazzare. Per me va bene. Ti do la possibilità di unirti a noi solo perché vedo che sai combattere bene e quindi puoi servire. Quindi scegli. Se vieni con noi, sarai uno di noi.

Felipe annuì. Non aveva senso buttare via tutto quanto aveva fatto. Forse sarebbe riuscito a spuntarla contro il destino. O almeno ad ammazzare più d’uno di quei bastardi.

Abbassò la spada.

- Va bene. Accetto.

Porse la spada a Lapo. Forse ora lo avrebbero ucciso, ma era un rischio che doveva correre.

Il Gallego sorrise.

- Bene, Lobo, puoi dargli la tua spada: l’hai persa. Tu te ne prendi un’altra.

Il Lobo digrignò i denti, ma porse a Felipe la sua spada, con il fodero.

- Bene, ti chiameremo Spadaccino: combatti come un signore.

Felipe era davvero un signore, nel senso di nobile, ma non disse nulla: non era certo il caso di spiattellare la sua storia. E poi, ormai, era  uno straccione: le sue scarsissime proprietà erano rimaste alla locanda del Marinaio ubriaco e lui non possedeva nulla, se non una camicia, un paio di pantaloni e una spada.

Mentre si metteva la spada al fianco, Felipe sentì la voce di Sbatti-culo:

- Io l’avrei chiamato Culo-bello!

I pirati scoppiarono a ridere e cominciarono a disperdersi.

 

RUFUS IL ROSSO

 

Felipe, rimasto solo, si guardò intorno. La nave era piuttosto grande ed era armata con alcuni cannoni: non era però una nave da guerra, con molta artiglieria, perché sarebbe stata troppo lenta nell’inseguimento delle prede.

Sul ponte di coperta vi erano diversi pirati, alcuni dei quali erano al lavoro, mentre altri oziavano.

Gli si avvicinò un uomo, di statura media, molto forte, ma con una grande pancia sporgente che nessun paio di pantaloni avrebbe potuto contenere. Ed infatti i pantaloni sul davanti passavano sotto la pancia. Il pirata era a torso nudo e metteva in mostra la sua massa di carne, coperta da una peluria rossiccia: intorno ai capezzoli e soprattutto sul ventre la massa di peli diveniva tanto compatta da coprire completamente la pelle. Barba, baffi e capelli erano anch’essi rossi, ma con molti fili bianchi: il pirata doveva avere diversi anni in più degli altri, che perlopiù erano tra i venti ed i trenta-trentacinque.

- Bene, Spadaccino. Io sono Rufus il Rosso. Ci sono alcune regole da rispettare su questa nave ed è bene che anche tu le impari.   

Il Rosso cominciò ad esporre il regolamento, cominciando con gli articoli sulla divisione del bottino, per poi passare alle condizioni per lasciare la nave e finendo con l’informazione che sulla nave non si potevano portare né donne, né ragazzi.

Quando ebbe finito di esporre il regolamento, Rufus sorrise a Felipe.

- Spero che ti sia piaciuta l’accoglienza.

Felipe avrebbe voluto fulminarlo, ma non disse nulla. Nella sua situazione tirare fuori la spada per una frase del genere sarebbe stato assurdo: allora, tanto valeva scegliere di buttarsi nell’oceano.

- Non ti scaldare, ragazzo. Se vuoi puoi rendermi la pariglia. Non sei forte come il Toro, ma hai muscoli a sufficienza. Ti va di darmi un pugno nella trippa?

Felipe lo guardò, completamente spiazzato.

Rufus rise.

- Sì, colpirmi nella trippa, con tutte le tue forze. Hai voglia?

A Felipe l’idea di mollare due pugni ad uno di quei porci che l’avevano violentato non appariva per niente sgradevole. Rufus lo capì.

- Allora, togliti la camicia e colpisci. Dove vuoi, tutta la trippa va bene. Più forte è, meglio è!

Felipe scosse la testa, un po’ incredulo. Poi si tolse la camicia e si preparò a colpire. Rufus aveva voglia di essere colpito allo stomaco? L’avrebbe fatto, cercando di fargli male il più possibile. Quel grassone si sarebbe pentito della richiesta che gli aveva fatto.

Mollò il colpo con tutte le sue forze, prendendolo in pieno sopra l’ombelico. Il Rosso si piegò su se stesso e strabuzzò gli occhi, lanciando un gemito. Poi si tirò su e parlò:

- Bravo, Spadaccino, bravo! Così si fa. Avanti, continua.

Felipe rimase senza parole e, irritato per non aver ottenuto l’effetto voluto, tirò altri due colpi, uno poco più sotto del precedente, l’altro poco più sopra. Questa volta Rufus si piegò ancora di più, il viso distorto in una smorfia di dolore. Respirò a fondo, massaggiandosi il ventre.

- Ci sai fare, ragazzo. Adesso dai, piantala di giocare e colpisci senza smettere, fino a che non cado in ginocchio.

Era quello che voleva? Bene, gliel’avrebbe dato. Felipe riprese a colpire, senza più fermarsi, una gragnola di colpi su quel ventre peloso, mentre Rufus stava piegato in due, il viso contratto, la bocca che si spalancava ogni volta che il colpo arrivava.

Infine, quando il braccio ormai cominciava a dolergli, Felipe vide Rufus piegarsi sulle ginocchia e cadere. Il Rosso rimase un buon momento con le mani sul ventre massaggiandosi la parte indolenzita. Poi parlò.

- Sei grande… Spadaccino… ci sai fare, tu. 

Faceva fatica a parlare e Felipe si disse che doveva averne avuto abbastanza. Averlo picchiato non gli dispiaceva per niente. Per essere sincero, gli aveva fatto proprio piacere, più di quanto si aspettasse: la sua arma aveva sollevato la testa.

E mentre si preparava ad andarsene, Rufus parlò ancora:

- Ed ora a calci… Calci decisi... E quando … finisco in terra… calami i pantaloni e … mettimelo in culo.

Felipe guardò Rufus il Rosso senza parole. Era quello che voleva? Glielo avrebbe dato!

Non aveva scarpe o stivali, ma gli avrebbe fatto male quanto voleva.

Mollò il primo calcio, poi un secondo, un terzo e proseguì senza smettere. Rufus si copriva la pancia con le mani, ma Felipe colpiva con decisione e guardava con soddisfazione le goccioline di sudore sul viso di Rufus, deformato dal dolore. Un colpo più deciso mandò Rufus a terra.

Rufus faceva fatica a muoversi, ma quando si slacciò i pantaloni, Felipe vide guizzare sull’attenti l’arma. Rufus si girò sulla pancia e rimase immobile. Articolò, con una certa fatica:

- In culo! Fottimi!

Felipe rimase disorientato. Sì, Rufus glielo aveva detto. Ma lui voleva soltanto fargli male… In culo. In culo. Felipe non sapeva che cosa voleva la sua testa, ma il suo corpo sapeva benissimo quello che voleva, perché era già accovacciato di fianco a Rufus, gli stava già sfilando i pantaloni ed ora osservava quel grosso culo coperto da pelame rossiccio. Le sue mani, prima ancora che se ne rendesse conto, avevano allargato i fianchi del pirata ed i suoi occhi contemplavano l’apertura, appena visibile tra la peluria più densa.

Aveva smesso di ragionare. Si calò i pantaloni, allargò bene le gambe del pirata, mise nuovamente le mani sulle natiche, divaricandole, avvicinò la punta della sua picca all’apertura e, senza nessun complimento, con un colpo sicuro, infilò l’arma fino in fondo. Il guizzo di dolore di Rufus gli trasmise un brivido di piacere, ma era tutta l’arma che gli trasmetteva sensazioni fortissime. Aveva subito le violenze di Barbanera a lungo, ma erano anni che la sua spada non si infilava in un fodero ed il culo di Rufus il Rosso gli sembrava un paradiso di calore.

Sentì che la sua pistola stava per sparare i suoi colpi e cominciò a spingere freneticamente, quasi come se volesse squarciare il fodero che l’accoglieva, mentre le sue mani afferravano le natiche, stringendole. Si sentì proiettato in alto, sempre più in alto ed infine la diga cedette ed il piacere lo inondò.

Sfinito, si lasciò andare su Rufus, La morsa con cui stringeva il culo del pirata si trasformò in una carezza leggera, di cui si vergognò. Allora estrasse l’arma e si lasciò scivolare di fianco al pirata. Rufus si voltò verso di lui. I peli del ventre erano tutti bagnati, come pure il legno del ponte: era venuto da poco, probabilmente insieme a Felipe.

- Bravo, Spadaccino!

Felipe si sentiva confuso. Ora che il suo corpo era soddisfatto, la sua testa cominciava a porre domande. E Felipe non aveva risposte. Per dire la verità, non voleva nemmeno sentire le domande.

Senza dire nulla, si alzò, si rimise i pantaloni e si allontanò. Voleva stare da solo e pensare in santa pace.

Ma entrambe le cose sulla Black Gull non erano così facili.

 

UNA SERATA QUALSIASI SULLA BLACK GULL

 

Promessa14

 

Donne e ragazzi non erano ammessi sulla nave, aveva detto Rufus. Avrebbero potuto suscitare gelosie e litigi. Ma donne e ragazzi davvero non servivano sulla Black Gull, come Felipe scoprì quella sera stessa. Sulla nave di Barbanera Felipe era stato colpito dalla mancanza di pudore dei pirati, che scopavano senza preoccuparsi nemmeno di cercare un angolo un po’ nascosto, ma dopo la prima sera sulla Black Gull cominciò a dirsi che i pirati di Barbanera erano delle monache pudibonde in confronto agli uomini del Gallego.

Rufus lo aveva invitato a colpirlo e fotterlo, ma Felipe si era appena allontanato da Rufus che si imbatté in Pedro, appoggiato a pancia in giù sul cordame, che si faceva infilzare dal Lobo. Quando Pedro lo vide, lo chiamò:

- Vieni qui Spadaccino!

Felipe si avvicinò, perplesso. Quando fu davanti a Pedro, questi gli mise le mani sui fianchi e, prima che Felipe riuscisse a capire, gli aveva già calato i pantaloni e stava avvicinando la bocca al suo uccello.

Felipe rimase a bocca aperta, mentre Pedro, anche lui a bocca aperta (ma per altri motivi), commentava:

- Ho giusto bisogno di mettere sotto i denti qualche cosa di sostanzioso.

Felipe vide la punta del proprio uccello scomparire nella bocca di Pedro. La lingua di Pedro cominciò a lavorargli la cappella e Felipe sentì che le gambe non lo reggevano più. Un attimo prima aveva pensato di ritrarsi, ma ora si sentiva privo di volontà.

Pedro lasciò la sua preda e Felipe provò un senso di perdita, ma la lingua del pirata tornò a scorrere lungo l’asta, che cominciava a rizzarsi, per poi scendere sotto. La bocca inghiottì con delicatezza prima un testicolo, poi l’altro, poi li liberò e la lingua ripercorse verso l’alto l’asta sempre più tesa, per poi solleticarne la punta, con piccoli colpi leggeri. Nuovamente la bocca avvolse la punta dell’arma, mentre la lingua continuava con il suo gioco provocante. Pedro ritrasse la testa, lasciando uscire la picca, la stuzzicò ancora con la punta della lingua, mentre Felipe sentiva la tensione salire fino a diventare intollerabile. Vincendo ogni resistenza, Felipe afferrò la testa di Pedro e lo forzò ad inghiottire nuovamente la sua arma. Tenendogli le mani sul capo, spinse a fondo l’arma, fino a che fu quasi completamente nella bocca. Apprezzò l’accogliente morbidezza di quella cavità calda ed umida. Pedro ritrasse leggermente la testa, poi la spinse più avanti, mentre la lingua lavorava la cappella ormai incandescente di Felipe. Felipe socchiuse gli occhi ed aprì la bocca, mentre il suo seme si spandeva nella gola di Pedro.

Pedro continuava a leccare e succhiare, ma ormai l’arma era scarica e quel contatto era intollerabile per la pelle divenuta troppo sensibile. Felipe ritirò l’arma e rimase fermo davanti a Pedro, intontito dal piacere. Intanto il Lobo stava finendo la sua opera e spalancò la bocca in un urlo di piacere che fece sussultare Felipe.

Anche Pedro era venuto, ma non era ancora sazio, perché, senza alzarsi, chiamò:

- Toro, Indigo, venite qui.

- Siamo occupati! Non vedi?

Voltandosi, Felipe vide che effettivamente i due erano occupati: Indigo, un nero piuttosto giovane e magro, stava gustando l’arma del Toro esattamente come oggi si lecca un gelato.

- Dai, non fatevi pregare.

- Solo perché sei tu.

I due si misero in posizione, il Toro dove prima era Felipe ed Indigo dove prima era il Lobo.

Così Felipe ebbe modo di vederli. Il nero era ben dotato ed entrò senza fare tanti complimenti. Il Toro si avvicinò e lasciò che Pedro cominciasse a lavorargli l’arnese, prima leccandolo, dalla punta fin sotto il grande testicolo, poi prendendolo in bocca e succhiandolo.

Pedro doveva aprire la bocca al massimo per accogliere la picca del Toro, ma era evidente che l’attività non gli dispiaceva per niente, anzi…

Felipe osservò il Toro. Era un uomo sui trentacinque-quarant’anni, alto, molto massiccio, con un ventre prominente, anche se non traboccante come quello di Rufus. Era molto muscoloso: aveva braccia ben tornite, che dovevano avere una forza erculea, gambe altrettanto solide ed un collo tanto spesso da far apparire piccola la testa. Aveva barba e capelli di un castano scuro, come i peli che aveva in abbondanza sulle gambe e sulle braccia, sul torace, sul ventre e sul culo. Faceva effetto vederlo vicino ad Indigo, che era quasi completamente glabro.

Mentre sul fronte anteriore la battaglia era in pieno svolgimento, su quello posteriore si arrivò presto ad una conclusione poco gloriosa: Indigo spinse pochi minuti e venne.

- Sei troppo impaziente, Indigo!

L’osservazione era dell’altro nero della nave, Black Jack, che si era accostato per vedere lo spettacolo.

Pedro interruppe il suo pasto per rivolgersi a Black Jack:

- Prendi tu il suo posto, Black Jack! Tu sì che ci sai fare.

Vedere Black Jack in azione era davvero uno spettacolo: il suo cannone non era voluminoso come quello del Toro, ma era più lungo. Felipe si chiese come Pedro potesse accogliere quell’arma per intero, ma la vide scomparire fino in fondo, come se avesse trovato il posto giusto.

Dopo Black Jack, che manovrò la sua trivella per una ventina di minuti, fu il turno di Ormeño. Era un uomo sui trentacinque anni, uno dei pochi sulla nave che non portava barba ed aveva i capelli corti. Anche il corpo era poco villoso e l’assenza di pelo lo rendeva molto diverso dagli altri pirati meno giovani, come il Toro o il Sanguinario. Ormeño non era magro, ma non si poteva nemmeno definire grasso: aveva un po’ di pancia, ma niente a che vedere con il Toro, per non parlare di Rufus..

Ormeño fece la sua parte e quando ritirò l’arma, il liquido che riempiva le viscere di Pedro, frutto del generoso contributo del Lobo, di Indigo, Black Jack ed Ormeño, si sparse in abbondanza per terra. Il membro ancora turgido di Ormeño ne era inzuppato.

- Guarda che roba! Mi hai ridotto il cazzo come un biscotto intinto nella minestra!

- Pulisco io.

La proposta, prontamente accolta da Ormeño, era di Scimmia, che aveva braccia e gambe sproporzionatamente lunghe ed era di una magrezza impressionante. Felipe si disse che di rado aveva visto un uomo tanto brutto, ma la sua bocca, quasi del tutto priva di denti, fece un buon servizio ad Ormeño, che non solo fu ripulito dell’abbondanza di sborro, ma ne produsse una nuova dose.

- Non avete niente per me? Neanche un goccetto?

Felipe guardò Lapo senza capire. Quel ragazzone massiccio, che doveva avere la sua età, stava chiedendo da bere?

Effettivamente stava chiedendo da bere ed il Gallego gli fornì la bevanda richiesta, aprendosi i pantaloni e pisciandogli in bocca. Lapo si rivolse anche a Felipe, che però non lo poté accontentare. Nonostante la recente esperienza con Pedro, di fronte alle scene a cui assisteva, il fucile si era di nuovo messo in posizione di tiro e non consentiva altri usi.

Lapo fu accontentato da Indigo, mentre Paulo, un portoghese dell’età di Felipe, gli si avvicinò ed accompagnò con una carezza esplicita al ventre la sua richiesta, non meno esplicita:

- Visto che ce l’hai duro, me lo ficcheresti in culo?

Felipe avrebbe voluto dire di no, ma la mano che indugiava sul pilastro di cemento, quello che abitualmente stava tra le sue gambe ed ora gli batteva contro il ventre, gli toglieva ogni volontà di resistenza. Paulo era un bel giovane, con un petto piuttosto villoso e quando si calò i pantaloni mise in mostra un bel culo, stretto, coperto da una fitta peluria scura che si diradava verso l’alto, fino a scomparire del tutto.

Felipe lo infilzò senza riguardi: anche se Paulo si era offerto, Felipe sapeva benissimo che Paulo era uno di quelli che prima lo avevano preso e non gli dispiaceva vendicarsi.

Paulo sussultò appena, ma quando Felipe cominciò a spingere con vigore, prese a gemere. Gemiti sempre più forti, che divennero presto piccole grida. Infine un urlo roco annunciò che era venuto. Felipe venne poco dopo e ritornò, senza dire una parola, ad osservare Pedro ed il Toro.

Il Toro stava finalmente per venire. Quando sentì che era giunto il momento, Pedro arretrò la testa e Felipe pensò che volesse evitare di bere l’inverosimile quantità di seme che avrebbe prodotto il Toro: non poteva dargli torto, c’era di che rimanere soffocati! In realtà Pedro accostò nuovamente la testa, in modo che il grande getto che saliva verso l’alto ricadesse in pieno sul suo viso, sui capelli, sulla barba, fino a colare dal mento fino a terra. Sembrava che qualcuno stesse versando sulla testa di Pedro un secchio d’acqua.

E quando il seme si sparse, Pedro ebbe un brivido, un lunghissimo brivido che percorse tutto il corpo. Alzò la testa, spalancò la bocca per accogliere il fiotto che ancora scendeva e venne.

L’orgia continuò con il Toro in posizione sempre centrale: quest’uomo massiccio, di una forza eccezionale, non aveva solo un’arma invidiabile per lunghezza ed imbattibile per volume, ma aveva una resistenza incredibile. La sua potenza sgomentava Felipe.

 

Felipe si allontanò, frastornato e confuso. Si mise in disparte. Sentiva ancora i gemiti e le urla dei pirati, i loro commenti e gli incoraggiamenti. L’orgia proseguiva.

Cercò di fare il punto della sua situazione. Presto fatto: era di nuovo nella merda. Forse non era un modo elegante per esprimersi, ma negli ultimi anni ed in particolare negli ultimi mesi le compagnie frequentate e le disavventure avevano contribuito a cambiare Felipe e la sua patina aristocratica si era un po’ appannata.

Era nelle mani dei più feroci pirati dei Caraibi. Le voci li descrivevano come una ciurma spietata, priva di qualsiasi virtù, foss’anche solo la lealtà reciproca. Dicevano che provavano piacere ad uccidere, a torturare, ad infliggere sofferenze di ogni genere. Dicevano…

Forse erano solo voci. Di Testapelata si diceva tutto il bene possibile, persino che era un gran bell’uomo, ma quel bruto che aveva visto non era certo l’eroe di cui tutti parlavano e quanto a bellezza, poi...! Forse anche nel caso del Gallego e dei suoi uomini la leggenda non corrispondeva alla realtà. Erano degli insigni figli di puttana, questo sì, e personalmente li odiava, con buoni motivi. La loro violenza spaventava tutti e li faceva odiare, ma probabilmente per loro violentare un uomo non era niente di speciale, perché erano pronti a farsi infilzare in ogni momento. In fondo gli avevano permesso di unirsi a loro (per la verità lo avevano costretto) e gli avevano dato una spada. Forse non era così mal messo.

 

 

UN INCONTRO

 

Texel6

 

Il pomeriggio del giorno successivo la Black Gull si fermò all’ingresso di un canale tra due isole vicine. Era evidente che i pirati aspettavano qualche cosa, perché spesso il Sanguinario ed il Gallego scrutavano l’orizzonte con il cannocchiale.

Rimasero ancorati in quel punto fino al mattino seguente, quando venne avvistata una nave, più piccola della loro. Era entrata nel canale dall’estremità opposta a quella dove era ferma la Black Gull.

Il Sanguinario disse subito:

- Sono loro!

Il Gallego verificò con il cannocchiale.

- Sì, sono loro. È proprio la Texel, del Frisone, bene. Tutto come previsto. Il Gobbo non ha raccontato storie.

Un ampio sorriso apparve sul muso del Gallego e non era un sorriso rassicurante. In qualche modo gli uomini del Gallego si aspettavano quell’incontro, ma Felipe non ne sapeva il motivo.

La piccola nave si dirigeva verso di loro e non sarebbe più stata in grado di invertire la rotta e sottrarsi all’incontro, neanche se lo avesse voluto.

Felipe si rivolse a Pedro:

- Chi è il Frisone?

- Un pirata da quattro soldi. Buono a rapinare qualche battello che porta balle di cotone o al massimo barili di rhum. Ma questa volta… ha fatto un colpo grosso. Poveretto!

Presto le due navi furono affiancate. Il Gallego fece calare una scialuppa con alcuni uomini, che raggiunsero la Texel. Dopo un po’, la Texel fece vela verso un’insenatura in una delle due isole e la Black Gull la seguì. I pirati scesero tutti a terra. 

Alcuni uomini si diressero verso l’interno per cercare qualche preda da catturare, mentre gli altri preparavano un banchetto. Felipe poteva vedere che i pirati della Texel, una dozzina di persone in tutto, erano piuttosto a disagio, anche se cercavano di nasconderlo. Felipe ignorava quali fossero i rapporti tra i pirati delle due navi, ma di certo i pirati della Black Gull, che erano una quarantina, erano in grado di sopraffare quelli della Texel in quattro e quattr’otto, tanto più che tre marinai della Texel avevano bendaggi di ferite recenti ed uno un braccio al collo.

Gli uomini che erano andati a caccia tornarono con tre roditori che Felipe vedeva per la prima volta e che sentì chiamare aguti. Gli aguti furono scuoiati e poi infilzati sullo spiedo, e quando il banchetto fu pronto, tutti cominciarono a mangiare e bere intorno al fuoco, ma tenendosi ad una certa distanza: a quell’ora del pomeriggio, con il sole ancora alto in cielo sulle loro teste, non si sentiva certo la necessità di riscaldarsi ancora.

Il Gallego parlava con il Frisone e Felipe, poco più in là, ascoltava.

- Ed allora, Frisone, come è andata la spedizione a Barahona?

Il Frisone rimase un attimo senza fiato, poi rispose:

- Come sai che siamo andati a Barahona?

- Me l’ha detto un uccellino. Allora, com’è andata?

Il Frisone alzò le spalle, fingendo indifferenza, ma Felipe vide che era teso.

- Niente che valesse la pena. Non era lì che tenevano il tesoro. Quel coglione che me l’aveva detto, il Lungo, aveva mentito.

- Davvero? Che peccato!

Era evidente che il Gallego non credeva alle parole del Frisone.

- Ma raccontateci un po’ com’è andata.

Il Frisone incominciò a narrare.

- Credevamo che avessero il tesoro lì. L’unico tesoro era la figliola, una bella ragazza, davvero, ed un caratterino: pensa che il giorno prima aveva fatto dare venti frustate ad una schiava perché aveva sporcato il suo vestito nuovo! Agli schiavi i padroni non piacevano molto! Così, quando siamo arrivati, se la sono data a gambe, tranne due o tre, che hanno deciso di difendere i loro padroni. Quello che non sapevamo era che nella casa, oltre alla ragazza, alla madre ed ai due fratelli, c’erano tre ospiti: il fidanzato della ragazza e due amici. Abbiamo dovuto ingaggiare una battaglia e quei fottuti porci hanno ucciso otto dei miei uomini, otto! Siamo rimasti in undici, più l’Artista, che è sulla nave, più morto che vivo. E tutto questo per che cosa? Qualche orologio d’oro, due gioielli e quattro monete. L’unica voce in attivo è stata la ragazza, che era vergine, ed un amico del fidanzato, che aveva sedici anni ed un bel culo. Ce la siamo spassata con loro, prima di dare alle fiamme tutto e di venircene via, mogi mogi.

Il Gallego annuì, ma era evidente che non credeva alla conclusione del racconto.

- Vi andrà meglio la prossima volta.

Dopo che ebbero tutti mangiato e bevuto, il Frisone disse che era ora di ritornare alle navi, se volevano riprendere il viaggio in giornata, ma il Gallego replicò che potevano fermarsi ancora un po’.    

- Diamine, vi abbiamo invitati a banchettare. Se ve ne andate subito, ci offendiamo.

Il Frisone tirò fuori un sorriso forzato.

- Come volete. Allora restiamo ancora un po’.

La conversazione intorno al fuoco, che ormai si stava spegnendo, durò a lungo, ma intanto i pirati della Black Gull cominciarono a dedicarsi ad altre attività, coinvolgendo anche quelli della Texel. Il Gallego non partecipava e ad un certo punto si avvicinò al Sanguinario.

- Abbiamo finito il vino. Tu e Spadaccino andate alla nave a prenderne altro.

Felipe colse un lampo di paura negli occhi del Frisone.

- Aspetta, Gallego. Tocca a noi offrire. Mando due dei miei uomini a prendere il vino.

-Scherzi? Siete nostri ospiti! E poi i tuoi uomini sono occupati.

Il sorriso del Gallego era quasi feroce. Il Frisone guardò i suoi uomini, che effettivamente erano alquanto impegnati con la ciurma della Black Gull, ed abbassò la testa.

 

SULLA TEXEL

 

Felipe e il Sanguinario salirono su una delle scialuppe.

- Prendi i remi, Spadaccino!

Felipe si mise a remare, dirigendosi verso la Black Gull, che era ormeggiata poco lontano, davanti alla Texel. Quando però si furono allontanati da riva, il Sanguinario gli disse:

- Passa dietro alla Black Gull, in modo che possiamo raggiungere la Texel.

Felipe ubbidì. Non aveva molta scelta. E poi, per quel poco che aveva sentito, i pirati della Texel non dovevano essere meglio degli uomini del Gallego.

Quando furono sotto la fiancata della Texel, il Sanguinario raggiunse una della corde che erano state utilizzate dagli uomini per scendere dalla nave, si mise il coltello tra i denti e salì. Felipe lo seguì.

Il Sanguinario diede rapidamente un’occhiata al ponte della nave, poi si diresse a quella che doveva essere la cabina del comandante. Entrò e si guardò intorno. Sotto la cuccetta c’era uno scomparto chiuso con un lucchetto.

Il Sanguinario annuì. Con il coltello fece saltare il lucchetto ed aprì lo scomparto. Dentro c’erano alcuni sacchi. Il Sanguinario ne prese uno e lo tagliò con il coltello. Conteneva una quantità incredibile di monete d’oro.

Il Sanguinario annuì nuovamente, senza dire nulla. Con il piede, spinse il sacco nello scomparto.

Poi, prese una lanterna, l’accese ed uscì dalla cabina. Con la lanterna in mano, scese sottocoperta. Già mentre scendeva la scaletta, Felipe sentì un odore greve, di piscio e merda.

Nella penombra poté vedere un uomo steso su un’amaca. Era nudo ed aveva una fasciatura intorno al ventre, ma le bende erano piene di sangue. L’uomo respirava a fatica, sembrava quasi che rantolasse, ma si accorse del loro arrivo.

- Sei tu, Delfino?

La voce del Sanguinario risuonò forte, facendo sobbalzare Felipe:

- No, sono io, il Sanguinario. 

Il corpo del ferito ebbe un sussulto e la testa si sollevò, gli occhi dilatati dal terrore.

- Tu…

- Sì, Artista. Per la ciurma della Texel suona la campana a morto e tu sarai il primo. Tanto sei più morto che vivo.

- No, no…

Il ferito non riuscì a dire altro, perché il Sanguinario si chinò su di lui. Felipe non riuscì a vedere bene che cosa succedeva, perché il dorso del Sanguinario gli bloccava la visuale. Vide solo il corpo agitarsi in una lunga convulsione e poi il sangue schizzare dal collo. Il Sanguinario doveva avergli tranciato una vena del collo con il coltello.

Quando il Sanguinario si alzò e si voltò verso di lui, Felipe vide che aveva il viso, il collo ed una parte del torace coperti di sangue. La grande quantità di sangue intorno alla bocca non lasciava dubbi: il Sanguinario doveva aver bevuto il sangue dell’Artista.

- Felipe rabbrividì ed istintivamente fece un passo indietro.

Il Sanguinario sorrise:

- Mi piace affondare i denti in un collo. Il sangue fresco ha un buon gusto.

Non l’aveva sgozzato con il coltello, ma con i denti!

Se Felipe avesse avuto una spada, l’avrebbe ucciso, pur sapendo che sarebbe stato a sua volta ammazzato dagli altri pirati: quell’uomo gli faceva orrore. Ma aveva lasciato la spada sulla Black Gull. Arretrò, senza parlare. Il Sanguinario sorrise:

- Potrei farlo anche con te, uno di questi giorni, se non righi diritto. Bada a quello che fai, Spadaccino. Di te non mi fido.

 

IL TESORO CAMBIA MANO

 

Texel5b

     

Merda! Merda! Merda! Erano fottuti.

Il Frisone sorseggiava il vino e pensava.

Qualche coglione doveva aver parlato, probabilmente il Gobbo, che non sapeva tenere la lingua a freno. Il Gallego sapeva tutto. Li aveva aspettati al varco. E non ne sarebbero usciti vivi. Quei porci li avrebbero ammazzati tutti. E loro non sarebbero riusciti a difendersi.

Forse avrebbe fatto meglio a dire che aveva il tesoro. No, non sarebbe cambiato niente. Se gli avesse dato il tesoro, magari il Gallego se ne sarebbe andato... Sì, se glielo avesse dato prima. Ora era tardi. Ora li avrebbero ammazzati tutti. Erano fottuti. E quei coglioni dei suoi compagni non l’avevano ancora capito. Avevano bevuto e mangiato tranquilli ed adesso si divertivano a scopare con quelli della Black Gull, senza capire che ce l’avevano tutti in culo, tutti, anche quelli come Testone, che stava inculando Pedro, o il Sassone, che se lo faceva succhiare.

Il colpo della sua vita! Tutta la vita aveva aspettato un’occasione buona. Non i soliti carichi da quattro soldi. Un vero tesoro, gioielli e monete in grande quantità, accatastato in una piccola proprietà non lontana dalla costa. Il tesoro di una famiglia che aveva buoni motivi per nasconderlo. E loro l’avevano saputo. Tutto era filato liscio. Non poteva neppure lamentarsi degli otto uomini crepati: meno mani tra cui spartire quel bottino. E se crepava l’Artista era un altro in meno. Tutto era filato liscio, anche l’extra della ragazza e del ragazzo, con cui si erano divertiti un bel po’. Certo, poi li avevano dovuti ammazzare tutti. Niente testimoni. Quel tesoro era troppo grande.

Ed ora stavano per crepare. Il Sanguinario con quell’altro era andato alla Texel. Ormai aveva trovato il tesoro. E quando tornava indietro, faceva un cenno e cominciava la mattanza. Nessuno di loro sarebbe tornato vivo sulla nave. Il pesce grosso mangia quello piccolo. Doveva dare subito il tesoro al Gallego.

Merda! Se fosse riuscito a raggiungere Port-Royal sarebbe stato un uomo ricco. Poteva comprarsi una piantagione, schiavi a volontà, schiave per chiavare. Ed invece erano fottuti. Da quei luridi bastardi della Black Gull.

Ecco la scialuppa con quei due figli di puttana. Il Sanguinario stava scendendo a terra. Aveva la faccia ed il torace imbrattati di sangue. L’Artista li aveva preceduti. Di poco.

Vide che il Sanguinario annuiva al Gallego. La festa cominciava.

- Bene, ora ci divertiamo un po’!

Il Gallego gli lanciò un’occhiata, poi il Frisone lo vide dirigersi verso Hans. Certo, il ragazzo era il più giovane ed il più bello. Quel bel culo sodo, la pelle di velluto, i capelli biondi, fini come seta…

Presto sarebbe crepato anche Hans.

Ora davanti a lui c’era il Toro.

- Ti va bene che tocchi a me, Frisone. Crepi per ultimo.

No, non intendeva crepare così. Crepare per crepare, meglio farlo difendendosi. Si alzò di scatto, ma la pedata del Toro lo raggiunse ai coglioni prima che riuscisse a saltare all’indietro. Lanciò un muggito, preda di un dolore atroce, che lo gettò in ginocchio, le mani a conca strette intorno al punto da cui lo spasimo saliva, inondando tutto il suo corpo.

Il secondo calcio lo prese in faccia, gettandolo a terra. Il sangue schizzò ed il Frisone si piegò in avanti, sputando due denti. Il colpo lo aveva intontito. Portò le mani alla faccia ed un nuovo calcio lo prese ai coglioni. Non riuscì nemmeno ad urlare, preda di una fitta tanto acuta da annebbiargli la vista. Non si rese conto che il Toro lo aveva voltato a pancia in giù sulla sabbia e gli stava sfilando i pantaloni.

Di colpo, sentì il palo che gli entrava nelle viscere. Un colpo secco ed una sensazione di lacerazione. Spinte, violente, spinte che premevano i coglioni seviziati contro il suolo, in un crescendo di dolore senza fine.

Sentì la voce del Toro:

- Non dovevi reagire, stronzo!

Il dolore lo intontiva. Non sentiva più nulla, se non il dolore interminabile che continuava a pulsare, sempre più forte, sempre più forte. Sommerso in quel dolore non si rese conto del tempo che passava, non sentì neppure quando il Toro venne dentro di lui.

 Sentì soltanto quando il Toro gli mise una mano tra le spalle, spingendo con forza, mentre gli passava l’altra sotto il collo. Con un movimento deciso il Toro gli tirò indietro la testa. Il Frisone sentì una nuova fitta, mentre il collo si spezzava, ed il dolore svanì.

 

CADAVERI

 

Il rumore delle ossa del collo del Frisone che si spaccavano fece sobbalzare Felipe. Da quando era tornato a terra, non sapeva che cosa fare di se stesso. I pirati della Black Gull si erano gettati sugli uomini della Texel, prima che questi potessero reagire. Troppo impegnati a scopare o a farsi scopare, non si erano resi conto di nulla.

Tutti erano stati colpiti subito, con i pugni o il coltello. E poi era cominciato il mattatoio: per nessuno la morte era stata rapida o indolore. Gli uomini della Black Gull godevano ad uccidere: a mani nude, come il Toro che aveva spezzato il collo al Frisone, o il Gallego, che aveva lentamente strangolato un ragazzo; con il coltello, come Ormeño che aveva colpito almeno una ventina di volta un uomo massiccio e tarchiato, o come il Sanguinario, che aveva infilato il suo coltello nel ventre ad un altro ragazzo, che prima era stato violentato da molti dei pirati. Il Sanguinario aveva allargato la ferita e poi spinto a fondo il coltello, facendo entrare il suo braccio nel corpo squarciato dell’altro, sempre più su, fino a che il ragazzo non era morto.

Il Sanguinario aveva ritirato il braccio, completamente coperto di sangue e di frammenti di intestino. Felipe era stato assalito dalla nausea ed aveva vomitato.

Ora, dopo la morte del Frisone, non rimaneva più nessuno degli uomini della Texel. C’erano solo cadaveri sparsi sulla sabbia. Cadaveri su cui gli uomini del Gallego pisciavano ridendo.

In quel momento si sentì Indigo gridare:

- Hanno ammazzato lo Zoppo!

Il grido proveniva da un gruppo di cespugli poco lontano, dove si diressero e trovarono il cadavere dello Zoppo, con la gola completamente aperta da una coltellata.

Felipe non sapeva neppure chi fosse lo Zoppo, ma vedendone il corpo, si ricordò di lui: era un anziano lupo di mare dai capelli argentati, uno degli uomini più vecchi della nave.

Quel pomeriggio si era isolato con uno degli uomini della ciurma della Texel. Ad un certo punto però il pirata della Texel doveva essersi reso conto di quello che stava succedendo ai suoi compagni e, prima che lo Zoppo potesse reagire, lo aveva ucciso ed era scappato via.

Il Gallego aveva un’espressione cupa.

- Spadaccino, Rufus, scavate una fossa e seppellite lo Zoppo. Pedro, Gerald, pensate agli altri cadaveri. Noi andiamo a caccia.

Rufus andò a prendere due pale e con Felipe scavarono una fossa vicino al luogo dove lo Zoppo era morto. Lavorarono una buona mezz’ora a scavare ed il calore li faceva sudare profusamente. Sul grosso ventre di Rufus scorrevano rivoli di sudore. Quando la fossa raggiunse le dimensioni giuste, Rufus disse:

- Bene, adesso possiamo mettere questo stronzo sotto terra. Dimmi tu se doveva farsi ammazzare così, a terra, e costringere noi a scavargli la fossa. Non poteva crepare in mare, che lo buttavamo agli squali, come al solito?

Felipe non provava nessuna simpatia per lo Zoppo, con cui non aveva nemmeno scambiato due parole, ma il cinismo del Rosso gli diede fastidio.  

Non rispose.

Il Rosso afferrò il cadavere dello Zoppo per i piedi e lo trascinò fino a lato della fossa. Poi, con un calcio, lo fece cadere a faccia in giù. Afferrò la pala e cominciò a colmare la fossa con la terra, imitato da Felipe.

 

Stava ormai calando la sera e, come Felipe aveva notato, la notte sarebbe arrivata in fretta, molto più in fretta di quanto avvenisse in Spagna. Si diresse a riva per lavarsi. Quando uscì dall’acqua e si rivestì, vide che i pirati che erano andati a caccia stavano tornando. La caccia aveva avuto un esito favorevole. Il Toro e Scimmia procedevano allineati, portando sulle spalle un palo, ed in mezzo a loro, legato al palo per i polsi e le caviglie, quasi uniti, pendeva il corpo di un uomo.

Fu solo quando i pirati furono vicini a lui, che Felipe si accorse che l’uomo era ancora vivo. Aveva una ferita alla gamba, da cui colava sangue, e un’altra al ventre, ma era vivo e cosciente.

Mentre il Toro e Scimmia reggevano il palo, il Sanguinario tagliò i legacci che lo attaccavo al palo. L’uomo cadde a terra con un rumore sordo e rimase disteso, le mani ed i piedi legati, guardando gli uomini che lo avevano catturato, senza mostrare paura.

Felipe lo osservò. Lo aveva notato prima: era un uomo molto alto, piuttosto magro, ma molto muscoloso. Era biondo e portava i capelli lunghi, come la barba, che ora era macchiata di sangue. Sul ventre la peluria era di colore più scuro.

Il Barbiere, un pirata che Felipe non si ricordava di aver mai notato, tornò dalla nave dove era andato a prendere i suoi attrezzi di lavoro. Con il rasoio cominciò a tagliare i capelli dell’uomo. Gli sollevò la testa, in modo da completare l’operazione, tagliando fino a che il cranio fu completamente calvo. Tutti assistevano alla rasatura, che procedeva lentamente. Nessuno sembrava avere fretta, anche se il sole era ormai tramontato. Qualcuno faceva battute:

- Ora sembri quel porco di Testapelata.

Quando l’uomo non ebbe più nessun capello, il Barbiere passò alla barba. Poi cominciò a radere i peli sul torace, dove la peluria era molto rada, e sul ventre. Infine rase completamente le braccia, che Rufus tenne sollevate perché il Barbiere potesse passare il rasoio dappertutto, fin sotto le ascelle. Poi il Barbiere passò alle gambe, voltò l’uomo e ripeté l’operazione sulle gambe, sulla schiena e sul culo, che era piuttosto peloso. Rase bene anche l’incavo tra le natiche, tra le risate dei pirati.

Ormai era buio e l’operazione era stata completata alla luce del grande fuoco.

- Bene, ora di mangiare qualche cosa.

La voce del Gallego suscitò un boato di risa. Felipe non capiva.

Il Sanguinario si avvicinò al prigioniero, tenendo in mano una lancia.

- Sei pronto per il tuo funerale di lusso?

L’uomo, disteso a pancia in giù, non disse nulla, non si mosse.

Il Sanguinario fece passare la punta della lancia tra le corde che tenevano legati i piedi dell’uomo, poi la spinse in avanti, fino a che non poggiò sul culo del prigioniero. Il Toro si chinò sull’uomo e gli poggiò le mani sulle natiche, divaricandole.

- Ecco, così hai il culo bene aperto.

Felipe intuì, ma prima che potesse reagire, il Sanguinario aveva infilzato la lancia nel buco del culo del prigioniero. L’uomo lanciò un urlo ed il suo corpo ebbe un guizzo. Cercò di sollevarsi, ma il Toro gli appoggiò un piede sulla schiena e lo forzò a rimanere disteso.

Il Sanguinario incominciò a spingere la lancia, mentre il prigioniero urlava di dolore e ad ogni colpo si dibatteva. La lancia penetrava nel corpo, scomparendo, sempre di più. Ad un certo punto le urla cessarono e poco dopo il Sanguinario fece un cenno al Toro. Questi sollevò leggermente la testa del prigioniero e, ad una nuova spinta, la lancia uscì dalla bocca aperta dell’uomo. Il Sanguinario diede ancora un colpo e la lancia avanzò un poco.

Il Toro passò una cinghia intorno alla vita del prigioniero, in modo da bloccare le braccia, impedendo che penzolassero. Poi il Toro ed il Sanguinario alzarono la lancia, uno dalla punta, l’altro dal fondo. Scimmia rovesciò un secchio d’acqua sul prigioniero, lavando via la sabbia. Poi i due posarono la lancia su due sostegni già messi accanto al fuoco.

Ora il cadavere era disteso sopra il fuoco e Gonzalo, che faceva da cuoco, lo unse di grasso, poi, servendosi di uno straccio, fissò un pezzo di legno ad un’estremità della lancia, in modo da poter girare la carne allo spiedo.

Ci vollero alcune ore prima che i pirati potessero cominciare a mangiare.

Felipe era in riva al mare, dove aveva nuovamente vomitato anche l’anima. Aveva capito che, quanto a ferocia, la fama del Gallego e dei suoi uomini era appena all’altezza della realtà.

Quando si fu un po’ ripreso, si chiese che cosa poteva fare. Poco, niente. Cercare di fuggire alla prima occasione. Ma doveva studiare bene l’occasione, perché i suoi compagni lo avrebbero inseguito e non voleva finire arrosto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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